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Autore: AveAtqueVale    17/12/2017    7 recensioni
Alexander Lightwood è un giovane uomo di ventitré anni costretto dai suoi genitori a frequentare, settimanalmente, un noto psicologo che in qualche modo gli capovolgerà l'esistenza.
Magnus Bane è un brillante e ricercato psicologo incapace di affezionarsi ai propri pazienti -per lui semplici casi da comprendere e rimettere in sesto come fossero puzzle da ricostruire- che si ritroverà ad avere Alexander in cura, ritrovandosi spiazzato dalle loro stesse sedute.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Alec Lightwood, Isabelle Lightwood, Magnus Bane, Maryse Lightwood, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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«Buon compleanno!» esclamò la voce di Catarina dall'altro capo del telefono.

Magnus allontanò di scatto il telefono dall'orecchio e strinse gli occhi cercando di sopportare la fittia dolorosa che dall'orecchio era arrivata al cervello. Gli sembrava che la sua testa fosse sul punto di esplodere.

«Sì ma ti prego, non urlare» mugugnò con voce palesemente assonnata, quasi lamentosa, riavvicinando il telefono all'orecchio mentre l'altra mano si avvicinò al viso per massaggiare la tempia libera con un lento moto circolare.

Catarina rise dall'altoparlante. «Ooooh, abbiamo iniziato presto a festeggiare, eh?»

Magnus liberò uno sbuffo dal naso, di malumore. «Non... esattamente» mormorò ancora ad occhi chiusi, totalmente abbandonato contro il cuscino con fare stanco.

Sentiva i pensieri accavallarsi per la mente mentre, poco a poco, i ricordi della sera precedente tornavano a galla con straordinaria violenza. Ricordava l'incontro con Maryse Lightwood, la grande rivelazione, il vino, i messaggi.

Catarina cambiò immediatamente registro.

«Magnus che succede?» domando, più seriamente, la sua voce decisamente preoccupata.

L'uomo aprì lentamente gli occhi ritrovandosi a rimanere in silenzio per alcuni secondi. Cosa avrebbe potuto dirle? Lei non sapeva che lui ed Alexander avevano continuato a sentirsi, a parlare, che decisamente lui era andato oltre quel confine che lei gli aveva raccomandato di non superare. Non sapeva cosa era successo, cosa provava e temeva la sua reazione in caso le avesse raccontato tutto. Temeva di sentirle sbattergli in faccia la verità dei fatti, tutto quello che lui fino a quel momento aveva cercato di nascondere sotto il tappeto così ostinatamente.

Ma in fin dei conti sapeva che lei lo avrebbe sostenuto. Sapeva che avrebbe sempre cercato di proteggerlo e che forse avrebbe potuto aiutarlo a capire come venir fuori da quella situazione. Catarina era una persona giusta e a volte dura nel suo essere sempre così schietta e dedita a ciò che era giusto e buono, ma non avrebbe mai fatto nulla per fargli del male.

Il ragazzo liberò un sospiro e richiuse gli occhi. «Ho fatto un casino, Cat»

«Sono qui, Mags. Lo sai.»

E lui lo sapeva davvero.

«Si tratta di lui, Cat. Alexander.»

«Alexander?» chiese lei confusa. «Intendi il paziente che avevi portato a casa?»

«Proprio lui.» sospirò Magnus deglutendo, mettendosi a sedere. Le coperte scivolarono dal suo busto rivelando un torso scoperto e perfetto. La sua pelle caramellata ricopriva la forma perfetta di muscoli definiti ed allenati, nessun neo, nessuna cicatrice, nessuna imperfezionea straziarne la bellezza. «Lui... Noi... uh-abbiamo iniziato a parlare. Gli avevo dato il mio numero in caso di bisogno ma alla fine ci siamo ritrovati a parlare del più e del meno. Ha iniziato ad aprirsi con me e non ho saputo dire di no» iniziò con lo spiegare lui ripercorrendo mentalmente quegli ultimi giorni.

Gli sembrava assurdo pensare al fatto che tutti quei progressi, tutti quegli eventi fra loro, fossero avvenuti in un così breve arco di tempo, eppure era la verità nuda e cruda.

«Ho pensato che magari parlare in quel modo lo avrebbe aiutato ad aprirsi anche durante le sedute, a confidarsi con me come suo terapeuta. Ma... non è andata esattamente come previsto» Il ragazzo si fermò mordendosi il labbro inferiore, piegando le gambe di modo tale da tenere le ginocchia alzate, vicino al petto e la schiena ricurva così da poggiare il mento su di esse.

«Cosa intendi dire?» chiese semplicemente lei senza aggiungere altro e Magnus sapeva che stava tenendo da parte ogni tipo di commento e giudizio per quando lui avesse finito di raccontarle ogni cosa. Apprezzava questo, lui, di Catarina. Anche quando era contraria a qualcosa, anche quando non era d'accordo, non cercava mai di far prevalere la sua opinione, rimaneva sempre ad ascoltare senza cercare di scavalcare i pensieri altrui.

Magnus deglutì e poggiò la fronte contro le ginocchia, nascondendo il viso contro le proprie cosce.

«Mi piace, Cat» ammise a bassa voce, con una sfumatura di dolorosa consapevolezza nel suo tono. «Più di quanto pensassi. E lui... non lo so. A volte penso che magari anche lui... ma poi...»

Si sentiva uno stupido a non riuscire neppure a formulare una frase di senso compiuto, ma ogni volta che pensava ad Alexander si sentiva così travolto da mille emozioni diverse che anche il semplice pensare diveniva complicato, figuriamoci ora che era in pieno dopo-sbronza.

Ripensò a lui, a tutto ciò che era successo fra loro, al modo in cui gli parlava e in cui rifuggiva le sue parole talvolta quando sentiva di non poter sostenere una conversazione troppo personale o difficile; ripensò al modo in cui aveva iniziato a scherzare con lui nel tempo, al modo in cui poco a poco entrambi avevano imparato a sentirsi a loro agio in reciproca compagnia; ripensò al modo in cui talvolta i silenzi fra loro venivano riempiti da quegli sguardi che sembravano dire più di quanto qualunque parola sarebbe stata in grado di comunicare; ripensò al modo in cui lo aveva guardato il giorno prima entrando in ufficio, al modo in cui era rimasto paralizzato sul posto ad osservarlo. In altre circostanze avrebbe potuto temere che l'altro potesse essere rimasto basito dal modo in cui lui ostentava quei colori e quello stile così assurdo, ma per la verità l'unica cosa che Magnus era riuscito a credere -a sperare, era che Alexander lo avesse trovato bello. Ripensò al modo in cui le sue labbra si erano schiuse quando le sue dita si erano soffermate sotto il suo mento per alzargli il viso e forzarlo a guardarlo, quasi come un riflesso incondizionato.

Nella sua mente ognuna di queste cose appariva come la piccola possibilità che Alexander potesse guardarlo nello stesso modo in cui Magnus stesso lo guardava, ma poi si faceva largo il timore che fosse semplicemente il suo cuore a sperare di trovare in quei gesti un significato diverso da quello che in realtà potevano avere. Non sapeva cosa credere. In qualche modo la trasparenza e l'innocenza di Alexander gli risultavano illeggibili. Era così abituato ad avere a che fare con gente che nascondeva i propri sentimenti, che mentiva, che imbrogliava il prossimo e se stessa da aver imparato a leggere chiaramente ciò che si celava dietro le loro finte parole, ma ora che aveva davanti qualcosa di così semplice e pulito non sapeva come doverlo interpretare. Non era semplicemente assurdo?

«Okay. Quindi ti piace» sospirò Cat nascondendo malamente il suo malcontento. «Cosa ti abbatte in questo modo allora? Se hai detto che avete sviluppato un rapporto al di fuori delle vostre sedute non ti basta consigliargli un altro psicologo e rimanergli vicino semplicemente come te stesso?»

Sembrava così semplice... a sentire Cat sembrava tutto così lineare e naturale. Ma tutto era così più profondamente complicato! Era frustrante sentire di avere quel groviglio di emozioni e sentimenti dentro e non sapere come riuscire ad esternarli, a mostrarli a chi aveva attorno. Come poteva spiegarle che nessun altro avrebbe potuto aiutarlo come poteva fare lui? Come poteva spiegarle che ogni cellula del suo corpo continuava ad urlargli di volerlo salvare in tutti i modi possibili e immaginabili?

«Non è così facile. E' complicato Cat... Non so cosa lui pensi esattamente di me. Non so fino a dove si fidi di me, non so se anche lui pensi a me al di fuori del mio ruolo. Spesso penso di sì ma... non posso saperlo con certezza. E poi abbiamo fatto progressi! Se dovessi mandarlo da qualcun altro si chiuderebbe di nuovo in se stesso e dovrebbe ricominciare da capo e non so se potrebbe sopportare questo processo di nuovo...» La mano libera di Magnus si levò verso il capo, le dita a passare fra i capelli stringendoli appena in una morsa stretta e decisa. Si sentiva combattuto e travolto da quella marea di dubbi e insicurezze che la sera precedente gli aveva scatenato dentro. «Lui... è diverso Cat. E' come me»

Quelle parole portarono Catarina a trattenere il respiro, Magnus potè sentire il risucchio dell'aria fra le sue labbra. Sapeva quanto dovesse essere sconvolta dal sentire quelle sue parole perchè lei, più di ogni altro al mondo, sapeva quanto Magnus si fosse sempre sentito diverso da chiunque altro, maledetto e condannato in un modo che nessuno fra chi era attorno a sé avrebbe potuto mai capire.

«Ho sempre pensato che in qualche modo ci fosse qualcosa a connetterci, sai? Ad un certo punto, durante le sedute, ho iniziato a vedere questa connessione. Ma non capivo. E poi... l'altra sera ha detto una cosa... lui... Lui riesce a vedermi davvero. Al di là del trucco, dei vestiti, di tutto. Come avevi detto tu, ricordi? Non ho potuto nascondermi da lui.»

«Cosa vuol dire che lui è come te, Magnus?»

Magnus chiuse gli occhi deglutendo, sentendo il martellante dolore alla testa spandersi per tutto il corpo riverberandosi nelle vene, sotto le palpebre, nelle orecchie.

«Lui ha... perso qualcuno» disse Magnus in un soffio. «Sua madre ieri è venuta a parlarmi. Voleva ringraziarmi per i progressi che ha visto in lui e mi ha detto...» Magnus si fermò passandosi una mano davanti alla faccia. Non stava a lui parlare di quanto sua madre gli aveva rivelato. Non era giusto, non era corretto. In primo luogo lui stesso non avrebbe mai dovuto venire a conoscenza di tali eventi da qualcuno che non fosse Alexander stesso. «E' come me, Cat.» ripetè alla fine abbandonando il viso contro la mano che ora gli reggeva la fronte. «Io posso capire cosa prova, posso capire cosa sono quelle ombre che gli avevo visto dentro. E forse è tutto ciò di cui ha bisogno. Sapere che qualcuno capisca e che sopporti quel dolore con lui. Io penso di poterlo salvare Cat»

E d'un tratto la sua voce parve quasi divenire una supplica, come se stesse cercando la di lei approvazione, come se cercasse di giustificare i suoi sentimenti in quel suo dire per la prima volta ad alta voce tutto ciò che in quell'ultimo periodo si era riversato nella sua mente.

«Magnus. Continui a parlare di lui, di volerlo salvare, di poterlo capire ma ti sei fermato un attimo a pensare cosa questo può fare a te?» Catarina fu brutale nel suo rispondere alle parole dell'amico. «Non voglio abbatterti e non voglio che tu pensi che io sia contraria a quello che provi. Per anni ho sperato che potesse arrivare finalmente qualcuno capace di farti sentire di nuovo qualcosa, qualcuno che fosse degno di te. Ma Magnus... questo... questo non mi sembra davvero il caso in questione» Era evidente che Catarina fosse quasi intimorita dall'idea di pronunciare quelle parole, che il suo cuore si stesse spezzando nel riferirle.

Non quanto quello di Magnus nell'ascoltarle, comunque.

Sentire il modo in cui la sua migliore amica fosse contraria all'idea di Alexander lo debilitava in maniera profonda. Non che avesse bisogno del permesso o dell'autorizzazione della sua amica per decidere cosa fare della sua vita o dei suoi sentimenti, ma Catarina era sempre stata parte integrante della sua vita e in qualche modo sembrava aver sempre saputo cosa fosse meglio per lui. Il fatto che lei pensasse che Alexander non fosse una buona cosa per lui gli fece temere di essere rimasto impantanato in una situazione ben più complicata di quanto non avesse creduto.

«Solo perchè è un mio paziente? Posso trovare il modo di far funzionare le cose, basta--»

«No, non è perchè è un tuo paziente, Magnus» lo interruppe Catarina con voce dolce, col tono premuroso e materno che era solita usare con lui quando si rimproverava per il dolore che lui sentiva, anche quando non dipendeva da lei. «Ma perchè temo che per salvare lui, finirai col precipitare sempre più a fondo.» La ragazza prese una pausa e sospirò in difficoltà. Magnus poteva dire che stesse cercando il modo migliore per esprimere un pensiero che sapeva lo avrebbe turbato. Non era del tutto sicuro di voler sentire cosa lei avesse da dire.

«Io credo che tu stia cercando così disperatamente di salvarlo perchè così, magari potresti salvare te stesso. Credo che tu in qualche modo stia cercando te in lui. E se magari riuscissi a salvarlo allora forse potresti riuscire nel mentre a salvare anche te. Ma non è così che funziona... Sconfiggere i suoi demoni non eliminerà i tuoi e--»

Magnus scosse la testa con violenza come a voler scacciare la voce di Catarina dalla sua mente e si pentì immediatamente di quel gesto avvertendo il pulsare violento della sua emicrania spandersi per il cranio intero. «Ne abbiamo già parlato, Cat! Non ha niente a che vedere con me questa storia!»

«Ha tutto a che vedere con te, razza di cretino!» sbottò lei bruscamente. «Stiamo parlando dei tuoi sentimenti, della tua vita. Non solo della sua. Il suo benessere non conta più del tuo, la sua felicità non è più importante più della tua e lui non vale più di te. Se aiutarlo a superare i suoi problemi vuol dire farti tornare ad annegare nei tuoi allora è evidente che questo è un rapporto che non ha futuro Magnus» Il tono deciso e severo che aveva adottato inizialmente sfumò pian piano in uno mortificato e dispiaciuto che sembrava quasi voler suonare come una carezza contro il di lui udito.

Magnus si sentì scosso e quasi schiaffeggiato dalle sue parole. Annegare. Aveva usato la stessa parola che Alexander aveva utilizzato solo poche sere prima per descriverlo.

Faceva male.

Faceva maledettamente male.

Sentì il cuore dolere al sentire chiaramente quelle parole dalle labbra di Catarina. Le labbra si schiusero liberando un piccolo singhiozzo silenzioso, la gola si chiuse all'istante mentre il dolore alla testa si fece ancor più penetrante. Il sangue stava correndo violento nelle vene affluendo al viso, la pressione stava aumentando mentre cercava di trattenere tutti i sentimenti che gli si stavano affollando nel petto. Quei giorni trascorsi con Alexander erano stati intensi. Erano stati diversi, erano stati quanto di più vero e reale avesse vissuto negli ultimi anni. C'era stato qualcosa che lo aveva fatto sentire vivo, c'era il modo in cui lui lo guardava che lo faceva sentire davvero vivo. Il solo pensiero di perdere tutto questo gli toglieva il respiro.

«No... Io non...» la sua voce venne fuori incrinata mentre cercava con tutto se stesso di trovare un motivo qualsiasi per contraddire la sua amica. «..lui mi fa del bene Cat... davvero» piagnucolò tirando su col naso, ricacciando indietro le lacrime e cercando di ignorare il mal di testa violento che lo stava consumando. «mi fa sentire...»

Catarina sospirò con fare mesto al sentire la voce di Magnus spegnersi tristemente. «Senti, facciamo così.» disse cercando di imprimere quanta più leggerezza e speranza nella sua voce. «Non parliamone adesso. Oggi è il tuo compleanno e dovrebbe essere una giornata felice. Quindi ora ti fai un lungo bagno caldo, passi la giornata a dedicarti a te stesso e questa sera ci vediamo. Posso prendermi un giorno di permesso domani così stasera potrei passare la notte lì, nella mia vecchia stanza e noi possiamo parlare di questa storia insieme, va bene?» propose lei con quel suo tono ricolmo di dolcezza e affetto che Magnus aveva sempre assimilato a quello di una sorella maggiore.

Deglutì tirando su col naso e annuì leggermente col capo.

«Va bene...»

«Va bene. Adesso devo tornare al mio turno. Ci vediamo stasera Mags» disse lei con voce morbida e calda. «Ti voglio bene»

Magnus sentì una ondata di affetto per lei travolgerlo con forza.

«Ti voglio bene anch'io»

 

*

 

Alec sospirò per l'ennesima volta con la fronte poggiata contro la scrivania.

Era mattina inoltrata e lui e Magnus non si erano sentiti. Dopo quello stupido messaggio di auguri così povero e freddo che gli aveva inviato non si erano più scritti e, in parte, Alec ne fu sollevato. Di quei tempi era divenuta quasi una abitudine svegliarsi con i suoi messaggi e addormentarsi dopo aver parlato con lui, era qualcosa alla quale non era abituato e che non sapeva bene come interpretare e che quindi lo faceva sentire teso e nervoso. Oltretutto non aveva idea di cosa avrebbe potuto dirgli in quel particolare giorno: i compleanni, dopotutto, erano ricorrenze da scorrere con la gente che amavi e che sapeva davvero chi tu fossi: Alec non sentiva di rientrare in nessuna di quelle categorie per l'altro.

Dall'altra parte, però, gli mancava.

Si passò nervosamente una mano fra i capelli arricciando le labbra. Voleva fare qualcosa per lui in quel giorno, ma non aveva idea di cosa avrebbe potuto fare senza apparire strano o ambiguo o fuori luogo. Quando sua madre gli aveva rivelato che il compleanno di Magnus sarebbe arrivato in poche ore Alec era quasi saltato dalla sedia. Sapeva che quel giorno sarebbe arrivato presto stando alle parole dell'altro ma non così presto. Aveva passato la sera cercando di pensare ad un messaggio d'auguri che non sarebbe parso inopportuno da parte di un paziente ma che, al tempo stesso, non lo rendesse ai suoi occhi un paziente come un altro. Aveva scritto e cancellato dozzine di messaggi di prova ed alla fine, quando la mezzanotte era ormai alle porte, si era arreso e si era limitato ad un banalissimo ed impersonale “Buon compleanno”. Solo dopo che l'ebbe inviato iniziò a maledirsi per aver inviato quel messaggio: se proprio doveva mandargli degli auguri tanto brutti poteva starsi fermo in primo luogo! Pensò a tutti i messaggi che sicuramente gli sarebbero arrivati da parte di gente che conosceva da tempo, gente che non avrebbe dovuto sentirsi a disagio all'idea di volergli scrivere per il suo compleanno. Pensò a quanto ognuno di essi l'avrebbe fatto sorridere e commuovere facendo svanire, a confronto, quella barzelletta del suo messaggio. Buon compleanno. Punto. Non aveva messo neppure una emoji: avrebbe potuto mettere qualcosa di festivo! Era certo che da qualche parte, scorrendo, ci fosse qualcosa con dei coriandoli o delle stelle filanti, sarebbero stati perfetti per alleggerire il tono delle sue parole e rendere il messaggio molto meno informale.

Ma ormai era fatta e, per lo meno, Magnus era stato tanto gentile da ringraziarlo.

Tenero.

Lo aveva definito tenero.

Ripensarci fece stringere il suo cuore in una morsa calda e piacevole che gli strappò un mezzo gemito imbarazzato. Non riusciva a capire perchè quel messaggio lo avesse scombussolato tanto. Aveva sentito il viso andare a fuoco non appena l'aveva letto e il cuore martellargli forte nelle tempie. Nessuno lo aveva mai definito in quei termini prima. Probabilmente perchè con nessuno era mai stato abbastanza sciolto o spontaneo da meritarsi una simile descrizione. Ma Magnus non era un'eccezione, no? Insomma, con lui non si era comportato poi così diversamente... no?

Iniziò a farsi assalire dai dubbi e dalla paura di essere stato forse un po' troppo sfrontato e sfacciato con lui, di aver lasciato trasparire i suoi sentimenti, di avergli fatto capire qualcosa che avrebbe invece dovuto tenere nascosto. Il solo pensiero lo mandava nel panico. E poi, lui, non voleva essere tenero. Non era certo che Magnus fosse il tipo di persona che cercasse qualcuno di tenero da avere al suo fianco. Magari qualcuno di affascinante, di divertente, di spigliato... qualcuno che potesse quantomeno non sfigurare accanto alla sua bellezza. Il pensiero mandò una fitta di tristezza al cervello di Alec. Accanto a Magnus lui si sentiva svanire. Di sicuro l'altro si sarebbe imbarazzato soltanto a mostrarsi accanto ad uno come lui, coi suoi capelli sconvolti e la pelle troppo pallida...

Scosse la testa allontanando tutti quei pensieri dalla sua mente.

Avrebbe voluto fare qualcosa per lui in quel giorno, un pensiero per strappargli un sorriso magari, il genere di cose che era norma fare nei compleanni, ma la sua mente era semplicemente vuota. Non era mai stato particolarmente bravo con i regali, specialmente considerando che le uniche persone alle quali li avesse mai fatti erano la sua famiglia e Jace. Ma lui e Magnus avevano un rapporto... singolare. Sarebbe stato inappropriato per lui pensare ad un regalo da fargli? Ogni fibra del suo corpo gli diceva di sì ma, al tempo stesso, gli diceva anche che non c'era niente al mondo che volesse più di questo.

Sospirò, ancora, strofinandosi il viso con una mano, quando la porta della sua stanza si aprì all'improvviso.

«Toc toc?» disse Isabelle sulla soglia, affacciata oltre la porta socchiusa, con la testa infilata nella stanza.

Alec si voltò verso di lei ruotando sulla sedia alla sua scrivania.

«Lo sai, sì, che in genere si bussa prima di entrare da qualche parte?»

«Aaah, come se potessi mai beccarti a fare qualcosa di imbarazzante» minimizzò lei aprendo del tutto la porta ed entrando con quell'aria leggera e sicura che la circondava in ogni occasione, chiudendosi la porta alle spalle.

Alec si accigliò leggermente, imbarazzato. «Che ne sai? Magari potevo star... uh-facendo...» No, non gli veniva in mente niente di abbastanza imbarazzante o privato che potesse richiedergli la porta chiusa.

Isabelle lo guardò inarcando le sopracciglia prima di sgranare appena gli occhi e alzare le mani davanti a sé.

«Oddio Alec, ti prego no» disse con tono perentorio. «Se devi fare certe cose, ti prego, chiuditi in bagno.»

Alec la fissò per un attimo perplesso aggrottando le sopracciglia, non capendo a cosa lei potesse starsi riferendo.

Poi, lentamente, capì dove la sorella stava andando a parare ed una ondata di sangue incandescente gli salì al viso imporporando la pelle solitamente mortalmente pallida.

«C—cos—No!» esclamò lui, sconvolto, sentendo le orecchie prossime all'autocombustione. «Non era quel—»

Isabelle alzò il dito indice davanti a sé e ruotò la testa per guardare altrove.

«Ah-ah-ah» ritmò con la voce per fermare il balbettio imbarazzato del fratello. «Non avremo questa conversazione, Alec. Ugh, che schifo!» rabbrividì lei avvicinandosi al letto e lasciandosi cadere seduta su di esso, verso i bordi inferiori, le gambe sinuosamente accavallate mentre il peso del corpo andava a spostarsi tutto sulle mani affondate nel guanciale dietro di sé.

A volte parlare con Izzy era la cosa più difficile del mondo.

Alec sospirò sentendo ancora il viso in fiamme e preferì lasciar cadere il discorso.

«Cosa c'è, Izzy?» brontolò, alla fine, ruotando sulla sedia così da avere di fronte il letto e, quindi, sua sorella.

Lei si strinse nelle spalle con fare incurante. «Niente. Mi annoiavo» si limitò a dire con un mezzo sbuffo. «Church sta dormendo ed è troppo presto per uscire. Tu che stavi facendo invece?»

Pensavo a cosa potrei regalare al ragazzo che mi piace per il suo compleanno, pensò Alec immediatamente ben sapendo che era qualcosa che non avrebbe mai potuto dire ad alta voce. Stava già per lasciar cadere il discorso quando una vocina dentro di lui lo fermò. Izzy amava fare i regali e sapeva sempre scegliere la cosa giusta in ogni occasione. Forse... forse avrebbe potuto chiederle aiuto, per una volta.

«Io-uh...» iniziò lui nervosamente, sentendo il rossore iniziare a calmarsi e la temperatura di guance e orecchie stabilizzarsi. «pensavo che forse dovrei fare un regalo al mio psicologo per uh-sai, il suo compleanno»disse schiarendosi la voce, la mancina distesa lungo l'orlo della scrivania, l'indice a ripercorrere la forma di una venatura del legno con fare meccanico. «Mamma gli ha dato una bottiglia di vino ma uh-lei non lo conosce alla fine. Cioè, nemmeno io, nel senso...»

Izzy inarcò un sopracciglio e osservò il fratello assottigliando leggermente lo sguardo con fare indagatore.

«Uhm» mormorò fra le labbra. «Capisco. E hai trovato qualcosa?»

Alec strinse le labbra con fare combattuto.

«Non sono bravo a fare regali...»

Isabelle rimase ad osservarlo in silenzio per lunghi secondi con aria improvvisamente seria, soppesando le parole del fratello, il modo in cui stava evitando il suo sguardo, in cui sembrava così estremamente a disagio. Eppure la cosa sembrava essere abbastanza importante per lui da fargli sopportare quella poco piacevole conversazione e chiederle persino aiuto.

«Okay, vediamo cosa possiamo fare» disse allora lei, sorridendo, alzandosi in piedi. «Che tipo è? Mamma sembrava scettica ieri quando ha parlato di lui. Come se fosse un tipo assurdo. Magari se riesco a farmi una idea su di lui posso aiutarti a scegliere qualcosa di carino»

Lo sguardo di Alec si illuminò al sentire quelle parole ed un sorriso grato schiuse le sue labbra.

Durò solo per un istante prima che Alec si rendesse conto che non aveva idea di come poterlo descrivere a sua sorella senza mostrare tutto il suo coinvolgimento.

«Uh-Lui è...» perfetto pensò Alec deglutendo, portando la mancina dietro la nuca a grattarsi i capelli scuri con fare nervoso. Avrebbe voluto dirle quanto fosse incredibilmente attraente. Come fosse spiazzante il contrasto fra il suo aspetto stravagante ed il tono rassicurante della sua voce, il modo in cui era capace di guardarti fin dentro l'anima coi suoi meravigliosi occhi verde-oro e al tempo stesso scherzare con la leggerezza di un adolescente. Avrebbe voluto dirle in che modo spesso si perdeva a studiare la forma delle sue spalle o delle braccia, ridisegnando mentalmente il suo profilo così da non lasciarsi sfuggire neppure un dettaglio. Voleva dirle in che modo i suoi occhi brillavano quando c'era poca luce, come sapesse essere rassicurante e impetuoso al tempo stesso, capace di farlo sentire al sicuro o in trappola con una semplice espressione. «...originale» si ritrovò a dire Alec sentendosi un idiota per quell'affermazione. «A-ah, aspetta. Ho una foto» si riscosse subito dopo sfilandosi dalla tasca dei jeans il cellulare.

Aprì whatsapp e selezionò la sua chat ingrandendo rapidamente la sua foto, la foto che tanto amava e che ormai conosceva a memoria.

Isabelle si avvicinò mettendosi dietro di lui, chinandosi dietro lo schienale della sedia poggiando le braccia sulle spalle del fratello, il viso accanto al suo, mentre osservava lo schermo del cellulare.

«W-o-w» scandì lentamente lei sgranando gli occhi. «Sento l'improvviso bisogno di andare in terapia anche io adesso» e dal suo tono di voce Alec seppe che Magnus aveva acquisito una nuova ammiratrice.

Alec sorrise, divertito, scuotendo leggermente le spalle nel trattenere la risatina.

«Sì, già. Immagina la faccia della mamma quando deve averlo visto la prima volta»

Isabelle tornò in posa eretta portando le mani sui fianchi.

«Ora capisco perchè credeva che non fosse un professionista. Immagina che faccia deve aver fatto quando ha dovuto ricredersi e gliel'ha anche dovuto dire in faccia!» rise lei provando ad immaginare Maryse Lightwood che ringraziava sentitamente un uomo che sapeva apparentemente truccarsi molto meglio di lei.

Alec sorrise scuotendo leggermente il capo. No, in realtà preferiva non pensarci.

La sola idea che Magnus avesse potuto scorgere nello sguardo di sua madre tutto il disgusto che era solita provare per questo tipo di atteggiamenti sfacciati e poco ordinari gli chiudeva lo stomaco.

«Okay quindi è un figo. Gli piace la moda e l'eleganza. E' un problema» mormorò lei portandosi una mano al mento con fare pensoso.

Alec si voltò e alzò lo sguardo verso di lei con aria allarmata. «Eh? Perchè?»

Sua sorella iniziò a misurare la stanza ad ampie falcate, incrociando le braccia al petto e tamburellando le dita della mancina nell'incavo dell'altro braccio.

«Beh perchè tu non sai assolutamente niente di tutto questo e quindi non saresti capace di fare un regalo che rientri in quei termini»

Alec parve confuso. «Ma... è per questo che tu sei qui, no?» domandò con innocente perplessità. «Tu ci capisci tutto di questa roba»

Isabelle si fermò nel bel mezzo della stanza voltandosi verso Alec con aria seria.

«Ma è proprio questo il punto! Non deve capire che il regalo viene da qualcun altro. Deve pensare che sia da parte tua!» esclamò lei come se fosse la cosa più ovvia del mondo. «E conoscendoti credo che lo voglia anche tu» aggiunse, subito dopo, con fare attento, soppesando con cura le sue parole.

Alec rimase interdetto per un istante nel metabolizzare quel concetto.

Se Magnus avesse capito che lui si fosse fatto aiutare per scegliere un regalo per lui cosa avrebbe pensato? Che Alec voleva a tutti i costi fare bella figura? Che ci teneva al punto da chiedere aiuto a qualcuno? Avrebbe dato a quel gesto più importanza di quanto invece non ne avrebbe avuta? A ben pensarci non era esattamente quello che voleva. E, soprattutto, avrebbe voluto poter scegliere da sé qualsiasi cosa avesse voluto donargli... sapere di stargli regalando qualcosa che lui pensava gli sarebbe piaciuto. Alec abbassò lo sguardo, sconfitto.

«Mi basta che lo faccia contento» ammise, a bassa voce, quasi senza rendersi conto di averlo detto ad alta voce.

Isabelle schiuse le labbra sgranando leggermente gli occhi.

Nascose immediatamente quell'espressione stupita dal volto rimpiazzandola ben presto con un sorriso caldo e intenerito, inchinandosi ai piedi di Alec, poggiando una mano sul suo ginocchio mentre cercava il suo sguardo dal basso della sua nuova posizione.

«Credo che sarebbe contento a prescindere da quello che potresti portargli. Cioè che ci rende contenti nei compleanni non sono i regali in sé, ma sapere che le persone a cui teniamo ci vogliono bene abbastanza da voler fare qualcosa per noi. Anche qualcosa di piccolo e apparentemente insignificante» disse lei col tono morbido e comprensivo che era solita sfoderare ogni volta che entrava in modalità 'sorella consigliera'. Alec la guardò stringendo le labbra, leggermente combattuto.

Non era certo di rientrare fra le 'persone a cui Magnus teneva' e non era sicuro di volere che sua sorella capisse che lui ci teneva fin troppo. Ma in qualche modo la prospettiva di correggerla, di negare quanto per lui fosse importante quella particolare situazione, gli risultava sfiancante. Era stanco di nascondere e scappare. Sapeva che Izzy non avrebbe detto niente in proposito, che non avrebbe fatto commenti e che non avrebbe pensato diversamente di lui. In qualche modo aveva sempre avuto il sospetto che Izzy sapesse.

«Non c'è niente che tu sappia lui voglia?» domandò lei con tono gentile, sorridendogli con candore.

Permettimi di conoscerti.

Le parole di Magnus lampeggiarono improvvisamente nella sua mente, nitide e chiare come se le avesse proprio sotto gli occhi.

Alec schiuse le labbra e quindi annuì.

«Sì. C'è qualcosa»

 

*

 

Dopo aver chiuso la telefonata con Catarina Magnus si era dedicato a curare i postumi della sua sbornia.

Si era preso un'aspirina e bevuto un po' di caffè caldo, prima di abbandonarsi ad un lungo bagno rigenerante. Per quel giorno avrebbe tenuto chiuso lo studio e aveva lasciato detto a Lucy ti avvisare i loro pazienti e di riarrangiare i loro appuntamenti. Lucy era rimasta piuttosto sorpresa di sentire che quel giorno l'uomo non sarebbe venuto a lavoro: da quando lavorava per lui non era mai successo. Magnus le spiegò di non sentirsi molto bene e lei non aveva sollevato domande augurandogli semplicemente di sentirsi meglio e di passare un buon compleanno, sebbene le due cose si scontrassero ironicamente fra loro.

Magnus comunque aveva ringraziato e aveva tirato un sospiro di sollievo.

Non aveva molta fame ma si sforzò di cucinare qualcosa per pranzo giusto per non rimanere a stomaco vuoto. Era ancora piuttosto scombussolato dalla telefonata di quella mattina e dagli eventi del giorno precedente ma per fortuna riuscì ben presto a sentirsi un po' meglio quando il mal di testa prese a diminuire ed il pensiero che presto avrebbe rivisto i suoi amici prese posto nel suo cuore. Non si vedevano dal compleanno di Raphael -avvenuto un paio di mesi prima- e da allora si erano sentiti piuttosto di rado seppur continuando a tenersi in contatto nel tempo. L'idea di rivederli riuscì in qualche modo a calmarlo e a far passare in secondo piano le sue preoccupazioni, almeno per quella sera.

Aveva deciso che per quel giorno non avrebbe scritto ad Alexander.

Dopo tutto quello che lui e Catarina si erano detti non pensava che fosse una buona idea e, inoltre, non sapeva neppure cosa avrebbe potuto scrivergli se anche avesse voluto mandargli un messaggio. Aveva bisogno di prendersi un po' di tempo, di pensare bene a ciò che stava succedendo e questa decisione lo calmò un altro po'. Avrebbe preso del tempo per sé e avrebbe ponderato bene sulla situazione così da non rovinare irrimediabilmente ogni cosa. Voleva credere che fosse la cosa migliore da fare per il momento e così si dedicò a pulire casa per il resto della giornata.

Era un lavoro lungo e noioso ma che andava fatto se voleva accogliere al meglio i suoi amici. In verità non è che ci fosse poi molto da sistemare: Magnus era sempre stato un tipo ordinato e pulito, odiava il disordine e spesso aveva voglia di cambiare e rimodernare l'arredamento del loft. Era raro trovare qualcosa fuori posto, ma lui sentiva sempre di poter arrangiare la stanza in maniera ancora migliore e così eccolo periodicamente alle prese con le pulizie generali della camera principale dell'appartamento.

Avendo saltato il pranzo limitandosi solo a mangiare qualcosa di rapido e veloce aveva avuto modo di mettersi a lavoro di buonora e verso mezzo pomeriggio aveva già finito di sistemare casa. Aveva preparato ciotole di stuzzichini ed una piramide di bicchieri di plastica rossi sul tavolo davanti alla finestra assieme a piattini e tovaglioli. Le bevande sarebbero state fatte uscire all'arrivo degli ospiti così come lo spazio vuoto sul tavolo sarebbe stato occupato dalla torta che loro avrebbero portato, come sempre.

Niente festoni, niente palloncini, niente coriandoli colorati questa volta: l'ultima volta aveva quasi dato fuoco all'appartamento quando uno strisicione si era staccato cadendo sulle candele che aveva acceso nell'appartamento. Sul momento erano andati tutti nel panico ma quando riuscirono a spegnere il fuoco prima che la situazione sfuggisse di mano, tutti risero sollevati concordando che quello sarebbe stato un compleanno che non avrebbero dimenticato.

Una volta preparato tutto era il momento di occuparsi di se stesso. Anche se sarebbero stati in casa sentiva di voler apparire al meglio per quel giorno considerando che era una occasione speciale e così aveva optato per indossare un paio di stretti pantaloni neri ed una aderente camicia di seta rossa. Aveva sempre trovato che il rosso gli donasse, soprattutto considerando il colore della sua pelle e quella era una delle sue camicie preferite: stringeva nei punti giusti evidenziando la forma dei bicipiti allenati e delle spalle larghe senza però dare l'impressione di stare per esplodere da un momento all'altro. Inoltre il modo in cui ricadeva il colletto quando lasciava giusto un paio di bottoni aperti lo aveva sempre convinto positivamente. Non per niente era la camicia che era solito indossare quando, durante una uscita, contava di non tornare a casa da solo.

Abbinò a questo completo un paio di collane d'argento ed una serie di anelli pesanti ed elaborati che infilò alle dita dalle unghie smaltate di nero. Truccò gli occhi con l'immancabile linea d'eyeliner nero a delineare la forma dell'occhio ed una mescolanza di ombretti che andavano dal nero al rosso scuro che richiamavano straordinariamente bene il suo outfit.

Si passò una mano fra i capelli per modellare il ciuffo e sentì qualcuno suonare alla sua porta.

Lanciò uno sguardo all'orario che lampeggiava sulla sua sveglia e inarcò le sopracciglia, sorpreso. «Caspita. E' volato il tempo!»

Si alzò e s'affrettò verso la porta lisciandosi le pieghe della camicia e mettendo su uno smagliante sorriso. Era più impaziente di vederli di quanto non credesse.

«Benvenuti a--!» esclamò con tono gioioso aprendo la porta con un rapido e fluido gesto, rimanendo spiazzato un istante più tardi quando vide chi c'era sulla soglia di casa sua. «...Alexander. Che...» disse, sorpreso, totalmente preso alla sprovvista, sbattendo rapidamente le palpebre, il suo cuore a fargli una piroetta nel petto scacciando la serena tranquillità che lo aveva avvolto fino a quel momento.

Alexander, dal canto suo, si irrigidì all'istante fissando Magnus con espressione impacciata e piuttosto imbarazzata. Le sue gote si tinsero di rosso all'istante mentre prese a far passare il peso del proprio corpo da un piede all'altro.

«Ah. Scusami. Aspettavi sicuramente ospiti» disse, nervosamente, abbassando lo sguardo, passandosi una mano fra i capelli... pettinati?

Magnus non aveva potuto fare a meno di notare che c'era qualcosa di diverso dal solito in Alexander quel giorno. Non indossava vecchi jeans scoloriti o felpe troppo grandi, né improponibili accoppiate di colore che lui avrebbe dichiarato fuorilegge. Sotto la giacca scura indossava una semplice camicia nera senza troppe pretese ma decisamente più elegante di qualsiasi altra cosa gli avesse mai visto addosso fino a quel momento, ed un paio di pantaloni dello stesso colore che cadevano sulla sua figura stringendo perfettamente la forma delle ginocchia e delle caviglie. Magnus sentì di aver dimenticato di respirare.

«...è il tuo compleanno, ovviamente aspettavi ospiti.» continuò rimproverandosi fra sé e sé ma ad un tono di voce perfettamente udibile considerata la nulla distanza fra loro. «Scusa. Io... ehm-Niente, non sarei dovuto passare» balbettò nervosamente senza ancora osare alzare lo sguardo su di lui.

Quando fece per voltarsi ed andarsene Magnus tornò improvvisamente in possesso delle proprie facoltà mentali.

No! aveva gridato una voce nella sua testa.

«No!» E a quanto pareva anche la propria. Alexander si voltò verso di lui arrestando il proprio passo con l'espressione più speranzosa e preoccupata di sempre. Magnus boccheggiò schiarendosi la gola. «Voglio dire, sei venuto fin qui. Non c'è problema» disse abbozzando un sorriso. «E credo che i miei ospiti arriveranno fra un po'. Prego..uh, entra pure»

...Ed ecco sfumare ingloriosamente i suoi propositi di evitare Alexander per quel giorno.

Il ragazzo si illuminò in viso in un modo di cui Magnus dubitava fosse pienamente conoscente e, annuendo, varcò la soglia grattandosi la nuca.

Magnus richiuse la porta dietro di loro e mosse un paio di passi verso Alec che si era fermato nel centro della stanza a poca distanza dal basso tavolino da caffè. Scese uno strano silenzio fra loro mentre Magnus prese a strofinarsi nervosamente le mani dinnanzi al petto.

«Va tutto bene?» domandò cercando di spezzare quel silenzio decisamente scomodo fra loro.

Alec alzò lo sguardo su di lui annuendo all'istante, meccanicamente. «Sì, sì tutto... tutto benissimo» disse come per voler scacciare ogni tipo di preoccupazione dalla mente dell'altro. Il problema è che poi smise di parlare lasciando nuovamente cadere quell'imbarazzante quiete colma di desideri e intenzioni non dette.

Magnus quindi schioccò la lingua sul palato -ben intenzionato a non lasciarsi distrarre più del dovuto dalla camicia nera che l'altro stava indossando- e si mosse verso il bancone della cucina.

«Posso offrirti qualcosa da bere?»

«Oh. No. No, io... non mi fermerò a lungo. Volevo solo...»

Magnus inspirò a fondo e sentì il cuore battere forte nel petto. Tornò indietro e si avvicinò nuovamente ad Alexander, un po' più vicino di poco prima, osservando l'espressione combattuta ed innocente sul suo viso. Il suo sguardo era ingenuo, trasparente, ed era facile vedere la paura che in quel momento lo stava logorando. Quel timore sottile di fare qualcosa di sbagliato, l'incapacità di fermarsi dal farlo.

«Sì?» lo incalzò, a bassa voce, con un tono più carezzevole e impaziente di quanto non avesse voluto.

Alec lo guardò allora negli occhi e si perse in quello sguardo per un lungo attimo prima di stringere le labbra e abbozzare un piccolo sorriso.

Infilò una mano all'interno della giacca e ne tirò fuori una busta bianca da lettere, perfettamente immacolata ma apparentemente piena a giudicare dallo spessore della stessa. Gliela porse nel piccolo spazio fra loro. «Buon compleanno» mormorò senza alcuna traccia di tensione. L'imbarazzo, il balbettio, l'agitazione... ogni cosa era come sfumata via all'improvviso, senza un perché. Magnus abbassò lo sguardo sulla busta afferrandola fra le sue mani, sorpreso. Sinceramente non si era lontanamente aspettato un risvolto simile per la giornata.

Era già rimasto sorpreso dal ricevere il suo messaggio la sera precedente ma un regalo... quello andava oltre ogni più sfrenata fantasia della sua mente. Si rigirò la busta fra le mani seguendo con le dita l'orlo dell'apertura senza però sfilarlo via.

«Quando credo che non potresti più sorprendermi...» mormorò Magnus con le labbra ad incurvarsi in un sorriso divertito, colpito, toccato. Rialzò lo sguardo puntando le iridi chiare in quelle azzurre e trasparenti dell'altro, il suo cuore a farsi grande e pesante nel petto mentre quasi gli sentiva di sentire il proprio sangue cantare. «...lo fai.»

Alexander sorrise a sua volta, timidamente, ma senza traccia d'imbarazzo.

«Posso aprirla?» domandò allora Magnus con una punta di viva curiosità a scorrere lungo le dita, la busta quasi a pesare fra le mani. Non aveva la minima idea di cosa potesse effettivamente aspettarsi di trovare all'interno. Dei biglietti per un viaggio? Per un concerto? Buoni sconto? Caramelle? Qualunque cosa fosse stata lui sarebbe stato semplicemente felice: per quanto sembrasse assurdo non era realmente attaccato ai beni materiali. Sì, amava circondarsi di tutto ciò che considerava bello e piacente e adorava acquistare ogni genere di ninnolo che attirasse la sua attenzione, ma in realtà ogni oggetto per lui avea un significato speciale ed unico. Qualunque cosa fosse stata dentro la busta sarebbe stata per sempre nel suo cuore perchè veniva da Alexander. Il suo primo regalo per lui.

A quella domanda Alec parve improvvisamente tentennare, in difficoltà.

«Non... non è niente di speciale. In realtà è davvero una cosa stupida» disse umettandosi le labbra ed abbassando lo sguardo, deglutendo. Magnus sentì il cuore saltare un battito quando vide la sua lingua guizzare fra le labbra per inumidirle. «Puoi aprirla quando me ne sarò andato. E'...» annuì appena col capo come se stesse cercando di trovare le parole giuste. «...è meglio così» concluse alla fine rialzando lo sguardo, dedicandogli un sorriso sghembo che gli rapì il fiato.

Sembrava stranamente rilassato ed a suo agio, quasi più giovane in quel momento. Non era arrossito, le sue mani non stavano disperatamente cercando di trovare qualcosa da fare per scaricare la tensione, anzi. Sembrava quasi che stesse cercando di sforzarsi con tutto se stesso per impedirsi di muoverle verso di lui...

Eppure Magnus poteva vedere nei suoi occhi quelle fiamme nere. Quelle ombre danzanti che non lo abbandonavano mai. Quelle tenebre avvolgenti che sembravano consumarlo poco a poco, giorno dopo giorno. E Magnus... oh, Magnus sapeva cosa significasse sentirsi bruciare dall'interno, lentamente, un pezzo per volta. Sentire quel logorante senso di oppressione che limitava ogni gesto e ogni decisione.

«Non è una cosa stupida. Qualsiasi cosa sia.» disse Magnus incapace di distogliere lo sguardo dai suoi occhi. «Anche senza aprirla so già che è importante per me» aggiunse con un sorriso allungando una mano soltanto verso l'alto, lentamente, per racchiudere nel suo palmo il viso di Alec.

Il ragazzo chiuse gli occhi a quel contatto con l'ingenua innocenza di un bambino.

Era la prima volta che accoglieva a quel modo il contatto con Magnus. La prima volta che non s'irrigidiva, la prima volta che non arrossiva, la prima volta che non si ritrovava ad osservarlo spiazzato e sperduto. Magnus sentì il travolgente desiderio di baciarlo. Avrebbe voluto guidare il suo viso perso il proprio, mettere fine a quella straziante distanza e semplicemente poggiare le labbra sulle sue. Avvertire il calore dei suoi respiri spezzarsi nei propri, sentire quanto morbide avrebbero potuto essere a contatto con la sua pelle. Quanto timida sarebbe stata la sua lingua nell'incontrare la sua. Ma non lo fece.

Non sapeva se Alec lo avrebbe voluto, non sapeva se provasse lo stesso bisogno e, se come credeva fosse così, fosse pronto a passare dai sogni alla realtà. Con Alec non bisognava andare di fretta. Aveva bisogno di essere guidato lentamente, con attenzione, così da aiutarlo a fare da sé un passo verso ciò che effettivamente voleva. A ben pensarci, però, Alec era venuto fin lì di sua sponte. Gli aveva fatto un regalo. E se fosse quello il passo che Magnus stava attendendo?

Non ne era sicuro ma l'idea era allettante. Tuttavia non voleva rischiare e cercò di contenere quel bisogno ricacciandolo con forza dentro di sé.

«Cos'è?» chiese invece sorridendo, perdendosi in quel timido contatto col suo viso, carezzando il suo zigomo con il pollice, lentamente, quasi temesse che un movimento più azzardato avrebbe potuto farlo svanire in una cascata di coriandoli.

Alec riaprì gli occhi e si prese un attimo di tempo prima di rispondere. «Una lettera»

Magnus assottigliò appena lo sguardo, colpito, provando ad immaginare cosa potesse avergli scritto. La sua mente correva e galoppava verso le più disparate direzioni, i suoi pensieri si schiantavano e confondevano gli uni con gli altri sfumando in ondate di fumo dietro i suoi occhi verdastri. La lettera fra le sue mani sembrava quasi bruciare tanto era il bisogno che improvvisamente sentiva di doverla leggere.

«Te l'avevo detto che era una cosa stupida» continuò allora Alec ritrovandosi solo ora ad arrossire appena.

«Questo lascia che lo decida io, mh?» sorrise Magnus con un fare leggermente ammiccante che portò Alexander a schiudere le labbra e sorridere con fare teneramente impacciato.

«Okay» mormorò guardandolo ora negli occhi da sotto le lunghe ciglia scura.

Entrambi si ritrovarono a sorridere, ad un passo di distanza, guardandosi in silenzio nel bel mezzo della stanza. Un alito gentile di brezza scivolò dalla finestra smuovendo le tende alle loro spalle, le fiamme delle candele disposte per la camera danzarono lievemente senza però spegnersi. Magnus non riusciva a lasciar andare il suo viso, continuava a carezzare quella pelle fresca e pallida con le sue dita dorate, stringendo nell'altra mano quel preziosissimo dono.

Il suo cuore batteva forte, impaziente e tutto nella sua mente gli diceva che quello sarebbe stato un momento perfetto. Se solo avesse mosso il suo viso, se solo si fosse avvicinato di un soffio soltanto, non ci sarebbe stato ritorno. Sarebbe stata fatta, non avrebbe più potuto nascondere quello che, già in quel momento, era davvero difficile da malinterpretare. Non poteva star sbagliando. Non poteva davvero pensare che Alec non vedesse quello che stava accadendo. Come sarebbero dovuti apparire, come... erano. Collegati, connessi. Legati.

Schiuse le labbra, pronto a rischiare ogni cosa quando il suono della serratura spezzò l'incantesimo e lui si ritrovò a sobbalzare -assieme ad Alec- voltandosi verso l'ingresso, lasciando cadere la mano dal suo viso.

«BUON COMPLEANNO!» esclamarono in coro Ragnor, Catarina e Raphael. Catarina era in testa al gruppo con le braccia distese verso l'alto e un enorme sorriso sul volto, gli altri due erano alle sue spalle reggendo uno due buste piene di quelli che sembravano regali e l'altro uno scatolo che molto probabilmente conteneva una torta.

Tutti trattennero il fiato nella stanza mentre la mano di Magnus ripiombava lungo il fianco ed Alexander diveniva di un acceso color porpora.

«Ops?» azzardò Ragnor stringendo i denti con espressione dispiaciuta, arricciando appena il naso.

Magnus sentì il cuore battergli all'impazzata nel petto, il sangue correre nelle vene con violenza e i pensieri vorticare a mille all'ora nella sua mente, soprattutto quando vide l'espressione sconvolta e sorpresa di Catarina sul suo volto.

«A-ah, ma benvenuti, benvenuti entrate» si sbloccò Magnus dopo un attimo stampandosi in faccia un caloroso sorriso tutto denti. Poteva avvertire sulla pelle il disagio di Alec, la delusione per il momento sfumato e il panico per come avrebbero potuto ignorare quello che avevano appena vissuto. Perchè, anche se a conti fatti non era successo niente, Magnus sapeva che nessuno avrebbe mai potuto negare che per un lungo istante i due avevano condiviso qualcosa.

Ragnor, un alto ragazzo sulla trentina dai folti capelli già striati di grigio ma dall'aspetto giovanile e rilassato, non se lo fece ripetere due volte e andò a lasciare lo scatolo con la torta sul tavolo vicino mentre Raphael, torta alla mano, andò a depositare lo scatolo sul bancone della cucina. Catarina rimase ferma sul posto a dondolare sui talloni non sapendo bene come comportarsi, facendo passare lo sguardo fra Magnus ed Alec con fare attento, studiando silenziosamente la situazione.

Magnus la stava implorando con lo sguardo di smetterla.

«Datemi pure le giacche, le vado a mettere di là» disse Magnus sorridendo ai suoi ospiti e voltandosi, poi, verso Alexander, decisamente più agitato e teso di quanto avrebbe desiderato.

«Se vuoi..» stava già iniziando a dirgli, ma Alec andò subito a scuotere la testa come se la sola idea di rimanere fosse troppo da sopportare per lui.

«No. Non importa» disse schiarendosi la gola, deglutendo. «Volevo solo lasciarti... sai» disse umettandosi le labbra ed annuendo col capo.

«Sei sicuro? Non è un problema Alexander, davvero...» tentò di dire Magnus rimproverandosi subito dopo. Un conto era voler essere gentili ed educati cercando di non farlo sentire di troppo, un altro insistere per farlo rimanere in una situazione in cui, decisamente, non era il caso che rimanesse.

«Alexander?» domandò Ragnor con fare pensoso, aggrottando un attimo le sopracciglia con la giacca ora tenuta in mano.

Alec lo guardò come se temesse che da un momento all'altro Ragnor dovesse ridere di lui.

«Uh s-sì» azzardò con quello che Magnus sospettò fosse tutto il suo coraggio. «Ma mi chiamano tutti Alec»

«Alexander!» esclamò allora Ragnor come se non l'avesse affatto sentito, facendolo sobbalzare e portando lo stesso Magnus a fissarlo con fare sorpreso, non capendo da dove venisse fuori tutto quell'interesse per lui. Da parte di Ragnor, poi!

«Sei il ragazzo che si è preso uno dei cuccioli, vero?» chiese aprendosi in un gran sorriso e avvicinandosi ai due per tendere la mano libera verso Alec.

Alexander sembrò rilassarsi per un secondo al pensiero di Church e si sciolse in un sorriso gentile mentre allungava a sua volta il braccio per stringere la mano di Ragnor. «Oh, sì. Sono io» confermò Alec annuendo. «Grazie ancora per avermi permesso di occuparmene. Sono stati tutti contenti di accoglierlo in casa»

Ragnor agitò la mano in un cenno di non curanza.

«Oh non dirlo nemmeno! Grazie a te per essertene occupato piuttosto» sorrise ampiamente senza il minimo segno di disagio. «Piuttosto dimmi, come l'hai chiamato?»

«Church»

«Church»

Alec e Magnus si voltarono a guardarsi non appena realizzarono di aver risposto all'unisono, scatenando nella stanza un improvviso cambio d'umore.

Raphael roteò gli occhi al cielo con fare quasi rassegnato, scuotendo la testa, Ragnor ridacchiò appena con fare affettuosamente provocatorio e Catarina strinse le labbra costringendosi a mostrare un sorriso decisamente poco spontaneo.

Per la precaria calma di Alexander quella fu la goccia che fece traboccare il vaso, immaginò Magnus.

«Già. Io—io adesso devo andare» si congedò annuendo meccanicamente, nervosamente, stringendo i pugni lungo i fianchi convulsamente. «Ancora buon compleanno. Ci—ci vediamo giovedì» disse rapidamente prima di rivolgere uno sguardo educato ai presenti e andarsene ad ampie falcate fuori dall'appartamento.

Magnus liberò un sospiro sonoro quando la porta si richiuse sentendo la tensione trattenuta fino a quel momento scivolare leggermente via da sé. Gli era dispiaciuto vederlo così in difficoltà, vederlo andarsene via in quel modo, vederlo così a disagio in mezzo ai suoi amici. In altre circostanze era piuttosto sicuro che, invece, avrebbe potuto persino inserirsi bene in mezzo a quegli stralunati dei suoi compagni ma la circostanza era quella e tutto sembrava remare contro di loro. Lo sguardò scivolò sulla lettera fra le sue mani e una stilla di speranza brillò nel suo petto.

Forse non tutto era contro di loro...

«Su, forza! Datemi queste giacche, accomodatevi!» si riprese subito dopo con la consueta stravaganza, afferrando prima il soprabito di Ragnor che era il più vicino, poi quello di Raphael e voltandosi poi verso Catarina.

La ragazza però se lo tenne addosso richiudendoselo fino alla gola. «Ho dimenticato il borsone con le mie cose in macchina. Scendo a prenderlo e torno. Faccio subito! Tanto non è come se avessi vissuto qui per anni, no?» ridacchiò scoccandogli un occhiolino e uscendo dalla porta.

Magnus badò poco alla cosa e corse in camera da letto per poggiare le giacche sul guanciale, a poca distanza da dove Presidente era beatamente acciambellato sul suo cuscino. Si richiuse la porta della camera alle spalle poggiandosi di schiena contro l'anta per guardare con occhi carichi d'impazienza la lettera fra le sue mani.

 

*

 

«Alexander?»

Alec si sentiva la testa leggera al punto che da un momento all'altro avrebbe potuto spiccare il volo e galleggiare libera fra le nuvole perdendosi fra di esse.

Il cuore batteva forte nel suo petto scontrandosi dolorosamente contro la gabbia toracica: minacciava di uscirgli fuori dal costato e lasciargli nient'altro che un enorme foro nella carne. Non aveva immaginato che le cose sarebbero andate così. Affatto.

Quando Isabelle gli aveva chiesto se ci fosse qualcosa che Magnus avrebbe voluto, Alec aveva subito trovato la risposta ad ogni suo problema. Sapeva perfettamente cosa lui volesse. Beh, cosa volesse da lui, almeno.

Conoscerlo.

Sapere qualcosa in più su di lui.

Almeno questo era quello che Magnus gli aveva detto e che Alec, temeva, non gli aveva mai davvero concesso. Rispondere a qualche sporadica domanda non era esattamente la stessa cosa che vivere al fianco di qualcuno ogni giorno, per anni, così come quella lettera non poteva improvvisamente colmare tutto ciò che mancava fra loro e che potesse soddisfare il desiderio di Magnus di capirlo un po' meglio. Ma era un inizio, no?

Sapeva perfettamente che non sarebbe mai riuscito, di persona, a raccontargli molto di sé, per cui aveva pensato che forse avrebbe potuto provare a gettare giù qualche rigo su una semplice lettera. Quelle poche righe erano ben presto diventate pagine. Alec non era riuscito a smettere di scrivere una volta che aveva iniziato. Le parole fluivano dalla sua penna liberamente mentre lasciava modo ai suoi pensieri di venir intrappolati su carta. Tutto ciò che voleva Magnus sapesse di sé prendeva lentamente forma fino a quando non sentì di non avere molto altro da dire su di sé. Non era esattamente un regalo, ne era consapevole. Non era qualcosa di cui probabilmente Magnus avrebbe potuto parlare con i suoi amici se avesse dovuto parlare di ciò che aveva ricevuto per il suo compleanno, ma era qualcosa di sentito e di reale. Era qualcosa che, Alec sperava, lui avrebbe potuto davvero desiderare.

Tuttavia nella sua mente quell'incontro era andato molto diversamente da come poi era avvenuto davvero.

Lui si era figurato di arrivare al suo studio e di rubargli un attimo di tempo fra una visita e l'altra per consegnargli quella lettera e poi dileguarsi al volo così da non dover sostenere alcuna conversazione in merito. Ma quando era arrivato allo studio, questo era chiuso e neppue Lucy era presente. Così si era ritrovato per strada con la lettera in mano ed un profondo senso di delusione a riempirgli il petto. Senza rendersene conto aveva davvero sperato di poterlo vedere quel giorno, di potergli consegnare quello stupido pensiero.

Avrebbe potuto tornare a casa e attendere la seduta seguente per passargli la lettera, ma nel suo cuore sentiva che non avrebbe avuto lo stesso valore. Doveva essere quel giorno. Doveva essere adesso.

Così, armato di coraggio, aveva ripercorso la strada che una sola volta aveva seguito al fianco di Magnus ed aveva raggiunto casa sua. Aveva trovato il portone aperto ed era sgusciato all'interno fino a salire al piano col lungo corridoio che ospitava il suo appartamento. Col cuore in gola e una sensazione di disagio dovuta a quell'abbigliamento cui era poco abituato, si era fermato davanti la sua porta e, al sesto tentativo, aveva trovato la forza di suonare il campanello.

Quella che avrebbe dovuto essere solamente una rapida consegna, era divenuto un lungo attimo di imbarazzo. Magnus era semplicemente bellissimo. Alec era rimasto paralizzato alla vista della camicia rossa che definiva perfettamente la forma dei suoi fianchi e delle spalle ampie, era rimasto incantato dal modo in cui l'argento delle sue collane contrastava la pelle ambrata e la seta scarlatta. Ancor di più era rimasto rapito dal suo sguardo scintillante, dal modo in cui le sfumature rosse e nere del suo makeup avevano reso il suo sguardo ancor più affascinante del solito.

Non aveva avuto la forza di andarsene ritrovandoselo davanti così. Voleva rimanere con lui. Voleva rimanere ancora un attimo, ancora un momento.

Insieme potete superare e sopravvivere ogni cosa e nient'altro conta se non rimanere con lei un attimo ancora, uno di più...

Le parole di Jace avevano preso a rimbombare contro le sue tempie portandolo a sentire il cuore pulsare sempre più rapidamente, sempre più deciso nel suo petto. Alla fine lo aveva seguito all'interno, lo aveva osservato e l'aveva studiato. Se solo avesse teso la mano appena un po' avrebbe potuto toccarlo. E, Dio, quanto voleva farlo! Avrebbe voluto sfiorare i suoi capelli, passarci una mano attraverso per sapere se erano morbidi come sembravano. Avrebbe voluto passare il dorso della sua mano sulla pelle del suo volto fino a scivolare lungo il mento e ancor sotto, lungo il collo. Avrebbe voluto avvicinare il viso al suo per inspirare il suo odore, quel profumo che lo circondava ogni volta e che aveva quel qualcosa di esotico e pungente...

E poi, quasi a rendere realtà quei suoi desideri, la mano di Magnus era salita al suo viso in una carezza gentile. Alec si era abbandonato a quel contatto chiudendo gli occhi per assaporarlo con tutto se stesso, senza perdersene un attimo. Non avrebbe dovuto. Avrebbe dovuto andarsene, scappare e sfuggire da quella che era, a conti fatti, una storia senza futuro. A volte si soffermava a chiedersi se Magnus non provasse per lui le stesse cose o se invece non si comportasse soltanto con estrema gentilezza in virtù del suo ruolo di psicologo. Ma invariabilmente, ogni volta, Alec non si concedeva di arrivare ad una vera conclusione nelle sue riflessioni perchè stroncava quei pensieri sul nascere.

Che lui gli fosse indifferente oppure no non sarebbe cambiato nulla: non sarebbero mai potuti stare assieme.

Rimanere lì, sotto il tocco gentile della sua mano, era un errore.

Si stava concedendo di assaporare e conoscere il calore di un tocco che non avrebbe mai superato quei confini, si stava concedendo di conoscere la sensazione delle sue mani sul volto sapendo che presto avrebbe voluto di più senza poterlo avere. Era uno sbaglio. Si stava comportando da debole. Ma per una volta, una soltanto, non gli importava davvero. Lui voleva...

«Alexander!»

Il ragazzo si riscosse dai suoi pensieri fermando i propri passi una volta giunto, praticamente fuori dal portone del loft. Si voltò verso l'interno vedendo che la ragazza entrata nell'appartamento poco prima lo stava raggiungendo. Era una ragazza piuttosto alta dalla pelle chiara e i capelli scuri. Le punte erano sfumate di un azzurro brillante che sembrava quasi richiamare gli occhi dello stesso Alexander per tonalità. Aveva un viso ovale e grandi occhi blu che, Alec era quasi certo, dovevano attirare molti ragazzi.

«Uh-sì?» domandò lui, sorpreso, ruotando il corpo verso di lei che, intanto, si era fermata davanti al ragazzo. «Devi essere Catarina, vero?» azzardò lui con un sorriso gentile, leggermente storto.

La ragazza lo guardò negli occhi per un istante prima di sospirare. «E tu non dovresti saperlo»

Alec fu preso in contropiede da quella risposta e schiuse le labbra fissandolo con uno sguardo leggermente colpevole.

«Oh. Io... Mi—mi dispiace» mormorò lui abbassando lo sguardo.

Catarina si umettò le labbra, deglutendo.

«No. Non è colpa tua» disse lei cercando di essere meno dura di quanto fosse sembrata. «Mi dispiace di suonare così rigida ma Magnus è mio amico e non posso rimanere a guardare»

Alec si ritrovò a sollevare nuovamente lo sguardo per fissare la ragazza con fare perplesso, confuso.

«Cosa significa?»

«Significa che tu gli stai facendo del male. Significa che quello che è successo poco fa non sarebbe dovuto succedere. Significa che non dovresti conoscere il nome degli amici del tuo psicologo» disse Catarina con voce ferma guardandolo negli occhi.

Ad Alec sembrò di aver appena ricevuto una doccia fredda.

Tu gli stai facendo del male.

La osservò ad occhi sgranati, la chiara immagine del suo cuore in frantumi a trasparire dalle iridi azzurre. Non riusciva a mettere in ordine le idee preso così alla sprovvista da quella ragazza che gli stava sbattendo in faccia tutto quello che aveva continuato a ripetersi in mente per giorni, tutto quello che aveva sempre saputo e che non aveva mai voluto affrontare. Tutto quello che si era sempre rifiutato di dire ad alta voce perchè anche il solo pensiero faceva troppo male.

Non avrebbe mai potuto immaginare quanto ne avrebbe fatto, in realtà, nel sentire il tutto così chiaramente ad alta voce.

«Sono convinta che tu sia una brava persona, Alec, non fraintendermi. Non credo che tu voglia fargli del male, anzi. Più ti guardo e più sono sicura che tu tenga a lui e proprio per questo ti chiedo, per favore» rimarcò quelle ultime parole con tutta la disperazione che probabilmente aveva dentro «di lasciarlo andare.»

Alec non capiva. Era terribilmente confuso.

E ferito.

«Co--» La sua voce venne fuori in un soffio incrinato, la bocca era talmente secca che gli riusciva difficile persino parlare. «Perchè?» riprovò deglutendo a vuoto l'amaro groppo che gli si era formato in gola.

«Perchè è troppo coinvolto. E non dovrebbe.» rispose lei passando il peso del suo corpo da un piede all'altro, i denti a racchiudere il labbro inferiore in una morsa nervosa. «Non è quello che fai, okay? E' quello che... che sei. Tu hai sbloccato qualcosa con cui ha lottato per tanto tempo e ho paura che questa cosa lo divorerà. Di nuovo.»

Alec sentì un dolore perforante al centro esatto del petto.

Sentì una contrazione dolorosa ed una fitta acuta che per poco non gli strapparono un gemito di dolore dalle labbra. E poi più nulla. Si sentì vuoto e leggero come se ogni cosa che avesse albergato in lui fino a quel momento gli fosse stato strappato via con la forza lasciando di lui solamente un involucro vuoto.

E' quello che sei.

Come aveva potuto essere così stupido? Come poteva aver davvero lasciato che le cose arrivassero fino a questo punto? Sapeva, sapeva, che non era nel suo destino trovare la felicità. Non la meritava, non aveva diritto neppure a guardarla da lontano. Se l'era ripetuto per anni e poi aveva accarezzato l'idea di poterne prendere anche solo un piccolo assaggio. Aveva accarezzato l'idea di poter rimanere al fianco di Magnus, in qualche modo, lasciandosi avvolgere dal senso di pace che la sua sola presenza era capace di trasmettergli. Si era abbandonato all'illusione di poter gestire i suoi sentimenti tenendoli nascosti e attendendo che, col tempo svanissero o lo facessero diventare pazzo.
Pazzo al pensiero di non poter mai toccare davvero la sua pelle, pazzo al pensiero di non poter mai davvero stare con lui. Pazzo al pensiero che, un giorno, le loro sedute sarebbero finite e così qualsiasi altro tipo di rapporto fosse nato fra loro.

Fino a quel momento si era preoccupato solamente di se stesso.

Di come avrebbero reagito gli altri se avessero scoperto quello che lui provava, di come si sentiva, di quello che aveva o non aveva voglia di dire e rivelare. Non aveva mai pensato davvero a ciò che invece stava facendo a lui. Magnus stava male. Lui lo stava ferendo.

E non se n'era neppure accorto.

Se fosse stato capace di piangere, probabilmente in quel momento lo avrebbe fatto. Ma sembrava che Alec non fosse fisicamente portato a farlo e l'unica cosa che sentì fu il dolore sordo e profondo del suo cuore che si frantumava in miriadi di schegge.

Non riuscì a dire una parola.

«Magnus è una brava persona. Lui... lui vuole sempre salvare il mondo e poco importa se dovesse finire schiacciato nel mentre. E' fatto così. E' facile da amare ed è difficile lasciarlo andare. Ma se davvero t'importa di lui, se davvero tieni al suo benessere...» Catarina si avvicinò di un altro passo poggiando con espressione mortificata una mano sul braccio di Alec, la sua voce ricolma di colpa e dolore mentre pronunciava quelle ultime parole. «...liberalo da te»

Alec schiuse le labbra e sentì che quella conversazione era appena finita.

Cosa avrebbe potuto dirle?

Cosa avrebbe potuto ribattere?

Sapeva che lui era una sventura per chi aveva attorno, che era solo capace di ferire le persone che amava. Lo aveva sempre saputo, fin dall'inizio e nonostante tutto non era stato capace di fermare tutta quella situazione. Ed ora, in qualche modo, lo aveva ferito.

Si ritrovò ad indietreggiare col cuore a pezzi e i polmoni a bruciare alla ricerca d'aria. Non riusciva ad inspirare, non riusciva a fare altro che non fosse allontanarsi da lei e da quel palazzo barcollando nel buio della sera.

Si allontanò dando le spalle a Catarina, dando le spalle al loft.

Dando le spalle a Magnus.

   
 
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