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Autore: rainbowdasharp    28/12/2017    1 recensioni
"Aveva letto un milione di teorie, riguardo la sua scrittura: “un poeta”, lo definivano e Leo davvero non capiva – un poeta di cosa, della sovversione? Della ribellione silenziosa a cui si era condannato?"
| leotsu (e presenza di altre coppie, seppur accennate), soulmate!au |
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Leo Tsukinaga, Tsukasa Suou, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 9: Di notti e miracoli


“L'elfo aveva smesso di rassicurarmi. Adesso passava intere nottate, quando la luna si faceva più luminosa e minacciosa, seduto con me sul mio giaciglio, a parlare. Parlavamo di quel luogo benedetto, delle arti e delle lingue che conosceva, delle battaglie disperate che avevo combattuto, delle conquiste orgogliose che mi avevano portato ad essere il guerriero che ero e, che mi ascoltasse o parlasse, nel suo volto non leggevo mai scherno, disgusto o noia: in breve tempo, tra noi si creò un legame di sincero e puro affetto, tanto che la sua compagnia smorzò il bruto monopolio che la notte aveva su di me e, ben presto, ci trovammo a giacere insieme.”

 

Parlarono per ore. Si sedettero sul divano rosso nel piccolo soggiorno di Leo, lo stesso su cui avevano visto Star Wars e il rosso si costrinse a raccontare la sua complicata, turbolenta eppure affascinante storia con Izumi.

Si rese conto di non aver mai raccontato tanto di quella storia a nessuno, prima di allora: stretti entrambi nella sua enorme coperta di pile, i gomiti che si sfioravano mentre in silenzio sorseggiavano la cioccolata calda che aveva preparato appena arrivato a casa, Leo rivisse quei momenti uno per uno ed ogni parola era una catena che si spezzava, un lucchetto (come quello del suo una volta tanto amato Sena) che si apriva e lo liberava. Ben presto si ritrovò non solo ad essere un fiume di parole, ma anche a valutare attimo per attimo tutto ciò a cui si era aggrappato negli ultimi mesi: ombre e fantasmi di qualcosa che aveva vissuto al massimo delle sue capacità, di cui sapeva di non potersi rimproverare... e non poteva rimproverare neanche Izumi. Se lo avesse costretto a sé, non sarebbe stato poi tanto meglio del tanto odiato Predestino.

Era come se lo stesso animo andato in pezzi quel medesimo pomeriggio avesse trovato la volontà di riprovarci, di ricomporsi fino al minimo frammento: al fianco di Robin, nel calore della sua stessa casa – sempre così vuota, così piena soltanto di Leo, Leo, Leo tanto che il poco amore per se stesso diveniva quasi giustificabile perché ingombrante – quel macigno di rimpianti sembrava aver cominciato a sbriciolarsi.

«... Mi rendo conto che forse sarebbe finita comunque» concluse a bassa voce, fissando la cioccolata ormai ammezzata. Era la prima volta che lo ammetteva, persino a se stesso. «Insomma, Predestino o meno. Però lui era...»

«Diverso» concluse Robin per lui, poi lo sentì sospirare, un attimo prima che si poggiasse contro la sua spalla.

«... Sei geloso?» gli chiese. In tutta onestà, se la situazione fosse stata rovesciata, Leo avrebbe dato in escandescenze: la sola idea che anche Robin potesse essergli strappato a causa del Predestino bastava a fargli attorcigliare lo stomaco – però, adesso, sapeva anche che, a differenza di allora, potevano combattere entrambi, perché entrambi lo stavano già facendo... prima ancora di conoscersi.

Il moro impiegò un po' di tempo a rispondere, forse combattuto sull'essere sincero o meno. «Più di quanto non dovrei, credo» sbuffò infine. «Non ho mai avuto un love interest prima di te o... beh, nulla di così serio».

Leo ridacchiò, più leggero. «Love interest» cinguettò, con fare decisamente spensierato. L'atmosfera ormai era meno tesa e se dopo quella scenata Robin era ancora lì, sotto quella coperta con lui, significava che era un love interest decisamente... interessante. Si voltò verso di lui e lo osservò quanto bastò per notare una piccola macchia di cioccolato all'angolo della sua bocca. Senza fare troppi complimenti, si protese verso il suo volto ancora pensieroso e la leccò via.

Immediatamente, Robin scattò verso l'altro lato del divano, così goffamente che rischiò di versare quel poco che rimaneva della sua cioccolata (era sempre un gran ghiotto, non importava quale fosse la situazione; il giorno che avesse dimostrato poco appetito, Leo si sarebbe sicuramente preoccupato). Lo vide portarsi una mano vicino alla bocca, proprio dove lo aveva appena leccato, mentre il suo volto diveniva gradualmente sempre più rosso.

Era sempre soddisfacente coglierlo di sorpresa. «Che c'è?» gli chiese il romanziere, con un sorriso sghembo pitturato sulle labbra.

«Pensavo che--» provò a borbottare il più giovane, evidentemente confuso di fronte all'uomo che adesso aveva davanti. Era difficile rimanere al suo passo, vederlo chiuso in un dolore impenetrabile un attimo prima e poi trovarsi a doversi difendere di fronte quelle molestie il successivo.

«Hai detto che sei geloso» gli fece notare Leo, poggiando la tazza, seppur non ancora vuota, sul tavolo davanti al divano. Poi si chinò su di lui, facendo delle sue proprie braccia e del corpo una calda trappola, da cui era quasi impossibile fuggire – Robin neanche vi tentò e, piuttosto, si fece ancora più piccolo contro il bracciolo del sofà.

Incredibile come riuscisse a tornare improvvisamente bambino, in certi frangenti.

«Non l'ho detto, l'ho ammesso!»

«Ti sto dando prova che non hai bisogno di esserlo».

Lo sguardo di Robin si fece persino più disorientato: chissà come suonavano per lui, quelle parole. Chissà quanto contraddittorio si mostrava a quegli occhi ametista, mentre si chinava su di lui per baciarlo con una dolcezza che non ricordava di essere mai stato in grado di esprimere.

Eppure Robin, ancora una volta, lo accettò: avvertì le mani del più giovane carezzare titubante il suo volto, il respiro stabile che si scontrava contro le sue labbra, facendo rabbrividire Leo di anticipazione.

Per la prima volta in quella lunga giornata, in cui lo scrittore non aveva neanche provato a contare le lacrime versate, Robin sfiorò l'angolo del suo occhio sinistro col pollice, come se con quel singolo gesto stesse cercando di asciugare ogni singola goccia di dolore che aveva visto dipinto quel volto appuntito – quanto un così minuto cumulo di carne e sangue viventi poteva sopportare, prima di soccombere al dolore delle proprie emozioni? Entrambi, forse, si ritrovarono ad esprimere lo stesso desiderio: sperare di non scoprirlo mai.

Scomparve in fretta, però, veloce come una stella cadente.

In un attimo, erano di nuovo soltanto loro due, i loro corpi davvero vicini ora per la prima volta: Leo sentiva la necessità di dare coraggio ad entrambi di andare avanti, bacio dopo bacio – un sussurro gentile, un invito eloquente; venne accontentato quando Robin trovò finalmente il coraggio di fermarlo, ponendo timidamente le dita sulle sue labbra e, dopo essersi parzialmente nascosto contro la sua felpa verde acido, sussurrare così.

«Certe cose non... si fanno in camera?»

Non ci fu bisogno di aggiungere altro: elettrizzato, Leo prima quasi cadde a terra nel tentativo di alzarsi il più velocemente possibile e poi, sotto gli occhi attoniti di Robin, si affrettò a trascinarlo in camera sua, su quel letto a due piazze che aveva acquistato più con una mezza speranza di trovare qualcuno con cui condividerlo che con la certezza di poterlo sfruttare. Eppure, quelle lenzuola colorate, che lui stesso aveva scelto nel tentativo di dare più vita a quella stanza fredda e solitaria, vennero incredibilmente oscurate non appena Robin vi si sedette sopra: era lui l'unica esistenza degna di nota, là dentro. Leo, nonostante la foga con cui l'aveva portato con sé, in quel momento si limitò a seguire quasi incredulo le mani affusolate che, tese, si poggiarono sull'orlo del maglione intrecciato e lì si fermarono, quasi chiedendogli il permesso.

“Ma quale permesso.”

Leo si sedette accanto a lui, in una sorta di religioso silenzio: ogni suono non richiesto avrebbe potuto spezzare quel momento, quindi si limitò a posare le proprie mani su quelle del moro, accarezzandole con tenerezza. Si avvicinò di nuovo al suo volto, lentamente, per restituirgli almeno la serenità che ormai provavano nel baciarsi; quello scambio sincero era ormai per loro un porto sicuro in mezzo ad un oceano inesplorato. Ogni movimento delle loro bocche, l'una contro l'altra, era una certezza di poter tornare a casa dopo l'avventura in cui si stavano imbarcando.

Sotto le sue dita, le mani di Robin si rilassarono abbastanza da lasciare andare la stoffa e cercare, piuttosto il contatto del compagno: Leo lo avvertì mentre cercava disperatamente di aggrapparsi a lui, forse nel tentativo di scacciare quell'ansia che non può che accompagnare la prima volta.

Fu l'ennesimo pensiero che il rosso si ritrovò a dover accantonare mentre si decideva a toccare il corpo del più giovane – lasciò vagare la sua mano fin quando non trovò il modo di infilarsi sotto la lana lavorata, a contatto con la pelle calda se non accaldata, morbida al contatto tanto che non resistette alla tentazione di pizzicarla.

Robin sussultò, interrompendo la catena di baci che nessuno dei due aveva lasciato ancora disfarsi e gli regalò uno sguardo lievemente irritato. «Don't mess with me». Forse un giorno Leo avrebbe capito come fosse possibile che la squillante voce del ragazzo riuscisse a suonare tanto provocante ogni volta in cui si lasciava andare alla sua lingua madre e, particolarmente in quel momento, in cui nell'ammonirlo aveva abbassato la voce ad un mormorio risentito, lo scrittore avvertì un brivido attraversare il proprio corpo.

Iniziava a convincersi di avere un debole per le voci nasali.

«Ti vergogni?» lo provocò, in un sussurro, intendendo sia quell'accenno di grasso in eccesso che aveva appena tastato con mano che ai dubbi che il più giovane doveva avere riguardo il farsi vedere nudo da lui per la prima volta.

Robin si morse il labbro e poi, un'immagine che probabilmente avrebbe cullato la mente di Leo per molto tempo, in un atto di immenso coraggio lo spinse giù, sul letto forse in cerca di una curiosa rivincita perché fu veloce nel sovrastarlo. Si assicurò in un attimo di essere la sua più che piacevole prigione, fatta di una presenza calda e braccia forti abbastanza da tenerlo sospeso sopra di sé: i capelli neri come la pece ricaddero sul suo viso, definendone garbatamente il contorno (gli zigomi poco pronunciati, la mascella lineare) mentre gli occhi ametista bruciavano, ancora e lo scottavano – come sempre, quando voleva in qualche convalidarsi all'altezza della situazione, della sua compagnia, di lui.

«Affatto, leader». Nonostante la tensione, Leo non poté che rabbrividire; non aveva idea se Robin ne fosse più o meno consapevole, ma i suoi gesti avevano una celata carica erotica che lo stuzzicava di continuo, solleticandolo alla stregua delle fusa di un gatto.

Era bellissimo, visto dal basso e quell'espressione combattuta tra l'imbarazzo e la fermezza continuava ad incitarlo: provocalo ancora, Leo. Lascia che il guerriero si tolga l'armatura.

Con un sorriso dei suoi migliori, di quelli degni di un demone tentatore, si portò le mani ai lembi della sua felpa e, senza cedere la sua privilegiata posizione ma anzi, tenendo gli occhi ben fissi sul ragazzo, se la sfilò velocemente, rimanendo a torso nudo.

Colse così l'esatto momento in cui Robin realizzò quanto naturale fosse quel che stavano facendo; il rosso lasciò che una delle mani del giovane vagasse sul suo petto, fresca portatrice di un contrasto piacevole che non mancò di farlo rabbrividire più di una volta; gli lasciò il suo tempo per accettare la consapevolezza di quanto stavano per fare e tutto ciò che ne sarebbe seguito.

Un altro passo avanti.

Lo vide abbandonare ogni incertezza. Seppur goffamente, le sue mani si fecero più sicure mentre tornava a sollevarsi quanto bastava perché riuscisse a togliersi il maglione bianco e lasciarlo scivolare oltre il bordo del letto, mentre Leo poteva finalmente avere l'occasione di ammirarlo – era asciutto, nell'insieme, poco tonico ma non per questo meno attraente ai suoi occhi: in un certo senso, erano proprio le sue imperfezioni a renderlo terribilmente bello, giusto per lui. La sua sobria ordinarietà per uno studente serio e la cui passione si limitava a vecchi miti e leggende era proprio ciò che lo rendeva vivo, vicino e arrivabile. Al suo fianco, come gli aveva assicurato per messaggio.

Eppure, Leo voleva smettere di pensare ora: con un gesto della mano, quasi volesse fisicamente scacciare la sua stessa mente per metterla finalmente a tacere, fendette l'aria e poi si sollevò quanto bastava per rubargli un bacio all'improvviso; poi un morso e ancora le mani corsero su quella pelle così pura, ancora inesplorata. Avvertì i muscoli inaspettatamente forti seppur tesi delle spalle del moro, delle sue braccia: proseguì lungo il petto quasi puerile, poi lasciò che le dita percorressero l'immaginaria linea degli addominali fino ad esitare con non proprio sincera incertezza sul bottone dei pantaloni grigi che Robin indossava. Un sorriso vittorioso sfuggì dalle sue labbra, nel notare come il ragazzo si era irrigidito a quel punto ma ancora una volta superò il suo innato imbarazzo e gli strappò quell'espressione divertita baciandolo con fervore.

Poco dopo, anche gli ultimi indumenti furono scomparsi: erano nudi, sul suo letto, il volto di Robin vivo di un rossore che Leo non avrebbe mai dimenticato; forse sarebbe stato quello il ricordo più vivido di tutti, quello in grado di farlo sentire caldo anche a giorni, mesi, settimane di distanza – era così intenso che provò a sfiorarlo con mano, accarezzandogli una guancia ed assaporando quel calore, ancor più quando Robin cercò nel suo palmo un luogo dover rifugiarsi.

«Ti fidi di me?»

Non capì neanche lui perché pronunciò quelle parole, ma Robin sembrò apprezzarle: il suo sguardo si illuminò di un'emozione che difficilmente aveva mai colto in qualcun altro e poi, baciandogli la stessa mano che lo stava assaggiando, sospirò contro di essa.

«Always».

Leo lo spinse giù, lasciando che si distendesse sul materasso e senza dargli il tempo di protestare, si fece spazio tra le sue gambe – il necessario perché si abituasse a lui, alla sua presenza contro il suo corpo. Lo vide irrigidirsi ma, ancora una volta, non gli disse nulla; sospirò, piuttosto, ma senza ritrarsi. E non si mosse quando il più grande si impossessò del suo petto per diletto di entrambi: amava giocherellare con la bocca e con la lingua, amava sentire sotto i suoi denti la pelle dell'altro, soprattutto se poi poteva tirarla a suo piacimento, seppur nei limiti del piacere. Robin gli afferrò prontamente le spalle, in uno scatto che tradiva la sua sorpresa e, non appena Leo iniziò a suggere delicatamente il capezzolo... lo sentì.

La sua voce era acuta, ma melodiosa. Calda ed elettrizzante, in grado di farlo rabbrividire dal piacere – era stato un solo, timido gemito in parte coperto in fretta e furia dalla propria mano eppure gli era bastato per capire che non erano le voci nasali il suo problema... era la sua.

Non resistette alla tentazione di morderlo anche sul ventre, lì dove era più in carne e Robin dovette prenderla come una provocazione bella e buona perché, seppur non troppo forte, gli tirò i capelli approfittando del suo codino.

«Falla—finita» protestò finalmente, regalandogli anche uno sguardo irritato che, Leo avrebbe dovuto immaginarlo, lasciava che i suoi occhi violacei brillassero di una luce ancor più intensa, come se lasciassero presagire tutte le sue potenzialità. E solo i suoi amici alieni potevano immaginare quanto desiderasse scoprirle, una per una, come un'infinita grotta delle meraviglie.

Per stavolta, però, non avrebbe esagerato.

«Sei morbido, mi piace» si giustificò e la frase quasi gli costò un paio di denti, perché per poco il moro non gli assestò una ginocchiata dritta in faccia. «Va bene, va bene, argomento delicato» si affrettò a dire, ringraziando per una volta i riflessi sviluppati nella palestra dove Arashi lo aveva costretto ad andare per qualche anno.

Quelle furono le ultime parole che si scambiarono, almeno quelle con un senso preciso.

Un attimo dopo, Robin dovette trattenere un singulto, esattamente nel momento in cui Leo carezzò la sua virilità in tutta la sua lunghezza, non ancora del tutto eretta. Era ovvio che il tocco di un estraneo non fosse facile da accettare ed era anche comprensibile che fosse così sensibile, ma il rosso non si lasciò distrarre: in un momento, lo aveva già chiuso nella stretta della sua mano, che aveva cominciato a muoversi un attimo dopo. Un movimento ritmico, che variava a seconda delle reazioni del ragazzo sotto di lui o dei suoi pensieri, seguendo uno schema irregolare che ben presto portarono Robin a scalpitare, ad agitare il corpo nel tentativo di scrollarsi di dosso forse la sensazione di frustrazione che doveva provare nella sua posizione. Ben presto, la voce del più giovane inziò a desiderare di lasciarsi sentire e più questa si alzava, più la stretta delle sue mani sulle spalle di Leo si faceva forte, quasi violenta eppure, spietato, il rosso continuò fin quando non gli parve abbastanza.

Era lui a dover tenere le redini del gioco, era ovvio; eppure lo sguardo che Robin gli riservò quando finalmente allontanò la mano dalla sua intimità glielo fece dubitare – c'era così tanta voglia di fare ma la frustrazione dell'inesperienza, in quello sguardo, che quasi poteva immaginare che cosa gli avrebbe riservato il futuro. E poteva immaginarlo con una tale accuratezza che non mancò di leccarsi le labbra, per la prima volta esitando sul da farsi; aveva pensato di divorarlo ma, dopotutto... a lui piaceva essere divorato.

A Leo piaceva essere il centro di tutto – dell'attenzione del suo partner, del sesso che, in quei momenti, diveniva l'universo intero.

Era l'unico momento in cui si sentiva davvero il nucleo di ogni cosa, insostituibile.

Cambiò idea così, volubile come il meteo nelle zone tropicali. In un attimo, era disteso in parte sul letto, nel tentativo di raggiungere il comodino senza però allontanarsi troppo dal suo partner; vi riuscì, non senza qualche difficoltà e, con un gesto un po' forzato, aprì anche il cassetto.

Ben presto, Robin cercò di seguirlo con lo sguardo per capire cosa stesse facendo e, soprattutto, cosa doversi aspettare: non capì bene neanche quando vide Leo tornare alla sua precedente posizione mentre teneva tra le mani un contenitore di forma rotonda, oltre che ad un paio di preservativi ancora chiusi. Sembrò sul punto di chiedere, addirittura, ma ogni parola parve morirgli in bocca non appena Leo aprì una delle confezioni ancora sigillate e—si chinò su di lui.

Lo aveva colto alla sprovvista, come immaginava; per questo, non riuscì proprio a nascondere un sorrisetto divertito mentre, con delicatezza, faceva scorrere con dita sicure il profilattico lungo la l'erezione di Robin. Quando incrociò lo sguardo del più giovane, Leo non poté fare altro che provocarlo ancora, portandosi l'indice sulle labbra - “non chiedere, lasciati andare”.

E lui, ancora una volta, accolse la sua richiesta, seppur con qualche riserva; eppure, il moro tacque anche quando aprì la confezione del lubrificante e, limitandosi a guardarlo, con le dita intrise della sostanza, si preoccupò di cospargerne a sufficienza sulla sua erezione.

Non poté limitarsi, però, a stare in silenzio quando Leo si sollevò sulle ginocchia e, con le stesse dita con cui si era occupato di lui... preparò anche se stesso.

«Leo, non-» provò a dire, ma il rosso ripeté quel medesimo gesto; era assurdo che in una situazione così intima (forse per la prima volta), Leo riuscisse finalmente a sembrare l'adulto che era. Era bastato quel segno perché Robin tornasse a tacere mentre lui, con l'altra mano, si preparava a riceverlo dentro di sé.

Sperava quanto meno di avere un che di erotico, sotto quegli occhi innocenti e di non spaventarlo – ma il moro non si mosse, no; rimase a guardare ogni movimento che riusciva a cogliere, incapace di distaccare lo sguardo per più di un battito di ciglia e lo vide deglutire, a vuoto, per un paio di volte.

«Guarda soltanto me» gli riuscì a dire quando, finalmente pronto, afferrò con un gesto deciso il membro del più giovane e, senza aggiungere più niente, iniziò a calarsi su di esso.

Lo aveva fatto altre volte, sì, ma mai con un ragazzo inesperto; doveva sentirsi in qualche modo responsabile, seppur inconsciamente, perché mai in vita sua era stato così cauto nel lasciarsi invadere da qualcuno; da spericolato soldato abituato ad avere la vita in bilico tra la vita e la morte, adesso si sentiva un vecchio stratega di guerra, dalle cui decisioni dipendeva ogni genere di conseguenza – il sesso, per Leo, era così: una voluttuosa e bianca guerra, in cui invece di odiarsi ci si amava. Una guerra fatta di orgogli, di piaceri, di voglia di tornare continuamente sul campo di battaglia per un'altra sfida, inesauribile come l'avidità umana.

Ma Robin era un umano diverso. Voleva affrontare quella lotta con coraggio ed orgoglio, nonostante l'inesperienza e Leo voleva vederlo su quel terreno privo di sangue alcuno ancora tante, tantissime volte: era lui a dover costruire la fiducia nelle sue capacità, nei suoi gesti, a doverlo guidare perché provassero entrambi piacere, perché lo scontro dei loro corpi risultasse in una vittoria su ogni fronte.

Finché non giunse a sedersi sul suo bacino, Leo non riaprì gli occhi; si sentiva in cima al mondo, in quel momento, inebriato dall'altezza a cui si trovava, dalla presenza dentro di lui, non prepotente ma comunque importante, in grado di farlo ridacchiare con una certa soddisfazione.

E Robin, in tutto il suo innocente imbarazzo di soldato appena arruolato, stava sotto di lui, con una mano sulla bocca che Leo notò essere piena di saliva ed arrossata – si era morso, forse? Era frustrato?

Non poteva permetterglielo.

Con un po' di fatica, si rialzò ma con meno cautela e con più sicurezza si abbassò di nuovo; una volta, due, tre... ben presto perse il conto o, probabilmente, non lo tenne mai davvero. Lasciò che l'istinto prendesse il sopravvento, contagiando forse il suo amante che, sotto di lui, percepì cominciare a muovere il bacino, a volte seguendo i suoi movimenti, a volte cercando di dettare lui il ritmo, come se impugnasse finalmente il fucile nel modo giusto perché colpisse non solo il suo cuore ma anche qualcosa di molto meno dignitoso per uno scrittore ma più per quell'essere umano che era anche lui, nella sua lussuriosa ingordigia. Ben presto, Robin cominciò a prendersi più libertà di quanto in un primo momento non aveva pensato potesse concedergli e ad ogni nuovo sforzo delle sue gambe seguivano le loro voci, che si intrecciavano, senza dire niente di particolarmente chiaro: un gemito, un nome quasi ringhiato a denti stretti, un sospiro, una richiesta sconnessa.

Loro erano i padroni dell'universo.

 

Per anni lo avevano chiamato “re”, con un misto di tenerezza e provocazione malcelate ma quando Leo riaprì gli occhi, il mattino dopo, sentì quel titolo veramente suo. Non avrebbe neanche saputo spiegarne il motivo, così nella confusione del mattino, ma fu quasi irritato nel trovare una corona sul suo capo.

Trovò qualcosa di ben più prezioso, però: Robin, il corpo contro il suo, ancora nudi sotto gli strati di lenzuola ormai completamente disfatte.

Era così caldo, ancora, che Leo non esitò a crogiolarvisi contro, alla stregua di un gatto. Era sicuro che nessuno, al suo posto, avrebbe definito perfetta quella nottata – nessuno che viveva entro i limiti soffocanti della normalità, eppure... per lui lo era stata. Nascose il volto contro il collo del più giovane, assaporando il tepore della sua pelle, la regolarità del suo respiro, il calmo battito del suo cuore.

Stava quasi pensando di svegliarlo con dei leggeri morsetti sul mento (l'idea di morderlo era irresistibile, davvero; come poteva fare a meno di addentarlo, quando era così soffice?) quando sentì provenire dal soggiorno una musica che gli pareva di aver già sentito ma che si spense dopo una manciata di secondi. Il tempo di sollevarsi dal corpo di Robin, guardando verso il corridoio come se potesse così vedere la fonte della musica che questa ripartì, beffarda.

“La suoneria di un cellulare” dedusse, nel suo acume mattutino. Non era sicuramente la sua, considerando che teneva quasi sempre la vibrazione e di certo non ricordava di aver inserito una canzone melensa come tono di chiamata, quindi...

Si costrinse ad alzarsi dal letto, avvolto in una delle coperte che si trascinò dietro dal letto; la sensazione del parquet freddo sotto le piante dei suoi piedi era così stranamente piacevole... E dire che di solito non la amava particolarmente e, anzi, spesso era causa del suo malumore appena sveglio, dopo essersi reso conto di aver sparpagliato nel suo peculiare disordine calzini e pantofole.

Quando raggiunse il soggiorno, si rese conto che la musica proveniva dalla giacca di Robin, anche se tacque un attimo prima che riuscisse a raggiungere la tasca in cui il cellulare doveva essere rimasto; estrasse lo smartphone di ultima generazione, fissandolo per un po', prima che trillasse irritato tra le sue mani.

Un messaggio, apparentemente, qualcuno rinominato Spoiled brat – era incredibile come la sua lingua potesse essere tagliente, al momento giusto; inoltre, trovava davvero interessante il fatto che rinominasse le persone nella sua rubrica: chissà quale nome aveva riservato a lui?

Si ritrovò ad arricciare un po' il naso e le labbra, indeciso sul da farsi: sapeva che non era proprio carino curiosare nei telefoni altrui, ma... si trattava solo di una stupidaggine, giusto? Non stava mica invadendo la sua privacy, dopotutto. O meglio, lo stava facendo ma—per un buon fine, no?

Fissò ancora una volta lo schermo, che adesso era tornato ad essere spento, specchio perfetto per il suo volto luminoso, i capelli scompigliati, l'espressione combattuta.

Poi, sentì di nuovo la voce di Robin, quella della sera prima... Don't mess with me.

Sbloccò il telefono.

Lo sfondo era una meravigliosa vista di uno scorcio cittadino, visto da un qualche punto rialzato – una collina, forse? Era una foto scattata col cellulare, ma aveva un certo retrogusto malinconico con sé; aprì velocemente la rubrica ed iniziò a guardare i nomi uno per uno, alla sua folle ricerca, ma... niente. Un sacco di nomi, alcuni più o meno personalizzati, ma proprio non riusciva a vedere il suo.

Un po' stizzito, tornò alla pagina principale per poi aprire direttamente la tastiera e scrisse il suo numero – eccolo, finalmente, salvato: il numero evidenziato in nero e il nome, in blu, che scintillava subito sopra di esso.

(mirac)Leo”.

Leo sbatté le palpebre, confuso in un primo momento. Nessuno meglio di lui avrebbe potuto assaporare meglio una parola come quella, miracolo, seppur non in chiave di certo religioso. Qualcosa di incredibilmente nuovo, capace di sconvolgere del tutto una vita (magari le loro) e finalmente direzionarla verso una meta definita. Una certezza in quel mondo di sicurezze distorte, un viottolo riparato dalle affollate strade del centro.

Non riusciva a credere che Robin percepisse quello che lo circondava con una tale sensibilità; certo, era evidente che avesse una percezione non comune della realtà che lo circondava, ma quello era l'animo di un piccolo artista sopito, un... diamante grezzo. Era forse quello ad attrarlo tanto? Era per questo che si era sentiva così legato a lui?

«Leo...» sentì mugugnare dal corridoio; lo scrittore per poco non si lasciò sfuggire il telefono di mano per la sorpresa e, seppur consapevole che era stato colto in flagrante... non poté fare a meno di ammirare il suo ragazzo (beh, immaginava di poterlo dire, ora) completamente avvolto nel piumone pesante, persino oltre la testa, che lo fissava assonnato attraverso l'unico buco che si era lasciato per gli occhi. Sembrava un bambino che si era appena svegliato il mattino di Natale. «Che stai facendo... ?»

Leo si schiarì la voce, per poi tendergli il telefono con una certa disinvoltura; lo vide sgranare appena gli occhi, incredibilmente veloce nel recepire il panico a quanto pareva. «Ha suonato per diverso tempo, avevo pensato di portartelo! Hai fame?»

Il moro annuì, lasciando che la sua armatura di piume d'oca scivolasse giù, abbastanza da almeno lasciargli scoperto il volto e i disordinati capelli neri.

«Allora preparo la colazione!» E a quel punto, dopo un sorriso più che sincero, Leo saltellò verso la cucina, trovando casa sua davvero bella per la prima volta.
 


Note: Sembra davvero passata un'eternità dall'ultima volta che ho postato, ma è stato un periodo non troppo semplice per molti motivi. Mi piacerebbe continuare ad essere più puntuale nel pubblicare i capitoli, ma al momento non credo ancora di potere... insomma, diciamo che spero che con questo capitolo mi perdoniate la lunga attesa e quella che ancora verrà!
Uno dei motivi per cui ho tardato tanto è che... ho un'enorme difficoltà nello scrivere scene di sesso (...). Non ho mai postato pubblicamente niente del genere, per questo spero davvero che non risulti ridicola (da leggersi: paranoia che ho da un mese a questa parte e per cui ho chiesto consiglio anche ai muri) e che si avverta almeno un po' del sentimento e della passione che unisce Leo e Robin in questo frangente.
Diciamo che in questo momento la storia si è stabilizzata, ma abbiamo già superato la metà! Insomma, speravo di riuscire a finirla entro l'anno, invece per un sacco di motivi ho dovuto rimandare e... niente, nel dubbio spero davvero che piaccia. Buona lettura!
(ps: l'ultima parte potrebbe risultare un pochino frettolosa e mi dispiace, ma non volevo lasciare l'attesa lunga fino al 2018!)

 

   
 
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