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Autore: lestylinson    30/12/2017    0 recensioni
La vita di Louis cambia radicalmente quando Harry, il suo migliore amico, lascia Doncaster e si trasferisce a Los Angeles per inseguire il suo sogno.
Una scelta sbagliata ed impulsiva rovinerà tutto ciò che di bello avevano costruito insieme, gettando Louis nel baratro dello sconforto.
Ma il ritorno di Harry, improvviso e inaspettato, sconvolge Louis, rimettendo in discussione le convinzioni su cui aveva basato la sua vita negli ultimi quattro anni.
Tra rabbia e vecchi rancori, delusioni e ferite ancora aperte, riusciranno tuttavia a ritrovarsi.
A quel punto Louis capirà che Harry è indispensabile per la proprio felicità, ma ammetterlo risulterà difficile e metterà ancora una volta a dura prova il loro rapporto.
A complicare tutto: sentimenti inesplorati e inesplicabili, e un matrimonio imminente.
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Liam Payne, Louis Tomlinson, Niall Horan, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Harry
 
“Sono qui da settimane e solo adesso vengo a sapere che ti sposi? Tramite un bigliettino per giunta?!”
“Tecnicamente sono solo fidanzato ufficialmente, per il matrimonio c’è ancora tempo, e scusa se non te l'ho detto prima, volevo fosse una sorpresa!”
“Liam, hai idea in crisi esistenziale mi hai appena messo? E adesso dove lo trovo il vestito per stasera? In valigia ho praticamente solo spazzatura.”
“Un pantalone e una maglietta andranno benissimo.”
“Dio santo, stai scherzando? È una festa di fidanzamento, non un rave! L'occasione merita senza dubbio un completo Gucci.”
“Harry ti prego, niente cose strambe.”
“Farò finta che tu non abbia appena bestemmiato.”
Sentii Liam esplodere in una risata dall'altro capo del telefono e non potei evitare di farmi contagiare, cominciando a ridere anch’io.
“Quanto sei drammatico!”
“Cosa vuoi che ti dica, tengo a certe cose.”
“D’accordo Mister Gucci, ti lascio ai tuoi dilemmi stilistici, io devo andare, devo terminare delle cose per stasera. Mi raccomando puntuale!”
Attaccò la chiamata senza nemmeno darmi il tempo di rispondergli, tipico di Liam quando aveva l'ansia di sbrigare delle cose per lui importanti.
Mi guardai intorno, seduto sullo sgabello della mia cucina, indeciso su cosa fare.
In un angolo del piano cottura vidi le chiavi della macchina.
Le afferrai di fretta e uscii da casa sorridendo. Fra un paio d’ore sarebbe cominciata una sessione di shopping tra le boutiques di Londra.
 
Quella città sapeva sempre come lasciarmi senza fiato, travolgermi con la sua imperitura magia, con il suo sfacciato fascino.
Giravo per le strade da ore ma non ero ancora stanco.
Sentivo di appartenere a quel posto, ai negozi, ai vicoli nascosti, ai quartieri affollati. Era sempre stato così, a Londra non ero Harry-il ragazzo strano e bullizzato che voleva evadere da Doncaster, ero Harry e basta.
Nessuna etichetta, nessuna definizione.
Non potevo però ignorare la malinconia che sentivo salire inevitabilmente dall'asfalto e mischiarsi all'odore dello smog, inebriandomi mente e polmoni, perché Londra era la città grazie alla quale io e Louis, da ragazzini, avevamo imparato a sognare.
Era la città in cui ci eravamo ripromessi saremmo andati a vivere insieme, da adulti, a prescindere da quello che saremmo diventati, dalle nostre famiglie, dal nostro lavoro.
Perché Londra ci faceva sentire liberi, vivi, capaci di fare qualsiasi cosa, di realizzare tutti i nostri sogni più segreti.
Semplicemente, ci rendeva felici.
Per questo ogni qual volta sentivamo il peso della vita arrivarci addosso e schiacciarci d’improvviso, prendevamo di corsa un treno e andavamo a rifugiarci lì.
Giravamo per le piazze, esploravamo i musei, imprimevamo le nostre tracce nei marciapiedi delle strade, assaggiavamo cibi nuovi e a volte disgustosi, andavamo nei parchi dove correvamo a perdifiato e dove, dopo, ci sedevamo sfiniti sotto un albero, sempre lo stesso, che sembrava ripararci dalle brutture del mondo da cui scappavamo.
Quelli erano i momenti in cui ci permettevamo di vivere e ci prendevamo il lusso di farlo come era giusto facessero dei ragazzi della nostra età.
Quelli furono i momenti in cui mi innamorai di Londra e promisi a Louis che non sapevo né come né quando, ma ci avremmo vissuto insieme.
Mentirei però, se non dicessi di essermene innamorato per il modo in cui Louis guardava quella città, che riflessa nelle sue iridi blu appariva decisamente molto più bella e magica.
Probabilmente allora eravamo ingenui, ma a noi bastava poco per sperare che prima o poi avremmo avuto la vita che meritavamo.
Inutile dire che poi tutto andò diversamente da come lo avevamo immaginato.
 
Entrai da Gucci solo un'ora e mezza dopo essere arrivato a Londra e subito venni colpito dalla dolce fragranza che riempiva l'aria fresca della boutique.
Provai un’infinità di completi, tanto da far girare la testa alla mia commessa, senza però trovarne uno che mi convincesse abbastanza per il fidanzamento di Liam.
Sconsolato, provai l'ultimo completo: un doppio petto e un pantalone dritto color pistacchio1 a far risaltare i miei occhi. Uscii dal camerino per guardarmi attraverso la grande specchiera.
“Credo di non aver mai visto nessuno indossare un Gucci così. Ti sta divinamente.”
Dal riflesso dello specchio vidi alle mie spalle una ragazza minuta osservarmi con curiosi occhi nocciola dai quali traspariva quella che sembrava devozione.
Arrossii per l'imbarazzo e mi schiarii la voce per ringraziarla timidamente.
“Dico sul serio, faresti un grande sbaglio a non prenderlo, sempre se è adatto all'occasione per cui lo indosseresti.”
“Tu lavori qui?”
“Purtroppo no, sto cercando anch’io l'abito perfetto, ma a quanto pare oggi non è la mia giornata fortunata.”
Fece una smorfia delusa e non potei evitare di ridere. Lei rise di rimando e si presentò.
“Sono Eleanor.”
Accettai la mano che mi stava tendendo, stringendola mentre la osservavo. Qualcosa dei suoi lineamenti mi diceva che l'avessi già vista da qualche parte.
“Harry, piacere. E per rispondere alla tua domanda, sto cercando un completo per una festa di fidanzamento. Il mio amico mi ha chiesto esplicitamente di non indossare nulla di strambo, come l’ha definito lui, e nonostante la tentazione sia molto forte, non voglio contraddirlo per una serata così importante.”
Eleanor rise ancora, rumorosamente, spostando delicatamente con l'indice un ciuffo di capelli che le finì sul volto.
“Credo che con questo vestito il tuo amico non avrà nulla da ridire, è perfetto.”
Mi guardai un'ultima volta allo specchio, e in effetti non potevo darle torto, l'abito cadeva perfettamente, sembrava fosse stato fatto appositamente per me.
“Mi hai convinto, credo proprio che lo prenderò.”
Eleanor mi rivolse un sorriso soddisfatto.
“Ottima decisione! È stato un piacere Harry, ti auguro una buona serata.”
“Grazie Eleanor, buona serata anche a te.”
Le diedi una gentile stretta di mano prima di congedarmi, dopodiché pagai e una volta uscito dal negozio mi diressi verso la macchina, pronto per ritornare a Doncaster.
 
 
Louis
 
La sala era gremita di gente che sorseggiava drink mentre disinteressatamente intratteneva frivole conversazioni a cui la musica faceva da gentile sottofondo.
Ero arrivato da quasi un'ora, il bar aveva aperto da appena dieci minuti ed ero già al terzo bicchiere di champagne.
Stavo sorseggiando il mio alcolico quando due morbide mani, al profumo di vaniglia, si posarono leggere sui miei occhi, oscurandomi momentaneamente la vista.
Da dietro la mia schiena, qualche parola sussurrata all’orecchio.
“Ti sono mancata?”
La vista ritornò, mostrandomi in tutto il suo bagliore la mia fidanzata che, ora di fronte a me, mi sorrideva dolcemente.
“El, che ci fai qui?”
L’abbracciai di slancio, sperando che, stretta tra le mie braccia, non si accorgesse del poco entusiasmo con cui l'avevo accolta.
“Sarei dovuta rimanere via altri due giorni, ma mi mancavi troppo così ho deciso di tornare prima. E poi non potevo perdermi la festa di fidanzamento della mia migliore amica. Quindi… Sorpresa! Non sei contento?” 
Già… Non ero contento?
La verità?
Non lo sapevo.
Avrei dovuto esserlo, certo, ma per qualche motivo non riuscivo a scrollarmi di dosso quel disinteresse che provavo nel ritrovarmela lì e che, per qualche assurdo motivo, mi impediva di gioire del suo anticipato ritorno.
Normalmente un fidanzato avrebbe dovuto essere contento per una sorpresa del genere, mentre a me la cosa lasciava totalmente indifferente.
Gli ultimi giorni erano stati talmente assurdi che non mi ero nemmeno soffermato a pensare che Eleanor non ci fosse, era come se avessi cancellato momentaneamente la sua presenza dalla mia vita. Ma adesso era lì, mi guardava in attesa che io dicessi qualcosa, reclamava la mia attenzione, e mi sentii tremendamente in colpa perché nell’ultimo periodo non ero più in grado di darle ciò di cui aveva bisogno.
Che razza di persona orribile ero?
“Certo che sono contento! È solo che non mi aspettavo di vederti qui, mi hai colto alla sprovvista. Questa settimana è stata un disastro, quindi scusa se non sembro entusiasta, ma lo sono, davvero!”
Raccontai una bugia su due piedi, e subito dopo averla detta, mi resi conto che fosse più diretta a me che a lei: avevo bisogno di credere che ciò che avessi appena raccontato fosse vero, altrimenti avrei dovuto interrogarmi sul perché non mi fosse mancata quella che presto sarebbe stata mia moglie, sul perché non fossi contento di rivederla dopo quasi una settimana di separazione forzata, sul perché, nei giorni appena trascorsi, i miei sogni fossero stati popolati da un paio di occhi verde smeraldo anziché da un paio d'occhi color nocciola.
“Problemi con tua madre?” mi chiese, premurosa come sempre.
“Sì, ma non mi va di parlarne. Ti racconterò tutto a casa.”
Mi diede un casto bacio e aggrappandosi al mio braccio mi diresse verso il bancone del rinfresco.
“Cosa posso offrirvi signori?”
“Uno Chardonnay per la mia fidanzata e un Brandy per me.”
“Amore non esagerare” mi sussurrò sottovoce, “lo sai che non dovresti.”
“Tranquilla El, ho tutto sotto controllo.”
La mezz'ora successiva passò tra Eleanor che mi raccontava del suo viaggio di lavoro e pochi ospiti -che siano benedetti- che di tanto in tanto interrompevano il suo sproloquio per una breve conversazione con noi.
Ad un certo punto, fui talmente saturo dei suoi discorsi che smisi di ascoltarla e cominciai a far vagare distrattamente lo sguardo per la stanza.
Fu quando lo vidi scendere maestosamente dalle scale che dal piano superiore conducevano alla sala del ricevimento che mi si bloccò il respiro e tutto ciò che potei fare fu ammirarlo.
Il suo innato fascino aveva attirato l’attenzione della maggior parte degli invitati che come me, vennero attratti da quella calamita che era Harry Styles.
Le mani anellate a scompigliare i ricci perfetti, in un gesto di vanità ingenua, e le fossette a fare capolino, dispettose, non appena Liam gli si avvicinò fingendosi arrabbiato per il suo imperdonabile ritardo.
“Sbaglio o ti avevo raccomandato di essere puntuale?”
“Scusa! Lo shopping a Londra è durato più del previsto. Mea culpa.”
“Sei sempre il solito idiota. E adesso vai a bere, sei ancora troppo sobrio.”
Sorrisi impercettibilmente a quella battuta di Liam.
“Agli ordini caporale!”
Harry si portò la mano alla fonte per poi allontanarla con uno scatto, a mo' di saluto militare.
Liam gli diede una piccola spinta e Harry, senza perdere il suo sorriso, si diresse verso Niall, che lo aspettava a braccia aperte con due boccali di birra nelle mani.
“Louis? Mi ascolti?” richiamò la mia attenzione Eleanor.
“Scusa, mi sono distratto. Dicevi?”
Posai lo sguardo di nuovo su di lei e notai che fosse su tutte le furie, il viso cosparso di chiazze rosse per la rabbia.
“Non parlarmi per il resto della serata. Ah, e non aspettarmi a casa, stanotte dormo da Sophia.”
“El non fare così, hai davvero voglia di litigare? Sei appena tornata.”
“Già, eppure a te sembra non importare.”
E dicendo così se ne andò, ferita ed incazzata, lasciandomi solo al bancone del bar.
Per qualche motivo però non riuscii ad interessarmene, né tantomeno ne fui ferito.
Ordinai anzi un altro bicchiere di Brandy e mi godetti un po’ di solitudine seduto sul mio sgabello.
Quando il barman mi posò davanti il bicchiere col mio vino, presi a sorseggiarlo con calma e mentre l'alcol si faceva strada nelle mie vene non potei impedire ai miei occhi di posarsi di nuovo su Harry.
Parlava amorevolmente con amici e parenti di Liam che, contenti di rivederlo, non riuscivano a togliergli gli occhi di dosso.
In realtà, sin dal suo ingresso, con indosso un completo color verde chiaro da mozzare il fiato, aveva catalizzato su di sé l'attenzione di ogni singolo individuo presente quella sera, che ne subiva inevitabilmente il fascino. Tutti volevano passare un po’ del loro tempo con lui, sapere dell'America, delle sue avventure. Sembravano pendere dalle sue labbra, erano ammaliati dal suo modo di parlare, di muoversi e di atteggiarsi cordiale.
Harry quella sera sembrava essere un film d'autore o una canzone d'epoca, quelli dai quali non riesci a distogliere lo sguardo e l'udito, dai quali non puoi fare a meno di sentirti attratto, di rimanere affascinato, meravigliato.
E quindi non ti resta che rimanere lì ad ammirarlo, a bocca aperta e con gli occhi intrisi di una luminosità riflesso di quella che emanava lui.
Se ne avessi avuto la possibilità, lo avrei fotografato in quella luce che lo avvolgeva e lo rendeva quasi etereo, per paura che quella potesse essere l'ultima volta che l'avrei vista.
Rimasi incredulo e sbalordito quando lo vidi salutare con sorpresa Eleanor, quasi abbracciandola amichevolmente.
Come diavolo si conoscevano quei due? Quando si erano incontrati?
Ma soprattutto, perché Eleanor stava andando a fuoco sotto lo sguardo di Harry e lo stava riempiendo di complimenti per l'abito che indossava?
Durante la loro breve conversazione la mia fidanzata mi indicò da lontano, guidando lo sguardo di Harry verso di me.
Quando lui si voltò, l’alcol che avevo in circolo si incendiò in un attimo, i suoi occhi scintilla su di me che in quel momento ero benzina pura.
A quel punto il propagarsi dell'incendio nel mio corpo fu inevitabile.
Il suo sguardo da estasiato passò ad essere contrariato e subito dopo di nuovo estasiato.
Mi sentivo ubriaco, la testa girava in profondi vortici, ma la colpa non era sicuro dello champagne, né tantomeno del Brandy. Era tutta colpa di quei prati verdi che si ritrovava al posto degli occhi e che mi stavano scrutando con una intensità tale da farmi sentire frastornato.
Si congedò educatamente da Eleanor, iniziando ad avanzare deciso nella mia direzione, ma la sua traiettoria venne interrotta da una ragazza, credo si chiamasse Camille, che si aggrappò al suo braccio, civettuola, e lo portò dai propri genitori, trattandolo come un trofeo da esibire.
Vidi i suoi occhi dispiaciuti per un attimo, quello immediatamente successivo stava già stringendo -mi accorsi con meno cordialità di prima- le mani dei suoi nuovi interlocutori.
La maggior parte della serata passò così, con Harry che come una trottola passava da un gruppo di invitati ad un altro, con Liam e Sophia che cercavano di fare sentire tutti quanti a proprio agio, con Eleanor che continuò ad ignorarmi per tutto il tempo, e Niall che da ottimo amico e compagno di bevute qual era, rimase al bancone con me, bevendo tutto ciò che ci capitasse sotto mano.
Io però guardavo Harry e non potevo fare a meno di pensare che avrei solamente voluto un momento, solo uno, per stare con lui, anche solo per sentire la sua voce, prima di dover andare via, anche solo per ringraziarlo per tutto quello che aveva fatto per me e la mia famiglia pochi giorni prima.
Quando avevo visto Johanna senza sensi sul divano ero così spaventato di dover affrontare le mie paure, di dover essere forte a tutti i costi, che probabilmente se non fosse arrivato lui non ce l'avrei fatta.
Mi aveva reso forte, e grazie a lui ero riuscito ad affrontare tutto.
Era sbagliato che mi rendesse forte?
Ero convinto fosse all'estero, lì dove mi aveva lasciato andare, che ci sarebbe rimasto per sempre. Nessuno mi aveva detto che invece sarebbe tornato a scavare con le unghie il mio muro fatto di fango e pece, a insinuarsi di nuovo nella mia vita, a ricordarmi com'era bello quando eravamo poco più che ragazzini, com'era facile.
Per questo una parte di me, quella che avevo cercato di reprimere per tutto quel tempo, continuava a resistere, perché al diavolo le maschere, le bugie e l'orgoglio, ci tenevo ancora, dannazione quanto ci tenevo! E non potevo far altro che sperare importasse anche a lui, almeno tanto quanto importava a me.
Un boato di applausi mi strappò dai miei pensieri e mi costrinse ad avvicinarmi al tavolo dove la coppia della serata stava richiamando l’attenzione di tutti i presenti.
Fu la volta dei discorsi emozionati, dei regali, dei ringraziamenti, del brindisi in onore dei neo fidanzati e dei lenti.
Le luci si abbassarono, la musica cambiò ritmo, e finalmente Liam trovò un momento per i suoi amici.
Liberò Harry dalle grinfie di due bionde schizzinose e reggendosi a lui per la stanchezza, venne incontro a me e Niall, già pronti con quattro cicchetti di tequila, come prevedeva la tradizione.
Harry mi guardò, forse indeciso su cosa sarebbe stato giusto dire, e io gli rivolsi un sorriso caldo, accogliente, che lui ricambiò subito con una dolcezza sconvolgente.
Non servirono parole dopo quello, stava tutto dentro ai nostri sorrisi.
Entrambi, in quel momento, capimmo che finalmente era arrivata la tregua che tanto avevamo desiderato ma che per testardaggine ed orgoglio ci eravamo negati a lungo.
“Vi ricordate quando da ragazzini avevamo paura di diventare grandi e di invecchiare? Quando immaginavamo il nostro futuro e ci chiedevamo dove saremmo arrivati a vent’anni? Beh, quel futuro è diventato il nostro presente adesso, e io non potrei essere più felice di condividere con voi questo momento.”
Liam introdusse così il brindisi tutto nostro, intimo e privato.
“Non capisco perché dobbiamo brindare per gli anni che passano” borbottai contrariato e un po’ alticcio.
Vidi Niall sospirare, esasperato.
“È evidente, Liam, che qualcuno qui non sia proprio eccitato all’idea di essere cresciuto.”
“Crescere fa schifo, mi mette tristezza. Da piccoli era tutto più facile.”
Niall alzò gli occhi al cielo, accompagnato dalla risata fin troppo brilla di Liam. Harry si limitò a fissarmi, gli occhi lucidi di stanchezza e… tristezza?
“Tommo e la sindrome di Peter Pan parte milionesima!” ribatté Niall, cingendomi le spalle con un braccio.
“Fottiti” gli rivolsi il dito medio, mettendo su un sorriso imbronciato a cui sapevo non avrebbe resistito.
Subito dopo infatti proruppe in una risata fragorosa, coinvolgendoci tutti quanti.
“A noi” concluse Harry, alzando la sua tequila.
Io e gli altri gli facemmo eco, facendo tintinnare i nostri bicchieri prima di berne il contenuto in un soffio.
Fu un brindisi semplice, genuino, fraterno, proprio come lo eravamo noi.
Io ed Harry non distogliemmo lo sguardo l'uno dall’altro, fino a quando non mi sentii sopraffatto e, approfittando che Niall si fosse allontanato per esibirsi sul palco, mi congedai da lui e da Liam per andare a fumare una sigaretta.
 
Uscii fuori nel balconcino della piccola stanza accanto alla sala, lasciando la porta semi aperta per poter ascoltare la canzone di Niall.
“È quasi mattina” sentii sussurrare qualche attimo dopo.
Per poco non mi andò di traverso la sigaretta dallo spavento.
Harry se ne accorse e si lasciò scappare un risolino.
Gli lanciai un’occhiata di rimprovero alla quale rispose prendendo a ridere più forte, poi gli diedi nuovamente le spalle e poggiai i gomiti sulla ringhiera.
Rimasi così per un po', finendo la mia sigaretta, e mi persi ad osservare i colori che stava portando l'alba, rischiarando il buio tetro della notte appena trascorsa.
“È uno spettacolo meraviglioso” dissi in un sospiro.
“Sì, lo è davvero.”
Mi voltai verso Harry, e mi resi conto che non stesse guardando il cielo, ma me.
A passo lento mi si avvicinò, affiancandomi, appoggiò la schiena alla ringhiera e continuò a fissarmi mentre io non distoglievo lo sguardo dal cielo.
“Come conosci Eleanor?”
“L'ho incontrata di pomeriggio, a Londra. Mi ha consigliato lei di acquistare quest'abito. È stata molto gentile.”
“Ci provi con lei?” gli chiesi scherzando, solo per il gusto di vederlo in difficoltà.
Come previsto, arrossì immediatamente a quella mia domanda, cominciando ad annaspare per l’imbarazzo.
“Cosa? No! Credi davvero che ci proverei con la tua ragazza?”
Provai a rimanere serio per qualche minuto, ma davanti al suo sguardo stralunato fu davvero impossibile.
Così scoppiai a ridere, talmente tanto forte da sentire delle lacrime bagnarmi gli angoli degli occhi.
“Stronzo!”
“Te lo sei meritato” lo apostrofai scherzosamente, ma lui mi rivolse uno sguardo colpevole e io mi pentii subito di averlo detto.
“Harry non…”
“Le pensavo davvero le parole di quella sera” mi interruppe con urgenza.
I suoi occhi, di un verde impossibilmente intenso, erano puntati su di me e sembravano scrutarmi spasmodicamente.
“Tutto ciò che ti ho detto fuori dal pub, quello che volevo trasmetterti con la canzone… Era tutto vero. È tutto vero” proseguì, spiegandosi meglio.
La sua solita eloquenza messa in difficoltà da qualcosa che potevo intravedere nel suo sguardo.
Al ricordo della canzone, delle sue parole calde al punto da intiepidire la gelida notte, non potei non provare odio per me stesso, che avevo covato talmente tanto rancore nei suo confronti da arrivare al punto di dubitare delle sue parole, di lui, che nella sua vita non aveva mai mentito.
Mi odiai perché non avevo fatto nulla per impedire a quell’imbecille del proprietario del pub di portarlo dentro senza che prima avessimo chiarito, senza che prima avessi provato a fargli capire quanto quello che aveva appena detto mi avesse ridato speranza.
Sentii allora l’urgenza di rimediare.
“Harry …”
“Balla con me” mi interruppe di nuovo.
Lo guardai confuso, corrucciando la fronte, e lui ripeté la sua richiesta, allungando una mano verso di me.
Dopo un iniziale tentennamento la accettai.
“Se ci vedesse qualcuno ci prenderebbe per pazzi.”
“Se tutto il mondo ci guardasse continuerei comunque a ballare con te”2 mi rispose canticchiando, facendo eco alle parole che Niall stava cantando al di là di quella stanza.
E sapevo che non c’era nessun sottinteso, era solo la frase di una canzone, ma mi sciolsi comunque sotto il suo tocco.
Ero creta fra le sue mani, avrebbe potuto modellarmi a suo piacimento, non mi sarei opposto.
In quel momento decisi che gli avrei detto tutto quello che avrei voluto dire da settimane, avrei messo una pietra sopra a qualsiasi cosa fosse successa in quegli anni, provando finalmente a voltare pagina.
Ero stanco di combattere e respingere, la mia vita era già piena di battaglie contro cui non ero in grado di vincere, aggiungervi anche questa, inutile e forzata, non aveva senso.
Dovevo perdonare e andare avanti, era quello che mi avrebbe fatto bene, che avrebbe fatto bene ad entrambi.
“Harry, devo parlarti.”
“Aspetta solo che finisca la canzone” mi pregò in un soffio di voce, direttamente all'orecchio.
Lo accontentai.
Per i restanti minuti rimanemmo a muoverci impacciatamente a tempo di musica.
Le mie mani attorno al suo collo, le sue ad avvolgermi i fianchi.
Non fu strano, imbarazzante o fuori luogo.
Fu necessario.
Era il nostro modo di cercarci e, dopo anni, ritrovarci.
Uguali a prima solo tra le braccia dell’altro.
Fu un attimo di tregua, di silenzio dalle nostre parole che ferivano, di serenità che ci eravamo tolti inconsciamente.
Approfittai di quei minuti per ascoltare il battito del suo cuore, leggermente alterato proprio come il mio, e per aspirare il suo profumo che tanto mi era mancato, direttamente dal punto in cui collo e orecchio si incontravano.
Sapeva ancora, inconfondibilmente, di orchidea.
Quell’odore mi portò indietro di una vita, attorcigliando attorno alla mia gola secca un nodo di lacrime e angoscia.
Se avessi aspettato ancora un po’, non sarei più stato in grado di parlare.
“Mi dispiace per tutto, Harry.”
Non ce la feci nemmeno ad aspettare che la voce di Niall sfumasse nel silenzio.
“Lou, non devi…”
“Sì invece” questa volta fui io a interromperlo, “perché non importa quanto male mi abbia fatto quella maledetta conversazione, io non avevo alcun diritto di trattarti come ho fatto. Ero deluso e ferito, e forse lo sono tutt'ora, perché non riesco a capire il motivo per cui hai voluto allontanarmi, ma non meriti questo trattamento da parte mia, soprattutto non dopo quello che hai fatto per me e mia madre nonostante in questo mese ti abbia continuamente respinto, e soprattutto non dopo ciò che mi hai detto l’altra sera.”
“Credi davvero di essere tu a doverti scusare? Il tuo comportamento è più che lecito Louis, io ti ho ferito. Ho ferito te, il mio migliore amico, la mia ancora, e l'ho fatto con la consapevolezza che ti avrebbe distrutto. L'odio è il minimo che tu possa riservarmi.”
Quelle parole fecero male, portarono a galla i miei incubi più frequenti, e allora l’esigenza e l'impellenza di sapere, una volta e per tutte, si fecero avanti prepotentemente.
“E allora perché lo hai fatto? Se sapevi che mi avrebbe distrutto, perché mi hai lasciato andare? Non ti bastava quello che eravamo? Non ero abbastanza per te?”
Potevo sentire il dolore e la frustrazione, mescolati, scorrere nelle vene che sporgevano dal mio collo rosso.
“Quello che eravamo era tutto ciò che mi serviva per andare avanti e continuare a vivere in quello schifo di posto! Ma era proprio questo il problema Louis, stavamo cadendo malati. La distanza, la separazione, ci stavano uccidendo. Vedevo come ti consumava la mia mancanza e mi sentivo malissimo, perché ero un fottuto egoista ed ero partito senza di te. Ogni videochiamata mi mostrava come i tuoi occhi si stessero spegnendo di giorno in giorno, consumati dall'odio che cominciavi a provare nei confronti di te stesso, perché non avevi abbastanza soldi per raggiungermi, perché avevi una famiglia disastrata che non potevi lasciare, e perché non potevi rendermi abbastanza felice con un oceano a dividerci!”
“Ma tu mi avevi detto che…”
“Ho mentito, ho dovuto farlo! Piuttosto che farti odiare te stesso avrei preferito che tu odiassi me per il resto della vita. Ma forse ho sbagliato tutto, perché tu mi hai creduto così facilmente… Lo so che ho mandato tutto a puttane, che ho rovinato l'unica cosa bella che ci fosse rimasta, so che ti ho lasciato solo e che ti ho ferito, però ti prego Louis, perdonami, perché io non ce la faccio più ad andare avanti così. Questi di ora non siamo noi, noi non siamo mai stati così.”
Si era lasciato andare ad un monologo frenetico, un’accozzaglia di parole sregolate, spinto dal bisogno di tirare tutto fuori, insieme ad un lago di lacrime che aveva invaso il suo viso stanco, ma comunque perfetto.
Le sue parole mi colpirono talmente intensamente che ne ebbi quasi paura.
Fu come se il mio cuore si stesse liberando delle mura di cemento che per anni si era costruito attorno.
Al mio organo, per troppo tempo maltrattato, non rimaneva che respirare di nuovo la libertà e muoversi frenetico, al ritmo della felicità.
“Io non ti odio Harry, non l'ho mai fatto né mai lo farò. Penso sia impossibile che un Louis Tomlinson possa odiare un Harry Styles. Il Louis che vedi adesso non è così per colpa tua, smettila di colpevolizzarti.”
Un singhiozzo gli sfuggì rumoroso dalle labbra tremanti e bagnate dal pianto.
Fu naturale, proprio come lo era stato un tempo, avvicinarmi e raccogliergli con la punta delle dita le lacrime che si rincorrevano in una lotta frenetica sulle sue guance bollenti.
Tremò al contatto, fu un fremito impercettibile ma io me ne accorsi, perché lui era attorno a me, dentro di me, ovunque, sempre, ad invadere i sensi con la sua dolce prepotenza.
“E cos’è successo al Louis che conoscevo?”
“Ha sofferto, Harry. Talmente tanto che a volte non riesce a vedere la luce del sole.”
Un singhiozzo più forte abbandonò le sue labbra a quelle parole, io rafforzai la presa sul suo viso.
“Come faccio a non sentirmi colpevole? Tu dici che non è colpa mia, ma se io ci fossi stato sarebbe stato tutto diverso, non è così?” sussurrò piano.
Leggevo nei suoi occhi l’ansia di scoprire quale sarebbe stata la mia risposta, di capire ancora una volta quanto essenziale lui fosse per me.
“È vero, sarebbe stato più facile, forse mi sarei sentito più forte. Ma adesso non ha più senso rimuginarci sopra, il passato è passato, bisogna andare avanti. E lo so che fino a qualche giorno fa non la pensavo così, e so anche che per te è stato difficile riavermi indietro, ma tu, questo posto, noi di nuovo insieme a Doncaster, mi ha fatto pensare a quando tu eri ancora qui con me, a quando eravamo piccoli, a quanto io ero felice prima che tu te ne andassi e la mia vita cominciasse ad andare a rotoli. Quando sei tornato hai portato con te così tanti ricordi, Harry, che è stato come se qualcuno avesse riaperto con forza le porte dietro cui credevo di averli chiusi per sempre. Quello che hai visto non è odio, è solo il mio modo di non crollare, pensavo che respingendoti sarei rimasto in piedi, ma non è stato così, perché saperti di nuovo in paese mi ha sconvolto, rivederti mi ha fatto combattere con quella enorme parte di me che avrebbe solo voluto abbracciarti, proprio come avrei voluto abbracciarti pochi giorni fa nel giardino di casa mia. Ed è stato lì che finalmente ho capito: la mia vita è talmente piena di sofferenze e problemi che non voglio tu faccia parte di questi. Tu sei sempre stata la parte più bella, più vera, e voglio che continui ad essere così. Non importa se mi hai fatto male, perché te ne ho fatto anch’io. La cosa che più conta adesso è che sei qui, con me, e probabilmente sarò un egoista, ma ho bisogno che tu ci sia.
Quindi basta farci la guerra Haz, non siamo fatti per questo.”
I suoi occhi, nell'udire di nuovo dopo anni quel soprannome, se possibile, divennero ancora più luminosi.
Mi sorrise ampiamente allora, avvolgendo le sue mani attorno alle mie che circondavano il suo viso.
Sorrisi anch’io, forte, mille farfalle a volare in giro tra cuore e stomaco.
Con uno slancio mi fu addosso, avvolgendomi tra le sue braccia e tenendomi talmente stretto che lo sentii dentro di me.
Il suo odore mi arrivò dritto alle narici, cogliendomi di sorpresa.
Profumava di sogni e di promesse, di vecchi ricordi, di una nuova città, della panetteria in cui aveva lavorato a sedici anni, e inspiegabilmente, profumava anche di me.
Fu come se tutto il mondo mi fosse entrato dentro d’un tratto: un cataclisma.
Non riuscii a non pensare, mentre ricambiavo la sua stretta, che forse, grazie a quel contatto, la mia vita avrebbe ricominciato ad essere meno buia.
Con quell'abbraccio aveva costruito degli argini attorno alla mia anima, impedendole di andare dispersa nel fiume di dolore; aveva riportato speranza, gioia; aveva liberato la vita che adesso scorreva a velocità della luce nelle mie vene.
Successe tutto all’improvviso, un tuono nel silenzio.
Quando ci staccammo, mi passò una mano sullo zigomo, una carezza leggera, e solo allora mi accorsi che stessi piangendo anch’io.
“Abbiamo infranto tutte le nostre promesse” mi lasciai sfuggire, in balia dei ricordi e assalito da un’improvvisa angoscia.
Il suo sguardo si accigliò un attimo, poi scosse la testa nascondendo un sorriso, mentre delicatamente mi passava una mano tra i capelli scomposti.
“Non tutte. Inconsciamente, abbiamo mantenuto fede a quella più importante: in qualsiasi tempo e spazio, non abbiamo mai smesso pensarci, di volerci bene.”
Una verità che avevo ignorato, sottovalutato, e che adesso invece mi si palesava nella sua estrema veridicità.
Dopo quello, sentii l’esigenza di abbracciarlo di nuovo.
Mi sentivo finalmente libero, privo della pesantezza che mi ero trascinato addosso per gli ultimi anni.
Stavo cominciando a mettere a posto tutti i pezzi di una parte della mia vita, quella con Harry, e mi sentivo in pace col mondo, con me stesso.
Forse da lì in poi tutto sarebbe stato in discesa.
Guardai l’orizzonte: il sole era quasi sorto, il buio quasi completamente scomparso.
Il mio cuore era finalmente tornato al suo posto.
 
 
Ritornammo nella sala dopo mezz'ora, gli occhi ancora gonfi dal pianto e le guance indolenzite per i sorrisi.
“Dov'eravate? Vi cerchiamo da quando Niall ha finito di esibirsi. La sua canzone merita un brindisi!”
Un Liam ubriaco fradicio e su di giri ci afferrò per i gomiti e ci trascinò poco delicatamente alla postazione di prima.
I nostri bicchieri pieni d'alcol già disposti in fila ad aspettarci.
“A Niall, e alla sua splendida canzone!”
“E a questi due bastardi che se la sono persa!” aggiunse l'irlandese, ormai completamente ubriaco.
Ridemmo di cuore mentre facevamo il nostro secondo brindisi, ed io, preso dall'euforia del momento, decisi di fare una cosa avventata, semplice, forse anche un po’ stupida, ma non ci volli pensare più di tanto. Semplicemente volevo farlo, quindi, incoraggiato anche dall'alcol, presi la bottiglia di tequila e riempii soltanto il mio bicchiere e quello di Harry.
“Adesso è il mio turno di fare un brindisi!” annunciai.
Mi schiarii la voce e puntai i miei occhi nei suoi.
“A volte l'unico modo per guarire è lasciare uscire tutto fuori.
Ricominciamo da qui.
Ricominciamo da noi.”
Scontrai il mio bicchiere col suo, e nel momento in cui nell'aria si liberò il tintinnio del vetro, Harry scoppiò in un pianto di gioia.
Bevemmo la nostra tequila fra le urla di giubilo di Niall e dei “finalmente! Grazie Signore, grazie!” di Liam, che a mani giunte guardava verso l'alto e non riusciva a smettere di sorridere.
Risi di cuore anch'io, finalmente felice, finalmente a casa, quando attirando Harry in un abbraccio mi resi conto che attaccata al collo portava ancora la collana che gli avevo regalato la notte prima della sua partenza, sotto le ombre della luna.
“La indossi ancora?” domandai a corto di fiato, estasiato, stupito, contento da far schifo.
“Non l’ho mai tolta. Te l’avevo promesso, ricordi?”
Annuii frenetico, sfregando la mia guancia contro la sua, sentendo una lacrima bagnarla.
“Grazie” gli sussurrai piano, scostandogli una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
“Per cosa?”
“Per aver mantenuto anche questa promessa. E per non esserti arreso con me” confessai, mentre con un indice sfioravo l’ala dell’aeroplanino su cui avevo fatto incidere una frase quattro anni e mezzo prima.
“Te lo dovevo, e lo dovevo anche a me. Meritavamo un’altra possibilità.”
 
 
 
 
Quattro anni e mezzo prima
 
Fu la prima cosa che vidi appena entrai a casa. Svettava in perfetto contrasto sul tavolo nero, colpita dalla luce del sole che entrava da uno spiraglio della tenda lasciata aperta.
La stanchezza della mattinata appena trascorsa svanì subito, sostituita dall'adrenalina e dall'emozione.
Lanciai a terra lo zaino, mi fiondai subito sulla busta e salii di corsa in camera mia. Mi chiusi la porta alle spalle, cominciando a strappare spasmodicamente la carta, fremente dalla voglia di leggere le parole che negli ultimi mesi avevano costellato i sogni miei e di Harry.
‘Congratulazioni, è risultato idoneo per sostenere un provino per la nostra squadra.’
Non proseguii oltre, mi riversai sul corridoio, scesi le scale e cominciai a gridare dalla gioia richiamando l’attenzione di mia madre.
“Sono idoneo!” le andai incontro, ma contro ogni mia aspettativa, mi accolse con triste velo di colpevolezza negli occhi.
“Lou, tesoro, dobbiamo parlare.”
“Dopo, parleremo dopo. Adesso devo chiamare Harry per dirgli che è arrivata la lettera!”
“Non credo sia una buona idea dirglielo adesso.”
“Ma che stai dicendo? Certo che è una buona idea.”
Sospirò affranta, scuotendo la testa, e senza avere il coraggio di guardarmi, mi indicò di sedermi.
“Mamma, che sta succedendo?” chiesi preoccupato.
Un brutto presentimento a farsi spazio nella testa.
“Si tratta di Los Angeles, Boo…”
Quella che avemmo per l'ora successiva fu la conversazione che cambiò le sorti del mio futuro, ma quello allora non potevo ancora saperlo.
 
Piansi per un pomeriggio intero, i sogni infranti non appena avevano cominciato a prendere vita, le speranze perse con un soffio di vento.
Perché tutto doveva essere così difficile? Perché ogni cosa agognata doveva disintegrarsi davanti ai miei piedi non appena la sfioravo? Perché per provare a raggiungere i miei sogni dovevo sempre faticare, soffrire? Era troppo chiedere un po’ di gioia e serenità senza che qualcosa andasse storto? Era forse sbagliato volersi lasciare alle spalle i problemi e guardare al futuro con la speranza nella mano destra e il mio migliore amico aggrappato a quella sinistra?
Il telefono prese a squillare troppo forte per il silenzio in cui era sprofondata la mia stanza.
Era Harry.
Risposi sperando non si accorgesse che avessi pianto.
“Lou, è arrivataaa! Potrò finalmente studiare per diventare radiofonico, sto sognando!”
E adesso che avrei fatto? Come avrei potuto dirgli che anche io avevo ricevuto la lettera da parte della squadra di calcio che avevo scelto ma che al contrario suo non sarei partito?
“È grandioso Haz! Non avevo dubbi saresti entrato” mi sforzai di risultare entusiasta.
“A te ancora niente?”
Tentennai.
Avrei dovuto dirglielo così, su due piedi, spezzando la magia di quel suo momento?
No, non potevo.
“No, nessuna lettera per adesso.”
Per questo mentii, era l'unica cosa che potevo fare.
 “Lou sta' tranquillo, presto arriverà anche a te, e prima di accorgercene saremo per le strade di Los Angeles a sorseggiare frullati di Starbucks e a crogiolarci sotto il tepore del sole della California” mi incoraggiò con voce sognante.
Sorrisi amaramente a quell’immagine, ormai consapevole che non si sarebbe realizzata, non subito almeno.
Passammo il resto della serata al telefono, lui con il cuore intriso di gioia e la mente abitata dalle più felici delle fantasie, io a cercare di risalire dal buio in cui ero rimasto inevitabilmente intrappolato e da cui non vedevo via d’uscita.
 
Passarono le settimane e le bugie cominciarono a diventare macigni di piombo, mentire stava diventando sempre più difficile, soprattutto quando vedevo Harry diventare di giorno in giorno sempre più ansioso, in attesa dell'arrivo della mia lettera.
Decisi di dirgli la verità.
Un pomeriggio, sulla strada di ritorno verso casa dopo scuola, gli afferrai silenziosamente la mano e deviai il nostro percorso.
Quando arrivammo alla fermata del treno Harry non fece domande, salì con me e stette in silenzio, scrutandomi preoccupato di tanto in tanto, fino a quando non arrivammo a Londra.
Scesi dal treno trascinandomelo dietro, e sempre stringendogli la mano, lo condussi sotto l'albero di quel parco che durante le giornate più tristi era diventato il nostro rifugio.
Dirgli la verità risultò la cosa più difficile che avessi fatto fino a quel momento, ma era la cosa giusta da fare.
Sotto quello stesso albero, tre mesi dopo, trascorremmo la notte prima della sua partenza.
 
Tre mesi dopo
 
Un fiore si lasciò cadere dal suo ramo, fluttuò silenziosamente nell'aria e interruppe il suo breve volo depositandosi tra i ricci di Harry.
Lui fece per levarselo ma lo bloccai subito.
“Lascialo lì.”
Sorrise leggermente, guardando in su tra i suoi capelli, e dopo quel sorriso il crepuscolo davanti a noi mi sembrò subito più cupo.
Poi qualcosa si ruppe, e quel sorriso si trasformò in pianto, e l'aria serena di poco prima venne sconvolta dal tremore delle sue spalle.
“Mi dispiace Lou, ti avevo giurato che non avrei pianto, ma non ce la faccio. Il pensiero di andarmene senza di te, di lasciarti qui da solo, mi distrugge.”
Lo guardai attraverso il velo sottile di lacrime che stava cominciando ad appannarmi la vista, ed era vero, aveva davvero gli occhi di chi si sentiva distrutto, intrisi di sofferenza ed impotenza.
Non potevo sopportare di vederlo così, soprattutto se la causa del suo pianto ero io.
Me lo trascinai sulle ginocchia e lo abbracciai, cullandolo come un bimbo fra le mie braccia.
“Non fare così Haz, per favore. Io starò bene, te lo prometto. Cercherò di inserirmi a Londra, farò dei provini e continuerò a lavorare per raccogliere i soldi, e non appena potrò, ti verrò a trovare. Ma adesso smetti di piangere, ti prego, devi essere felice, realizzerai il tuo sogno.”
“Non sarò mai felice abbastanza se non tu non sarai con me” mi confessò, premendo il naso contro il mio collo.
Sorrisi per il leggero solletico che avvertii e per la sua disarmante e sfacciata dolcezza.
Decisi allora che non potevo aspettare più.
Sentivo l’urgenza di vederlo sorridere, ed era talmente prepotente da farmi prudere le mani.
Quel regalo cominciava a diventare fuoco nelle mie tasche, bruciava d’impazienza.
“Avrei voluto dartelo domani, ma così mi costringi a fare tutto adesso.”
Sollevò la testa di scatto, guardandomi con un pizzico di curiosità a rendere meno tristi i suoi occhi.
Pregustavo già il suono delizioso che avrebbe avuto la sua risata non appena lo avrebbe visto, e non potei trattenermi dal sorridere.
“Di che parli?”
“È una scemenza, ma serve a ricordarti che io sarò sempre con te.”
Frugai nella tasca del mio giubbotto di pelle sotto al suo sguardo pieno di aspettativa, e quando trovai il piccolo pacchetto che avevo incartato da me, sentii l’aspettativa crescere, impaziente com’ero che lo aprisse, che vedesse con i suoi occhioni verdi e toccasse con le mani inanellate quello che io non ero in grado di esprimere a parole, ma che era tutto racchiuso lì, in quel piccolo oggetto.
Gli porsi il regalo e lui, come un bambino la notte di Natale, lo afferrò velocemente, scartandolo con cura.
Sollevò la catenina con mani tremanti e non appena vide il ciondolo scoppiò di nuovo a piangere.
“Lou” sospirò incredulo, guardandomi con una lucentezza negli occhi talmente abbagliante da farmi tremare l’anima.
“È perfetta.” 
“Leggi qui” indicai un punto con l’indice e i suoi occhi saettarono in quella direzione.
“You’ll never be alone” lesse sottovoce, a corto di fiato, come per non inquinare quel momento già perfetto con la sua voce tremolante e bagnata di lacrime.
“Quando ti sentirai solo, spaesato, triste, e penserai di non potercela fare, di non sapere come andare avanti, guarda questa collana e ricordati che non importa se ci saranno chilometri e distese di mare a separarci, io sarò sempre con te” gli sfiorai il petto con leggerezza, soffermandomi con il palmo sul suo cuore scalpitante, “proprio qui. Quindi per favore, qualsiasi cosa succeda, non toglierla mai. Promettimelo.”
Mi guardò serio, come raramente faceva, ed annuì con una solennità che mi fece paura per quanto intensa.
“Te lo prometto, Lou.”
Mi porse poi la collana, in una tacita richiesta di fargliela indossare.
La allacciai attorno al suo collo, facendola adagiare sul suo petto, e indugiai qualche minuto in più con le mani sul suo scalpo, lasciandogli piccole carezze e sperando che quelle potessero calmare i piccoli singhiozzi che ancora lo scuotevano.
Sembrò funzionare, perché dopo un po’ si calmò, e senza smettere di accarezzare l’aeroplanino argentato, mi rivolse uno sguardo imbarazzato.
“Lou, io non ti ho preso nulla.”
Si morse le labbra in un gesto nervoso, cominciando a torturarle come sempre faceva quando si sentiva in difficoltà.
“È una fortuna allora che abbia pensato anche a questo!”
Con un balzo mi alzai da terra, spolverando dal retro dei jeans alcuni fili d’erba e porgendo una mano ad Harry, invitandolo ad alzarsi.
“Di che parli?”
“Lo scoprirai solo se sarai più veloce di me.”
L’ultima cosa che vidi fu la sua espressione stralunata.
L’attimo immediatamente successivo stavo già correndo dalla parte opposta del parco, quella che portava in centro città.
“Stronzo!” lo sentii gridare alle mie spalle, prima che scoppiasse a ridere.
Corremmo per almeno dieci minuti, i passanti che incrociavamo ci guardavano come fossimo pazzi, ma a noi non interessava.
Stavamo vivendo, ridevamo felici, correvamo incontro alla vita e ci godevamo il vento che ci colpiva la faccia e ci restituiva la voglia di gioire e stupirci ancora delle piccole cose.
Nonostante Harry avesse le gambe più lunghe delle mie, non riuscì a superarmi, così quando arrivai per primo a destinazione aspettai che mi raggiungesse.
Quando mi si affiancò, imitò la mia posizione e si accasciò con la schiena al muro cominciando a tossire.
“Se entro stanotte sputo un polmone mi avrai sulla coscienza per il resto della vita!”
“Quanto sei melodrammatico! Piuttosto, possiamo entrare o devo aspettare che sputi anche l’altro polmone?”
“Primo: sei un idiota. Secondo: io non mi muovo da qui fino a quando non mi dirai dove mi stai portando.”
“Se leggi l’insegna del negozio sono sicuro capirai da solo quale sia la nostra destinazione.”
Sbuffò indispettito, ma fece come gli chiesi.
Non appena alzò lo sguardo sgranò gli occhi, lasciandosi sfuggire dalle labbra un verso sorpreso.
“Mi hai portato a fare un tatuaggio?” sospirò incredulo.
“Non esattamente. A fare il tatuaggio sarò io, tu dovrai solo tenermi la mano.”
Mi guardò con le guance chiazzate di rosso e un’emozione in viso che non riuscì a camuffare.
Lo afferrai per un braccio e lo trascinai dentro, provando ad evitare di pensare all’ansia che mi si era sedimentata all’altezza del petto al pensiero di ciò che stavo per fare.
“Cosa ti farai tatuare?” mi sussurrò all’orecchio mentre seguivamo il tatuatore in una stanza.
“Non avere fretta Harry, fra poco lo scoprirai.”
Lui annuì, provando a soffocare la curiosità, ma lo vedevo da come sbatteva per terra la punta del suo stivaletto che stesse fremendo per scoprire cosa mi sarei fatto incidere sulla pelle.
Non appena mi sedetti sul lettino e sollevai la manica della mia felpa, indicando il punto preciso in cui avrei voluto il tatuaggio, vidi Harry trattenere il respiro.
Gli sorrisi, tendendogli la mano in un tacito permesso di avvicinarsi.
Mi fu accanto in un attimo, strizzando le mie dita tra le sue e lasciandomi di tanto in tanto delle carezze sul palmo.
Non distolse lo sguardo dal mio avambraccio nemmeno un istante, osservando con meraviglia il piccolo aeroplano stilizzato che prendeva forma sotto i suoi occhi meravigliati.
Non appena venti minuti più tardi uscimmo dal negozio di tatuaggi, mi attirò in un abbraccio caldo, sicuro, forte.
“Da quant’è che pensavi di farlo?”
“Ho prenotato un mese e mezzo fa.”
Si staccò dall’abbraccio, guardandomi sorpreso per un lungo momento, poi mi attirò di nuovo a sé.
“Grazie.”
La voce strozzata e resa flebile dall’emozione.
Lo strinsi di più, affondando le mani tra i suoi ricci profumati d’orchidea.
“Per cosa?”
“Per avermi regalato la notte più bella della mia vita e per esserti inciso sulla pelle la nostra promessa. Sei il migliore.”
Gli rivolsi una sguardo carico di quella che fui sicuro sembrasse devozione. E lo era.
“Grazie a te per essere arrivato nella mia vita e aver portato la meraviglia che solo le stelle comete sanno donare.”
“È stato un onore.”
Dopo quello ci fu silenzio per molto tempo, semplicemente camminammo abbracciati per le strade di Londra, godendoci la spensieratezza e la purezza dei nostri ultimi momenti insieme.
Arrivati alla stazione gli strizzai la mano, attirando la sua attenzione.
“Harry, devo dirti una cosa.”
“So che ci sono cose di cui dovremmo parlare, ma lo faremo dopo, quando arriveremo a casa.”
Annuii, fidandomi di lui.
Illusi, stupidi, ingenui.
Non potevamo sapere che non ci sarebbe stato un dopo.
 
Salimmo sul treno all’una e mezza di notte.
I nostri telefoni esplodevano per le chiamate preoccupate delle nostre mamme, ma a noi non importava. Eravamo scompostamente seduti sui sedili del treno, gli occhi quasi chiusi per la stanchezza, le gambe intrecciate, e le mani che si sfioravano dispettosamente dentro al pacco di caramelle gommose che avevamo comprato sulla strada di ritorno.
Quando Harry ne ebbe abbastanza delle caramelle sfilò la mano dal sacchettino e si appisolò sulla mia spalla, cominciando ad accarezzare distrattamente il mio tatuaggio coperto dalla pellicola trasparente.
Appoggiai la testa sulla sua e mi beai dei suo tocchi delicati.
Avevamo chiuso il mondo fuori, perché tutto quello di cui avevamo bisogno in quel momento era proprio al nostro fianco.
Quando arrivammo a Doncaster indugiammo più del solito per scendere dal treno, consapevoli che il nostro tempo era quasi scaduto e desiderosi che ce ne venisse concesso dell’altro.
“Non voglio che questa notte finisca, Lou. Non portarmi a casa” piagnucolò Harry, ciondolando per strada.
Alzai gli occhi al cielo, esasperato. Sapevo che avrebbe cominciato a fare i capricci.
“Devi andare a letto, Haz. Domani hai l’aereo prestissimo.”
“Allora dormi con me.”
“Non posso. Mia madre mi uccide se non rientro, lo sai.”
“Lou, ti prego. Tua madre capirà.”
E davvero… Come facevo a dirgli di no se mi guardava in quel modo, come se da una mia semplice risposta affermativa dipendesse la sua felicità ?
Non potevo. E infatti non lo feci.
“E va bene, ma appena arriviamo a letto ti metterai subito a dormire. Altrimenti, oltre a dover affrontare la furia di mia madre per aver dormito fuori,  domani dovrò affrontare anche quella di tua madre per averti fatto fare tardi.”
Mi saltò al collo, al settimo cielo, schioccandomi numerosi baci sulla guancia.
“Sapevo non mi avresti detto di no. Sei il migliore!”
“Lo so, lo so. Adesso però andiamo.”
Lo trascinai verso casa sua e quando arrivammo, cercando di fare meno rumore possibile, lo condussi nella sua stanzetta.
Gli feci indossare il pigiama, lo misi a letto, e dopo aver recuperato da un cassetto il cambio che tenevo lì per le emergenze, lo raggiunsi sotto le coperte.
“Buona notte Lou” mi disse dolcemente, sfiorando il mio naso col suo.
I respiri resi pesanti dal sonno si mescolavano nel piccolo spazio che separava i nostri visi stanchi.
“Buona notte Haz.”
Gli lasciai un tenero bacio sulla fronte, sentendolo respirare beato.
Chiusi gli occhi per un attimo.
Quando li riaprii era già giorno.
Il cuore in petto era più pesante, sulle labbra riposava un dolce sapore, quasi di miele, che non mi era mai appartenuto.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Questo capitolo lo dedico a te.
Che mi capisci sempre anche quando sto in silenzio,
che mi ascolti pazientemente quando parlo troppo,
e che mi riconosci in mezzo a parole tra cui gli altri
non riconoscerebbero le mie tracce, i pezzi di me che consegno alle pagine.
Per questo, e per molto altro, ti ringrazio.
Ti voglio infinitamente bene.
 
 
 
Note:
1 L’abito è lo stesso che Harry (quello vero) ha indossato alla premiere di Dunkirk in Francia.
2 La frase è la traduzione della prima parte del ritornello di This Town di Niall: “if the whole world was watching i’d still dance with you”
 
Note personali:
Buon giorno ragazze, bentornate!
Mi scuso per il ritardo, ma scrivere in questo mese è stato quasi impossibile.
Mi auguro però che con il contenuto del capitolo mi sia fatta perdonare.
Finalmente la tregua è arrivata e per Harry e Louis si prospetterà un periodo sereno.
Non ho molto da dire su questo capitolo, credo parli abbastanza da sé.
Sono solo contenta di averlo finalmente pubblicato, perché nella mia testa ha cominciato a prendere forma più o meno un anno fa, ma scriverlo è stato più difficile di quanto pensassi.
A farmi compagnia durante la sua stesura sono state diverse canzoni che spero vogliate ascoltare anche voi per calarvi di più nell’atmosfera di queste pagine. Sentitevi liberi di riconoscere in esse i Larry di questa storia.
Purtroppo devo comunicarvi che per tutto gennaio e febbraio non potrò aggiornare la storia, causa: sessione invernale che si sta abbattendo su di me come le piaghe d’Egitto.
Spero però di riuscire a pubblicare qualcosa (non inerente a questa storia) che sto scrivendo da un po’ e che dovrebbe essere completa a breve.
Quindi se siete curiosi di sapere di cosa si tratta, date una sbirciata al mio profilo nei prossimi giorni.
Qui invece ci sentiremo fra due mesi.
Un abbraccio,
Letizia.
 
Canzoni:
When we were young – Adele
This Town – Niall
You’ll never be alone – Shawn Mendes
Photograph – Ed Sheeran
Midnight city – M83
Outro – M83
 
   
 
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