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Autore: Saigo il SenzaVolto    07/01/2018    3 recensioni
AU, CROSSOVER.
Prequel de 'La Battaglia di Eldia'
Boruto Uzumaki, il figlio del Settimo Hokage di Konoha. Un prodigio, un genio. Un ragazzo unico nel suo genere.
Un ragazzo il cui sogno verrà infranto.
Una famiglia spezzata. Una situazione ingestibile. Un dolore indomabile. Una depressione profonda. Un cuore trafitto.
Ma, anche alla fine di un tunnel di oscurità, c'è sempre una luce che brilla nel buio.
Leggete e scoprite la storia di Boruto Uzumaki. La sua crescita, la sua famiglia, il suo credo, i suoi valori.
Leggete e scoprite la storia di Boruto Uzumaki. Un prodigio. Un ninja. Un traditore. Un Guerriero.
Genere: Avventura, Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Boruto Uzumaki, Himawari Uzumaki, Hinata Hyuuga, Naruto Uzumaki, Sarada Uchiha | Coppie: Hinata/Naruto, Sasuke/Sakura
Note: AU, Cross-over, OOC | Avvertimenti: Spoiler! | Contesto: Dopo la serie
Capitoli:
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UN ERRORE FATALE

 

22 Ottobre, 0010 AIT
Villaggio della Foglia, Terra del Fuoco.
Torre dell'Hokage
19:00


13 anni prima degli eventi del capitolo precedente e 10 prima de ‘La Battaglia di Eldia’
 
“Ti rendi conto di quello che hai fatto?”

Boruto sentì il suo stomaco precipitare fino ai piedi sotto lo sguardo freddo ed inquisitorio di suo padre. Il suo cuore prese a battere freneticamente, mentre la sua mascella si mosse su e giù ripetutamente nel vano tentativo di riuscire a formulare qualcosa, qualunque cosa che potesse aiutarlo ad uscire da quella situazione.

Il suo piccolo corpo prese a tremare leggermente. “I-Io… Quello è…” provò a dire pateticamente.

Quello,” lo incalzò suo padre severamente, puntando con un braccio fuori dalla finestra dell’ufficio. “È il simbolo del nostro Villaggio! È ciò che simboleggia al mondo la nostra storia, il nostro coraggio e la nostra Volontà del Fuoco! La montagna degli Hokage è l’orgoglio di Konoha e della sua gente!”

Boruto alzò la testa per guardare suo padre, seduto con le braccia incrociate dietro la scrivania. Il suo sguardo crollò immediatamente a terra appena vide l’espressione di rabbia e disappunto sul suo volto. Sentiva la bocca dolorosamente asciutta e le gambe sempre più tremanti per la vergogna e il pentimento.

“Ma è evidente che tu non ti rendi ancora conto dell’importanza che quei volti hanno per il Villaggio,” riprese a dire il Settimo Hokage, il suo tono freddo. “Visto come hai deciso di sfigurarli senza pensarci due volte!”

Il silenzio nell’ufficio era glaciale. Le parole di suo padre risuonarono con forza e prepotenza tra le pareti della stanza. Boruto sentì le lacrime cominciare a formarsi negli occhi. Le mani si serrarono con forza nel tentativo di trattenere i singhiozzi.

Il suo sguardo si posò lentamente sulla finestra dell’ufficio, osservando la montagna in questione che si vedeva torreggiare all’esterno. I suoi occhi si soffermarono timidamente sull’ultimo volto di pietra scolpito nella roccia, e il piccolo bambino sentì le proprie guancie divenire rosse per l’imbarazzo e la vergogna.

La vernice viola risaltava in maniera evidente sul volto di suo padre. Una gigantesca scritta compariva sulla guancia destra, le parole ‘STUPIDO VECCHIO’ dipinte con maestria e decisione, mentre due grossi cerchi rotondi circondavano gli occhi del volto di pietra, dando l’impressione che esso indossasse degli occhiali orribili.

La vergogna crebbe a dismisura dentro di lui. Il suo sguardo si posò di nuovo a terra, incapace di sostenere la vista di quel misfatto che lui stesso aveva compiuto appena un’ora prima.

Boruto avrebbe dato qualunque cosa pur di sparire dalla faccia della terra in quel momento. Sotterrarsi da solo non gli era mai parsa un’idea così allettante prima d’ora. Il pentimento e l’imbarazzo che provava dentro di lui non erano descrivibili a parole.

Aprì la bocca per tentare di giustificarsi.

“Non posso più tollerare questo tuo atteggiamento!” lo anticipò suo padre bruscamente, interrompendo qualsiasi cosa avesse in mente di dire. “Posso capire i miei documenti scarabocchiati, posso capire le macchie di ramen sulla mia nuova cappa da Hokage, ma questo non posso tollerarlo! Stavolta hai davvero esagerato!”

Boruto sentì una lacrima colargli giù dal mento.

“Suvvia Naruto,” disse improvvisamente Shikamaru alle sue spalle, facendo un passo in avanti. “Boruto è solo un bambino, non essere così severo con lui. Anche tu alla sua età avevi fatto qualcosa di simile, o sbaglio?”

Le guancie di Naruto si colorarono di rosso per un istante, ma la sua espressione rimase fredda e seria.

“Non è la stessa cosa!” ribatté seriamente, guardando di sbieco il suo amico nonché fedele consigliere. “All’epoca io ero un orfano scapestrato. Un moccioso privo di controllo che non aveva nessuno che gli insegnasse cosa fosse giusto e cosa sbagliato. Ma l’atteggiamento di Boruto è un insulto all’educazione che Hinata e io abbiamo sempre cercato di fornirgli, oltre che un insulto alla mia figura!”

Shikamaru sospirò, passandosi una mano tra i capelli. “Eccolo che ricomincia.” borbottò mentalmente. “Perché devi sempre prendere tutto così seriamente quando sei al lavoro? Che seccatura..:”

Lo sguardo di Naruto si posò di nuovo sul piccolo corpo di suo figlio.

“Allora, mi spieghi perché hai fatto una cosa simile?” domandò con un tono che non ammetteva repliche.

La testa di Boruto era puntata sempre in basso, le sue spalle che si muovevano su e giù a causa del pianto e dalla vergogna.

“I-Io,” singhiozzò sommessamente senza alzare lo sguardo da terra. “Volevo solo… passare un po’ di tempo… con te…”

L’espressione di suo padre si addolcì lievemente nel vedere quel piccolo bambino in lacrime. Un’ombra di dolore gli attraversò gli occhi a quella vista. Tuttavia il Settimo Hokage si riscosse dopo un secondo. Non poteva permettersi di essere negligente in quel momento. Non poteva lasciare che suo figlio continuasse a portare avanti quell’infantile sceneggiata solo perché voleva passare del tempo con lui.

“Io sono l’Hokage, Boruto,” disse seriamente suo padre. “E il mio dovere è quello di proteggere e di occuparmi del Villaggio ogni giorno. Per coloro che indossano il mio cappello, tutto il Villaggio rappresenta una grande famiglia. So che può essere difficile, ma devi comprendere che non posso pensare soltanto a te. Tutte le persone del Villaggio contano sull’Hokage per riuscire a mantenere uno stile di vita accettabile. Non posso occuparmi soltanto di te.”

Boruto non rispose, continuando a tenere la testa bassa. I suoi pugni si serrarono con forza. I suoi denti si strinsero in un moto di frustrazione. Sentì la rabbia cominciare a rimpiazzare la vergogna dentro di lui. Sentì la collera prendere il sopravvento del pentimento.

Naruto chiuse gli occhi e sospirò, poggiando le braccia sulla scrivania. “Adesso vai a casa,” disse lentamente. “Parleremo di nuovo più tardi.”

In quell’istante, tutta la rabbia repressa dentro di lui scoppiò all’improvviso.

Boruto sgranò gli occhi ed alzò la testa di scatto, sbattendo con forza la mano sopra la scrivania e fissando il volto sbigottito di suo padre con un’espressione di pura rabbia e frustrazione.

“Parleremo più tardi? Parleremo più tardi!” urlò con furia e collera. “Avrai davvero tempo di parlare di nuovo con me, papà? Sei sempre talmente impegnato col Villaggio che ormai non ci vediamo più da giorni! Se tu fossi stato un vero padre per me, allora io non avrei mai fatto una cosa del genere!”

La sua voce uscì fuori debole e roca, rotta incessantemente dal pianto. Le sue ginocchia si fecero sempre più deboli, sempre più tremanti a causa della tensione emotiva che gli pervadeva la mente.

La ragione tornò ad avere la meglio dopo alcuni secondi. Boruto abbassò di nuovo lo sguardo a terra, levando la mano dalla scrivania. Tuttavia decise di dire un’ultima cosa prima di andarsene. Decise di dire veramente come la pensava un’ultima volta.

“Preferirei essere un orfano piuttosto che avere un padre simile!” sussurrò a testa bassa.

Le sue parole risuonarono nella stanza con chiarezza, nonostante fossero state pronunciate con un sussurro. Il silenzio prese a regnare sovrano per diversi secondi nell’ufficio. Nessuno dei presenti riuscì a muoversi per diversi secondi.

Shikamaru fissò la piccola figura di quel bambino con sgomento e tristezza, ma Boruto era troppo impegnato a fissare il pavimento per riuscire a notarlo. Non vide neppure come l’espressione di suo padre si riempì di dolore all’udire quelle parole.

Poi però Naruto si riscosse dallo stupore, rafforzando la sua risoluzione.

“Il figlio di un Hokage non si comporterebbe mai in questo modo!” disse suo padre con un tono freddo e serio dopo quel silenzio carico di tensione.

Boruto sgranò gli occhi, alzando la testa di scatto. Il suo corpo s’irrigidì all’istante appena registrò quelle parole nella sua mente. La sua testa ci mise diversi secondi per assimilare quella frase. Qualcosa di profondo e terribilmente oscuro gli accarezzò la mente all’udire le parole di suo padre.

“Il tuo atteggiamento sta portando disonore a me e alla nostra famiglia,” continuò imperterrito Naruto, fissando coi suoi occhi azzurri il volto carico di sgomento di suo figlio. “In quanto figlio dell’Hokage, non puoi permetterti di continuare a portare avanti questa storia! Se non deciderai di cambiare atteggiamento da solo e di assumerti le tue responsabilità, allora dovrò prendere delle misure più decisive nei tuoi confronti, Boruto.”

Il piccolo bambino continuò a fissare suo padre con gli occhi sgranati, la sua mente ricolma di dolore, disperazione e rabbia tutt’insieme. Una sola domanda gli riecheggiò nella testa. Una sola, disperata domanda.

Perché?

Perché suo padre stava dicendo quelle cose? Perché non riusciva a capire che tutto quello che voleva era soltanto passare del tempo con lui? Perché non riusciva ad accettarlo? Era davvero sbagliato desiderare un padre? Era davvero sbagliato volere la sua famiglia al completo ancora una volta?

Perché suo padre doveva sempre mettere il Villaggio prima della sua famiglia? Perché doveva pensare al Villaggio e non a lui? Era suo figlio. SUO FIGLIO! Era davvero così sbagliato desiderare di riavere di nuovo suo padre?

Boruto abbassò la testa a terra, fissando con occhi spenti il pavimento. Tutto il dolore e la rabbia che aveva provato fino ad un secondo fa erano spariti, rimpiazzati solo da una fredda e crudele realizzazione.

Suo padre non sarebbe mai più tornato da lui. Suo padre non esisteva più. Aveva scelto di diventare Hokage e di abbandonare la sua famiglia, e lui non aveva altra scelta che accettarlo.

E l’ombra della depressione prese ad accarezzargli la mente.

“Sono stato chiaro?” udì vagamente dire suo padre con un tono autoritario. Non riuscì a rispondere, limitandosi ad annuire debolmente con la testa, senza alzare lo sguardo su di lui.

“Bene,” fece la voce dell’Hokage. “Allora qui abbiamo finito! Torna subito a casa, sono certo che tua madre avrà parecchie cose da dirti!”

Boruto non rispose. Non alzò mai lo sguardo da terra. Appena suo padre finì di parlare, il suo corpo si mosse da solo senza che lui se ne fosse reso conto. Non perse neanche un secondo.

Voltandosi lentamente, Boruto si diresse a passo lento verso l’uscita, aprendo poi la porta ed uscendo dall’ufficio senza proferire parola. La porta si richiuse lentamente alle sue spalle, e la stanza dell’Hokage piombò in un silenzio colmo di tensione per diversi secondi.

Shikamaru si voltò verso il biondo seduto sulla sedia. “Non credi di essere stato un po’ troppo severo con lui?” domandò lentamente.

Naruto sospirò pesantemente, affondando la faccia nelle mani. Ci vollero diversi secondi prima che riuscisse a rispondere alla domanda.

“Non avevo scelta, Shikamaru…” cominciò a dire, il suo tono pieno di dolore ed incertezza. “Boruto non può continuare a comportarsi in questo modo. So che sta soffrendo la mia mancanza, ma non posso abbandonare il Villaggio solo per spendere più tempo con lui. Anch’io vorrei con tutto il cuore poter passare quanto più tempo possibile con lui e Himawari, ma sai bene quanto me che non posso farlo…”

Shikamaru si portò una sigaretta alla bocca, tirando fuori un accendino. “Ma non credi di aver esagerato?” gli chiese di nuovo, accendendo la sigaretta e facendo un tiro. “È solo un ragazzino. Voleva soltanto passare del tempo con te. Dovresti sapere bene cosa si prova a non voler restare da soli…”

“Lo so!” sbottò subito Naruto, la sua voce carica di frustrazione. “E proprio per questo non ho avuto altra scelta se non quella di essere severo con lui! Voglio che Boruto possa riuscire ad accettare questa situazione quanto prima, perché così possa smettere di soffrire! Non voglio vederlo così affranto ogni giorno a causa mia! Anche se adesso non riesce a capirlo, prima accetterà questa cosa e prima potrà riprendere ad essere felice.”

Non stava mentendo. Naruto amava con tutto il cuore suo figlio, e anche lui soffriva molto la sua mancanza da quando era diventato Hokage. Avrebbe dato qualunque cosa al mondo pur di poter passare del tempo insieme a lui e alla sua famiglia invece che essere costretto a restare chiuso in quel maledetto ufficio a firmare e compilare migliaia di documenti al giorno fino a notte fonda. Ma il ruolo che aveva accettato il giorno in cui aveva ricevuto il Cappello era arduo e richiedeva sacrifici immensi. Non poteva permettersi questo lusso, per quanto la cosa lo facesse soffrire.

Shikamaru si limitò a sospirare, emettendo una nuvola di fumo con la bocca. “Spero solo che tu abbia fatto la cosa giusta.” disse semplicemente, tornando a rivolgere la sua attenzione su un documento che riportava nel dettaglio gli affari dello scambio del riso nella Terra del Vento.

Le labbra di Naruto si assottigliarono leggermente.

“Mi dispiace, Boruto,” sussurrò mentalmente. “Lo sto facendo per il tuo bene. Spero solo che in cuor tuo tu possa capire che ti voglio bene.”

“Lo spero anch’io, Shikamaru.” fu tutto ciò che riuscì a dire. “Lo spero anch’io…”

Ma Naruto non immaginava minimamente che la scelta che aveva preso quel giorno avrebbe portato alla sua stessa rovina, né tantomeno che da quel giorno avrebbe rimpianto di aver preso quella decisione fino al resto dei suoi giorni.
 


Il rumore assordante della gente e delle enormi pubblicità che venivano riprodotte sui maxischermi non lo raggiunse neanche. I suoi passi erano lenti e ritmici, come se il suo stesso corpo avesse deciso di muoversi automaticamente da solo senza controllo. Ad ogni singolo passo che i suoi piedi facevano lentamente, nella sua mente gli sembrava quasi che un’eternità fosse passata da quello precedente, come se per una qualche ragione indescrivibile il tempo stesso avesse cominciato a rallentare.

Tuttavia la consapevolezza di questo non lo sconvolse. In realtà, se doveva essere sincero, in quel momento si sentiva come se non potesse esistere nulla in grado di sconvolgerlo. La sua mente aveva come per magia eretto una specie di muro, di barriera impenetrabile da qualsiasi cosa esterna a sé. Una specie di difesa impenetrabile a qualsiasi stimolo esterno.

Dopo aver udito il discorso di suo padre infatti, Boruto era certo che qualcosa dentro di lui fosse decisamente cambiato.

“Il figlio di un Hokage non si comporterebbe mai in questo modo.”

Quelle parole lo avevano scosso come un filo d’erba in preda ad una bufera. Lo avevano lascato di stucco. Lo avevano completamente, totalmente ed irrimediabilmente sconvolto. Quella semplice frase pronunciata da suo padre era bastata a scombussolare completamente il suo animo, che mai prima d’ora si era trovato a sperimentare una sensazione simile.

Nella sua infantile mente da bimbo di sette anni, Boruto non sapeva se essere confuso o spaventato.

Ricordava ancora vagamente come tutto questo fosse successo. Ricordava ancora i giorni in cui passava ore ed ore a giocare con suo padre a casa. Ricordava le risate, le galoppate sulle sue spalle, le urla gioiose della sua sorellina e i sorrisi di sua madre mentre li osservava. Ricordava con una specie di nostalgia bruciante quanto fosse bello rivedere suo padre tornare a casa dopo una missione, saltargli addosso affettuosamente e lasciarsi cullare dal suo abbraccio forte e deciso che infondeva calma, protezione e sicurezza.

In quei momenti, Boruto si era sentito felice. Davvero felice. Nello stare a casa con suo padre, sua madre ed Himawari, nel giocare con loro, nel poterli vedere ogni giorno, lui si era sentito completo.

Ma, un giorno, quella sua felicità era stata infranta.

Boruto sapeva bene quando era successo tutto. Ricordava ancora lucidamente il giorno in cui tutto il suo mondo era crollato, il giorno in cui la sua felicità era svanita all’improvviso.

Il giorno in cui suo padre era stato nominato Hokage.

Aveva poco più di cinque anni quando era successo. Dovevano essere passati due anni da quel giorno, forse poco più o forse poco meno. Tuttavia la sua memoria gli aveva incredibilmente impresso nella testa ogni dettaglio, ogni immagine e ogni singola sensazione che aveva visto e sentito in quel momento. Così come gli aveva impresso nella mente l’orribile sensazione di tristezza che aveva provato nel vedere la sua felicità, il suo piccolo mondo perfetto frantumarsi in mille pezzi davanti ai suoi occhi.

Il solo ricordo gli faceva ancora male.

Suo padre era letteralmente sparito dopo quel giorno. Era scomparso dalla sua vita. Si era volatilizzato come fumo. Usciva di casa la mattina presto, prima ancora che lui o sua madre si svegliassero, e ritornava la notte fonda, troppo tardi per poterlo aspettare svegli e troppo esausto per poter giocare con lui. Alle volte, se andava bene, Boruto era riuscito a vederlo per poco più di dieci minuti al giorno, e ogni volta che ciò accadeva suo padre era visibilmente troppo stanco e spossato per riuscire a stare con lui. Si limitava solo ad accarezzargli la testa e ad andare a letto di corsa, troppo esausto per potersi reggere in piedi.

Boruto però era stato paziente. Aveva aspettato. Aveva aspettato pazientemente per giorni, settimane e mesi. Aveva infantilmente creduto che quel cambiamento non sarebbe durato a lungo. In cuor suo, aveva sperato che un giorno le cose sarebbero tornate come prima. Aveva sperato che col tempo suo padre sarebbe tornato a far parte della sua vita ancora una volta, che sarebbe ritornato a casa a passare un po’ di tempo con lui e Himawari.

Ma si era sbagliato.

Suo padre non era tornato. Non era tornato neanche una volta. Non era più riuscito a passare una sola ora assieme a lui o a qualcun altro in casa sua. Né con Himawari, né con sua madre. Era letteralmente svanito. E quella cosa, per Boruto, era assolutamente inaccettabile.

In quello stesso periodo aveva cominciato a frequentare le prime lezioni dell’Accademia. Sua madre aveva insistito parecchio per mandarlo lì un anno in anticipo, probabilmente perché tutte le sue amiche avevano preso a loro volta quella decisione coi loro figli. E Boruto aveva fatto molti amici da allora.

Shikadai, Inojin, Metal, Denki e molti altri avevano legato subito con lui. Erano riusciti a colmare per un certo periodo il vuoto che l’improvvisa assenza di suo padre aveva lasciato nel suo cuore. Assieme a loro si divertiva un sacco, e ne combinava sempre di tutti i colori. Ma, nonostante tutto, Boruto non era mai riuscito ad accettare il cambiamento repentino.

Questo perché ogni giorno, ogni sacrosanto e maledettissimo giorno, lui non faceva altro che vedere coi suoi occhi ciò che aveva sempre desiderato ma che, per un motivo a lui sconosciuto, non gli era mai stato concesso. Ogni giorno, quando lui e tutti gli altri bambini uscivano dall’Accademia, Boruto era costretto inevitabilmente ad assistere ad una vera e propria tortura psicologica.

Ogni giorno, Boruto era costretto a vedere i suoi amici essere accolti all’uscita dai volti sorridenti dei propri genitori.

Fu probabilmente quello ciò che lo devastò completamente. Vedere ogni giorno Inojin, Shikadai, e tutti gli altri abbracciare con volti raggianti i loro rispettivi papà fu per lui una vera tortura. Vedere coi suoi occhi ciò che lui stesso desiderava ardentemente fu per lui una sofferenza insopportabile.

Perché suo padre non venne mai a prenderlo all’uscita dell’Accademia. Neanche una volta si era presentato per portarlo a casa.

Sua madre lo faceva al posto suo, e quando lei non poteva lo facevano suo nonno o sua zia, ma a Boruto non bastava. Sua madre non era abbastanza. Non era ciò che voleva.

La amava con tutto il cuore, badate bene, ma un genitore da solo non è sufficiente per un figlio abituato a ricevere l’amore di una madre e di un padre contemporaneamente. E vedere i suoi amici che ridevano e scherzavano con entrambi i loro genitori fu davvero straziante per il suo piccolo cuore.

Era stato dopo quel momento che aveva preso a ribellarsi. Fu dopo essere stato costretto a subirsi quella scena straziante per due mesi interi che Boruto non riuscì più a trattenersi.

Era cominciato tutto con dei semplici gesti, dei semplici atteggiamenti che alle volte passavano inosservati ma che per lui erano il segno inequivocabile che le cose non potevano continuare in quel modo.

Aveva cominciato ad ignorare sempre più ciò che sua madre gli diceva di fare. Aveva cominciato ad essere più esigente, a combinare pasticci e farsi più scontroso e arrogante. Poi aveva cominciato a ideare scherzi, ad attuare veri e propri dispetti nei confronti di suo padre nel disperato tentativo di passare anche un solo minuto di più assieme a lui.

Anche se questo significava doversi subire i suoi rimproveri.

Eppure lui non si lasciava mai togliere la speranza. Non cedeva mai alle parole che i suoi genitori gli ripetevano ad ogni ramanzina. Era determinato più che mai a riottenere l’attenzione e l’affetto di suo padre, e non si sarebbe mai arreso fino a quando non li avrebbe ottenuti di nuovo.

E Boruto non si era mai arreso per davvero. Per due lunghi anni aveva continuato con questa routine fatta di marachelle e rimproveri. Per due anni non aveva mai smesso di tentare, di sperare. Per due anni non aveva mai perso la speranza nemmeno una volta.

O almeno, così era stato fino ad oggi.

Un sorriso privo di calore contornò le labbra del piccolo biondino al ricordo di questi ultimi due anni. Dovette ammettere che ne aveva davvero combinate di tutti i colori pur di attirare a sé l’attenzione di suo padre. Nel Villaggio non c’era più nessuno che non fosse a conoscenza delle sue mirabolanti trovate nei confronti dell’Hokage.

Ma tutto questo non aveva più senso ormai. Pensare a quello che era stato non avrebbe cambiato nulla, e Boruto lo sapeva bene, seppure fosse ancora un misero bambino.

“Il figlio di un Hokage non si comporterebbe mai in questo modo.” aveva detto suo padre poco fa.

Boruto era piccolo, ma non era affatto stupido. Era uno dei primi della sua classe in intelligenza nonostante la sua età. Era riuscito immediatamente a cogliere il significato di quella frase.

Suo padre non voleva più tollerare il suo atteggiamento. Voleva forzarlo ad accettare la situazione a testa bassa. Non era intenzionato neppure a tentare di ricominciare a stare con lui come aveva fatto in passato. Era finita. Non sarebbe più tornato indietro. Non c’era più alcuna possibilità di riaverlo nella sua vita come prima.

E lui non poteva farci niente.

Un profondo senso di rabbia prese a crescergli lentamente nel cuore. Non riusciva ad accettarlo. Non poteva accettare una cosa del genere.

Perché suo padre doveva mettere il bene del Villaggio prima della sua stessa famiglia? Perché gli importava più della salute e della felicità delle persone comuni piuttosto che di quella di suo stesso figlio? Non era giusto! Non era minimamente giusto!

“È davvero così sbagliato voler rivedere la mia famiglia al completo?” pensò tra sé dolorosamente il piccolo bambino.

Boruto continuò a camminare per le vie della città, muovendo ritmicamente le gambe. Un passo alla volta. Un piede in avanti e uno indietro. La sua mente era pesante e colma di dolore e rammarico, i suoi occhi spenti che fissavano con disinteresse e vuotezza ciò che gli compariva davanti.

Si rese conto solo vagamente di ciò che lo circondava in quel momento, mentre continuava a camminare per le strade del Villaggio come una specie di automa privo di emozione. Teneva la testa bassa, puntata al suolo, i suoi occhi sgranati e privi di vita che fissavano il movimento delle sue piccole gambe senza concentrazione. Le luci accecanti dei palazzi, il fragore delle voci e le centinaia di attrazioni per la strada non lo attirarono minimamente. Tutto ciò che gli passava davanti agli occhi gli pareva misteriosamente vacuo e privo di interesse. Tutto ciò che aveva attorno aveva perso incredibilmente il suo fascino di sempre.

Tuttavia non poté fare a meno di notare con il suo sguardo vacuo i volti dei passanti che si voltavano a fissarlo appena si avvicinavano a lui.

Le espressioni sulle loro facce erano quasi comiche.

Sembrava quasi che tutta la gente che notava la sua presenza avesse improvvisamente visto una specie di fantasma. I loro volti si riempivano di una serie di emozioni indistinte, ma allo stesso tempo inconfondibili ed immediate.

Stupore. Confusione. Disgusto.

Boruto aggrottò impercettibilmente le sopracciglia, confuso da quella loro strana reazione. Tuttavia non diede importanza agli sguardi che i passanti gli stavano rivolgendo. La sua mente era troppo colma di dolore e sconforto a causa di ciò che era successo prima per potersi distrarre per un motivo simile.

Perché se suo padre aveva detto quella frase prima nel suo ufficio, allora questo significava una sola cosa per lui.

Che per Naruto il ruolo di Hokage era più importante di quello di padre.

Se suo padre era davvero deciso a mettere fine ai suoi tentativi di avvicinarsi a lui, allora questo voleva dire che per lui il Villaggio era più importante della sua stessa famiglia. Per lui, essere il capo del Villaggio della Foglia valeva molto di più che essere suo padre.

Il cuore di Boruto si contorse dolorosamente appena realizzò quella cosa. Sentì un dolore straziante ed immenso farsi spazio dentro di sé a causa di quella consapevolezza, talmente forte e crudele da togliergli il respiro con la sua prepotenza. Un dolore talmente improvviso e lancinante che gli pervase completamente il cuore, talmente forte da sembrare tangibile fisicamente.

Boruto annaspò, stringendosi il petto come per contenere quella sofferenza con le mani. Sentì la terra scivolargli sotto i piedi di botto, facendogli perdere l’equilibrio all’improvviso. Crollò pesantemente a terra di pancia, atterrando rovinosamente sul terreno con un tonfo.

Strinse i denti per il dolore fisico che si aggiunse a quello mentale. Tentò di rimettersi in piedi lentamente con le braccia, ma un’improvvisa ondata di fatica gli pervase la mente, facendolo cadere a terra di nuovo.

“A-Aiu-to!” gemette disperatamente, troppo sconvolto dal dolore e dalla tristezza che gli stavano assaltando il cuore così improvvisamente per potersi risollevare da terra da solo. Aveva bisogno di aiuto.

Non riusciva a credere che potesse esistere un dolore così terribile e lancinante. Non aveva mai sperimentato qualcosa di lontanamente simile a ciò che stava provando adesso. Era un dolore emotivo straziante e crudele, talmente profondo da sembrare in tutto e per tutto reale, fisico e tangibile.

Ed era causato soltanto dalla consapevolezza che suo padre teneva di più al Villaggio che a suo figlio.

Aspettò per diversi secondi buttato a terra, sperando che qualche passante potesse aiutarlo. Ma nessuno venne in suo soccorso.

Alzò lentamente la testa, fissando con gli occhi sgranati le persone che si erano raggruppate attorno a lui e che lo stavano fissando con quegli stessi sguardi di prima. Quegli sguardi pieni di disgusto e disappunto.

Una serie di sussurri riecheggiarono nell’aria, ma il bambino li udì perfettamente nonostante la calca di gente rumorosa.

“Ehi! È davvero lui?”

“Il figlio del Settimo!”

“Quello che non fa altro che portare disonore al buon nome dell’Hokage?”

“Già! Che delusione!”

“Quindi questo moccioso è colui che infanga il nome del Settimo? Patetico!”

“Che vergogna!”

Boruto sentì la rabbia e la vergogna ribollire velenosamente dentro di lui all’udire quelle parole sprezzanti, prendendo il posto del dolore e rendendolo sordo a tutto ciò che lo circondava.

Si rialzò in piedi di scatto, cominciando a correre il più velocemente possibile lontano da lì. Strattonò con forza e disperazione la calca di persone attorno a lui, confondendosi nella massa e scattando con quanta più forza aveva nelle gambe verso casa.

La vergogna ed il dolore gli pervasero la mente con forza. Le lacrime presero a colargli di nuovo dagli occhi. La disperazione e lo sconforto lo pervasero completamente. I suoi respiri si fecero corti e affannosi, rotti dai singhiozzi e dalla fatica, ma lui non si fermò.

Doveva scappare. Doveva correre lontano, il più lontano possibile. Doveva correre fino a quando non avrebbe abbandonato il mondo alle sue spalle. Doveva correre fino a quando non avrebbe raggiunto l’unico luogo dove sarebbe stato al sicuro. L’unico luogo dove avrebbe trovato delle persone capaci di comprenderlo.

Casa sua.

La sua ancora di salvezza comparve miracolosamente davanti ai suoi occhi dopo alcuni secondi. Raggiunse l’entrata del cancello di casa di corsa, continuando sempre a piangere incessantemente per il dolore e lo sconforto. Lo aprì con uno scatto immediato, precipitandosi dentro al giardino come se fosse inseguito da un branco di lupi famelici desiderosi di divorarlo.

Si fermò di botto davanti la porta, ansimando e piangendo contemporaneamente. Adesso era al sicuro. Adesso poteva lasciarsi andare. Adesso avrebbe trovato un po’ di conforto grazie a sua madre. Lei era sempre buona e disponibile con lui, era l’unica persona che riusciva a comprenderlo completamente. Lo avrebbe sicuramente consolato.

Era la sua unica ancora di salvezza in quel buio fatto di disperazione che gli aveva ottenebrato la mente.

Fece un solo respiro nel vano tentativo di calmarsi, e poi aprì la porta di casa con una mano tremante.

Entrò in casa rapidamente, i suoi occhi ancora sgranati e pieni di lacrime che colavano a terra.

“S-Sono tornato!” disse sommessamente, tirando su col naso.

Nessuno rispose al suo saluto.

Boruto sentì una punta d’inquietudine farsi largo nel suo cuore. “M-Mamma?” chiamò debolmente, la sua voce carica di esitazione e timore. “Himawari? Ci siete?”

Nessuna risposta.

Costrinse le gambe ancora tremanti per lo sforzo della corsa di prima a muoversi con esitazione nel corridoio. Il suono dei suoi passi sul legno riecheggiò con forza nell’aria. Si asciugò le lacrime con le mani, avanzando timidamente verso la porta scorrevole della sala da pranzo.

La raggiunse dopo un paio di secondi, aprendola con una mano.

E poi, appena la porta fu aperta del tutto, il bambino guardò con timore ciò che si trovava all’interno della stanza.

I suoi occhi si sgranarono all’inverosimile.

“Boruto,” fece la voce fredda e severa di sua madre. “Sei tornato.”
 

Note dell'autore!!!

Salve a tutti! Come vi avevo promesso, ecco a voi il secondo capitolo della storia. Spero possa avervi intrigato.

Nel caso non l'abbiate fatto, vi invito a leggere con attenzione le parti che descrivono gli stati d'animo e i pensieri di Boruto in questo capitolo e anche nei due capitoli successivi a questo. Le cosa che sono scritte saranno moooooooolto importanti per farvi capire l'evoluzione di Boruto nella storia. Leggetele con attenzione!

In questo capitolo abbiamo rivelato solo la punta dell'iceberg. Abbiamo finalmente visto e scoperto dal punto di vista di Boruto la situazione che stava vivendo in casa sua e ciò che lo stava facendo soffrire così tanto. Ma questo ovviamente è solo l'inizio. La situazione è molto più complessa di quella che viene raccontata qui. Nei prossi due capitoli infatti, approfondiremo questo concetto in maniera dettagliata, e scopriremo altri fattori che influiranno pesantemente nella vita del biondino.
Quindi ricordate che questo è solo e soltanto l'inizio.

Il prossimo capitolo uscirà mercoledì 10 Gennaio!

Vi invito come sempre a farmi sapere le vostre opinioni e i vostri pareri. Grazie in anticipo a chi leggerà e chi commenterà.

A presto! ;)
   
 
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