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Autore: esmoi_pride    15/01/2018    4 recensioni
Il Gran Regno di Saab è stato rifondato dalle sue antiche rovine, e adora il dio Saab. L'Imperatore scelto dal Dio ha accolto i reietti della società e li ha resi il popolo della città. Ma adesso i signori rivogliono indietro i loro schiavi e creano un'Alleanza, formata dalle sette città più importanti della regione, per annientare il loro piccolo avversario. Quella che scoppierà sarà una lotta tra gli uomini... e qualcosa di ben più grande di loro. | Storia fantasy. Cosa c'è dentro: guerra, drow, omosessualità latente, dettagli truculenti, drow, omosessualità sfacciata, morte, drow, slash, comandanti bboni, ho già detto drow?, pseudoincesto, scoperte molto boh, qualche umano, poteri psionici/cineti, una minoranza di altre razze, cose improvvisamente sci-fi ve lo ggiuro, e... drow, principalmente.
Genere: Avventura, Romantico, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Incest
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Storie di Saab'
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Buonanotte o buona giornata a tutti :)

sono le due del mattino ed è un orario meraviglioso per tornare su EFP ad aggiornare la mia storia o meglio, presentarvi il suo seguito. Questo periodo della mia vita è molto impegnato e perciò ho impiegato molto tempo per pianificare e scrivere la storia, ma alla fine la prima pubblicazione è qui.

Prima di proseguire nella lettura devo rendervi note due cose: la prima è che non troverete le stesse caratteristiche della prima parte.
Lo stile di scrittura e di narrazione sono cambiati (iniziando da una terza persona più neutra possibile), forse potremmo dire che si sono evoluti, e l’attenzione è stata spostata dalle relazioni dei personaggi a un respiro di eventi più ampio, di cui la narrazione aveva bisogno a questo punto della storia. Sì, significa che dovrete sperare nel NSFW e vedere se arriva.
Inoltre alcuni dettagli, piccoli o grandi, della storia, sono cambiati: ad esempio, la Città di Saab è molto più grande di come era stata inizialmente progettata. Questi cambiamenti sono dovuti a una maggiore coerenza con tutta la narrazione.

Il secondo punto è che questa storia può essere letta anche da chi non sa proprio nientenienteniente, perché ai nuovi e a quelli che si scocciano di ricordare cosa è successo, ricorderò tutto io con questo piccolo riassunto e con una piccola presentazione dei personaggi!





Nelle puntate precedenti: (leggete questa frase come se lo stesse dicendo un doppiatore di una serie tv)

Il Gran Regno di Saab, o Città di Saab, è stato rifondato dalle sue antiche rovine. È devoto a Saab, il Dio Minore del Destino che, con l’aiuto dell’Imperatore da lui scelto, ha accolto i reietti della società e li ha resi il suo popolo.

So’o Goldsmith è il Principe di Saab, figlio dell’Imperatore Azul Goldsmith e del suo Cavaliere e compagno Imesah Bones. Come un Siddharta del fantastico, So’o non può uscire dal Palazzo Imperiale e trascorre le sue giornate studiando per poter poi governare al posto del padre.

Ma le cose cambiano quando un affascinante drow lo convince a scappare dal Palazzo per un solo giorno e lo fa invaghire di lui: solo per scoprire che quel drow è il suo fratellastro maggiore, Vilya Goldsmith, il primogenito di Azul.
So’o è combattuto, alla luce di una eventuale relazione incestuosa e quindi stigmatizzata (sì, i froci vanno bene ma i fratelli no nda), per poi cedere ai propri sentimenti. Vilya invece si affeziona alla Città, della quale, per eredità, avrebbe dovuto essere il vero Principe.
Ma i problemi non sono finiti: il Comandante Ra’shak e il Consigliere Valentino annusano la puzza di una guerra che incombe, e anche avvisando l’Imperatore non possono evitare l’inevitabile. Una Alleanza formata dalle sette città più importanti della regione di Siieeth, con Città Alta a capo, dichiara guerra alla città con l’obiettivo di riprendersi gli schiavi e i cittadini che sono fuggiti dalla loro soggiogazione.
Dietro Città Alta si cela l’influenza della Signora Bianca, una astuta e subdola reggente. Ma l’Imperatore accetta la sfida a testa alta e si mostra pronto ad affrontare la minaccia.

 
Azul Goldsmith è un drow di 170 anni. Quando era un bambino, l’incidente che uccise i suoi genitori gli causò un trauma che ne cancellò la memoria. Venne rapito dalla Gilda di Ladri responsabile della morte dei genitori e costretto a divenire un assassino. A 140 anni fuggì dalla Gilda dei Ladri. Pirata, ladro, sacerdote di Pharasma, cerusico, prostituta, collezionò tante maschere quanti erano i soprannomi che vi indossava sopra. Ma quando Imesah Bones andò da lui sotto ordine di Saab, chiedendogli di divenire l’Imperatore del nuovo Impero del dio Saab, Azul vide l’occasione di riscattare coloro che come lui erano stati rifiutati dall’ordine sociale e accettò, per creare un luogo di tolleranza. Azul Goldsmith è un uomo piccolo ma carismatico, che ha imparato a indossare maschere per nascondere le sue paure. Oggi protegge ciò che ha creato con le unghie e con i denti.
Vilya Goldsmith è un drow di 130 anni. Nacque nelle zone più misere di Charrvell’rhaughaust, da una madre mendicante che venne uccisa quando lui superò la maggiore età. Senza più radici, Vilya uscì dal Sottosuolo in cerca del padre e lo trovò su una nave pirata. Tra i due si creò una relazione incestuosa, che durò cinque anni, dopo i quali Azul lo convinse a separarsi da lui e cercare una vita migliore. Dopo aver viaggiato per molto tempo e fatto le esperienze più diverse, Vilya torna dal padre, a Saab, e conosce quella città che sarebbe dovuta essere destinata a lui. Lo spirito ribelle, evasivo e infantile di Vilya gli fa rifiutare le sue responsabilità, ma davanti alla determinazione di So’o anche il suo fare da eterno bambino inizia a tentennare.
So’o Goldsmith è un mezzodrow di 17 anni. Esperimento curioso: è il primo esemplare vivente di un’unione tra due creature mortali (Imesah e Azul) e il dio Saab. Ha il sangue dei suoi tre padri nelle vene e una parte di lui è, perciò, divina. Questo gli permise di sviluppare dei poteri in tenera età, che gli permettono di manipolare la materia di questo mondo. Ha passato tutta la sua vita a Palazzo a controllare i propri poteri e studiare per essere un buon Imperatore, ma ora che Vilya ha scombussolato l’equilibrio della sua vita, la parte adolescente di So’o inizia a ribellarsi e ad andare contro l’ordine costituito. Ci sono passati tutti… a parte il dettaglio di avere un potere misterioso mai visto prima, e il peso di un intero regno sulle spalle.
Imesah Bones ha origini umili quanto misteriose. Si sa che nacque nei bassifondi di una città minore e crebbe nella Gilda dei Ladri. Adorò diverse divinità, cambiando spesso bandiera così come occupazione, ma mantenendosi sempre nella criminalità fino ai 30 anni, quando decise, all’improvviso, di vedere cosa si provasse a ‘fare del bene’. Gli abitanti di cui si prese cura iniziarono a tessere su di lui la favola del Cavaliere di Saab, e la storia si fece così seria che venne investito del cavalierato dal re stesso. Fu allora che Saab lo chiamò a sé e gli ordinò di andare in cerca del prescelto per fondare il suo nuovo regno. Non ha mai dimostrato empatia o affetto per qualcuno, ma è chiaro a tutti che quando Imesah vide Azul Goldsmith, accadde qualcosa che nessuno avrebbe mai immaginato: si innamorò perdutamente di lui.
Ra’shak è il Comandante dell’esercito del Gran Regno di Saab. È un drow adulto, più grosso e possente di un normale drow, ed è stato uno dei combattenti più letali del Sottosuolo… prima di voltare le spalle al proprio passato. Arrivò a Saab insieme al suo compagno Valentino, cinque anni dalla fondazione della città, e da allora chiamano Saab la propria casa. Ra’shak è un uomo riservato, e a questo sono dovute anche le informazioni scarse su di lui e sul suo passato prima di arrivare nella città, ma sotto la scorza di cinico guerriero idrofobo e l’inquietante sguardo assassino sempre presente sulla sua faccia, è capace di rivelare umanità. La stessa che, magari, lo ha portato fin qui. È goffo nelle questioni sentimentali fino a risultare ridicolo, e per quanto cerchi di celarlo (e lo faccia veramente male), il suo profondo affetto per Valentino si vede a chilometri di distanza.
Valentino è un mezzelfo ed è il Consigliere dell’Imperatore. Crebbe in una carovana di elfi nomadi come curatore… finché qualcosa non cambiò, evidentemente. Il passato di Valentino, come quello di Ra’shak, sono premurosamente tenuti segreti, ma da allora le doti del mezzelfo crebbero fino a renderlo un potente incantatore. Insieme a Ra’shak vagò per le terre di Siieeth finché non si fermarono a Saab. Valentino è un ragazzo giovane e bello, e il suo aspetto trarrebbe in inganno, ma ha un carattere determinato e risoluto che lo fa spesso sembrare più grande di quanto sia. Questo lo fa a volte apparire freddo e calcolatore, ma davanti alla goffezza di Ra’shak il mezzelfo si scioglie, tornando il ragazzo che è. Con Ra’shak ha accese discussioni dovute all’enorme differenza culturale tra i due, che però si risolvono in fretta: infatti, il furbetto riesce sempre a farla franca.
 
Lupo di Neve è un mannaro adulto di 50 anni. La sua forma animale è quella di un enorme lupo bianco. Come molte creature della sua razza integrate nel loro habitat naturale, Lupo di Neve indossa abiti che ricordano le atmosfere naturali e tessuti o ornamenti che provengono spesso dalla natura stessa, come pellicce per proteggersi dal freddo - spesso per mero scrupolo, essendo la loro temperatura corporea molto più alta di quella di un umano - oppure ossicini e pezzi di cuoio come ninnoli. A legarlo ulteriormente alla natura sono le sue doti di stregone, doti innate e di tipo istintivo che, attraverso l'animo, modellano gli elementi. Questo personaggio è l'ultimo che verrà presentato nella storia, più precisamente nei primi capitoli, ed è probabilmente il personaggio più misterioso tra quelli principali.



Detto questo, godetevi il primo capitolo! Il nuovo anno è veramente arrivato <3




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Storie di Saab, II (Down to Earth)


Capitolo 1 – Ramoth*
*Incubo

 

“[…] Il continente di Hyst è il secondo più esteso del pianeta.
Prima di venire smentito dalle dimensioni della Nuova Terra, si credeva sfiorasse i due poli del globo. I regni settentrionali e quelli meridionali denotano differenze significative proprio a causa delle lunghe distanze che li separano. La sua vastità è indiscutibile al credo comune anche senza considerare il formicaio umanoide che vi brulica sottoterra: il Mondo Sotterraneo.
Nelle fantasie di molti hystsiani, il Mondo Sotterraneo vanta una estensione sbalorditiva: i più ingenui credono che il sottosuolo sia in grado di comprendere quasi l’intera superficie del pianeta. Ma i drow di Hyst non sopportano la pressione del pianeta ai livelli di profondità dove tutti i territori si congiungono, e devono perciò accontentarsi di occupare la sola area del continente hystsiano. L’estensione del continente avrebbe terrorizzato le mire espansionistiche di ogni creatura di superficie, ma a malapena basta a soddisfare l’avidità delle creature del buio.

Difatti, come si osservò quattromila anni prima della Tregua del Sotto e del Sopra – gli storici così chiamarono quell’evento, misterioso quanto salvifico, in cui le perturbazioni geologiche del continente cessarono nel giro di pochi mesi e al termine del quale si iniziò a contare il calendario convenzionale – le creature del buio non si accontentarono.

Con il crescere della necessità di gestire commercio e alleanze con la gente-di-sopra, agli sbocchi delle gallerie principali del sottosuolo si svilupparono delle colonie che assurgevano a questo compito. Un processo genetico di adattamento al nuovo ecosistema portò, dopo numerosi secoli, alla nascita di una nuova stirpe drow che presentava occhi gialli anziché rossi e la cui fotosensibilità, tipica della razza, era andata persa. La loro mutazione gli impediva di vedere al buio con la perfezione dei loro discendenti più puri, ma donò la capacità di sostenere la luce del sole e un ritmo circadiano che li integrava nel mondo di superficie.

I drow di superficie divennero un asso nella manica delle regine sotterranee, strumenti da utilizzare negli unici luoghi che la macchia del sottosuolo non aveva ancora intaccato: i territori illuminati dalla luce del sole.

[…]”
 
Fauhran Davèls, “Piccole storie vere”, d.h. 304
 
***

“Prima di considerare concluso il consiglio… vorrei ricordarvi che non dovete sottovalutare la delicatezza della situazione.”

La voce di Valentino echeggiò nella Sala del Consiglio.
Il mezz’elfo era sporto sul tavolo. Torreggiava sulla mappa di Siieeth; una mappa segnata dal passaggio delle pedine di legno e di osso, tracciata dal compasso e dall’inchiostro, ormai impolverata agli angoli. Lo sguardo dell’incantatore era fisso sull’Imperatore che sedeva al di là di quel tavolo.

“Stando alle indiscrezioni raccolte dai Serpenti, al calare del tramonto Charrvel’raughaust verrà in aiuto delle sue colonie. Vi invito a ricordare quello che si sta mettendo in gioco con una mossa del genere.”

“E io ti invito a ripassare nella tua mente quanto sia importante una mossa del genere,” replicò l’Imperatore.
Azul era seduto a gambe incrociate, celate dal drappo del lungo abito. Le mani erano placidamente intrecciate sul grembo. Aveva posato il suo sguardo sul Consigliere e la luce che filtrava dalle vetrate faceva luccicare i grandi occhi gialli, lì dove le ciglia lasciavano passare la luce.

“Avete pensato a cosa fare dopo?”

“Se ci sarà un dopo,” si intromise Imesah, in piedi in una immobilità statuaria accanto alla sedia dell’Imperatore. Il suo intervento ricordò agli altri la propria presenza nella sala. Gli occhi freddi, inespressivi come il timbro della voce, accarezzavano il mezz’elfo in un modo che lo fece rabbrividire.

“Sì, Valentino. So cosa fare dopo,” replicò Azul pazientemente, aggiustandosi sulla sedia. Sciolse l’intreccio delle gambe per riaccavallarle alla maniera opposta, rivolgendosi ora verso il tavolo, così come il suo sguardo.

“E cosa faremo, dopo, di preciso? Fingeremo di avere altri assi nella manica?”

Azul si interruppe e i suoi occhi risalirono su quelli di Valentino.
“Non fingeremo,” si limitò a rispondergli. Poi le ciglia si abbassarono di nuovo, placide, verso la mappa.

“Conosci ciò che stiamo affrontando, Valentino,” Ra’shak attirò l’attenzione a sé. Aveva gli occhi puntati sul ragazzo. “Drow. Tutto ciò che cade nelle loro mani diventa un’arma per annientare l’avversario. Sfrutteranno qualsiasi cosa. Paure, debolezze…” Il Comandante voltò il capo. Cercò l’Imperatore. “Rispondere con le loro armi è la sola strada per vincere un esercito di drow.”

Valentino aveva puntato Ra’shak. La gravità dipinta sul suo volto gli dava più anni di quanti ne avesse. Dopo un istante di riflessione schiuse le labbra per rispondere, ma Azul prese un sospiro e lo interruppe prima che potesse farlo.

“Non devi preoccuparti per me, Valentino.”

Sciolse l’intreccio delle gambe e si alzò, in un ondeggiare dei fili dorati che pendevano dalla corona. Proseguì, lisciandosi il panneggio del vestito, e alzò gli occhi luccicanti verso il Consigliere.

“Se il mio destino fosse stato la morte, sarei stato spazzato via tanto tempo fa.”

“Iniziamo i preparativi per domani.”
Le parole di Imesah gli rubarono la scena. In piedi accanto alla sedia dell’Imperatore, il Cavaliere ruppe in un istante la sua compostezza marziale per superare il tavolo, diretto verso la porta.
“Valentino.”

Il Consigliere drizzò la schiena senza batter ciglio e raccolse la risma di pergamene dal tavolo, in un paio di gesti pratici, per poi seguire Imesah. Ra’shak si scostò a sua volta dal tavolo e calpestò i loro passi, seguendoli. In breve tempo i tre uscirono dalla sala e la serratura scattò pigramente dietro di loro, al chiudersi della porta, lasciando Azul immerso nel suo silenzio.

Quando l’ultimo eco di quello scatto metallico si spense, il jaluk ruppe la sua stasi e aggirò il tavolo in un passo lento. Si muoveva con la lentezza di una creatura che funzionava in un altro tempo, come se appartenesse a un mondo estraneo. Lo strascico dell’abito che indossava lo seguì come una coda. Abbassò lo sguardo ancora una volta sulla mappa, tendendo le braccia per distendere le maniche lunghe sui polsi, e intanto dischiuse le labbra piene.

“Proprio te, tra tutti, non mi aspettavo di trovare qui.”

Dopo qualche istante, il gemito di una corda vibrò nella sala.

In un tonfo, gli stivali di Vilya raggiunsero il suolo.

“Sei più deluso di vedermi qui… o di essere riuscito a trovarmi?”

Vilya si alzò e risistemandosi i vestiti cercò la figura del padre, che replicò con ironia nella voce.

“Non ti è mai importato di questo regno, ma adesso fai l’equilibrista sulle travi del soffitto per spiare tuo padre.” Azul incrociò lo sguardo del più giovane. Scrutò nel suo sguardo blu, in un modo enigmatico, che contrastò con la futura crudezza delle sue parole.
“Che cazzo fai?”

Vilya infilò le mani nelle tasche dei pantaloni e si strinse nelle spalle.

“Quello che mi pare. Come sempre.”

Azul sbatté le palpebre, prima di distogliere lo sguardo dal figlio. Tornò al tavolo e la sua attenzione venne catturata da una delle pedine di legno in piedi sulla mappa. La raccolse tra le dita, lunghe e sottili come le zampe di un ragno. La portò accanto al viso e la rigirò per osservarla meglio.
“Non dovresti impicciarti in cose più grandi di te.”
Vilya abbandonò le tasche in un sospiro e camminò verso il padre.
“Hai una strana concezione di cosa sia più grande di me.”
Azul sbuffò beffardo dalle narici e si fece sfuggire una smorfia di orgoglio. Spostò lo sguardo davanti a sé e il suo sorriso si spense. Distrattamente, la pedina venne catturata tra le dita del drow fino al chiudersi del pugno attorno alla sua vittima. Presto la stretta si serrò e divenne una gabbia soffocante.
Io lo sono,” sussurrò.
“E tutto questo.”
Si voltò per puntare nuovamente l’altro. Vilya dovette affrontare lo sguardo grave del padre.
“La guerra, è più grande di te.”

Il più giovane tentò di sostenere quello sguardo, ma distolse presto il proprio e si avvicinò alla mappa sul tavolo fino a superare il padre. Gli occhi di Azul finirono così per puntare le vetrate dell’enorme sala.
“C’era una sedia vuota durante tutte queste riunioni.” Riprese Vilya, scrutando le pedine sulla pergamena.
“Come se ti importasse veramente,” replicò la voce melliflua dell’altro.
Vilya tornò al padre e una stilla di fastidio colorò la sua voce.
“Stai iniziando a parlare come Imesah, lo sai?”
“Succede,” disse l’altro con semplicità. Raccolse le mani sul grembo e camminò piano verso il ragazzo. “Ci vediamo ogni mattina da una ventina d’anni,” si strinse nelle spalle, “non ho avuto l'occasione di imparare a parlare come te e iniziare a fare stronzate dal nulla perché me l'ha detto il mio fratellino.”
Vilya si voltò del tutto verso il padre, repentino.
“È il mio principe.”
“È il tuo ragazzino,” lo corresse Azul fermamente, “E io sono il tuo Imperatore.”
Vilya avanzò verso di lui e troncò quasi le sue ultime parole con le proprie. “Ha una voce in tutto questo. È il suo regno, è la sua gente, e questa è casa sua.”
Azul corrugò la fronte e socchiuse gli occhi, piegando il capo incuriosito.
“Ti sta divertendo questo gioco, ussta dalhar?* Usi il fratellino per litigare con me? Sei nella tua fase ribelle? Nei miei calcoli doveva essersi estinta una ventina di anni fa…”
Venne interrotto dalla risata di Vilya.
“Mi conosci meglio di così, papà. Io sono sempre nella mia fase ribelle.”
“Beh, dacci un taglio, cazzo.” Azul aggirò e superò il figlio. “Mi avete spazientito tu e tuo fratello – anzi, tu.” Tornò a cercarlo con lo sguardo. “Prenditi le tue responsabilità. Fai il bravo fratello maggiore e digli che deve calmarsi.” Un cenno del capo indicò, metaforicamente, l’oggetto della discussione, assente nella sala.
Vilya allargò le braccia, e si strinse nelle spalle.
“Credevo avessi un buon rapporto con lui.”
“Funziona meglio se glielo dice suo fratello.” Ribatté. “Vilya.” Richiamò il figlio. Azzerò di nuovo le distanze tra loro in pochi passi, con uno sguardo preoccupato. “Vilya, non fare questi giochi con me.”
L’ultima stilla di ironia sul volto del moro svanì di punto in bianco.
“Di cosa hai paura, Azul?” gli sussurrò, scrutandolo bene negli occhi.
Azul non gli rispose. I suoi occhi gialli rimbalzarono in quelli blu del figlio e si colorarono di apprensione. Dischiuse appena le labbra senza che un rumore ne uscisse. Trattenne gli occhi nei suoi, intensamente, poi chiuse la bocca e si voltò per andarsene.
***

Il lucore dei candelabri era ormai pallido, in confronto alla fredda luce dell’alba che aveva iniziato a illuminare la stanza. Le medagliette d’oro dell’ornamento che l’ancella teneva tra le mani tintinnarono tra loro nello scontrarsi. La ragazza sollevò il gioiello e l’uomo al suo fianco tese il braccio per indossarlo.

“Non è presto per dare inizio alla battaglia, Imperatore?”
“Con le forze del sottosuolo è sempre tardi. Hanno iniziato i preparativi quando è calato il sole, approfittando della notte. A quest’ora saranno pronti.”
Per agganciare le sottili catenelle d’oro all’abito, la giovane scostò i capelli di Azul sulla spalla opposta e il drow voltò il capo verso la finestra per darle spazio. Gli occhi di Azul brillavano per via della luce, ma quando abbassò le palpebre essi vennero sottratti a quel gioco di colori. Dalla finestra arrivavano le voci lontane dei mercanti che aprivano la bottega, il cigolare delle ruote dei carri e gli zoccoli scalpitanti dei pochi cavalli in strada; il suono della città che si risvegliava lentamente in un pigro sbadiglio.

“Non hai mai visto una guerra.”
“No, Imperatore.” Una volta agganciato l’ornamento, l’ancella ne raccolse un altro e andò alle sue spalle. Azul abbassò il braccio e raccolse i capelli sul davanti.
“Le guerre erano lontane da me e dalla mia famiglia. Anche se… ci facevano morire di fame.”
Azul spostò lo sguardo di lato, attirato da quelle parole.
“Temi questo? La fame?”
L’ancella sospirò. Era impegnata a sistemare i gioielli lungo la schiena dell’Imperatore.
“Tutti noi temiamo il nostro peggiore incubo.” rispose dopo un lungo silenzio.
Le dita della ragazza si scostarono dalla pelle del jaluk. Azul si voltò verso la ragazza e tutti gli ornamenti si mossero insieme a lui mentre il suo sguardo incrociava quello della fanciulla, prima di sbattere le palpebre.
“Io sono diventato il mio incubo,” osservò. L’ancella scrutò nei suoi occhi brillanti. Quando ne riemerse, toccò l’avambraccio dell’uomo e lo guidò verso la sedia.


Azul si alzò dalla sedia e fronteggiò lo specchio. Alzò la mano per sfiorare i gioielli sul suo petto. Delle sottili onde di catenine dorate oscillavano a ogni piccolo movimento. Gli occhi di Azul, incorniciati da folte ciglia nere, caddero sul riflesso delle labbra carnose dipinte d’oro. L’ancella lo aveva colorato così anche attorno agli occhi in una striscia orizzontale, e gli aveva evidenziato le palpebre con il kajal nero. Il colore bianco sulla fronte invece si confondeva con l’attaccatura dei capelli spoglia, come a suggerire che mancasse qualcosa.

Risalì sul riflesso del proprio viso e osservò la maschera che si era fatto dipingere addosso.
La mano scese dal ventre all’ombelico, dove, a lato, filtrò un baluginio fioco, poi più intenso, che sembrava provenire da dentro il suo corpo. Delle fumose volute d’ombra, all’improvviso, stavano abbracciando il jaluk da dietro, e si accalcavano, silenziose, una nuvola nera sull’altra fino a superarlo in altezza. Azul socchiuse gli occhi e strinse la mano in un pugno. Fu allora che dalla foschia intravide il volto del figlio.

Sgranò le palpebre in un piccolo sussulto e si voltò di lato per guardarlo in faccia. So’o intercettò subito i suoi occhi e il velo di apprensione nello sguardo. Guardò il lucore nella pancia del padre e la sua espressione si colorò di inquietudine. Tra le mani del ragazzo c’era un copricapo d’argento, un grosso ragno con delle zampe per raccogliere i capelli. Azul drizzò la schiena e si voltò del tutto verso il ragazzo. Dischiuse le labbra, prese un respiro, ma non disse nulla. So’o rialzò gli occhi nei suoi e li incrociò di nuovo. Azul esalò via il respiro dalle narici, petto e spalle si abbassarono. Il Principe abbassò gli occhi e posò il copricapo sulla scrivania accanto. Lo scrutò un’ultima volta, poi si voltò e uscì. Gli occhi di Azul rimasero sulla porta per alcuni secondi, prima di puntarsi distrattamente sul pavimento.
***

In mezzo all’esercito di Saab si stagliava la landa arida del campo di battaglia, al di là della Foresta Incantata. L’autunno aveva dato le prime avvisaglie con la caduta delle foglie e i fili d’erba ingrigiti. I colori spenti della sterpaglia persero il poco caldo che li animava quando la luce del tramonto venne celata dalle montagne a ovest e lasciò che il freddo afferrasse ogni cosa.
“È arrivato il momento”, disse Imesah in sella al cavallo. Il suo sguardo spaziava sul campo da un’altura, a distanza di sicurezza dalla battaglia. Al fianco del Cavaliere Grigio c’era l’Imperatore. La figura di quest’ultimo era avvolta in un pregiato mantello scuro, i cui panneggi celavano le spalle strette e superavano le staffe della sella per ingrossarne la figura. Non rispose al Cavaliere. Imesah si voltò per guardarlo e lo trovò scandagliare i movimenti della battaglia.

Una lieve depressione ospitava l’infuriare di un caos che andava avanti dall’alba. Gli eserciti avevano perso da molto il vigore delle prime ore, ma non osavano fermarsi. I drow di superficie erano creature esili ma resistenti. Un solo potente colpo ne abbatteva uno… se solo si fosse riusciti a prenderlo. Quando i drow avversari erano troppo veloci per essere presi, intervenivano gli incantatori, capeggiati da Valentino. Il mezz’elfo cavalcava tra le fila di guerrieri, separava il caos di corpi con il suo cavallo e lanciava gli incantesimi più potenti con la staffa. Altri incantatori erano incaricati di restituire energia ai soldati, rallentare gli avversari o colpirli con la magia elementale. Difendere dei combattenti così vulnerabili era compito dei soldati. In quanto a ‘un solo potente colpo’, Ra’shak si occupava di darne esempio. Il Comandante si trovava in groppa a un frisone talmente grosso che le file si aprivano prima del suo arrivo, nel terrore di venire calpestate durante la corsa del cavallo. In quel preciso momento, poco lontano da lui, un jaluk delle colonie sembrava aver pianificato una strategia. Superò la difesa di un saabiano e affondò la lama del suo pugnale nell’incantatore che il soldato stava proteggendo. Ra’shak partì alla sua ennesima carica. Lo scalpitio degli zoccoli si sentiva fin sull’altura. Un grido di battaglia sovrastò il coro di urla degli altri guerrieri e in un roteare dell’arma Ra’shak schiantò un’estremità del suo martello sulla testa del jaluk, facendolo cadere nella marea di corpi a terra. La corsa del frisone rallentò. Il Comandante si assicurò brevemente che il nemico non si rialzasse più, prima di controllare l’area. Spiò la zona opposta del campo di battaglia, dove trovò Valentino incrociare il suo sguardo prima di riprendere anche lui il galoppo. Imesah vide poco dopo Azul alzare lo sguardo più lontano, verso la fenditura a Nord.

La fenditura ospitava un passo tra due montagne. La sua posizione lo rendeva oscuro per la maggior parte della giornata, ma persino allora che il sole era sparito e il crepuscolo iniziava a colorare di indaco il cielo, l’oscurità che aveva ricoperto il sentiero e che si stava riversando sulla piana era più buia di ogni altra ombra.

Imesah sgranò gli occhi. Azul sbatté le palpebre. Il cavallo del Cavaliere emise un nitrito e si smosse dalla sua posizione. Imesah si drizzò e tirò le briglie per tenerlo al suo posto, irrigidendo la postura.
“Sì. È arrivato”, sussurrò l’Imperatore.

I due osservarono la macchia nera colare nella depressione già abitata. Tra la fanteria del sottosuolo che sfilava lungo il passo si intravidero dei drow in sella a rettili e altri su ragni grossi il doppio di un cavallo. A lato tre figure accompagnavano l’esercito, distinguendosi già da quella distanza per i grandi serpenti che le trasportavano. Azul assottigliò lo sguardo.

Imesah girò il cavallo e scese l’altura, andando incontro alla Guardia Imperiale: un secondo esercito a cavallo formato dal corpo di guardia sotto l’autorità del Cavaliere. Si distinguevano per le armature bianche che indossavano. Mentre la voce dell’umano diceva loro di prepararsi alla carica, Azul osservò la massa brulicante di drow del sottosuolo infrangersi sul proprio esercito come un’onda che incontrava uno scoglio inamovibile. L’esercito fermò, in un primo momento, l’avanzare della macchia nera. Dall’altura si sentirono gli incantatori urlare gli incantesimi. Dopo lunghi secondi di tensione, l’argine dell’esercito di Saab crollò e l’esercito oscuro si riversò tra le loro file. La corruzione si fece strada nella piana.

Il rumore di zoccoli fece voltare Azul verso gli occhi verdi di Imesah, incrociandoli. Ricambiò lo sguardo grave con intensità e silenzio, scrutando il suo compagno. Imesah fece lo stesso. Il Cavaliere serrò appena le labbra. Le sue mani, che trattenevano le briglie del cavallo irrequieto, allentarono la presa e Imesah tornò a guardare davanti a sé nel superare Azul e incamminarsi verso la battaglia. In uno schioccare ritmico della lingua il Cavaliere accelerò la corsa del cavallo. La Guardia Imperiale seguì subito dopo e uno per uno abbandonarono l’Imperatore.

Scesero l’altura in corsa. Un paio di alfieri posti all’estremità del gruppo tenevano alti gli stendardi di Saab: un ragno lungo e sottile, di colore bianco, in campo nero, con quattro gemme ai lati. Una dorata, una verde, una blu e una rossa. Guidati dal Cavaliere Grigio, si mescolarono con l’esercito di Saab e proseguirono lungo il campo di battaglia fino a incrociare la macchia nera. Uno degli alfieri alzò lo stendardo e urlò una invocazione. Ci fu un lampo di luce bianca, che, nel segnare un solco di lama fino a terra, brillò per un istante sulle teste di tutti. Quel lasso di tempo bastò perché i drow del sottosuolo venissero frastornati dalla luce e non riuscissero a vedere niente per alcuni secondi. Nella libertà di manovra che l’imprevisto aveva permesso, i soldati di Saab davanti ai loro avversari non esitarono a far calare le loro spade in una facile uccisione. Più lontano, verso le fila nemiche, le zolle di terra che erano state toccate dalla lama di luce esplosero uccidendo altre vite. Le guardie sguainarono le spade, che una volta estratte dal fodero iniziarono a brillare di una luce innaturale, e caricarono la massa brulicante di creature dell’ombra. Gli alfieri ripresero subito dopo le invocazioni.

Quando le tre figure sui serpenti si avvicinarono al pieno della battaglia, Azul allentò le redini e fece vibrare un fischio. In poco tempo anche Azul fu immerso nella schiera di combattenti, e non rallentò finché non raggiunse le guardie. Imesah urlava ordini ai cavalieri. Zittì vedendo Azul e sollevò la spada oltre la propria testa per puntarla poi verso l’Imperatore a braccio teso. Da essa si sprigionò la medesima luce che illuminava le altre spade; quella che, subito dopo, si irradiò alle spalle di Azul allontanando la folla e attirando l’attenzione. L’Imperatore fermò il cavallo irrequieto e si liberò una mano per levarsi di dosso il mantello.

Il primo drow che si lanciò verso di lui aveva l’armatura leggera delle colonie di superficie. Lo sguardo concentrato di Azul lo vide arrivare e si inchiodò sulla creatura. Delle volute d’ombra si espansero attorno all’Imperatore, illese dalla luce, e ne lambirono i fianchi. Con le redini ordinò al cavallo di voltarsi verso il soldato e camminare verso di esso, ma il drow lo aggirò per mantenere il fianco dell’Imperatore. Le volute d’ombra si avvolsero attorno alle braccia e alle gambe del jaluk a cavallo. Una volta che il drow a piedi fu entrato nel campo di luce per sferrare l’attacco, Azul piegò il capo in avanti mantenendo lo sguardo su di lui.
La luce di una fiammella gialla si proiettò all’improvviso dal ventre nudo dell’Imperatore, come se provenisse da dentro. Si illuminò intensamente, sembrò consumarsi e farsi più piccola. Il fumo nero si materializzò attorno alla figura scattante del soldato. Lui ebbe pochi istanti per sgranare gli occhi, fermarsi e piegare il capo all’indietro. Una piccola sfera di luce gialla uscì dalla sua gola, che era stata avvolta dalle tenebre, per galleggiare sopra la sua testa. L’ultima cosa che fece il corpo del colono fu cadere a terra e accasciarsi per non rialzarsi più.



* = bambino mio.
   
 
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