III. Worth
I
say: " Love, love, it don't mean nothing
unless there's
something worth fighting for".
It's a beautiful war
- Ma tu non
hai proprio mai paura di partire da solo e lasciare quest'isola, Ace?
gli domandava a volte quel rompiscatole di Rufy, quando si
arrampicavano sulla cima della scogliera e pensavano tutti e
due
a Sabo e alla loro promessa.
- Mfh! Che domande sceme mi fai?!
Abbiamo già deciso da un pezzo, no?- rispose il
più grande
imbronciato come sempre, stando in piedi ad osservare l'infinita
distesa di blu e verde che scintillava sotto il sole alto.
- Sì,
ma...- protestò debolmente il ragazzino con la paglietta,
sdraiato a
pancia in giù sull'erba fresca e con le braccia incrociate
sotto il
mento. I suoi grandi occhi scuri erano persi oltre la linea piatta e
nitida dell'orizzonte, non si capiva se con desiderio o paura.
-
Io...sarebbe stato bello se...a volte la notte sogno di essere
già
in mare, e siamo insieme su una nave grandissima! E se sogno forte,
ogni tanto mi capita che ci sia anche Sabo con noi!-
Ace si voltò
a guardarlo, un po' spiazzato.
Sarebbe stato grande, concesse tra
sé il ragazzino con le lentiggini, ma quella era solo la
fantasia di
un sempliciotto col cuore troppo tenero, di Rufy insomma; lui sapeva
benissimo che anche se il loro fratello non fosse morto, ognuno di
loro avrebbe intrapreso un viaggio da solo.
Quelle erano le regole
sacrosante della pirateria, e non si potevano infrangere, neanche per
i propri fratelli.
- Che stupidaggine, queste cose vanno bene per
i bambini, Rufy. Da grandi mica si può stare sempre
insieme.-
mormorò dopo un po', e la voce gli uscì
più triste di quanto
avrebbe voluto.
Prima che il suo insistente fratellino
ricominciasse a contraddirlo, riprese a parlare.
- Non si tratta
di fare i turisti in giro per il mondo, lo sai, no? Saremo pirati di
ciurme diverse, e quindi rivali. Pensaci bene, ognuno di noi voleva
essere il più forte, non avrebbe senso viaggiare tutti
insieme.
Cioè, noi due assieme.- si corresse.
- Sì, però...- balbettò
Rufy un po' deluso, ma lasciò perdere subito.
Non lo avrebbe mai
ammesso neanche a Makino, a Dadan o ai banditi di montagna; figurarsi
se poteva dirlo ad Ace, dirgli che a lui la prospettiva di andarsene
in giro per il mare tutto solo, senza suo fratello, lasciava la bocca
secca e faceva diventare le gambe molli come gelatina, anche se dopo
un po' passava.
Però era dispiaciuto che Ace non volesse partire
con lui, anche se forse neanche lui avrebbe aspettato tre anni se
fosse stato lui il più grande; almeno poteva dirgli che
sì, gli
sarebbe piaciuto, non era giusto che non fosse mai gentile con lui e
non lo consolasse neanche un pochettino.
- Non fare quella faccia
patetica- lo rimproverò il più grande, che si era
reso conto della
sua inquietudine.
- Mica ti ho detto che il viaggio te lo dovrai
fare tutto da solo! Vedrai che troverai dei compagni in gamba che ti
seguiranno, ma naturalmente prima devi diventare molto più
forte e
coraggioso di come sei adesso, o col cavolo che vorranno avere un
pappamolle come te per capitano!- ridacchiò, con la sua
solita
espressione da birbante.
Eppure Rufy aveva ancora la stessa faccia
abbattuta di prima, e perfino gli occhi lucidi.
La pazienza di
Ace, già notoriamente scarsa, stava iniziando a dileguarsi
del
tutto.
- Oh, insomma Rufy! Che palle che sei! Si può sapere
perché oggi ti sei fissato con quest'idiozia che non vuoi
partire da
solo?!-
- Ma come faremo a ritrovarci?!- strillò l'altro di
rimando, con la sua vocetta acuta già rotta dal pianto in
arrivo. -
Il mare è così grande, e ci sono così
tante isole, e tanta, tanta
gente...!- farfugliò, prima che due lacrime tonde gli
corressero
lungo le guance.
Ace finse di non averle viste, si girò di nuovo
verso l'oceano e rifletté prima di rispondere.
- Ce la faremo,
ci ritroveremo da qualche parte. Basta che ci facciamo un nome come
pirati e poi sentiremo parlare l'uno dell'altro, e prima o poi ci
raggiungeremo.- sentenziò convinto.
- Ah, davvero? Basta...basta
fare così?- singhiozzò Rufy.
- Sì, davvero! E adesso smettila
di frignare come una femminuccia! Non ti sopporto quando fai
così! E
poi tu pensi solo a te stesso, ma anche io partirò da solo,
sai?! A
me non ci pensi?- sbraitò.
Rufy sussultò, stupito da quelle
parole, poi si asciugò con foga gli occhioni bagnati.
-
Perché...tu...anche tu...?-
Ace fece spallucce, atteggiandosi a
qualcosa che in realtà non era, ma non poteva dire a quello
scemo
che pure lui aveva paura, un po' perché ci avrebbe perso la
faccia
(e suo fratello non era certo il tipo che sapeva tenersi le cose per
sé), e un po' perché...come poteva proteggere
quel buono a nulla,
se si mostrava debole di fronte a lui?!
- Io non sono un
bambinetto piagnucolone come te.- disse scuotendo la testa mora. - E
poi non vedo l'ora di lasciare questo cavolo di posto. Voglio andare
lontano, dove non mi conosce nessuno, e voglio dei compagni che se ne
freghino del posto da dove vengo o di chi era mio padre, che mi
rispettino e credano in me per quello che sono, solo per questo.-
Rufy ascoltava sospeso tra l'incredulo e l'ammirato quel discorso
così...da grande, che lui neanche capiva bene del tutto;
però aveva
capito che suo fratello era davvero
uno tosto come aveva sempre creduto,
che niente
lo poteva spaventare sul serio, e che il suo nome sarebbe di sicuro
diventato famoso in tutto il mondo.
Ace intanto si era ricordato
di una cosa, chissà perché gli veniva in mente
proprio in quel
momento; era successo prima che Rufy diventasse suo fratello, e prima
ancora di conoscere Sabo.
Un giorno aveva chiesto al vecchio Garp
che senso poteva avere per uno come lui nascere e vivere in un mondo
che sembrava solo odiarlo e volerlo mettere all'angolo in tutti i
modi, che lo faceva sentire ogni giorno sporco e maledetto.
Il
vecchio gli aveva semplicemente risposto...
"Lo scoprirai
solo vivendo, Ace."
Ma quanto tempo doveva aspettare ancora?!
Quando Sabo era diventato suo amico, e poi a loro si era unito anche
Rufy, le cose erano sembrate così facili,
la vita era sembrata per la prima volta dolce, tutto era
possibile...
Ma la morte del suo migliore amico gli aveva aperto
gli occhi: erano ancora dei bambini che non sapevano niente del
mondo, che niente durava davvero per sempre, e che forse
lui quel senso
non l'avrebbe mai trovato.
Si mise una mano sul petto: da un po'
di tempo il peso sul cuore era tornato a farsi sentire.
- Che hai?
Tutto bene? Ti fa male la pancia?- gli chiese suo fratello, che
intanto aveva iniziato ad infastidire con due ramoscelli secchi una
colonna di formiche.
- Nah, non è niente, sarà solo fame. Dai,
vieni, che ci procuriamo un po' di coccodrillo per pranzo.-
-
Sìììì, che bello! Il
coccodrillo è il mio preferito!
Facciamocela di corsa fino al fiume! - propose.
- Come se avessi
qualche possibilità di battermi- lo sfidò Ace,
che già stava
guadagnando terreno con un ghigno.
***
- E per l'ottava volta
di seguito vince lui! Il comandante della seconda divisione batte
ancora quello della prima! Yuhuuuu!- una giovane voce maschile
risuonò nella luminosa notte estiva, turbando la quiete di
quell'isoletta semi disabitata su cui la Moby Dick era ormeggiata da
qualche ora.
- Ma non la smette più?- mormorò Vista rassegnato
e
contemporaneamente divertito, con le braccia intrecciate dietro la
testa appoggiata al parapetto della nave pirata.
Al suo fianco Izo
scosse la testa con un sogghigno, mentre ripuliva con attenzione le
sue pistole, mentre Satch raccolse con una mano un mazzo di carte
sparpagliate sul ponte per iniziare una nuova partita con i compagni
seduti accanto a lui.
Fece un cenno a Marco, prima di
punzecchiarlo:
- A volte mi chiedo come fai a sopportarlo.-
Il
biondo si sedette pesantemente alla sua destra.
- E' quello che mi
chiedo anch'io onestamente...devo proprio smetterla di prestarmi a
queste pagliacciate.- sospirò.
Intanto Ace continuava a sparare
palle di fuoco su in alto, verso il cielo blu scuro e le tonde stelle
palpitanti che lo tempestavano, palpitanti come i suoi proiettili che
ad alta quota sbocciavano nei loro petali di oro rosso che
rischiaravano tutto quel tratto di mare.
- Meno male che la costa
sud-occidentale è disabitata.- sottolineò Izo.
- Non vi stancate
mai di queste gare tra deficienti a chi riesce a sparare il suo fuoco
più in alto?- intervenne Jaws, deridendo Marco che ogni
tanto si
lasciava andare a quei giochetti puerili con il moro, sempre quando
la Marina e i civili erano ben distanti dalla loro posizione.
L'altro
pirata si limitò a fare spallucce.
Anche se l'intera ciurma lo
prendeva in giro per quelle sciocchezze, tutti loro poi non
riuscivano a fare a meno di restare imbambolati davanti allo
spettacolo delle fiamme azzurre e arancioni che danzavano
intrecciandosi nell'aria, così in alto che sembrava
sfiorassero la
luna e il firmamento.
- Secondo me lo lasci vincere tutte le
volte, non è possibile che ti batta sempre.-
commentò Curiel.
Marco
fece uno dei suoi sorrisi pigri, indecifrabili.
- E' solo che non
mi va di continuare per tutta la notte, sai quant'è testardo
quel
ragazzino.-
- Potresti sempre volare e sparare il tuo fuoco più
in alto, così almeno per una volta non ci romperebbe le
palle con le
sue urla e i suoi balletti da scimmia.- gli fece notare Vista.
Marco,
che teneva una gamba piegata e il braccio appoggiato sopra, a quelle
parole non poté trattenere una risata a labbra serrate,
passandosi
una mano sul viso.
- Sarebbe troppo facile così.-
In quel
momento il suo sguardo celeste incrociò quello d'ebano di
Ace, e
quest'ultimo gli rivolse una smorfia arrogante, facendo sprizzare
dalla mano destra una nube di scintille dorate, simili a lucciole
minute, che gli avvolsero il capo senza bruciare le sue ciocche
arruffate.
- Perso ancora, eh? Dai, domani potrei sentirmi buono e
concederti la rivincita, non metterti a piangere davanti a tutti!-
-
Ehi babbo, che dici? Posso buttarlo a mare con un'ancora legata al
collo?- urlò il comandante della prima divisione della
ciurma,
rivolto all'enorme uomo comodamente seduto su una poltrona,
circondato come sempre dalle solerti infermiere.
Il capitano smise
per un attimo di svuotare l'ennesima ciotola di saké, si
ripulì le
labbra con il dorso di una mano, e dopo aver inarcato un
sopracciglio, scoppiò nella sua tipica risata tonante, tutta
di
gola, simile al rombo furioso di una frana di montagna.
-
Gurarara! Mi fate ridere, bambini! Voi e i vostri giochi!-
Al che
anche Marco lo imitò, mentre Satch, non visto da nessuno,
lanciò un
vecchio sandalo di legno contro la schiena di Ace che aveva ripreso a
fare casino.
Ace sbatté le palpebre un paio di volte, e la
placida, sfavillante immagine di una notte di piena estate
evaporò
dalle sue retine, mentre tutt'attorno a lui e al suo patibolo di
Marineford impazzava l'inferno.
Cos'aveva appena detto quello
stupido di Rufy? Che per lui le regole della pirateria non contavano
nulla e che lo avrebbe salvato, anche a costo di andare contro la sua
volontà?
Che moccioso testardo! Come se poi Ace avesse potuto
perdonarsi di aver avuto bisogno di lui, esponendolo a certi
pericoli.
Era così triste non poter fare nulla, incatenato su
quel patibolo maledetto, alla mercé dei bastardi della
Marina...eppure era anche stupidamente felice, pensò il
ragazzo
mentre lacrime caldissime gli rigavano le guance, scivolando
giù dal
suo mento.
Era felice che qualcuno si preoccupasse e che stesse
combattendo con tanta foga per una canaglia come lui, che Rufy, il
babbo, Jinbe e tutti gli altri ce la stessero mettendo tutta solo per
salvare la sua inutile pellaccia.
Non avrebbe mai creduto che
qualcuno potesse considerarlo degno di tutta quella fatica e quel
dolore, e in quei momenti Ace sentì che il peso che si
portava sul
cuore si era notevolmente affievolito.
Forse non sarebbe morto
dopotutto, forse ce l'avrebbe fatta.
Nelle ultime settimane aveva
cercato di non lasciarsi dominare dalla paura e dalla disperazione,
non aveva chiesto a nessuno di salvarlo, e aveva appena cacciato via
Rufy (o meglio, ci aveva provato) e la sua ciurma, perché
non voleva
rischiassero il collo ance loro per colpa di un suo stupido, patetico
errore.
Eppure anche lui...si era sentito schiacciare dalla
consapevolezza della fine che si avvicinava sempre di più,
del
terrore di morire come un cane tra le grinfie dei suoi peggiori
nemici, che l'avrebbero esibito come un trofeo di caccia in giro per
il mondo, umiliando lui e il suo ricordo per avere l'ultima
definitiva vendetta su quel bastardo di suo padre.
Adesso che i
suoi compagni si erano riuniti lì tutti per lui, provava una
gioia e
un sollievo che quasi lo soffocavano, e un briciolo di pietà
per
quell'uomo che era morto solo e sconfitto vent'anni prima, nonostante
il sorriso arrogante sul volto.
Forse anche lui si era aggrappato
all'amore per la libertà fino alla fine, al dolce ricordo di
una
vita trascorsa sulle onde, tra le voci e le risate dei suoi fratelli,
a quello delicato di sua madre?
Sicuramente anche lui si era
sentito grato alla fine, pensò Ace mentre le ultime forze lo
abbandonavano come falene in fuga dalle fiamme che già le
bruciavano, anche lui aveva capito che il valore di certe cose non si
perdeva con la morte, quelle cose che rendevano degna di essere
vissuta anche una vita come la sua, una vita che almeno negli ultimi
anni era diventata calda e brillante come il fuoco.
***
-
Ma perché sei ossessionato da questa storia? Non puoi
lasciar
perdere per una sola, maledetta volta? Anche il babbo ha detto che
non vuole che tu lo segua, che non c'è bisogno di
insistere.-
Marco
non ne poteva più di quell'idiota avventato e dei suoi
assurdi
propositi di vendetta contro Teach, anche perché nel
profondo del
suo cuore e nelle ossa si sentiva che non avrebbe portato a niente di
buono, che in qualche modo Ace si sarebbe messo nei casini e forse
loro neanche sarebbero riusciti a salvarlo.
Purtroppo però far
ragionare quel cretino era un'impresa che di solito metteva perfino
lui a dura prova, e in particolare su quell'argomento l'uomo
più
giovane si era dimostrato irremovibile.
"Cazzo" pensava
il biondo nervoso, nonostante dall'esterno apparisse flemmatico come
sempre "tutto questo finirà male, molto male".
Erano
settimane che quel brutto presentimento non lo abbandonava, e anche
se lui non credeva alle sciocchezze soprannaturali, avrebbe comunque
preferito che Ace si scordasse del loro ex compagno e di quello che
aveva combinato.
Il ragazzo dai capelli scuri nel frattempo aveva
continuato a radunare il necessario per la sua partenza ormai
imminente, e non sembrava dare troppo peso alle proteste di Marco.
-
Tranquillo, so quello che faccio e non sono un pivello incapace che
cadrà in trappola come niente.- gli rispose infine, sempre
rivolgendogli la schiena tatuata.
Troppo deciso, troppo testardo,
e soprattutto troppo roso dai sensi di colpa per rinunciare
così
facilmente.
- Andrà tutto bene, non metterti a fare il gufo pure
tu, per quello bastano già il vecchio e gli altri.-
scherzò Ace,
sfoderando uno dei suoi sorrisi insolenti.
Gli faceva piacere che
i suoi fratelli si preoccupassero per lui, anche se chiaramente non
l'avrebbe mai ammesso, però non voleva che lo ostacolassero
su quel
punto: Teach aveva ucciso un loro compagno sotto la sua guida, aveva
infranto la loro unica, sacrosanta regola per poter far parte di
quella ciurma, e aveva calpestato anche la sua autorità,
mancandogli
di rispetto come se niente fosse.
Non avrebbe mai potuto
perdonarlo, si meritava appieno ciò che lui gli avrebbe
fatto
passare e anche molto peggio, era un ignobile e ipocrita bastardo e
solo ripensare a lui gli faceva rimescolare dolorosamente le
viscere.
Si voltò verso Marco e vide che lo stava fissando con un
sorriso triste ad aleggiargli sulle labbra; sapeva di non poterlo
fermare, ma quella decisione lo metteva comunque in ansia.
Ace
proprio non
capiva:
non è che non lo considerasse forte o affidabile, ma Teach
nascondeva tanti segreti, era un tipo vile e senza scrupoli, con
chissà quali altri avanzi di galera dalla sua parte, mentre
Ace,
nonostante tutto il suo valore e il suo coraggio, sarebbe stato da
solo...un agnello sacrificale in mezzo ai lupi.
Il comandante
della prima divisione non avrebbe saputo dire se quella del suo
fratello minore acquisito era totale temerarietà o totale
demenza...una
tale incoscienza del resto poteva appartenere solo ad un pirata
così
giovane e di belle speranze, oppure a qualcuno di speciale, come Ace
appunto.
Che però non è che fosse meno idiota per quello,
sghignazzò appena Marco.
Eppure il moro non era uno sbruffone o
un incosciente, se si attaccava alle cose come il rispetto e la
lealtà come un cane con l'osso, ma se lo faceva era solo
perché
sentiva sempre di doversi guadagnare quella roba lì, di
dover sempre
dimostrare di esserne degno, senza dare nulla per scontato.
-
Almeno cerca di non crepare mentre dai la caccia a quel cane senza
onore, intesi?- mormorò infine il biondo.
Ace scoppiò a ridere
come un bambino.
- Che cavolo di augurio è? Potresti fare di
meglio...comunque tenetevi stretti la pellaccia anche voi, bastardi.-
Marco rise appena, nel suo solito modo, affondando gli occhi in
quelli di ossidiana di Ace, che da un po' di tempo non erano
più
adombrati e sfuggenti come una volta.
La piccola imbarcazione
scivolava agile sull'acqua, mentre un tramonto da cartolina
infiammava l'orizzonte.
- Sta' attento, ragazzino, dico sul
serio.- si raccomandò per l'ultima volta il più
grande, una nota
d'ansia nella voce che l'altro scacciò con una scrollata di
spalle.
- Ma va' che torno presto, tu piuttosto smettila con
quella faccia da gufo. Ti farai solo venire le rughe prima.-
-
Moccioso- replicò sottovoce Marco, con un
sogghigno.
***
Il
più grande sollevò lo sguardo annebbiato, davanti
a lui c'era una
distesa di fiori dai colori vivaci, e il vento accarezzava
gentilmente il Jolly roger e il cappotto appartenuto a Edward
Newgate, facendoli ondeggiare malinconici nell'aria sonnolenta del
pomeriggio assolato.
Quella consapevolezza lo fece letteralmente
vacillare, sbatté le palpebre e cercò di
controllarsi, stringendo
forte i pugni chiusi.
- Me l'avevi promesso Ace...cazzo. -
mormorò.
In quei giorni la consapevolezza di avere perso e
di essere rimasti soli a volte lo schiacciava come un macigno,
perché
una volta, tanto tempo prima, Barbabianca li aveva trovati e
riuniti tutti, solo che non sarebbe più successo.
Note
(altamente deliranti) dell'autrice:
Dunque
dunque...ho provato diverse volte a modificare questo stupidissimo
capitolo al fine di migliorarlo, ma mi sa che tutte le sante volte
che rivedevo e correggevo in realtà non facevo che
peggiorare le
cose -.-'.
E niente, ho provato a scrivere qualcosa di decente su
Ace, Marco e la loro ciurma, ma non riuscivo ad ampliare o arricchire
l'idea che avevo in mente, che gira e rigira era sempre quella...in
particolare la scena finale è una pena, mi rendo conto, ma
ho
tagliato tantissimo e vi assicuro che in originale era anche peggio
XD.
Non so, più allungavo il brodo e più mi sembrava
di scadere
nella retorica e nel banale, dannazione! E pensare che avrei voluto
scrivere qualcosa di più sensato e originale a proposito di
Ace, e
invece m'è venuta solo 'sta ciofeca...del resto Marineford,
la morte
del fiammifero e le conseguenze sui suoi nakama credo che siano temi
trattati fino alla consunzione dal fandom, e io di certo non brillo
per grande creatività -____- .
E vabbè, io chiedo scusa a tutti
per la sua mediocrità, imploro clemenza e intanto la
pubblico (con
una certa dose di sfacciataggine...), perché non ne posso
più di
rimaneggiarla e comunque ci sono stata parecchio dietro, e
cancellarla o lasciarla a languire in eterno nel pc a questo punto un
po' mi dispiace. Praticamente la pubblico per premiare la mia buona
volontà XD!
E' abbastanza insulsa, ma...ci si prova e non sempre
viene fuori qualcosa di carino, uff -.-'.
Un sentito
ringraziamento a chiunque legga e alle anime caritatevoli che hanno
commentato finora ;)!
Se volete recensire anche questa, anche in
maniera perplessa e critica (o lanciarmi idealmente ortaggi marci XD)
sono qui a vostra disposizione ^_^.
Ciauz :)