Storie originali > Fantasy
Segui la storia  |       
Autore: AriaJaneRothfeller    16/01/2018    1 recensioni
Jane vive a Londra in un piccolo quartiere fatto di alberi verdi e villette a mattoncini rossi, la sua è una vita tranquilla come quella di tante diciassettenni, le sue preoccupazioni più grandi sono quelle di passare i test di biologia e matematica, la sua unica via d'uscita dalla routine sono i suoi amati libri, almeno fin quando non decide di seguire un misterioso sconosciuto dai capelli chiari.
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

CAPITOLO 1

 

Lo vide per la prima volta di sabato pomeriggio a Hyde Park, vicino al laghetto delle anatre. Jane stava passeggiando con il suo cane, Kaito, un Akita dal pelo rossiccio. Era con le cuffiette alle orecchie, intenta a godersi le note di "Have a nice day" di Bon Jovi quando le sembrò di vedere una bambina di colore nei pressi del lago giocare con una sfera d'acqua sospesa in aria ad una distanza di almeno trenta centimetri da terra. Si fermò. Non poteva credere ai suoi occhi. Rimase a fissarla per qualche secondo, pensando di star sognando, ma com'era possibile che un sogno fosse così vivido? No, non poteva essere un sogno, magari qualche artista di strada stava facendo dei giochi di prestigio? Si guardò intorno tentando di scorgere qualcosa che spiegasse quello strano fenomeno che le si era parato davanti agli occhi con tanta prepotenza. Nulla faceva pensare ad un trucchetto di magia, o a nient'altro a dire la verità, le persone nei dintorni sembravano non fare caso a quella bambina o alla sfera d'acqua sospesa sopra la sua testa, sembravano non vederla.
<< Ehi, Jane! >> Era Lucas, il suo compagno di banco, che per qualche strana coincidenza passava di lì, la salutò, riconoscendola tra decine di persone.
Jane voltò il capo vero di lui, era sorpresa di vederlo lì, Londra era una città grande, così come il parco dove si trovava. Lucas era un ragazzo gentile, intelligente. Si conoscevano da circa un anno e mezzo, da quando si era trasferito da Liverpool alla sua città. Ricordò il suo primo giorno di scuola, teneva la testa bassa, nascondendo gli occhi dietro i riccioli biondi che gli cadevano sulla fronte, si vergognava di parlare con chiunque. Troppo timido, fu la prima cosa che Jane pensò quando lo vide entrare nella sua classe, dovette ricredersi quando pochi secondi dopo fece spostare Lydia dalla sedia vicino a lei solo allo scopo di occuparla lui.
Gli fece un cenno veloce con la testa, poi si girò nuovamente verso la ragazzina, ma, sorprendentemente, era sparita, volatilizzata nel nulla, risucchiata da un buco nero.
<< Ma che sta succedendo? >> sussurrò tra sé e sé, confusa.
<< Che cosa guardi? >> le chiese Lucas seguendo il suo sguardo.
<< Niente >> gli rispose scuotendo il capo, più per riprendersi che per altro.
Kaito abbaiò ad uno scoiattolo.
<< Ciao Kaito! >>
Lucas si inginocchiò per coccolarlo, aveva sulle labbra un sorriso tenero. Kaito non era il tipo di cane che rifiutava le coccole, soprattutto quelle di Lucas, si sdraiò ai suoi piedi dopo pochi grattini dietro le orecchie.
<< Direi che è felice di vederti >> Disse Jane, cercando di ignorare quello che i suoi occhi avevano visto qualche attimo fa, doveva esserselo immaginato, magari per la stanchezza, da qualche tempo aveva problemi a dormire.
<< È un tenerone >> commentò lui.
<< Come mai da queste parti? >> domandò Jane.
<< Devo passare in biblioteca per restituire un libro >>
<< E passi per il parco? >> Gli chiese Jane con un’espressione che diceva tutto: sopracciglio sinistro alzato, occhi socchiusi e labbra strette.
<< Non guardarmi così, mi piace passeggiare >>
<< Tu odi passeggiare! >>
Lucas tornò ad accarezzare Kaito, ignorando Jane.
<< Senti, ti volevo chiedere... >> Disse, finalmente alzandosi da terra, si era sporcato i Jeans chiari di terra sulle zone corrispondenti alle ginocchia, ma sembrava non importargli. << ...Possiamo studiare insieme per il compito di scienze di lunedì? >>
<< Sei di nuovo indietro con il programma vero? >>
<< Perché tu no? >> chiese con un sorrisetto arrogante sulle labbra.
Jane alzò gli occhi al cielo, ma sorrideva.
<< D'accordo, ci vediamo domani pomeriggio al caffè vicino casa mia >> Gli disse.
<< Perfetto! Ora vado, se no chi la sente mia madre se non rientro in tempo? >>
Stava per allontanarsi.
<< Aspetta, ti accompagno >> Gli disse Jane fiancheggiandolo.
<< Grazie, mademoiselle >>
Jane rise. << Idiota >>
Si girò per chiamare Kaito, stava giocando con un ramoscello, probabilmente caduto dall'albero lì vicino. Vide ai piedi dell'albero la bambina di colore di prima, quasi le venne un colpo. Era seduta sulle ginocchia e teneva il piccolo palmo della mano sinistra rivolto verso dei fiori bianchi ancora chiusi. Stava per caso facendo sbocciare delle margherite?

 Dante si trovava nell’ufficio di suo padre, era un ufficio grande dall’arredamento classico. Davanti a lui c’era una scrivania di legno di mogano intagliato, piena di scartoffie ufficiali con il timbro in ceralacca del Consiglio. La parete dietro alla scrivania era completamente nascosta da librerie piene di antichi volumi enciclopedici e storici, il tutto illuminato dalle luci calde del lampadario in vetro veneziano sopra la sua testa e dalle fiamme del camino alla sua sinistra. Lorenzo De Marchi, rappresentante dei viaggiatori nel tempo del Consiglio, era seduto sulla poltrona di pelle scura, i suoi occhi azzurri, come quelli del figlio, erano puntati sullo schermo del computer.
<< Di cosa mi volevi parlare, Dante? >> Chiese al ragazzo di fronte a lui.
<< Del mio ruolo in tutta questa storia >> Gli rispose. Prese un respiro profondo, cercando di trovare le parole e ripromettendosi di mantenere la calma. << La ricerca di Marcus è importante, tutti i membri del consiglio e le loro reclute contribuiscono al suo ritrovamento, io sono tuo figlio e… >>
<< Non capisco dove vuoi arrivare >> Lorenzo lo interruppe, spostò lo sguardo sul figlio.
<< Dovrei partecipare alle missioni di livello uno >> Arrivò al punto. Si vedeva da un miglio di distanza che il modo di fare di suo padre lo infastidiva, ma cercava di controllarsi, doveva fasi ascoltare senza concedergli la possibilità di cacciarlo dall’ufficio.
<< Non se ne parla >> Lo liquidò tornando a guardare i file sul computer.
<< Cerca di ascoltarmi almeno questa volta >> insistette Dante.
<< Ne abbiamo già parlato, Marcus è pericoloso, è una minaccia anche per i combattenti più forti che abbiamo, non posso permettermi di lasciare che tu gli dia la caccia >> Gli spiegò con un tono calmo, nonostante l’autorità che emanava fosse palpabile.
<< Io sono uno dei combattenti migliori che avete! Se non mi lasci partecipare alla ricerca tutti crederanno che pensi al il mio bene prima che a quello degli invisibili e del Consiglio >> Stava iniziando a perdere il controllo, si stava scaldando e non andava bene, non avrebbe ottenuto niente in quel modo.
<< Io penso al tuo bene prima che a quello degli altri invisibili >> Gli spiegò Lorenzo.
<< Non è questo il punto, nessuno è mai morto in una missione di ricerca >> Cercò di riprendersi.
<< Adesso ascoltami tu, sei troppo giovane perché ti assegni una missione del genere, non hai esperienza sul campo e… >> Anche lui iniziava ad irritarsi, ma il suo discorso fu interrotto dalle parole di Dante.
<< Certo che non ho esperienza sul campo! E non l’avrò mai se non mi assegni una missione! >>
<< Non ti rivolgere a me con quel tono >> Lo ammonì, ma suo figliò sembrò non sentirlo
<< Hai detto che sono troppo giovane? Tamira ha diciassette anni, uno meno di me, e le vengono assegnate missioni di primo livello da mesi! >> Aveva decisamente perso il controllo, e la cosa lo faceva arrabbiare, la rabbia lo innervosiva e le parole diventavano più aggressive, era un circolo vizioso.
<< Non è colpa mia se James è un pazzo! >> Anche suo padre perse le staffe.
<< Beh, sarà felice di saperlo >>
Era una minaccia a vuoto la sua, non si sarebbe mai permesso di fare una cosa del genere, sarebbe stato infantile e meschino, e se ne rendeva conto. Si sentì uno stupido per averlo detto.
<< Non ti azzardare, Dante! >> Lo avvertì Lorenzo con tono minaccioso << Non hai mai pensato che magari James non tiene a Tamira quanto io tengo a te? >>
<< Perché non dovrebbe? È sua figlia >> Gli chiese Dante tornando in sé.
<< Lo sanno tutti che non lo è >> Le parole gli uscirono dalla bocca prima ancora che potesse pensarci.
Dante rimase in silenzio per un po’, incredulo, non riusciva a capire come quel pensiero gli fosse passato per la testa, che quell’idea avesse solo sfiorato suo padre.
<< James è una brava persona, papà, e ama Tamira >> Disse poi. << Non riesco a credere che lo pensi veramente >>
Dante, deluso da quelle parole e arrabbiato per non essere riuscito a persuadere suo padre, uscì dall’ufficio sbattendo la porta alle sue spalle.

 Finito di accompagnare Lucas, Jane tornò a casa, durante il tragitto cercò in tutti i modi che conosceva di convincersi che quella bambina fosse solo frutto della sua vivida immaginazione. Nonostante tutto, però, c'era una parte di lei che si sentiva estremamente eccitata per gli strani avvenimenti di quello stesso pomeriggio.
Con tutti i pensieri che le passavano per la testa quasi non si rese conto di essere arrivata a casa. Casa, ovvero una villetta stretta, ma confortevole, una delle poche rimaste vicino al centro di Londra. L'entrata era preceduta da un piccolo giardino recintato ormai di proprietà di Kaito. Nei pomeriggi autunnali si divertiva a giocare con le foglie arancioni che cadevano dall'acero del vicino nel nostro giardino, come se non fosse abbastanza, il terreno era cosparso di buche in cui Kaito nascondeva i suoi "tesori" (consistevano principalmente in pezzi di pneumatico morsicati, ramoscelli e sassi dalla forma strana). Jane aprì il cancelletto bianco ed entrò insieme al suo cane, salì i tre gradini che precedevano il portone cercando le chiavi nella borsa di cuoio marrone, aprì poi la porta.
<< Sono tornata! >> Annunciò prima di chiudere il portone blu dietro di sé.
Appese il giacchetto di jeans all'attaccapanni, così come la borsa, e posò le chiavi sopra al mobile dell'ingresso. Sentì un rumore provenire dal sottoscala, il cuore le iniziò a battere più velocemente, in altre occasioni non avrebbe fatto caso a certe cose, ma era stata una giornata strana, erano successe cose strane, chi le assicurava che non vi fossero altre stranezze ad attenderla dietro l'angolo? Magari stranezze pericolose, anche. La mente di Jane iniziò a creare degli scenari che, da quella situazione, finivano tutti con la sua morte. Raccolse, dopo qualche secondo, il coraggio di avvicinarsi, con cautela. I passi, per quanto leggeri potesse cercare di renderli, sembravano facessero un gran chiasso, ma forse era solo la testa che le stava giocando brutti scherzi. Improvvisamente una figura slanciata uscì dal sottoscala, facendola sobbalzare. Jane, per istinto forse, assunse una posizione di difesa, con le braccia alte davanti a sé e il piede destro leggermente più avanti rispetto al sinistro.
<< Mamma?! >>
Tornò ad una posizione normale, si portò la mano destra al petto per controllale i battiti del cuore che iniziarono a rallentare, anche se di poco.
Sua madre la guardò come fosse appena uscita da un ospedale psichiatrico.
<< Certo! Chi ti aspettavi? Babbo Natale? >> La prese in giro Sarah.
<< Porca miseria, mi hai fatto prendere un colpo! >>
Sarah strinse le labbra cercando di trattenersi dallo scoppiare a ridere.
<< Si può sapere che stavi facendo nel sottoscala?! >>
<< Stavo cercando questa copia del romanzo >> le disse mostrandole i fogli che teneva in mano << Questa casa editrice la vuole cartacea >>
Sarah faceva la scrittrice, amava i libri, soprattutto quelli fantascientifici, amava leggerli ed amava ancor di più scriverli, Jane ammirava che la sua mamma fosse riuscita a trasformare la sua passione in un lavoro, passione che, tra l'altro, aveva trasmesso anche a lei, a differenza sua però, Jane non scriveva, non aveva lo stesso talento della madre, il suo problema principale: non era brava con le parole.
<< Strano >> Si limitò a dire.

Strano è la parola del giorno. Pensò.
<< Già >> Confermò Sarah alzando le spalle, rassegnandosi a tutte le assurdità che il suo lavoro comportava.
<< Cosa c'è per cena? >> Le chiese sua figlia, un po' per cambiare discorso e un po' perché non sapeva cosa dire.
<< Mike è uscito a prendere le pizze, per te ho ordinato quella ai peperoni >>

 La sala d’addestramento era vuota a quell’ora tarda, era il momento che Tamira preferiva per allenarsi. Aveva raccolto i capelli scuri in una coda, addosso aveva una t-shirt larga e dei pantaloni di tuta grigi.
Un pesante sacco da boxe rosso pendeva a qualche metro di distanza da lei. Intorno a lei, invece, aveva posto una ciotola d’acqua, dei sassi ammassati l’uno sull’altro e una candela accesa. Si posizionò con le gambe leggermente divaricate e le braccia stese lungo i fianchi, chiuse gli occhi e fece un respiro profondo.
Tamira sentì l’aria attorno a lei muoversi, come se le finestre fossero aperte e il vento le accarezzasse pelle. L’acqua nella ciotola iniziò a muoversi senza che nessuno la toccasse, alcuni dei sassi posti più in alto nel mucchio caddero e la fiamma della candela si alzò e danzò.
Aprì gli occhi di scatto, con altrettanta velocità posizionò i piedi uno davanti all’altro tenendo le gambe piegate. Allungò il braccio destro verso la ciotola, e fece un gesto con la mano come a voler tirare una corda piantata a terra verso l’alto. L’acqua formò una colonna e si divise in centinaia di piccole sfere quando Tamira glielo ordinò. Chiuse il pugno e le sfere d’acqua si trasformarono in schegge di ghiaccio affilatissime. Nel frattempo, con l’alta mano, aveva iniziano ad utilizzare la fiamma della candela per creare degli anelli di fuoco che non smettevano di ruotare mentre lei li teneva sospesi a mezz’aria. Scagliò le schegge di ghiaccio contro il bersaglio, erano talmente veloci che sarebbe stato impossibile individuarle ad occhio nudo. Lanciò gli anelli di fuoco contro le schegge, distruggendole, una frazione di secondo prima che bucassero il sacco.
Con alcune pietre costruì un solido muro che lo bloccava, mentre con le altre cercava di distruggere la catena di ferro che lo sorreggeva.
Il sacco si staccò, Tamira tirò via le pietre distruggendo il muro e creò delle lame d’aria con l’intenzione di fermarle prima che squarciassero la pelle dello stesso sacco. Fallì durante l’ultimo passaggio e la sabbia che conteneva si riversò sul pavimento di marmo nero.
<< Merda! >> disse.
<< A me non sembrava tanto male >> La voce proveniva dal ragazzo appoggiato all’anta della porta d’entrata.
<< Dante >> Gli sorrise. << Che fai qui? >>
Lui alzò le spalle.
<< Osservo >> Le rispose.
Tra loro non c’era imbarazzo, si conoscevano da quando Tamira fu portata a Buckingham Palace, la Sede del Consiglio di Londra, a sei anni.
Ovviamente la Sede era nascosta alla vista degli esseri umani grazie ad alcune malie protettive che gli stregoni del Consiglio avevano creato.
<< Non riesco ancora a controllare bene l’aria >> Ammise Tamira.
<< Sì, ma rimani comunque l’unica elementale in grado di controllare tutti e quattro gli elementi >> La rassicurò Dante.
<< Sarebbe carino se riuscissi a controllare bene tutti e quattro gli elementi >> Tamira rise.
Dante si avvicinò a lei, osservando la sabbia a terra.
<< Ti aiuto a ripulire >> Si offrì.
<< Dante, è sabbia, posso controllarla, non mi serve una mano >> Gli disse come se fosse la cosa più ovvia del mondo.
<< Sembra che il mio aiuto non serva a nessuno >> Disse scocciato abbassando lo sguardo.
<< Che è successo? >>
Dante la guardò e, senza dire una parola, lei capì.
<< Hai parlato di nuovo con tuo padre? >> Sentiva la rabbia salirle in corpo come la lava di un vulcano in eruzione.
Lui annuì.
<< Scusa se te lo dico, ma è un idiota! >> Gli disse cercando di contenersi il più possibile.
<< No, lo so. Non capisco che cosa gli costa a farmi partecipare alle ricerche, non sto chiedendo il mondo! Sto chiedendo di dare una mano, dannazione! >> Si sfogò, sapeva che Tamira lo avrebbe ascoltato perché lo faceva sempre.
<< Non so che cosa gli passi per la testa e probabilmente non lo capirò mai, ma se vuoi dargli due calci nel sedere hai tutto il mio appoggio >>
Dante rise e si sentì un po’ meglio.
<< Sì, beh, gli servirebbero >> Sospirò << Non riesce a capire che sono il miglior combattente che abbia a disposizione! >>
<< Non essere arrogante >> Lo riprese.
<< Non è arroganza, non voglio essere arrogante, è un dato di fatto >>
Si guardarono per qualche istante in cerca di una possibile soluzione, fu Tamira a rompere il silenzio.
<< Dovremo parlarne con Will e decidere cosa fare >> Disse decisa.
<< Sì, dovremmo >> Concordò Dante.
Nella sala entrò fischiettando un uomo bizzarro, aveva i capelli biondi ricoperti di brillantina, indossava una camicia bianca ed un gilet arancione, pantaloni eleganti grigi e scarpe da tennis.
<< Papà >> Lo salutò Tamira.
<< ’Sera tesoro >> James si avvicinò ai due fulminando Dante con lo sguardo. << Ehi zuccherino, mantieni una distanza di almeno tre metri da mia figlia >> Gli disse.
<< Non la tocco James! >> Dante alzò le mani sorridendo ed allontanandosi di un paio di passi.
<< Papà… >> Lo chiamò Tamira con un tono di voce che era a metà tra il rimprovero e il divertimento
<< Che c’è? >> Gli chiese lui.
Tamira incrociò le braccia al petto alzando un sopracciglio.
<< No, non capisco proprio cosa tu voglia dire con quello sguardo >> Le disse lui.
<< Devi dirmi qualcosa? >> Si arrese, alla fine, Tamira.
<< Sì, in effetti sì, ti è stata assegnata una missione >>
Tamira si irrigidì e Dante smise di sorridere tornando ad essere nervoso. Tamira le rivolse uno sguardo veloce mentre lui non guardava, provò dispiacere.
<< Domani pomeriggio seguirai ed interrogherai un mutaforma che si pensa abbia dei contatti con Marcus >> Le spiegò James.
<< Sì, certo >> Disse secca, volendo liquidare in fretta la conversazione.
<< Rendimi orgoglioso, bambina >> James le fece l’occhiolino. << Dante >> lo chiamò. << Prima o poi riuscirò a convincere tuo padre ad assegnarti una missione >>
<< Come? >> Chiese Dante lasciando trasparire della rabbia.
<< Parlerò di te e delle tue doti nel combattimento al consiglio, se sapessero quello che vali metterebbero pressione a Lorenzo, e alla fine sarà costretto ad assegnarti una missione >> Gli spiegò James.
Dante accennò ad un sorriso.
<< Grazie, James >>
James gli diede una pacca sulla spalla in un gesto di solidarietà, poi si voltò ed uscì dalla sala.

Mike rientrò con tre cartoni fumanti e profumati dopo una mezz'ora. Lui, Sarah e Jane si misero a tavola, ognuno occupando il posto a cui ormai era abituato. Sarah a capotavola, Mike alla sua destra e Jane a sinistra. Le piaceva la tendenza che sua madre aveva nell'assumere il ruolo di "Uomo di casa", "Alpha del branco", mentre Mike le faceva da spalla, anche a tavola durante la cena.
<< Jane, domani devi sistemare il giardino, le buche si stanno moltiplicando e il cane è il tuo >> disse Sarah interrompendo il dibattito di Jane e Mike su quale condimento fosse il migliore sulla la pizza.
<< No, mamma, domani non posso, ho promesso a Lucas che avremmo studiato insieme per il compito di lunedì >> Le rispose Jane, sperando che l'impegno preso la aiutasse a sfuggire da un pomeriggio con la sua amica "terra" ed il suo ragazzo "sporco".
<< Quand'è che ti sei messa d'accordo con Lucas esattamente? >> continuò Sarah diffidente.
<< Oggi pomeriggio, mamma! L'ho incontrato ad Hyde Park, mentre portavo fuori Kaito >> Disse.
Mike e Sarah ripresero a mangiare la loro pizza, a Jane passò la fame.
<< Mi è successa una cosa strana oggi >> Le parole le uscirono dalla bocca prima ancora che avesse il tempo di rifletterci, ma infondo, perché non avrebbe dovuto dirglielo? Loro erano gli unici che non l'avrebbero considerata una schizzata, loro e forse Lucas. Comunque, ormai, non poteva tirarsi indietro.
<< Che ti è successo? >> le chiese Mike.
<< Ho visto una cosa... >> Si interruppe trattenendo il fiato. Ripensando alla bambina le era venuta la pelle d'oca e sentiva brividi percorrerle tutto il corpo. << Ho visto una ragazzina, al parco, giocare vicino al laghetto delle anatre >> Si interruppe di nuovo. Sarah e Mike la stavano ascoltando con attenzione, non che ci fosse qualcosa di strano in quello che stava dicendo, era Jane che aveva assunto un atteggiamento strano, era visibilmente scioccata ed era anche impallidita.
<< Stava giocando con una sfera d'acqua sospesa sopra la sua testa! La cosa peggiore è che nessuno sembrava vederla! >> quasi urlò << Poi è arrivato Lucas, mi ha chiamata e io mi sono girata a salutarlo, poi, quando mi sono rigirata, la bambina era sparita! Credo sia per la stanchezza, ma è davvero brutto vedere cose che gli altri non vedono ed è ancora peggio che le cose in questione spariscano nel nulla >>
Seguirono attimi di silenzio.
<< Da quant'è che vedi queste cose? >> Le chiese Mike.
Mike era laureato in psicologia, nonostante avesse deciso di dedicarsi a lavori più manuali, come fare l'idraulico e l'elettricista. Lui diceva che era perché si era reso conto di non volersi addossare i problemi degli altri, di non volerne portare il peso sulle spalle. Jane e Sarah sospettavano che fosse perché non riusciva a trovare lavoro in quel settore.
<< Oggi è stata la prima volta >>
Mike le sorrise.
<< Tranquilla, probabilmente hai ragione, la stanchezza porta brutti scherzi. Hai detto che ultimamente hai problemi a dormire, vero? >>
Jane annuì.
<< Domani vado a comprarti delle gocce di biancospino, sono un sonnifero naturale, ti aiuteranno a riposare >>
Da quando avevano avuto l'incidente, due anni prima, Mike aveva assunto un atteggiamento estremamente premuroso nei confronti di Jane. La causa principale erano i sensi di colpa che tutt'ora provava.
<< Grazie >> sussurrò.

William Bennett, uno degli stregoni più sottovalutati tra gli invisibili, era nel suo laboratorio, o meglio, era nell’ex-laboratorio di suo padre, Henry Bennett, prima che diventasse il Medico ufficiale del consiglio, carica a cui tutti gli stregoni ambivano, tutti tranne Will.
Stava lavorando alla sua ultima invenzione: una coppia di anelli gemelli che fossero in grado di portare stregoni ed elementali indietro nel tempo con l’aiuto di un viaggiatore, o perlomeno era quello che avrebbero dovuto fare. Purtroppo, questa sua ultima invenzione, non funzionava bene come le altre e si scoprì molto più difficile da realizzare. Era partito dagli anelli standard dei viaggiatori nel tempo, congegni ufficiali che funzionavano come macchine del tempo, permettevano ai viaggiatori di controllare con precisione l’epoca ed il luogo del balzo spazio-temporale.
Will stava tracciando con dei gessetti dei simboli sul tavolo di pietra scuro, posizionò due ciotole di bronzo, contenenti una polvere argentata innaturalmente luminosa, negli spazi lasciati vuoti e vi mise dentro gli anelli. Stava eseguendo un incantesimo di sua invenzione, un mix tra una malia di legame e un rituale di unione materiale. Rivolse i palmi delle mani verso le ciotole, da essi uscirono dei flussi morbidi di energia blu che circondarono gli anelli imprigionandoli in una sfera solida. Recitò l’incantesimo in latino e le sfere che circondavano gli anelli si spaccarono. L’incantesimo era concluso. Ora era necessario scoprire se fosse riuscito nel suo intento. Doveva trovare Dante.

   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Fantasy / Vai alla pagina dell'autore: AriaJaneRothfeller