CAPITOLO 1
Lo vide
per la prima volta di sabato pomeriggio a Hyde Park, vicino al laghetto
delle
anatre. Jane stava passeggiando con il suo cane, Kaito, un Akita dal
pelo
rossiccio. Era con le cuffiette alle orecchie, intenta a godersi le
note di
"Have a nice day" di Bon Jovi quando le sembrò di vedere una
bambina
di colore nei pressi del lago giocare con una sfera d'acqua sospesa in
aria ad
una distanza di almeno trenta centimetri da terra. Si fermò.
Non poteva credere
ai suoi occhi. Rimase a fissarla per qualche secondo, pensando di star
sognando, ma com'era possibile che un sogno fosse così
vivido? No, non poteva
essere un sogno, magari qualche artista di strada stava facendo dei
giochi di
prestigio? Si guardò intorno tentando di scorgere qualcosa
che spiegasse quello
strano fenomeno che le si era parato davanti agli occhi con tanta
prepotenza.
Nulla faceva pensare ad un trucchetto di magia, o a nient'altro a dire
la
verità, le persone nei dintorni sembravano non fare caso a
quella bambina o
alla sfera d'acqua sospesa sopra la sua testa, sembravano non vederla.
<<
Ehi, Jane! >> Era Lucas, il suo compagno di banco, che
per qualche strana
coincidenza passava di lì, la salutò,
riconoscendola tra decine di persone.
Jane
voltò il capo vero di lui, era sorpresa di vederlo
lì, Londra era una città
grande, così come il parco dove si trovava. Lucas era un
ragazzo gentile,
intelligente. Si conoscevano da circa un anno e mezzo, da quando si era
trasferito da Liverpool alla sua città. Ricordò
il suo primo giorno di scuola,
teneva la testa bassa, nascondendo gli occhi dietro i riccioli biondi
che gli
cadevano sulla fronte, si vergognava di parlare con chiunque. Troppo
timido, fu
la prima cosa che Jane pensò quando lo vide entrare nella
sua classe, dovette
ricredersi quando pochi secondi dopo fece spostare Lydia dalla sedia
vicino a lei
solo allo scopo di occuparla lui.
Gli fece
un cenno veloce con la testa, poi si girò nuovamente verso
la ragazzina, ma,
sorprendentemente, era sparita, volatilizzata nel nulla, risucchiata da
un buco
nero.
<<
Ma che sta succedendo? >> sussurrò tra
sé e sé, confusa.
<<
Che cosa guardi? >> le chiese Lucas seguendo il suo
sguardo.
<<
Niente >> gli rispose scuotendo il capo, più
per riprendersi che per
altro.
Kaito
abbaiò ad uno scoiattolo.
<<
Ciao Kaito! >>
Lucas si
inginocchiò per coccolarlo, aveva sulle labbra un sorriso
tenero. Kaito non era
il tipo di cane che rifiutava le coccole, soprattutto quelle di Lucas,
si
sdraiò ai suoi piedi dopo pochi grattini dietro le orecchie.
<<
Direi che è felice di vederti >> Disse Jane,
cercando di ignorare quello
che i suoi occhi avevano visto qualche attimo fa, doveva esserselo
immaginato,
magari per la stanchezza, da qualche tempo aveva problemi a dormire.
<<
È un tenerone >> commentò lui.
<<
Come mai da queste parti? >> domandò Jane.
<<
Devo passare in biblioteca per restituire un libro >>
<<
E passi per il parco? >> Gli chiese Jane con
un’espressione che diceva
tutto: sopracciglio sinistro alzato, occhi socchiusi e labbra strette.
<<
Non guardarmi così, mi piace passeggiare >>
<<
Tu odi passeggiare! >>
Lucas
tornò ad accarezzare Kaito, ignorando Jane.
<<
Senti, ti volevo chiedere... >> Disse, finalmente
alzandosi da terra, si
era sporcato i Jeans chiari di terra sulle zone corrispondenti alle
ginocchia,
ma sembrava non importargli. << ...Possiamo studiare
insieme per il
compito di scienze di lunedì? >>
<<
Sei di nuovo indietro con il programma vero? >>
<<
Perché tu no? >> chiese con un sorrisetto
arrogante sulle labbra.
Jane
alzò gli occhi al cielo, ma sorrideva.
<<
D'accordo, ci vediamo domani pomeriggio al caffè vicino casa
mia >> Gli
disse.
<<
Perfetto! Ora vado, se no chi la sente mia madre se non rientro in
tempo? >>
Stava
per allontanarsi.
<<
Aspetta, ti accompagno >> Gli disse Jane fiancheggiandolo.
<<
Grazie, mademoiselle >>
Jane
rise. << Idiota >>
Si girò
per chiamare Kaito, stava giocando con un ramoscello, probabilmente
caduto
dall'albero lì vicino. Vide ai piedi dell'albero la bambina
di colore di prima,
quasi le venne un colpo. Era seduta sulle ginocchia e teneva il piccolo
palmo
della mano sinistra rivolto verso dei fiori bianchi ancora chiusi.
Stava per
caso facendo sbocciare delle margherite?
<<
Di cosa mi volevi parlare, Dante? >> Chiese al ragazzo di
fronte a lui.
<<
Del mio ruolo in tutta questa storia >> Gli rispose.
Prese un respiro
profondo, cercando di trovare le parole e ripromettendosi di mantenere
la
calma. << La ricerca di Marcus è importante,
tutti i membri del consiglio
e le loro reclute contribuiscono al suo ritrovamento, io sono tuo
figlio e… >>
<<
Non capisco dove vuoi arrivare >> Lorenzo lo interruppe,
spostò lo
sguardo sul figlio.
<<
Dovrei partecipare alle missioni di livello uno >>
Arrivò al punto. Si
vedeva da un miglio di distanza che il modo di fare di suo padre lo
infastidiva, ma cercava di controllarsi, doveva fasi ascoltare senza
concedergli la possibilità di cacciarlo
dall’ufficio.
<<
Non se ne parla >> Lo liquidò tornando a
guardare i file sul computer.
<<
Cerca di ascoltarmi almeno questa volta >> insistette
Dante.
<<
Ne abbiamo già parlato, Marcus è pericoloso,
è una minaccia anche per i
combattenti più forti che abbiamo, non posso permettermi di
lasciare che tu gli
dia la caccia >> Gli spiegò con un tono calmo,
nonostante l’autorità che
emanava fosse palpabile.
<<
Io sono uno dei combattenti
migliori
che avete! Se non mi lasci partecipare alla ricerca tutti crederanno
che pensi
al il mio bene prima che a quello degli invisibili e del Consiglio
>>
Stava iniziando a perdere il controllo, si stava scaldando e non andava
bene,
non avrebbe ottenuto niente in quel modo.
<<
Io penso al tuo bene prima che a
quello degli altri invisibili >> Gli spiegò
Lorenzo.
<<
Non è questo il punto, nessuno è mai morto in una
missione di ricerca >>
Cercò di riprendersi.
<<
Adesso ascoltami tu, sei troppo giovane perché ti assegni
una missione del
genere, non hai esperienza sul campo e… >>
Anche lui iniziava ad
irritarsi, ma il suo discorso fu interrotto dalle parole di Dante.
<<
Certo che non ho esperienza sul campo! E non
l’avrò mai se non mi assegni una
missione! >>
<<
Non ti rivolgere a me con quel tono >> Lo
ammonì, ma suo figliò sembrò
non sentirlo
<<
Hai detto che sono troppo giovane? Tamira ha diciassette anni, uno meno
di me,
e le vengono assegnate missioni di primo livello da mesi!
>> Aveva
decisamente perso il controllo, e la cosa lo faceva arrabbiare, la
rabbia lo
innervosiva e le parole diventavano più aggressive, era un
circolo vizioso.
<<
Non è colpa mia se James è un pazzo!
>> Anche suo padre perse le staffe.
<<
Beh, sarà felice di saperlo >>
Era una minaccia a vuoto la
sua, non si
sarebbe mai permesso di fare una cosa del genere, sarebbe stato
infantile e
meschino, e se ne rendeva conto. Si sentì uno stupido per
averlo detto.
<<
Non ti azzardare, Dante! >> Lo avvertì Lorenzo
con tono minaccioso
<< Non hai mai pensato che magari James non tiene a
Tamira quanto io
tengo a te? >>
<<
Perché non dovrebbe? È sua figlia
>> Gli chiese Dante tornando in sé.
<<
Lo sanno tutti che non lo è >> Le parole gli
uscirono dalla bocca prima
ancora che potesse pensarci.
Dante
rimase in silenzio per un po’, incredulo, non riusciva a
capire come quel
pensiero gli fosse passato per la testa, che quell’idea
avesse solo sfiorato
suo padre.
<<
James è una brava persona, papà, e ama Tamira
>> Disse poi. << Non
riesco a credere che lo pensi veramente >>
Dante,
deluso da quelle parole e arrabbiato per non essere riuscito a
persuadere suo
padre, uscì dall’ufficio sbattendo la porta alle
sue spalle.
Con
tutti i pensieri che le passavano per la testa quasi non si rese conto
di
essere arrivata a casa. Casa, ovvero una villetta stretta, ma
confortevole, una
delle poche rimaste vicino al centro di Londra. L'entrata era preceduta
da un
piccolo giardino recintato ormai di proprietà di Kaito. Nei
pomeriggi autunnali
si divertiva a giocare con le foglie arancioni che cadevano dall'acero
del
vicino nel nostro giardino, come se non fosse abbastanza, il terreno
era
cosparso di buche in cui Kaito nascondeva i suoi "tesori"
(consistevano principalmente in pezzi di pneumatico morsicati,
ramoscelli e
sassi dalla forma strana). Jane aprì il cancelletto bianco
ed entrò insieme al
suo cane, salì i tre gradini che precedevano il portone
cercando le chiavi
nella borsa di cuoio marrone, aprì poi la porta.
<<
Sono tornata! >> Annunciò prima di chiudere il
portone blu dietro di sé.
Appese
il giacchetto di jeans all'attaccapanni, così come la borsa,
e posò le chiavi
sopra al mobile dell'ingresso. Sentì un rumore provenire dal
sottoscala, il
cuore le iniziò a battere più velocemente, in
altre occasioni non avrebbe fatto
caso a certe cose, ma era stata una giornata strana, erano successe
cose
strane, chi le assicurava che non vi fossero altre stranezze ad
attenderla
dietro l'angolo? Magari stranezze pericolose, anche. La mente di Jane
iniziò a
creare degli scenari che, da quella situazione, finivano tutti con la
sua
morte. Raccolse, dopo qualche secondo, il coraggio di avvicinarsi, con
cautela.
I passi, per quanto leggeri potesse cercare di renderli, sembravano
facessero
un gran chiasso, ma forse era solo la testa che le stava giocando
brutti
scherzi. Improvvisamente una figura slanciata uscì dal
sottoscala, facendola
sobbalzare. Jane, per istinto forse, assunse una posizione di difesa,
con le
braccia alte davanti a sé e il piede destro leggermente
più avanti rispetto al
sinistro.
<<
Mamma?! >>
Tornò ad
una posizione normale, si portò la mano destra al petto per
controllale i
battiti del cuore che iniziarono a rallentare, anche se di poco.
Sua
madre la guardò come fosse appena uscita da un ospedale
psichiatrico.
<<
Certo! Chi ti aspettavi? Babbo Natale? >> La prese in
giro Sarah.
<<
Porca miseria, mi hai fatto prendere un colpo! >>
Sarah
strinse le labbra cercando di trattenersi dallo scoppiare a ridere.
<<
Si può sapere che stavi facendo nel sottoscala?!
>>
<<
Stavo cercando questa copia del romanzo >> le disse
mostrandole i fogli
che teneva in mano << Questa casa editrice la vuole
cartacea >>
Sarah
faceva la scrittrice, amava i libri, soprattutto quelli
fantascientifici, amava
leggerli ed amava ancor di più scriverli, Jane ammirava che
la sua mamma fosse
riuscita a trasformare la sua passione in un lavoro, passione che, tra
l'altro,
aveva trasmesso anche a lei, a differenza sua però, Jane non
scriveva, non
aveva lo stesso talento della madre, il suo problema principale: non
era brava
con le parole.
<<
Strano >> Si limitò a dire.
Strano
è la parola del giorno.
Pensò.
<<
Già >> Confermò Sarah alzando le
spalle, rassegnandosi a tutte le
assurdità che il suo lavoro comportava.
<<
Cosa c'è per cena? >> Le chiese sua figlia, un
po' per cambiare discorso
e un po' perché non sapeva cosa dire.
<<
Mike è uscito a prendere le pizze, per te ho ordinato quella
ai peperoni >>
Un
pesante sacco da boxe rosso pendeva a qualche metro di distanza da lei.
Intorno
a lei, invece, aveva posto una ciotola d’acqua, dei sassi
ammassati l’uno
sull’altro e una candela accesa. Si posizionò con
le gambe leggermente
divaricate e le braccia stese lungo i fianchi, chiuse gli occhi e fece
un
respiro profondo.
Tamira
sentì l’aria attorno a lei muoversi, come se le
finestre fossero aperte e il
vento le accarezzasse pelle. L’acqua nella ciotola
iniziò a muoversi senza che
nessuno la toccasse, alcuni dei sassi posti più in alto nel
mucchio caddero e
la fiamma della candela si alzò e danzò.
Aprì gli
occhi di scatto, con altrettanta velocità
posizionò i piedi uno davanti
all’altro tenendo le gambe piegate. Allungò il
braccio destro verso la ciotola,
e fece un gesto con la mano come a voler tirare una corda piantata a
terra
verso l’alto. L’acqua formò una colonna
e si divise in centinaia di piccole
sfere quando Tamira glielo ordinò. Chiuse il pugno e le
sfere d’acqua si
trasformarono in schegge di ghiaccio affilatissime. Nel frattempo, con
l’alta
mano, aveva iniziano ad utilizzare la fiamma della candela per creare
degli
anelli di fuoco che non smettevano di ruotare mentre lei li teneva
sospesi a mezz’aria.
Scagliò le schegge di ghiaccio contro il bersaglio, erano
talmente veloci che
sarebbe stato impossibile individuarle ad occhio nudo.
Lanciò gli anelli di
fuoco contro le schegge, distruggendole, una frazione di secondo prima
che
bucassero il sacco.
Con
alcune pietre costruì un solido muro che lo bloccava, mentre
con le altre
cercava di distruggere la catena di ferro che lo sorreggeva.
Il sacco
si staccò, Tamira tirò via le pietre distruggendo
il muro e creò delle lame
d’aria con l’intenzione di fermarle prima che
squarciassero la pelle dello
stesso sacco. Fallì durante l’ultimo passaggio e
la sabbia che conteneva si
riversò sul pavimento di marmo nero.
<<
Merda! >> disse.
<<
A me non sembrava tanto male >> La voce proveniva dal
ragazzo appoggiato
all’anta della porta d’entrata.
<<
Dante >> Gli sorrise. << Che fai qui?
>>
Lui alzò
le spalle.
<<
Osservo >> Le rispose.
Tra loro
non c’era imbarazzo, si conoscevano da quando Tamira fu
portata a Buckingham
Palace, la Sede del Consiglio di Londra, a sei anni.
Ovviamente
la Sede era nascosta alla vista degli esseri umani grazie ad alcune
malie
protettive che gli stregoni del Consiglio avevano creato.
<<
Non riesco ancora a controllare bene l’aria >>
Ammise Tamira.
<<
Sì, ma rimani comunque l’unica elementale in grado
di controllare tutti e
quattro gli elementi >> La rassicurò Dante.
<<
Sarebbe carino se riuscissi a controllare bene
tutti e quattro gli elementi >> Tamira rise.
Dante si
avvicinò a lei, osservando la sabbia a terra.
<<
Ti aiuto a ripulire >> Si offrì.
<<
Dante, è sabbia, posso controllarla, non mi serve una mano
>> Gli disse
come se fosse la cosa più ovvia del mondo.
<<
Sembra che il mio aiuto non serva a nessuno >> Disse
scocciato abbassando
lo sguardo.
<<
Che è successo? >>
Dante la
guardò e, senza dire una parola, lei capì.
<<
Hai parlato di nuovo con tuo padre? >> Sentiva la rabbia
salirle in corpo
come la lava di un vulcano in eruzione.
Lui
annuì.
<<
Scusa se te lo dico, ma è un idiota! >> Gli
disse cercando di contenersi
il più possibile.
<<
No, lo so. Non capisco che cosa gli costa a farmi partecipare alle
ricerche,
non sto chiedendo il mondo! Sto chiedendo di dare una mano, dannazione!
>>
Si sfogò, sapeva che Tamira lo avrebbe ascoltato
perché lo faceva sempre.
<<
Non so che cosa gli passi per la testa e probabilmente non lo
capirò mai, ma se
vuoi dargli due calci nel sedere hai tutto il mio appoggio
>>
Dante
rise e si sentì un po’ meglio.
<<
Sì, beh, gli servirebbero >>
Sospirò << Non riesce a capire che
sono il miglior combattente che abbia a disposizione! >>
<<
Non essere arrogante >> Lo riprese.
<<
Non è arroganza, non voglio essere arrogante, è
un dato di fatto >>
Si
guardarono per qualche istante in cerca di una possibile soluzione, fu
Tamira a
rompere il silenzio.
<<
Dovremo parlarne con Will e decidere cosa fare >> Disse
decisa.
<<
Sì, dovremmo >> Concordò Dante.
Nella
sala entrò fischiettando un uomo bizzarro, aveva i capelli
biondi ricoperti di
brillantina, indossava una camicia bianca ed un gilet arancione,
pantaloni
eleganti grigi e scarpe da tennis.
<<
Papà >> Lo salutò Tamira.
<<
’Sera tesoro >> James si avvicinò ai
due fulminando Dante con lo sguardo.
<< Ehi zuccherino, mantieni una distanza di almeno tre
metri da mia
figlia >> Gli disse.
<<
Non la tocco James! >> Dante alzò le mani
sorridendo ed allontanandosi di
un paio di passi.
<<
Papà… >> Lo chiamò
Tamira con un tono di voce che era a metà tra il
rimprovero e il divertimento
<<
Che c’è? >> Gli chiese lui.
Tamira
incrociò le braccia al petto alzando un sopracciglio.
<< No, non
capisco proprio cosa tu
voglia dire con quello sguardo >> Le disse lui.
<<
Devi dirmi qualcosa? >> Si arrese, alla fine, Tamira.
<<
Sì, in effetti sì, ti è stata
assegnata una missione >>
Tamira
si irrigidì e Dante smise di sorridere tornando ad essere
nervoso. Tamira le
rivolse uno sguardo veloce mentre lui non guardava, provò
dispiacere.
<<
Domani pomeriggio seguirai ed interrogherai un mutaforma che si pensa
abbia dei
contatti con Marcus >> Le spiegò James.
<<
Sì, certo >> Disse secca, volendo liquidare in
fretta la conversazione.
<<
Rendimi orgoglioso, bambina >> James le fece
l’occhiolino. << Dante
>> lo chiamò. << Prima o poi
riuscirò a convincere tuo padre ad
assegnarti una missione >>
<<
Come? >> Chiese Dante lasciando trasparire della rabbia.
<<
Parlerò di te e delle tue doti nel combattimento al
consiglio, se sapessero
quello che vali metterebbero pressione a Lorenzo, e alla fine
sarà costretto ad
assegnarti una missione >> Gli spiegò James.
Dante
accennò ad un sorriso.
<<
Grazie, James >>
James
gli diede una pacca sulla spalla in un gesto di solidarietà,
poi si voltò ed
uscì dalla sala.
<<
Jane, domani devi sistemare il giardino, le buche si stanno
moltiplicando e il
cane è il tuo >> disse Sarah interrompendo il
dibattito di Jane e Mike su
quale condimento fosse il migliore sulla la pizza.
<<
No, mamma, domani non posso, ho promesso a Lucas che avremmo studiato
insieme
per il compito di lunedì >> Le rispose Jane,
sperando che l'impegno preso
la aiutasse a sfuggire da un pomeriggio con la sua amica "terra" ed
il suo ragazzo "sporco".
<<
Quand'è che ti sei messa d'accordo con Lucas esattamente?
>> continuò
Sarah diffidente.
<<
Oggi pomeriggio, mamma! L'ho incontrato ad Hyde Park, mentre portavo
fuori
Kaito >> Disse.
Mike e
Sarah ripresero a mangiare la loro pizza, a Jane passò la
fame.
<<
Mi è successa una cosa strana oggi >> Le
parole le uscirono dalla bocca
prima ancora che avesse il tempo di rifletterci, ma infondo,
perché non avrebbe
dovuto dirglielo? Loro erano gli unici che non l'avrebbero considerata
una
schizzata, loro e forse Lucas. Comunque, ormai, non poteva tirarsi
indietro.
<<
Che ti è successo? >> le chiese Mike.
<<
Ho visto una cosa... >> Si interruppe trattenendo il
fiato. Ripensando
alla bambina le era venuta la pelle d'oca e sentiva brividi percorrerle
tutto
il corpo. << Ho visto una ragazzina, al parco, giocare
vicino al laghetto
delle anatre >> Si interruppe di nuovo. Sarah e Mike la
stavano
ascoltando con attenzione, non che ci fosse qualcosa di strano in
quello che
stava dicendo, era Jane che aveva assunto un atteggiamento strano, era
visibilmente scioccata ed era anche impallidita.
<<
Stava giocando con una sfera d'acqua sospesa sopra la sua testa! La
cosa
peggiore è che nessuno sembrava vederla! >>
quasi urlò << Poi è
arrivato Lucas, mi ha chiamata e io mi sono girata a salutarlo, poi,
quando mi
sono rigirata, la bambina era sparita! Credo sia per la stanchezza, ma
è
davvero brutto vedere cose che gli altri non vedono ed è
ancora peggio che le
cose in questione spariscano nel nulla >>
Seguirono
attimi di silenzio.
<<
Da quant'è che vedi queste cose? >> Le chiese
Mike.
Mike era
laureato in psicologia, nonostante avesse deciso di dedicarsi a lavori
più
manuali, come fare l'idraulico e l'elettricista. Lui diceva che era
perché si
era reso conto di non volersi addossare i problemi degli altri, di non
volerne
portare il peso sulle spalle. Jane e Sarah sospettavano che fosse
perché non
riusciva a trovare lavoro in quel settore.
<<
Oggi è stata la prima volta >>
Mike le
sorrise.
<<
Tranquilla, probabilmente hai ragione, la stanchezza porta brutti
scherzi. Hai
detto che ultimamente hai problemi a dormire, vero? >>
Jane
annuì.
<<
Domani vado a comprarti delle gocce di biancospino, sono un sonnifero
naturale,
ti aiuteranno a riposare >>
Da
quando avevano avuto l'incidente, due anni prima, Mike aveva assunto un
atteggiamento estremamente premuroso nei confronti di Jane. La causa
principale
erano i sensi di colpa che tutt'ora provava.
<<
Grazie >> sussurrò.
Stava
lavorando alla sua ultima invenzione: una coppia di anelli gemelli che
fossero
in grado di portare stregoni ed elementali indietro nel tempo con
l’aiuto di un
viaggiatore, o perlomeno era quello che avrebbero dovuto fare.
Purtroppo, questa
sua ultima invenzione, non funzionava bene come le altre e si
scoprì molto più
difficile da realizzare. Era partito dagli anelli standard dei
viaggiatori nel
tempo, congegni ufficiali che funzionavano come macchine del tempo,
permettevano ai viaggiatori di controllare con precisione
l’epoca ed il luogo
del balzo spazio-temporale.
Will
stava tracciando con dei gessetti dei simboli sul tavolo di pietra
scuro,
posizionò due ciotole di bronzo, contenenti una polvere
argentata
innaturalmente luminosa, negli spazi lasciati vuoti e vi mise dentro
gli
anelli. Stava eseguendo un incantesimo di sua invenzione, un mix tra
una malia
di legame e un rituale di unione materiale. Rivolse i palmi delle mani
verso le
ciotole, da essi uscirono dei flussi morbidi di energia blu che
circondarono
gli anelli imprigionandoli in una sfera solida. Recitò
l’incantesimo in latino
e le sfere che circondavano gli anelli si spaccarono.
L’incantesimo era
concluso. Ora era necessario scoprire se fosse riuscito nel suo
intento. Doveva
trovare Dante.