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Autore: esmoi_pride    21/01/2018    4 recensioni
Il Gran Regno di Saab è stato rifondato dalle sue antiche rovine, e adora il dio Saab. L'Imperatore scelto dal Dio ha accolto i reietti della società e li ha resi il popolo della città. Ma adesso i signori rivogliono indietro i loro schiavi e creano un'Alleanza, formata dalle sette città più importanti della regione, per annientare il loro piccolo avversario. Quella che scoppierà sarà una lotta tra gli uomini... e qualcosa di ben più grande di loro. | Storia fantasy. Cosa c'è dentro: guerra, drow, omosessualità latente, dettagli truculenti, drow, omosessualità sfacciata, morte, drow, slash, comandanti bboni, ho già detto drow?, pseudoincesto, scoperte molto boh, qualche umano, poteri psionici/cineti, una minoranza di altre razze, cose improvvisamente sci-fi ve lo ggiuro, e... drow, principalmente.
Genere: Avventura, Romantico, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Incest
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- Questa storia fa parte della serie 'Storie di Saab'
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Ciao a tutti :) per rendervi più agevole la lettura, vi scrivo qui i significati di alcuni termini drowish che potete non sapere. Spero che gradirete questo capitolo :)



Ilharess: Sacerdotessa. La Ilharess è la matrona di un grande clan o una grande città drow.
Jallil: drow femmina.
Jaluk: drow maschio.
Ussta dalhar: bambino mio.
Dalhar: bambino.



Storie di Saab, II
Capitolo 2 – Vharcan*
*Vendetta







“[…]
Hai solcato con me gli oceani, perciò conoscerai le usanze degli dei minori che venivano venerati tra la nostra gente. Ladri, assassini, prostitute, pirati e contrabbandieri provenienti da ogni angolo del mondo: ognuno di loro portava i loro dei, le loro usanze e, con esse, a volte, i sacrifici umani.

Kitumu, la libellula rossa dei Kembe, chiede che venga versato sangue umano ogni anno perché continui a dormire. Dhalavei è la dea dei segreti e distruttrice di legami. Famosa tra le spie. Per la sua setta, i Distruttori d’Ebano, i sacrifici sono una parte importante della venerazione. Le sette di Lamashtu, o Madre Incubo, sono creature dalle fattezze bestiali come Lamashtu stessa. Hanno preso la tradizione di fare esperimenti su umanoidi, ingravidando uomini e donne per creare prole dall’aspetto mostruoso. Lo stesso nemico di Madre Incubo, Rovagug, vuole che i suoi fedeli portino una vittima all’altare sacrificale e la uccidano con violenza. L’ultima divinità che voglio nominare è il diamante della collezione, Vilya, ma tu la conosci già molto bene. Tra i loro compiti, i cacciatori del sottosuolo che vanno in superficie hanno quello di riportare indietro una vittima sacrificale. Gli umani vanno bene, gli elfi meglio. Anche se le vittime che Lolth ama di più, ussta dalhar, sono le sue stesse sacerdotesse.

Ti sei mai chiesto per quale motivo i nostri compagni sacrificassero i prigionieri ai loro dei, sulla riva, una volta conquistato questo forte o quella nave? Perché gli dei desiderano il sangue di un umanoide? Beh, dalhar, se ho imparato una cosa in questi centocinquant’anni di vita, è che ciò che tiene in vita gli dei siamo proprio noi. Non è il sangue o la carne smembrata che desiderano… ma piuttosto, le nostre anime. Ogni affondo di lama nel corpo di un uomo vivo ci toglie via pezzi di noi. L’anima si incrina e si sfaccetta come uno specchio rotto per ogni vita che prendiamo. Quando la morte evoca qualcosa dentro di noi - felicità, piacere, orrore, paura, vendetta, tristezza - e dedichiamo quel pezzo di noi a un dio, il dio lo divora. Se non lo facciamo, è la morte stessa a divorarci. Gli dei e la morte ci mangiano, banchettano su di noi. Banchettano su di un mondo di cadaveri. E alla millesima uccisione l’anima si spezza in mille e uno specchi, come un lago sempre torbido. Non si riesce più a specchiarcisi. Non c’è più ritorno. Non si ricorda più cosa significhi… essere umano.

Non so quante volte ho ucciso, Vilya, ho perso il conto. E non so quante anime mi mancano dal perdere quel poco che ho mai avuto di me stesso. Ma sono sicuro di due cose:
che sono ancora qui,
e che ucciderò ancora.
Undome,
d.h. 337”


 

***






L’Imperatore risollevò il viso e la sfera gialla corse verso di lui fin sulla sua gola. Si infranse sulla pelle dell’uomo, facendo brillare la pelle di Azul, e scese fino alla fiammella, ravvivandola.
Gli occhi del negromante calarono nuovamente sulla folla e la scandagliarono affamati. In un’esortazione di stinchi e bacino fece ripartire il cavallo al galoppo. Le creature nel campo di luce indietreggiarono, senza poter sconfiggere la velocità della cavalcatura. Delle urla riempirono la piana. Dal terreno emersero ombre fumose che rincorrevano i jaluk rimasti catturati nella ragnatela di luce. Tutte le sfere luminose che vennero vomitate dai nuovi cadaveri corsero verso la gola del negromante e vi si infransero come la prima.

Il campo di battaglia si aprì attorno all’Imperatore. Gli avversari che scappavano da lui vennero intrappolati dai soldati di Saab. La Guardia Imperiale si accanì sulle divise nere dei jaluk del sottosuolo. Azul aprì le file dell’esercito nero in aiuto dei suoi cavalieri, sbaragliando le forze nemiche. Il Cavaliere Grigio, immerso nella mischia, seguiva furtivamente l’Imperatore tenendosi al suo fianco a metri di distanza.
Il cavallo di Azul si impennò davanti a un enorme serpente. Posto sulla sella, il suo cavaliere, come Azul, indossava diademi, gioielli e un abito bianco, ma era una jallil. Il serpente strisciò verso Azul con avidi occhi gialli e si vide ricambiato lo sguardo. Non appena si fermò indietreggiò la testa e puntò la preda. Dischiuse le zanne in un minaccioso soffio di avvertimento.


 

***




Valentino seguì la traiettoria di uno dei tre grossi serpenti sul campo di battaglia. Con dei colpetti alla coscia del cavallo e un’esortazione lo fece partire al galoppo. Il cavallo calpestò il tappeto di cadaveri e tagliò la strada al serpente per poi fermarsi davanti ad esso.

Il mezzelfo si guadagnò l’attenzione della jallil, che sedeva sulla sella del rettile. Ricambiò lo sguardo: i suoi occhi verdi la puntarono con determinazione. La staffa del mago era stretta nella sua mano destra, con le redini nell’altra mano.
Lei, guardandolo dall’alto in un’espressione superba, alzò il mento affilato e iniziò a recitare una formula magica. La voce si alzò gradualmente. Il mezz’elfo ripose la staffa nel fodero dietro la schiena. Sollevò appena le braccia, con le mani verso il basso e i palmi rivolti verso la donna. Incalzò a sua volta la formula di un incantesimo. La donna stava venendo avvolta da tenebre violacee, innaturali; ma interruppe il suo canto nel mezzo dell’incantesimo quando la lingua del sottosuolo che Valentino stava pronunciando fu abbastanza limpida da arrivare alle sue orecchie.

La jallil abbassò il viso, sorpresa, e sgranò gli occhi, piantati sul mezzelfo. Le mani di Valentino si stavano colorando di grigio dalla punta delle dita. La pelle stava cambiando lentamente e avviluppava il ragazzo nel colorito carbone di un jaluk qualunque. I capelli sbiancavano dalle punte fino alla radice per ogni parola che scorreva dalle sue labbra. Il respiro accelerò. Gli occhi del mezz’elfo si sbarrarono con le iridi rosse fisse sulla drow. La voce limpida si appesantì di stenti. La jallil strinse convulsamente le redini del serpente e lanciò un urlo adirato. Tese il braccio verso il ragazzo. Recitò in fretta una formula, la voce si incrinò di una nota critica.

Valentino pronunciò l’ultima parola del suo incantesimo prima che lei ebbe finito. Fiamme nere avvolsero il corpo della donna e del serpente e iniziarono a consumare il suo vestito. Un altro urlo squarciò la piana. Il serpente si contorse violentemente finché le sue spire non carbonizzarono del tutto. Il tanfo della carne bruciata venne soffiato dal vento.

Solo allora, Valentino crollò sul collo del cavallo in uno stento, privo di forze. Si aggrappò alla criniera ma non riuscì a rialzarsi. I capelli riacquistarono il loro colore biondo grano, la pelle tornò rosea. Il braccio di Ra’shak arrivò al ragazzo e lo strinse a sé. Il mezzelfo si appoggiò a lui e si prese del tempo per recuperare le energie. Il jaluk osservava l’area alle spalle del mezzelfo e ascoltava il respiro del compagno che si regolarizzava piano.

“Traditore di Jhachalkhyn.
Quale onore.”
Ra’shak sgranò gli occhi. Voltò repentino il capo dietro di sé e si irrigidì nel vedere il proprietario di quella voce. Era un altro drow, più anziano, con l’armatura nera del sottosuolo e due spade corte nelle mani. Aveva un ghigno sulla faccia.
“Avrei potuto colpirti alle spalle. Il tuo stile con le Ilharess.”
Ra’shak abbandonò il mezz’elfo. Girò il frisone verso il jaluk.
Comandante,” chiamò così l’uomo a terra.

“Ti brucia ancora?”, aggiunse.
Il jaluk sbuffò dalle narici.
“Huh. Cosa, non venire perseguitato per il resto della mia vita?”
“Venire deposto dalla Ilharess,” lo corresse Ra’shak, scendendo da cavallo, “vedermi prendere il tuo posto al comando. Vedermi ucciderla al posto tuo.”
“Hai ucciso la persona sbagliata, Ra’shak,” replicò il più anziano. Si rigirò una delle spade nella mano. “Si uccidono i jaluk, non le jallil. E si scopano le jallil, non i jaluk.”
Inarcò le sopracciglia, emise un sibilo: “devi aver fatto confusione. Una gran confusione.”
Ra’shak impallidì*. L’altro indicò Valentino con un cenno del mento.
“Te lo porti ancora dietro, vedo.”
Il Comandante di Saab trattenne gli occhi in quelli dell’avversario, rigido come una statua. Poi fece un passo avanti. Le mani raggiunsero le spade che aveva infoderate dietro la schiena.
Le estrasse e si mise in posizione di attacco.
“Nessuna confusione,” sussurrò.




* = sì, lo so, è difficile da immaginare anche per me.

***






Azul rispose.
Le labbra schiuse modellarono suoni che strisciavano, sibilavano e vibravano nella gola. Il cavallo si lasciò andare in un nitrito ribelle; l’Imperatore dovette trattenerlo con le briglie mentre proseguiva. Il serpente inarcò le spire attorno a sé in risposta e sembrò più grosso di prima. Spalancò maggiormente le zanne in un altro soffio, ma poi serrò il muso, lo chinò e tirò fuori la lingua in un guizzo, nel tentativo di odorare il jaluk.

“Conosci la lingua dei serpenti?” la jallil li interruppe, con una nota di derisione.
“Gli hai chiesto di non mangiarti?”
“Gli ho chiesto cosa ci fa qui,” rispose Azul, impastando la sua voce nel timbro ruvido della sua lingua natale. “Gli ho chiesto perché sta seguendo una creatura debole come te.” La ruvidezza della voce accompagnò l’asprezza del disprezzo che colorò le sue parole.
La jallil sollevò il mento. I suoi occhi brillarono di rabbia.
“Non sai riconoscere una Ilharess quando la vedi?” sbuffò una risata, chiudendo le palpebre sotto le ciglia lunghe. “Non avrai comunque bisogno di farlo quando il mio serpente ti mangerà,” rivelò in un sospiro.
“Non lo farà,” rispose il negromante, trattenendo lo sguardo sulla figura della Ilharess. Tornò al serpente per dirgli qualcos’altro e il serpente rispose con un sibilo, facendo affiorare la lingua biforcuta.
“Thir'ku-waess**!” lo richiamò la Sacerdotessa stringendo le redini, “Avanza!”

Il serpente sovrastò Azul. La jallil si premette al suo dorso e intonò un’invocazione. Attorno a lei iniziò a materializzarsi uno sciame di dardi, con le punte dirette verso il jaluk.
Poco lontano dal confronto tra i due, Imesah invece sollevò la spada un bisbiglio. Non appena la Ilharess terminò il suo canto, i dardi si scagliarono sul jaluk talmente veloci da essere a stento visibili. Ma prima di raggiungere Azul essi si infransero nel nulla, svanendo in una voluta di fumo.

Azul non batté ciglio. Alzò la mano e voltò il palmo verso l’alto. Dei tentacoli di fumo emersero dal terreno. La Ilharess li vide salire verso la sua gonna e in un gemito di paura e smarrimento tentò di scivolare dalla loro presa. Finì per venire strattonata e ricadere sulla sella. Le spirali di fumo la avevano già avviluppata. Nello stesso momento la fiamma nel corpo del jaluk iniziò a bruciare vivida e a consumarsi. La jallil tentò di strappare via la gonna dai tentacoli in un ringhio spaventato. Le dita di Azul iniziarono a raccogliersi nella mano. Le spirali nere risalirono verso i fianchi della donna e riuscirono a cingerla in una morsa che la tenne inchiodata sulla sella, impedendole tutti i movimenti inferiori alla cintura. La drow squittì, annaspando quando i tentacoli le lambirono la pancia. Gettò il capo all’indietro e prese ad ansimare affannosamente nel tentativo di prendere il respiro. Azul chiuse il pugno in una stretta salda. Il fumo coprì il corpo della donna come un abito e lo strinse in una morsa affiatata. Gli stenti, e gli squittii, che fuoriuscivano dalle labbra della donna si interruppero, quando il fumo nero la raggiunse alla gola. Il suo corpo si irrigidì all’improvviso in uno spasmo. Allora, delle vene di liquido dorato affiorarono dalla donna e scivolarono lungo i tentacoli per poi sparire sotto il suolo. La pelle di Azul brillò ancora una volta. Il fumo svanì e il corpo dell’Ilharess, ora molle, scivolò dalla sella e si accasciò a terra.



** = Cambia-Pelle.

 


***





All’ultimo colpo sferrato, i muscoli di Ra’shak guizzarono via dall’avversario, lucidi di sudore, nel sottofondo del suo respiro affiatato. Per quanto potesse essere veloce, l’altro lo era ancora di più. Il fendente successivo sfregiò il petto di Ra’shak, costringendolo a tirarsi indietro. Era in disequilibrio, ma a farlo inciampare fu un calcio alla faccia. Ra’shak non poté controllare la caduta e batté la testa. Gemette in un sospiro. Lottò per qualche istante contro la perdita dei sensi, prima che gli si annebbiasse la testa, lasciandolo esanime a terra.

Una volta assicuratosi che Ra’shak fosse fuori gioco, l’avversario si voltò e alzò le braccia verso Valentino, tracciando una serie di gesti. Ma lo sguardo non era diretto a lui: era diretto alla terza Ilharess, davanti all’incantatore. Montava il suo serpente, che aveva puntato gli occhi sul cavallo di Valentino. Valentino era esausto, ma tentava di farlo partire con dei colpi di tallone. Il cavallo, però, incrociava lo sguardo del serpente e non si muoveva se non per spostare il peso del corpo: era ipnotizzato.
La Ilharess annuì ai segnali del jaluk e abbassò lo sguardo sul ragazzo.

In un rantolo, Valentino si fece forza e si scostò dal collo del cavallo per alzare il viso verso la jallil. Affannando, corrugò la fronte in una smorfia di sfida e le mani si strinsero attorno alla criniera del cavallo.


Ra’shak era svenuto.

Per qualche secondo.
“-Uh…”
Riaprì gli occhi confuso, prima di sgranarli subito dopo. Tese i muscoli in un’iniezione di adrenalina che lo spinse su a sedersi. Cercò il jaluk che lo aveva atterrato. Trovò l’Ilharess davanti a Valentino. Venne scosso da un violento brivido. Lo usò per darsi la carica.
Estrasse un pugnale dal fodero sulla coscia e scattò in piedi. Con un passo avanti lo incastrò tra le scapole del jaluk che gli aveva dato le spalle. L’urlo dell’uomo attirò la jallil.

Ormai Ra’shak stava correndo verso di lei, inarrestabile. L’Ilharess imprecò nella sua lingua aspra e girò il serpente verso di lui, ma il jaluk scavalcò le spire della creatura prima che essa potesse tentare di morderlo. Estrasse un altro pugnale da dietro la schiena***. Lo conficcò nel fascio di muscoli del collo del serpente e lo usò per arrampicarsi sull’animale, tirandosi su. La bestia si contorse dal dolore, sputando veleno. L’altra mano si aggrappò a una squama e la tirò via nel sollevare il resto del corpo. Ra’shak rischiò di venire sbalzato a terra dalle contorsioni della bestia, ma il pugnale resse nel muscolo del serpente e lo trattenne. L’Ilharess perse il controllo delle redini e con un gemito si aggrappò in avanti, sulle squame del serpente. Ra’shak la raggiunse. La picconata di pugnale stavolta trapassò la mano di lei nel puntare le carni del serpente, causandole un urlo.

Quello fu l’ultimo verso della Ilharess. La sua testa sbatté contro il pugno deciso di Ra’shak.
Piegato sul cavallo, Valentino sollevò le sopracciglia in un’espressione basita.





*** = c’è tutto il set di Miracle Blade là dietro.
***




Thir’ku-waess si chinò in un sibilo. Azul si arrampicò in piedi sulla sella del cavallo e tentò di aggrapparsi a quella del serpente. Riuscì ad afferrarla poco prima che il cavallo fuggisse al galoppo, lasciandolo penzolare nel vuoto, in un fioco tintinnare dei gioielli. Il jaluk scalò la sella con uno stento e montò sul serpente, prendendo le redini tra le mani. Sospirò e pronunciò un verso sibillino: il serpente si innalzò.

I due eserciti avevano smesso di combattere. All'orizzonte si vedeva solo un altro serpente come quello montato da Azul, e si contorceva su se stesso. L'urlo femminile lanciato da quella direzione fece voltare i jaluk, che videro la sagoma bianca dell'ultima Ilharess cadere dalla sella. Il silenzio invase l'aria insieme alla polvere alzata da terra.

“Charrvell'rhaughaust,” chiamò Azul, scrutando i guerrieri sotto di sé. I jaluk ricambiarono il suo sguardo.

“Avete seguito le vostre Sacerdotesse in battaglia. Le vostre Matrone. Le voci di Lolth, le prescelte.”

Voltò il capo, spaziando lo sguardo lungo la piana.

“Le Ilharess non amano uscire fuori dalla tana. Lo fanno quando si sentono al sicuro. Lo fanno per dimostrare qualcosa.”

Abbassò lo sguardo al cadavere della donna che aveva ucciso poco prima, ora ai suoi piedi.

“Oggi volevano dimostrare che il nostro Ragno Bianco fosse impotente davanti alle vaste forze della Dea Ragno. Sono uscite dal loro dominio e le abbiamo sterminate una ad una, come piccoli insetti.”

Alzò lo sguardo, nuovamente, verso l'esercito che si stagliava attorno a lui da tutte le direzioni, girando il serpente per abbracciare altri stralci di quell'orizzonte.

“Questa terra non è fatta per voi e non vi appartiene. Se continuerete a combattere vi accecheremo con la luce del Ragno Bianco e tra poche ore il sole sorgerà, spazzando via ciò che rimane di voi. Lasciate le battaglie di superficie alla superficie e tornate ai vostri domini, a governare sotto-la-terra. Tornate alle vostre signore, alle vostre padrone e ai vostri padroni.”

Allentò le redini del serpente e gli sibilò qualcosa. Il serpente tirò fuori la lingua in un guizzo, in risposta, e strisciò in un'avanzata per poi fermarsi di nuovo.

“Qui sopra-la-terra, adesso, siete padroni di voi stessi, proprio come me e il mio popolo. Le catene che vi legavano alle vostre matrone sono state distrutte. Siete come noi.
Conoscete la strada per tornare indietro... ma se deciderete di proseguire verso la strada di Saab con il mio esercito, le porte della città vi accoglieranno e la luce del mio dio non accecherà più i vostri occhi, ma vi farà vedere ciò che i vostri occhi non sono stati in grado di vedere finora.”





 
***





Lontani dalla piana osservavano la battaglia, in groppa allo stesso cavallo.

Non era un cavallo da guerra. Si trattava di una cavalcatura ben più leggera e veloce, snella e di colore scuro, che si mimetizzava col terriccio e con i loro vestiti. Delle bende gli camuffavano il volto, un cappuccio copriva il resto e la zona degli occhi era colorata di nero. Il colore delle iridi era uno dei pochi indizi che avevano dovuto lasciar trapelare. Il ragazzo di dietro, che teneva le redini, aveva intensi occhi blu. Era alto e più grosso dell’altro. Quello davanti era snello; con le mani strette sul corno della sella, scrutava il lontano Imperatore con irrequieti occhi verdi.
Scostò di getto lo sguardo in un gesto smarrito. L’altro ragazzo osservò lo stesso punto, poi si sporse in avanti e voltò il capo dalla parte opposta, dove tirò il cavallo per farlo girare. Presto il cavallo diede le spalle al campo di battaglia, facendo sì che si sottraesse agli occhi verdi del ragazzo. In un colpetto del più grande il cavallo prese il galoppo e si allontanò.



 
   
 
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