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Autore: queenjane    24/01/2018    0 recensioni
Catherine Raulov cresce alla corte di Nicola II, ultimo zar di tutte le Russie, sua prediletta amica è Olga Nicolaevna Romanov, figlia dello zar. Nel 1904 giunge il tanto atteso erede al trono, Aleksej, durante la sanguinosa guerra che coinvolge la Russia contro il Giappone la sua nascita è un raggio di sole, una speranza. Dal primo capitolo " A sei settimane, cominciò a sanguinargli l’ombelico, il flusso continuò per ore e il sangue non coagulava.
Era la sua prima emorragia.
Era emofiliaco.
Il giorno avanti mi aveva sorriso per la prima volta."
Un tempo all'indietro, dolce amaro, uno spaccato dell'infanzia di Aleksej, con le sue sorelle.
Collegato alle storie "The Phoenix" e "I due Principi".
Preciso che le relazioni tra Catherine e lo zar e la famiglia Romanov sono una mia invenzione, uno strepitoso " what if".
Al primo capitolo splendida fan art di Cecile Balandier di Catherine.
Genere: Introspettivo, Slice of life, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Periodo Zarista, Guerre mondiali
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The Dragon, the Phoenix and the Rose'
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Dai quaderni di Olga alla principessa Catherine “ L’11 del 1917 agosto Papa disse che entro pochi giorni saremmo partiti, destinazione sconosciuta, noi donne dovevano preparare delle pellicce e portare abiti caldi, ergo non sarebbe stata la Crimea. Una delusione immensa, che occhiata scoccasti a tutti, delusa, impotente, gli occhi quasi neri, fondi e bui. Il 12 Alessio compiva 13 anni, passò la giornata a mettere le cose in valigia, cicalando senza posa, ti metteva una cosa tra le mani e la ripiegavi, ti saltellava intorno, ti assediava, sorridevi, una pazienza infinita, gli davi un bacio e lo sguardo era triste. Alla richiesta di nostra madre, venne portata la santa e miracolosa icona della Vergine dalla chiesa di Znamenia.. Tobolsk, Siberia, l’ironia che appresi, ci mandavano in esilio là, come nella passata epoca...i criminali politici in Siberia. E cercammo di porre in essere un giorno come l’altro, le lezioni, l’orto, i giochi, Alessio ci buttò nel laghetto. Dire addio, Catherine, a tutto, a partire da te, alla mia casa.. ti ho spezzato il cuore, saresti venuta, lo so, sempre, e avevi un figlio, che aveva la precedenza su tutto. Felipe, il tuo lieto fine, conquistato a un prezzo immane. Le stanze vuote del Palazzo di Alessandro, le tende tirate per nascondere le finestre, teli sui mobili per preservarli dalla polvere, la Galleria dei ritratti colma di bauli-armadi riempiti di fotografie, quadri, tappeti e quanto altro per la nuova dimora. E i bagagli, facemmo due mucchi di vestiti, uno più piccolo da portare con noi, l’altro per i centri di assistenza per i profughi e le vittime di guerra. Noblesse oblige, fino in fondo..  il 13 agosto era l’ultimo giorno, dovevamo partire in tarda serata, da mezzanotte ci mettemmo nella hall semicircolare, i bagagli in ogni dove. La partenza doveva essere all’una di notte, le ore passavano e nulla..Aleksey alla fine ti si era messo seduto vicino, verde di stanchezza, dopo avere girellato, con Joy tra le braccia,la spalla che toccava la tua. E mia madre secondo uso piangeva, tu sparisti un paio di volte per allattare, pochi minuti e già mi sentivo male all’idea che non ti avrei rivisto per un pezzo, una lunga durata, forse una vita intera e tralasciavo che ero una ingrata, era già tanto quello che avevo avuto, nessuno ti obbligava a rimanere, dopo marzo, invece ..Grazie, Cat, sempre. Alessio ti stava vicino, la testa sulla tua spalla, ti aveva posato un braccio sulla vita, stringeva te e Joy, il cagnolino, come a non volersi più staccare “Cat profuma di rosa, lavanda e arancia amara, sempre“ disse molto dopo, sul battello.. Ce la diciamo tutta? Sì, ho pianto, come lui, un cuscino buttato sul viso, che la figlia di un soldato, di un imperatore mai esterna le sue emozioni in pubblico. Dico questo che poi ricomparve con gli occhi lucidi, di chi ha pianto, lo sguardo pesto, come me e Tata, Anastasia fece una battuta, tanto per essere diversa, Marie tirava su con il naso. E trovai il tuo primo biglietto il secondo giorno, era breve, che se lo avessero intercettato solo diceva “Buongiorno, un bacio, Ekaterina” tutto in russo, casomai avessero sospettato congiure. Che strano effetto vedere il tuo nome alla russa, Cat, noi che ci eravamo parlate e scritte una vita in francese. Ekaterina .. io ti ho chiamato sempre Cat, quindi Catherine alla francese, tuo marito Andres Catalina, saltuariamente..” Un solo nome e sempre io ero.

“Auguri Alessio, tesoro mio”cercavo di essere sorridente,  smagliante per non tracimare “Sei diventato davvero grande, sai, ti ho visto che eri appena nato, figurati che osavo appena toccarti una manina.. ora..” “Mi prendi in braccio, di corsa, il regalo è questo” sornione, mi tuffò il viso contro la clavicola, uno sbadiglio “Aleksey, tesoro mio, “ e ridevo, era tanto buffo “Fammi la lista, dei miei compleanni” Mi sedetti, erano le sei di mattina del 12 agosto 1917, lo strinsi con amore, con affetto, dei rubli allungati alle guardie mi garantivano quel breve privilegio, auguri in privato, minuti rubati “.. 1905, ero all’estero, 1906.. boh, 1907, ti tenevo sempre stretto, Dio, quante bizze facevi per dormire il pomeriggio  una lagna continua, tacevi solo se stavi con me, sempre”lo abbracciai, avessi potuto avrei infilato la porta, sempre lui in braccio e lo avrei portato via, lontano,e  continuai l’elenco, alcuni se li ricordava anche lui, nel 1914 avevamo visto l’alba che sorgeva, lo avevo preso tra le braccia “Ora sono cresciuto davvero tanto, non mi sollevi più, peccato” “Guardiamo fuori, è una giornata bellissima, pesi Alessio, sei diventato un colosso, manco sulla schiena ti carico” mi passò un braccio sulla vita, uno sbadiglio assonnato “Cat” il sole sorgeva, asciugando la rugiada sui fiori e le foglie, il cielo virava nelle chiare sfumature del celeste e di un tenero giallo, gli baciai i capelli  “Davvero, come sei diventato grande, non ci credo”
“Sono un osso duro, sempre, lo dici, ci devi credere! “uno scherzo che nascondeva una profonda verità, mai mollare, mai arrenderci. Glielo avevo detto nel settembre 1915, quando mi aveva rivisto dopo un lungo anno, inopinato. E nel 1916, eravamo diventati inseparabili, avevamo litigato, ci eravamo divertiti, prendendo nuove misure, legatissimi Un nuovo sviluppo, amore e reciproco rispetto“Certo, Aleksey” una pausa “ E ci tenevo a salutarti, in privato”
La giornata trascorse tra le cure dell’orto, le lezioni, fare i bagagli, servizi religiosi, venne portata la santa e miracolosa icona della Vergine dalla chiesa di Znamenia..
Sceglieresti di amare un bambino sapendo che questo sentimento potrebbe spezzarti il cuore.. Sì, io sì, ed era egoismo, il mio, Aleksey, tesoro mio.
 
Dai quaderni di Olga Romanov alla principessa Catherine “.. alla fine andammo via dal Palazzo di Alessandro alle 5.30 di mattina, del 14 agosto 1917, scortati da un nugolo di soldati. Salimmo lentamente sulle automobili, dopo che i bagagli erano stati caricati. Prima i miei genitori, poi noi figli, il seguito dopo. Avevi i capelli raccolti in uno chignon vagabondo,  un vestito color giacinto, gli  orecchini con le piccole perle che ti avevo regalato in un impeto sentimentale. Ti avevo dato la mano fino a dove era possibile, per evitare di tracimare, stavo per cambiare idea, dirti, “Vieni, non mi lasciare”, le dita intrecciate, un legame che era rimasto, da quando eravamo bambine, da adolescenti e infine giovani donne. Cat, ti avrei voluto con me, dal passato rimanevi solo tu e pochi altri, e non potevo pretendere che venissi a quel giro, la prigionia si sarebbe inasprita, che ironia, mio padre, da zar, aveva mandato molti in Siberia e lo stesso toccava a lui e  noi, sua famiglia. Ti tenevo per mano, eri tu la mia famiglia, la mia sorellina, la mia eroina, una stupida combina guai .. E parte della famiglia era composta da tuo marito e tuo figlio, di due mesi, e.. NO, Catherine, saresti venuta, hai tentato di farmi cambiare idea fino all’ultimo. Avevo bisogno di te, o viceversa, tranne che tuo figlio ci batteva su tutta la linea, lui aveva bisogno di te, aveva osservato Alessio, più di noi. E lo aveva straziato, si comportava da adulto, da saggio, era maturo e tanto .. stavo per cambiare idea, dirti, “Vieni, non mi lasciare” Una stretta, come il presidio di guardia di una amicizia che durava da quando avevo memoria, sospirai per non andare in frantumi, l’auto controllo di una lunga educazione serviva, non volevo dare spettacolo o pena “Adios, principesa Fuentes” “Adios, Vuestra Alteza Imperial” un inchino formale, gesto ripetuto per me, Tatiana, Maria, Anastasia e Aleksey, le guardie non fecero un fiato. Te e Andres, con Felipe insieme alla baronessa Buxhoeveden e al precettore Gibbes che ci avrebbero raggiunti in seguito rimaneste fermi fino all’ultimo momento, sotto il colonnato,  quando le portiere vennero chiuse e partimmo. Il cielo vibrava nei toni del miele e dell’arancio rosato, i primi raggi di sole spuntavano dai pini, mi voltai, la testa appoggiata al finestrino, la carovana si muoveva lenta, chiusi gli occhi, straziata..Girando la testa, scorsi una figura alla finestra del secondo piano, il punto dove, dagli appartamenti dei bambini, potevi scorgere tutto il viale, dove pensavo di averti detto addio quasi tre anni prima. Alzai la mano, imitata dalle mie sorelle, l’ultimo saluto”
Corsi, senza decoro, facendo gli scalini tre alla volta, fino al secondo piano, la gonna raccolta tra le mani, aprendo la finestra con l’impeto di un corsiero e mi sporsi fuori, sventolando il fazzoletto fino a quando l’ultima auto scomparve nella foschia madreperlacea del mattino. Strizzando gli occhi, scorsi, mi illusi di  quello, una mano guantata, delle mani guantate che mi salutava dalla auto dove eri, dove eravate. Nel settembre del 1914, quando me ne ero andata, il gesto a parti rovesciate era stato simile, e non volevi vedermi mai più, avevi detto, per la rabbia e l’esasperazione. Quando non vidi più nulla, scivolai per terra, la schiena alla parete e piansi, la testa tra le ginocchia. Mi mancavate già da meno di dieci minuti.
Quella sera, la zarina scrisse una cupa lettera alla baronessa B., che si era vista passare davanti tutta la vita al Palazzo di Alessandro, da giovane sposa fino ad allora,  e si chiedeva quale futuro avrebbero avuto i suoi “poveri figli”.

ADDIO, CATHERINE.
 
   
 
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