Storie originali > Storico
Segui la storia  |       
Autore: queenjane    03/03/2018    0 recensioni
Catherine Raulov cresce alla corte di Nicola II, ultimo zar di tutte le Russie, sua prediletta amica è Olga Nicolaevna Romanov, figlia dello zar. Nel 1904 giunge il tanto atteso erede al trono, Aleksej, durante la sanguinosa guerra che coinvolge la Russia contro il Giappone la sua nascita è un raggio di sole, una speranza. Dal primo capitolo " A sei settimane, cominciò a sanguinargli l’ombelico, il flusso continuò per ore e il sangue non coagulava.
Era la sua prima emorragia.
Era emofiliaco.
Il giorno avanti mi aveva sorriso per la prima volta."
Un tempo all'indietro, dolce amaro, uno spaccato dell'infanzia di Aleksej, con le sue sorelle.
Collegato alle storie "The Phoenix" e "I due Principi".
Preciso che le relazioni tra Catherine e lo zar e la famiglia Romanov sono una mia invenzione, uno strepitoso " what if".
Al primo capitolo splendida fan art di Cecile Balandier di Catherine.
Genere: Introspettivo, Slice of life, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Periodo Zarista, Guerre mondiali
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'The Dragon, the Phoenix and the Rose'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Nel settembre 1917, due commissari, su lamentela dei locali bolscevichi, vennero inviati in Siberia, si sosteneva che i prigionieri erano trattati con troppa deferenza. 
Nulla di rilevante, quando la zarina sedeva vicino alla finestra o sul balcone gruppi di curiosi si avvicinavano e si segnavano, un pio omaggio. Le ragazze guardavano dalle finestre della loro stanza e salutavano la gente, finché  i prodi guardiani minacciarono di sparargli addosso se avessero “ancora osato” .
E  i cittadini locali avevano inviato un pianoforte e omaggi di cibo, le guardie divennero poi meno assillanti, facevano addirittura due chiacchiere con le ex granduchesse quando passeggiavano in giardino, il colonnello K., che comandava la guarnigione, non era un carceriere feroce e dogmatico, tranne che i puri rivoluzionari inorridivano.

Nicola II e i suoi predecessori avevano mandato al duro confino siberiano più di un oppositore, se non a morte,  non doveva avere nessun privilegio. Quindi ecco due commissari che dovevano riferire, Pankratov e Nikolskij, entrambi erano stati in carcere in quel della Siberia. Il primo non serbava rancore,  tanto che si recò a far visita a Nicola, per non infrangere le regole della buona educazione e chiese di essere annunciato dal valletto dello zar. La conversazione fu formale, educata e gentile. Nikolskij, al contrario, entrò senza bussare in tutte le stanze private e insistette che tutti i prigionieri fossero fotografati, a scopo identificativo, ora l’uso era quello.  Quando, su ordine di Kerenskiy, giunse dalle cantine di Carskoe Selo una cassa di vini pregiati per i Romanov, N. ne fece  buttare direttamente il contenuto nel fiume Tobol senza manco farla aprire. 

Da una lettera di Olga alla principessa Fuentes di metà ottobre  1917”…Sono stata felice di sapere del  regalo che ti arriverà in primavera. Magari un altro fiocco azzurro? Una sensazione, poi boh.. Noi ce la caviamo, stiamo bene. I miei fratelli hanno iniziato le lezioni. (..) Ti scrivo nel grande ingresso, noi stiamo prendendo il tè, Aleksey gioca con I suoi soldatini a un tavolo separato, stasera Papa leggerà qualcosa alta voce (…) Cambio di scrittura e di persona, Cat, sono Aleksey, un bacio al volo.. A me piace molto il nome Leon, Leon Fuentes suona molto bene, guai a te se lo chiami come me, per primo appellativo, io devo essere il solo che quando dici “Alessio”. E scherzo, chiamalo come vuoi, mi manchi tanto, Cat (..) riprendo senza scorrere quello che ha scritto mio fratello, rilevo solo che mi chiedi come stai e cosa combini, qui la gente è gentile, come le guardie.. Abbastanza. Ecco, la criticona che sono solleva ironie e obiezioni. Hanno inviato in dono un pianoforte e pregiata cacciagione, peccato che  le tubazioni idrauliche funzionino ben poco. Vi è una piccola teoria di piante grasse, che mi piace osservare, (..) Good-bye, Catherine, my dear, a kiss. All of us embrace You and remember You, all my love is for You” 

“ Si dice che noi abbiamo la febbre, mentre, in realtà, è la febbre che ha noi” da Lucio Anneo Seneca, Lettere a Lucilio, 62/65, annotò Olga Romanov, con la sua solita ironia, Cat le aveva mandato quell'omaggio, in lettura. 

Da una lettera di Catherine Fuentes a Tatiana Romanov “..a Livadia ho incrociato B. T., che hai assistito con Olga, si è ripreso perfettamente e manda i suoi saluti, ricorda con gratitudine la vostra abnegazione. E  mi ha fermato Vassilissa B., una ragazza che il Comitato per Rifugiati da Te presieduto aveva inviato qui in Crimea, per ragioni di salute. (..)  Scrivo in una pausa,  che l’inchiostro si è asciugato, infatti ecco la prima firma di Felipe, il suo pollice nell’inchiostro, consideralo un saluto per Te  .. Ti voglio bene, Tata” 

Da una lettera di Marie Feodorovna, zarina madre, al figlio Nicola del novembre 1917, uno stralcio su ..“… la principessa Fuentes è un moto perpetuo, visita gli orfanotrofi e sanatori, senza requie. E continua ad occuparsi personalmente di suo figlio, se lo tira sempre dietro,  tranne che quando va dai malati o a cavallo. E lo tiene sempre con sé, mai visto un affare del genere, è una madre totalmente dedita.. Niente nurse o tate, suo figlio è il primo pensiero dalla sera alla mattina.. ed il marito la lascia fare sempre a modo suo .. Sua madre Ella Raulov nulla osserva, è una mina vagante, non si riguarda, anche se ora è in delicate condizioni” un eufemismo per dire che ero incinta.
Mio marito non diceva nulla, come mia madre, mio fratello  Aleksander si limitava a sbuffare, come mio zio “.. tu fai anche per lo zarevic Aleksey” Aveva dieci anni ora, i suoi occhi castani erano calmi e imperscrutabili, uno smalto di onice e  miele sui suoi pensieri, tranne che, dopo tanto, eravamo di nuovo insieme, apprese poi, nei fatti, che a lui ci tenevo, eccome “Mi manca, Cat” “Chi?” “Lo zarevic, chi..” sbuffando per la mia ottusità. Era nato nel settembre 1907, ora era un decenne dinoccolato, magro e solenne “Mi vuoi bene, e tanto è lui il tuo prediletto” “Sasha..” IL SUO NOMIGNOLO. “Già, e chiudiamola qui, tanto prima o poi .. se non viene lui, te lo riprendi te, o viceversa, anche Aleksey Nikoelavic ti adora” 

Le cerimonie religiose erano tenute nel grande salone del primo piano. Il sacerdote della chiesa dell’Annunciazione, il suo diacono e quattro suore erano autorizzati ad attendere ai servizi, tuttavia non vi era un altare consacrato per la messa, una grande privazione per i Romanov.  Ogni sera recitavano le preghiere e tanto non bastava.  Alla fine, venne accordato il privilegio di potersi recare in chiesa, la costruzione era in fondo alla strada, una consolazione che ebbero ben di rado.  In quelle occasioni si alzavano presto,  passavano attraverso due linee di soldati, attendendo alla prima messa del mattino, sempre soli in chiesa,  il pubblico escluso, poche le candele. 

Dai quaderni di Olga Romanov alla principessa Catherine “.. Ho letto tanto, in questi lunghi di mesi, di tutto e di più, come Tanik. Per nostro piacere e distrazione personale, mentre Aleksey, Marie e Anastasia iniziavano le loro lezioni alle nove, con una pausa dalle undici a mezzogiorno per una passeggiata collettiva. Il pranzo verso l’una, spesso Aleksey mangiava con Mamma nelle stanze di lei, per farle compagnia,  non si sentiva spesso bene, lei. Verso le due, uscivamo di nuovo nel giardino, per giocare o una passeggiata, fino alle quattro. Sai che sono diventata bravissima a tagliare la legna, mi ha insegnato Papa, era un onore darci il cambio con i miei fratelli. Dopo il tè pomeridiano, le lezioni duravano fino alle sei, la cena era un’oretta dopo. Dopo cena, giocavamo a carte, lavoravamo a maglia, Papa ci leggeva a alta voce, altre volte recitavamo pezzi di brillanti commedie, in francese o inglese (..) Una delle maggiori privazioni era la mancanza quasi totale di notizie, lettere e giornali..se arrivava qualcosa era sempre distorto e vecchio di giorni. Alessio andava a dormire alle nove di sera, salvo nuove, dicevamo le preghiere insieme, sbattendo i denti per il freddo, alle volte mi stendevo vicino a lui per trasmettergli in poco di calore, a turno con le altre sorelle, lui faceva altrettanto con noi. Non ci siamo mai pentiti di essere rimasti insieme, questo no, eravamo una famiglia”
 

 Ho ancora il menu del pranzo per il compleanno di Olga, me lo inviò per lettera, la sua scrittura nitida e delicata su cui posai il pollice. "Breakfast. 14 November 1917. Sturgeon solyanka (soup)
Pie
Cheese patties with sour cream
Goose (?) with cabbage and meat schnitzel
Pancakes with syrup.
 "  Era per sentirla più vicina, non può finire così, dissi ad Andres, la voce sommessa dopo l’orgasmo, l’attrazione continuava come sempre, nonostante e il parto e la nuova gravidanza, ero leggera e flessuosa come un salice, il viso che si serrava nel disgusto pensando alla ordalia, la dura prova che toccava ai miei fratelli “.. dobbiamo fare qualcosa” Io non li lasciavo, non li avrei mai lasciati. E non era quello il momento, di andare, cercavo di essere forte e coraggiosa. E tanto aveva ragione Sasha, a dieci anni aveva capito, prima di noi, che non mi sarei limitata a soldi, lettere e biglietti, sarei intervenuta di persona. 

Dalle memorie mai pubblicate di Boris T., membro del corpo di guardia, già soldato dell’esercito imperiale, ora rivoluzionario “.. A Tolbosk, in Siberia, era freddo, una cosa indicibile, anche per noi soldati ..  Giorni immobili, portavo biglietti, razioni di cibo in più, cercavo di non essere troppo volgare e opprimente..
Non dovevo farmi scoprire, pena la morte e la tortura.. 
Nicola II era lo zar dei miei giorni di bambino, volevamo la libertà, ma lui era stato l’imperatore, con sua moglie aveva portato il paese allo sfacelo, ma i loro figli che colpe avevano?. 
La famiglia imperiale cercava di trarre conforto dallo stare insieme, uniti, la fede li sosteneva ma era dura, pareva (e in effetti era) che tutti li avessero abbandonati..
Non i principi Fuentes, Andres mi aveva salvato la pelle, anni addietro, la gratitudine rimaneva. Inviavano lettere ufficiali e ufficiose, soldi per il cibo, e giacche e guanti e sciarpe, per Natale, e libri, erano saldi ed immutabili. 
Il cibo era razionato, la noia imperversava, la sorveglianza era stretta, il freddo si tagliava con il coltello, meno 56 gradi sotto zero.. Ricordo le granduchesse che passeggiavano nel giardino recintato, gonne nere, mantelli grigi e berretti di angora azzurra, le loro lamentele per la noia, il tempo non passava mai. 
Era organizzata una ruotine, i pasti, le lezioni, il pomeriggio la passeggiata, segando i ciocchi di legna, la sera le commedie recitate dai ragazzi.. 
A Natale si scambiarono dei doni fatti a mano, quaderni rilegati, nastri e sciarpe, il tempo dell’opulenza finito, il primo e ultimo Natale trascorso in esilio .. 
Le cerimonie religiose erano ben poche, come le missive che giungevano, è ben vero che in prigione ogni evento che rompeva la monotonia era degno di rilievo. 
Le umiliazioni senza motivo, gratuite, come sbattere addosso alle pareti di una stanza un animale in trappola per il solo gusto della crudeltà

“E’ come stare sempre dentro l’armadio, al buio” disse Alessio ad Olga
“Eh.. “ era assorta nei suoi pensieri, dimagrita e snervata
“Olga, volevo …”
“Non importa, dopo la luce viene sempre il buio”
“Sì, ma io sono stato davvero dentro un armadio, lo sai, varie volte”e mica lo ascoltava, lasciò perdere, si perse a ricordare.  
Aveva da compiere sei anni, il viziato principe ereditario dalle cattive maniere a tavola, la delizia della famiglia, era in carrozza con Olga, mentre lo zar assisteva a una parata di boy scout, lui si voleva unire e Olga lo aveva contenuto a livello fisico, tanto che il ragazzino le aveva mollato un ceffone in faccia “Non puoi, se ti urtano .. o che.. stai male” “Io non posso mai fare nulla” la rabbia, la frustrazione, contro di lei, che non aveva fatto un fiato, gli aveva trattenuto la mano, l’urto dello schiaffo non le aveva causato un vero dolore fisico, Alessio, non ce la aveva con lei, quanto con la vita, non poteva fare nulla (andare in bicicletta, giocare a tennis, che stava male, sua madre sempre aveva l’emicrania, pregava e piangeva..che si ritrovava a letto, divorato dai dolori.. mai una volta che la zarina si fosse premurata di raccontargli una favola, mai, giocare un poco con lui, al contrario di Olga, Tata o Catherine, sorvolando su Marie e Anastasia).
Olga, lontano da occhi ufficiali, gli aveva baciato la mano. “Mi spiace, non posso” e si era ritirata in camera sua, le spalle curve, in tempo di poco aveva sentito il suo pianto, singhiozzi amari, uno sfogo, piangendo, lei che era sempre composta, senza alcun cedimento. Alessio aveva passato due ore al chiuso, al buio,  senza muoversi, dentro l’armadio, per un paio di  giorni di seguito aveva dato il suo dessert alla sorella, era contrito, sul momento.

Il 1910, un anno di tragedie immateriali e ribellioni. "Tu?" una sola sillaba di disprezzo. La  zarina mi aveva scrutato più inquisitoria del solito,appurando che ero cresciuta e la somiglianza con mia madre, a quando era una ragazza come me.Le evidenze sempre più suntuose e marcate, i capelli castani che nel sole vibravano di ramati riflessi, ero  alta e snella, senza goffaggini apparenti. La copia della giovane principessa Ella, che, in segreto, aveva conquistato principi e granduchi,  l’allora zarevic Nicola l’avrebbe voluta sposare, essendosene innamorato, tranne che non era possibile,che le regole dinastiche erano precise.. Uno zar, un erede al trono dovevano sposare una straniera, per evitare conflitti e diatribe nel Paese.. E mia madre Ella, secondo i pettegoli, lo aveva ricambiato, tranne che si era sposata presto e male,  con Pietr Raulov. E Nicola II aveva voluto che io e le sue figlie fossimo amiche, festeggiando la gioiosa congiuntura che io e Olga eravamo nate nello stesso anno. Lui stesso, come mio zio Sasha e Pietr Raulov, erano cresciuti insieme, amici, compagni d’armi e avventure. E mia madre Ella era tra le dame preferite dell’arcinemica di Alix, ovvero la zarina vedova. Non poteva farla riscontare ad Ella, aguzzò le armi contro di me, inventando un plausibile pretesto. Si convinse, infatti, che fossi io a istigare Olga ed essere intrigante e malevola, a discutere di Rasputin, nessuno doveva creare attriti o ingerenze tra lei e il sant’uomo giunto dalla Siberia, nemmeno l’amica di sua figlia. Fu un esilio, una dura stagione, una desolata nostalgia.
Correvano appunto i primi mesi  dell’anno 1910 quando Alessandra decise che la mia frequentazione non risultava più essere gradita.Anzi era inopportuna, non confacente.
Non lo disse in questi esatti termini, non in mia presenza, ma gli effetti erano quelli.
La istigavo alla ribellione, al malumore, sosteneva Alix, la mia era una cattiva influenza e andava estirpata, come se fossi una gramigna. Solo perché Olga non tollerava la presenza di Rasputin, l’Amico, anzi il Nostro Amico, come lo appellava la zarina, si faceva abbindolare da chi fingeva di darle retta, nessuno doveva contrastare la volontà imperiale di ricevere il santone, il novello Messia che sosteneva che per salvarsi occorreva peccare sempre di più. Tranne che di religione o di quel finto contadino, i cui scandali erano la favola della capitale, non avevamo mai parlato, se non scarni accenni, io e Olga. .(... Contadino poi ucciso nel dicembre 1916 da un attentato complottato dal principe Jusopov, il granduca Dimitri Romanov e un deputato della Duma, Puriskev ..Buttarono il cadavere nella Neva ghiacciata, quando si seppe che il finto monaco era morto la gente ballava e la zarina Alessandra piangeva.. )Un esilio e toccava aspettare le domeniche, quando visitavano San Pietroburgo e ci ritrovavamo da Olga, la zia delle ragazze, la sorella di Nicola II.
Erano  solo miseri surrogati rispetto alla frequentazione di prima, ci sarebbe voluto poi Aleksei che voleva le mie storie, sempre e comunque, e sua madre aveva esaurito le scuse plausibili e non, non potevo essere sempre malata, in viaggio o in visita.
Per scambiare due parole e ridere, era mio zio a tenermi allegra, mia madre era occupata da Sasha e mio padre era ancora più evanescente del solito. Non era cattiveria, lei mi riteneva abbastanza grande per arrangiarmi da sola, mentre mio fratello era piccolo.
Un grande affare, come no. Un primo assaggio dell’età adulta e la luce del tramonto bagnava i petali delle rose come sempre … come ai tempi degli antichi dei, che riempivano forse i bagagli di sogni e parole, una mia remota fantasia.

Già, ma non era una fantasia il distacco che mi mostrava il principe Raulov mio padre, il suo viso evanescente come fumo, un fiordaliso, pareva quasi non volersi affezionare a nessuno per il timore forse della perdita, era rimasto presto orfano e la sua educazione era stata severa, spartana .. Il massimo della confidenza era dirmi che amava la torta di mele cosparsa di vaniglia  Inutile aggiungere che quando mi presi la briga di cucinarne una, sotto la supervisione della cuoca, neanche si degnò di mangiarla..
E meglio quello dei ciclici accessi di violenza cui ogni tanto si lanciava, ma io ero dura come una pietra, una selce, volevo essere amata e di amore ne ricevevo ben poco, ero davvero pretenziosa in quel particolare ambito.Nei fatti era mio zio che si occupava di me, insegnandomi a cavalcare, a smontare le armi e sparare, a farmi ridere anche quando non avevo voglia, inimitabile scanzonato, uno scapolo d’oro che dribblava con eleganza di gatto le manovre matrimoniali della giovane zarina .. .
Per sua fortuna, la fortuna bara dei Rostov Raulov, ereditata dal nostro mitico antenato Felipe, la devota amica di Alessandra, Anna Vyribova, si era sposata, nel 1907, risparmiando ad Aleksander un immenso imbarazzo, che non era roba da poco rifiutarla, era la prediletta ancella della Zarina, la sua amica personale.
 Il matrimonio era stato poi annullato per mancata consumazione, e la giovane damigella, figlia di un cancelliere di Corte, ronzava mite e indolente presso la sua imperiale amica, che con il trascorrere del tempo divenne sempre più importante ed asfissiante..
Alix, nella sua immensa vanità, riteneva di non potere sbagliare e non accettava critiche da nessuno, così che la Vyribova, che le dava sempre ragione, divenne la sua favorita.
Più ed ancora, era una fedele, entusiasta seguace di Rasputin.
 Nel contempo era noiosa, senza particolari attrattive, dimessa e poco spiritosa, tanto che Alessandra stessa la chiamava la vacca .Tanto era.
Di sicuro a lei non sarebbe venuto certo in mente di paragonare le stelle ad aculei argentati come ad Olga o raccontare storie sulle brumble roses.
La mia unica, prediletta Olga, mia ombra e mio riflesso .
Legate troppo e ancora, volevamo vivere mille avventure, vedere il mondo, come due foglie simili in uno stesso ramo.
Nella distanza, ho vissuto mille avventure, per lei  e per me, ma non basta.
Non basterà, siamo state amiche e sorelle, troppo o troppo poco.
 “Sei triste“Mio zio Aleksander constatava, da buon diplomatico non palesava mai direttamente il suo pensiero in generale e, nel particolare, sulla zarina, ma compativa lo zar per  che aveva una simile moglie.Non era esperto in materia di matrimonio, essendo scapolo e gaudente,solo aveva avuto due figli dalla sua amante borghese, oltre che sfoghi collaterali. Che  ironia. Spesso Dio si divertiva a giocare a dadi, per davvero.
“Sfogati, avanti”.
“Mi manca, sono le mie amiche.” A momenti avrei detto “Le voglio”come  Alessio, sbattendo i piedi, una viziata ragazzina.
“Catherine, siete cresciute insieme e siete molto legate “ Mi strinse il gomito, per darmi conforto..
Era serio, lui sempre scanzonato e irriverente su tutto, aveva la stessa età dello zar ma a me pareva sempre un ragazzo.
Tuttavia, in quel momento, realizzai  che nella sua barba vi erano fili grigi e aveva le rughe. Le stagioni erano passate pure per il principe mio zio, aveva quarantadue anni, nel 1910, due figli illegittimi nati dalla sua amante borghese, oltre che sfoghi di passaggio.
Membro ufficioso del governo, aveva poi un ruolo nella polizia segreta dello zar, si muoveva in vari ambiti con saggezza e discrezione.Diciamo che non ero sempre concentrata su me stessa, alle volte ero empatica pure io. “Ma non odiarla, se vi tiene separate, da una parte è sola tranne la Vyribova, non ha amiche.” le sue parole erano vere e affilate come coltelli.” Venendo a noi.. State crescendo e se non è adesso … prima o poi la vita vi dividerà. Che ne so, vi sposerete, per le granduchesse più grandi si parla di un matrimonio con il principe di Galles, con quello ereditario di Romania e via così. E tu rinunceresti a avere una tua vita, una famiglia, per stare con lei? Potresti .. un domani ti sposerai.”
“NO“Avevo quindici anni, non riuscivo a immaginarmi quella possibilità. A onor del vero, erano pochi i matrimoni felici da cui trarre ispirazione. Cominciavo dai miei genitori, i principi Raulov, spaziando su vari altri fronti, la nascita di mio fratello li aveva resi meno freddi e scostanti, erano brina e ghiaccio, peccato che non si sopportassero. Insieme, leggevo romanzi d’amore, ero romantica, in fondo, come aveva indovinato Olga, ma non sapevo a quale santo votarmi. Ideali e realtà poco andavano in accordo, contava più la nostra fantastica amicizia, che, omettendo Olga e le sue sorelle, non avevo amici.
E perderla era una punizione che credevo di non meritare.
Ero  troppo strana, esotica, diversa.
La bellezza ereditata da Ella, lo stretto legame con le granduchesse, l’intelligenza creavano una specie di barriera, un confine.
Nel 1906, quasi andata al creatore dopo una caduta da cavallo, mia madre aveva ritenuto allevarmi secondo le mie potenzialità, che riguardavano la storia, le lingue e la letteratura, non certo l’educazione riservata a una principessa ( primeggiavano buone maniere, ricamo e musica, effetti in cui ero negata).
Un proclama di orgoglio, ma, insieme, una maledizione.
Ero  troppo strana, esotica, diversa, ripeto, mi chiamavano la spagnola, la straniera, forse fu la Vyribova a coniarlo, come epiteto, ignara preveggente.
E in Spagna eravamo tornati ancora, nel 1910, nella primavera.. Il castello dei nostri parenti iberici era davvero un luogo magico, di mio eterno incanto.
AHUMADA, la fortezza delle meraviglia, una rocca immutabile, potente e salda.
“Spero di sbagliarmi, che non starete più insieme“Aggiunse conciliante, ma sapevo che non ci credeva fino in fondo, mi sentivo vuota senza Alessio o le sue sorelle, una marionetta slegata, senza punti di riferimento. “Ricordati, poi, in ogni caso, che Olga Nicolaevna ti vuole bene, non pretenderebbe MAI che tu non avessi un marito o dei figli. Che, perdonami, Catherine, altri destini alternativi non ne vedo. Una ragazza può fare ben poco di diverso.”ed ero diventata un soldato, il lupo e la tempesta, mi ero reinventata come una fenice, Fuentes nei gesti e nei fatti, salvo diventare madre, quando non ci credevo più, mi vietavo di pensarci.
FELIPE.
LEON. 
I nomi dei miei figli, la mia rivincita, la mia conquista.
Avevo conquistato un nuovo regno. Un impero, un continente.
Fuentes, poche sillabe, un ruggito nei secoli.
Ero un Ulisse in gonnella, che si inventava nuovi peripli, rotte  diverse.

Comunque, fu lui, mio zio,  a insegnarmi a smontare e caricare una pistola, un fucile, a perfezionarmi nell’arte di cavalcare a pelo, a uomo, a moltiplicare lo studio delle lingue, capacità che in seguito tornarono utili in modo imprevedibile.
O mi addestrava, sulla scorta del principio che mai si può  sapere?
E poi ritornai, Aleksei voleva le mie storie, le storie di Cat e Alessandra amava suo figlio più della sua stessa vita e mi concesse di tornare, trovammo un modus vivendi.
Ne ignoravo le ragioni precise, lo intuivo che poteva non sopportare me o Ella Raulov, ma amava suo figlio e anteponeva il suo bene al proprio.
Dopo compresi, anche troppo bene.
Solo che io ero una ragazza, ribelle, irrequieta, non proprio simpatica,a dirla tutta, ero una vera spina nel fianco, ma il vero caos lo aveva combinato mia madre, insieme allo zar, io ero un effetto e una conseguenza, non la causa scatenante, ma Alix aveva il dono di dare sempre la colpa a chi non godeva delle sue simpatie, o traslava, meglio rifarsela con me, che con mia madre, che non poteva toccarla in modo diretto, facendo soffrire gli altri.
E avevo capito come mutare odio e rabbia.
Una magica alchimia.
Che nella mia vita, ho adorato Olga, le sue sorelle e Alessio. Che, a prescindere dalla sua malattia, non meritava di crescere come uno smidollato, preda dei suoi capricci e impulsi, né di soffrire per la mancanza di una persona a cui voleva bene, ovvero io, che stava lontano senza che lui ne comprendesse i motivi. È amica tua, ti vuole bene e ti fa ridere, aveva detto una volta a Olga, perché non può stare sempre con noi.. perché? Già. Chi aveva cuore di spiegargli quei misteri.
Nemmeno sua madre.
 
Entrai nella stanza dei giochi, rivedendo le pareti tappezzate di cretonne verde, i giocattoli  ordinati, di tutte le fogge, forme e dimensioni, dai trenini alle bambole, piccole e grandi, con suntuosi vestiti di seta e minuscoli stivali in vera pelle, accurate e perfette, come i soldatini con cui amava giocare Alessio, come un teatrino, i puzzle e i domino, la tenda indiana, le finestre alte, illuminate dal sole, i piedi che si muovevano silenziosi sulla moquette.
Un cenno, giocava sul pavimento, in una divisa da marinaio, la testa castana dalle ciocche ramate assorta in qualche battaglia, davanti aveva una vasta teoria di militari giocattolo e piccoli cannoni.
“Zarevic, una persona chiede di voi” Olga, con dolcezza “Si può avvicinare..”
 “Olga, CAT” fermo, mi ero raccolta vicino a lui, la gonna color crema sulle ginocchia, una mano vicina, senza muovermi, magari non gradiva, si doveva riabituare come l’anno avanti, varie le assenze,  in altre occasioni mi sarebbe saltato diretto in braccio “Cat, sei qui” incredulo “Posso?”
“Certo, cosa aspetti, ops ..non mi sono inchinata e..” e mi si era già buttato addosso, le mie braccia come un riparo, una fortezza lo avevo cullato per un pezzo, maledicendo sua madre e le sue fisime, mi mancava, sempre, eravamo legatissimi, perché restare separati? Tra dire e fare,appunto, mi si era già attaccato come una foglia di edera, ricambiato con zelo, stretto addosso con amore, disperazione, gli baciavo la fronte, i capelli, le guance,  le sue manine sul viso, lo serrai contro la clavicola, con le gambe mi si era già attaccato ai fianchi, gli toccai la schiena, le scapole magre, sollevandolo in un piccolo giro di danza
“Hai finito con i viaggi, le visite, le malattie?” un sussurro, la testa contro la mia clavicola, annodato stretto. Tutte scuse che gli propinava sua madre, cercando di essere logica, io ai pranzi domenicali, un misero surrogato rispetto alla frequenza di prima, ero spesso distante, la testa altrove “Verrò ogni volta che potrò, fammi chiamare quando vuoi, d’accordo, ora andiamo a giocare, scommetto che hai tante cose da farmi vedere” risposi, piano “Certo, un trenino elettrico e ..” “Giochiamo Alessio, pensa a questo, cerca di non essere triste!” quindi, ispirata “ E ti tengo sempre sollevato, ti scaldo le mani, ti massaggio le gambe, ti prevengo” una sua richiesta ai suoi marinai, agivo in via cautelare, appunto, sorrise, radioso, se mi preferiva un motivo vi era.

Per l’ora del tè, scrutai la porcellana dei piatti, i decori di rose e foglie che li orlavano, passando quindi su il profilo di Anna V. e della zarina, che mi fissavano, allibite “Buon pomeriggio, lo zarevic mi ha requisito” alzando la testa e serrando il bimbo tra le braccia, che mi allacciò sul collo “.. vero, mi imbocchi..” “Basta che mangiate tutto, va bene, zarevic” “Si” una impresa da titano, del mio viziato autocrate in fieri che era, ci riuscimmo, tempo una manciata di ore, e ritornammo, affiati, da tradizione.

Diciamo che la bizza più grande di Aleksey ero io, nel breve  e lungo periodo, senza pericolo.

In quel periodo, lo zar era meccanico, lontano ed assorto, faceva il cosiddetto dovere coniugale perché così doveva essere. “Allora, Alix, gli abbiamo preso una montagna di giocattoli e assicurato idonei compagni di giochi, chi vuole” e lei taceva, le labbra strette, la fronte corrugata
“Catherine, la mia figlioccia, la nipote del mio amico Rostov-Raulov, senza fallo” una retorica constatazione “E questo e’ quanto, non piangere, non accampare svenimenti o mal di testa, le palpitazioni o altro .. ” un duro tono che ben di rado le serviva, lui che la accontentava in tutto “Alessio deve stare bene e finché la vuole, non aggiungo altro, basta così per tutto, hai visto come sorride appena la vede, anche se sta male”
“Ma Padre Grigori, il Nostro Amico, Anna V..” che Alessio mi adorasse era una constatazione di fatto, e viceversa, quello non lo avrebbe mai smentito
“Padre Grigori ora non è qui, mai avuto a che ridire sulla principessa Raulov, o sbaglio.. Anna .. lasciamo perdere, argomento chiuso, da quella volta in Crimea, che pretendeva che NON sapesse cavalcare, Catherine, e l’ha invitata a provare, certo pensando che si sarebbe ricoperta di ridicolo e ridicola era lei, che la ragazza ha lasciato tutti a bocca aperta, cavalca come una vera amazzone,  lasciamo stare” E Alix tacque, sapeva quando era il caso di tacere. “Alessio con lei sta bene, lo sai” era viziato e capriccioso, ma io cercavo di trattarlo come un bambino normale, senza tare o limiti, stava bene in quel senso, che di miracoli non ne compivo, purtroppo, oltre che amarlo poco più facevo. Non si trattava di essere buoni o cattivi, penso ora, tranne che la zarina aveva il dono di dare sui nervi a tutti, ed era una persona buona, in fondo, peccato che fosse  ottusa e lo zar in genere passivo, sommerso dai senso di colpa per mia madre  Ella e per me.
Era un uomo buono, in fondo, la sua sola disgrazia era regnare,  ebbe a dire a mio zio R-R e suo cugino, il granduca Alessandro, quando suo padre morì nel 1894, stroncato dalla nefrite, pochi momenti dopo, cosa ne sarebbe stato di tutti loro, della Russia, non era pronto a diventare imperatore, non lo aveva mai desiderato e non aveva nemmeno idea di come parlare ai ministri. Era totalmente smarrito a vestire quei panni. Nel tardo pomeriggio di quel giorno di novembre 1894, eretto un altare, i cannoni avevano rombato per il defunto zar, le campane avevano suonato per il nuovo, che giurava fedeltà all’impero, la voce tremante, diventando “Sua Maestà imperiale imperatore e supremo autocrate di tutte le Russie, supremo zar Nicola II” 
I ricordi suntuosi tornavano in quel lungo inverno, a dire il vero rifugiarsi nel passato era un grato esercizio per estraniarsi dal freddo. E dall’esilio, le corrispondenze intercorse erano un filtro contro l’umiliazione, il precipitare dalle stelle alle stalle. Olga si tuffò letteralmente nei libri, come Tanik, cercando di non soccombere alla malinconia, a una sorta di autunno che continuava, crepuscolare, nei loro pensieri. Gentile e distratta, pensava al tempo fuggitivo.
Ruit hora. 

io e lei.
Per sempre.
 
   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Storico / Vai alla pagina dell'autore: queenjane