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Autore: germangirl    25/01/2018    5 recensioni
Un uomo in crisi per il suo lavoro e per la sua vita sentimentale.
Una donna ferita.
Un paio di nuovi amici.
La magia della Ville Lumière.
Genere: Fluff, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nathan Fillion, Nuovo personaggio, Stana Katic
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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Nota dell’autrice

Questa ff è un crossover fra le vite di due attori da me molto amati e alcuni personaggi dei romanzi di Nicolas Barreau, dal quale ho preso in prestito anche il titolo e l’ambientazione. Se non avete mai letto niente di Barreau e avete un animo romantico, vi consiglio di non perdere tempo qui e andare in libreria a comprare un suo libro. Oppure potete continuare a leggere questa storia e, quando li incontrerete, capirete se vi piacciono o meno.

Intanto, ringrazio come sempre il mio angelo custode per il suo supporto incondizionato e la sua deliziosa penna verde, che migliora sempre di gran lunga le mie sciocchezzuole.

E grazie sin da ora a chi di voi mi regalerà il proprio tempo e arriverà in fondo a questo primo capitolo.

Un abbraccio,

Deb

 

Capitolo 1 – Parigi è sempre una buona idea

Si versò del caffè bollente in una tazzona acquistata a Disneyworld qualche anno prima, fece pochi passi e restò in piedi davanti alla finestra, a fissare il giardino spoglio e trascurato. Lo sguardo era perso nel vuoto, tanto da non accorgersi che il calore sprigionato dalla sua bevanda aveva cominciato ad appannare il vetro. Era una giornata di inizio marzo insolitamente fredda, ben al di sotto delle abituali temperature primaverili che caratterizzavano il clima californiano anche nei mesi invernali.

Inutile nasconderlo a chiunque, tantomeno a sé stesso.

Era deluso.

Dal punto di vista professionale, la sua carriera si era arenata. Dopo la chiusura della serie che gli aveva dato così tanto successo, si era limitato a qualche cameo o a interpretare personaggi secondari in altri telefilm, la cui presenza si limitava a un arco di pochi episodi, o a prestare la propria voce in un paio di film di animazione o di videogiochi. Un curriculum interessante solo per un nerd. Nulla a che vedere con il ruolo di protagonista principale di un tv show che aveva come titolo proprio il nome del suo personaggio.

Per non parlare della sua vita privata. Non riusciva a mantenere una relazione per più di qualche mese. I suoi coetanei avevano figli che frequentavano le scuole superiori e lui passava da una ragazza all’altra, classico sintomo della sindrome da Peter Pan. Non solo. Anche con gli altri attori del cast di quella famosa serie aveva perso i contatti. Non li sentiva da mesi. Non era stato in grado di coltivare dei rapporti di amicizia con persone con cui aveva condiviso la fatica e la soddisfazione di aver regalato al pubblico un prodotto di grande successo. Con cui aveva lavorato per anni, con dei tour de force che a volte arrivavano a 14 ore al giorno, dal lunedì al sabato, per mesi interi.

Girare l’ultima stagione era stato particolarmente faticoso: il clima sul set non assomigliava nemmeno lontanamente all’atmosfera goliardica e leggera dei primi anni. Certe scelte autoriali sulla sceneggiatura lo avevano lasciato piuttosto perplesso, ma la verità è che qualcosa si era irrimediabilmente rotto e lui per primo si era comportato in modo indecoroso, in particolare nei confronti della sua coprotagonista.

Inutile raccontarsi delle balle: era stato un gran bastardo. Uno stronzo di prima categoria.

Ripensandoci, si vergognava ancora di certi suoi atteggiamenti, di certi commenti acidi che non aveva risparmiato a nessuno, ma che aveva usato soprattutto per ferire lei, riuscendo appieno nell’intento, tanto da ridurla alle lacrime più di una volta. Ma adottare quella strategia gli era parsa l’unica soluzione per togliersela dalla mente e dal cuore.

Visto che non poteva averla, doveva odiarla. Era un’equazione semplice.

Al termine della settima stagione si era sposata con quel suo connazionale che aveva un cognome impronunciabile e con cui stava da una vita. Aveva sempre saputo che era impegnata in una relazione stabile, però questo non gli aveva impedito di fantasticare che prima o poi le cose fra loro sarebbero cambiate. Poco dopo l’inizio dello show avevano ceduto a quella chimica irresistibile che si era creata fra loro sin dal primo incontro ed erano finiti a letto insieme, giusto per divertimento. E non solo una volta. Ma lei aveva troncato quella storia sul nascere ed era tornata da Kris. Da parte sua, in tutti quegli anni non si era certo votato alla castità, anzi. Si era sollazzato con una serie di compagne, spesso molto più giovani di lui, dalle quali si era fatto distrarre senza troppi problemi. Ma nessuna di loro era riuscita a distoglierlo dal suo chiodo fisso. Solo il rapporto con Krista era durato più a lungo del solito e gli aveva quasi fatto pensare di potersi liberare del suo fantasma, ma alla fine anche quello era naufragato.

E adesso quella vita non gli bastava più. Aveva bisogno di cambiare aria e di ritrovare lo slancio almeno nell’ambito professionale. Ma come fare? A quale fonte poteva attingere per recuperare la giusta energia? Tutto intorno a lui sembrava ricordargli il suo fallimento, come uomo e come attore. Doveva allontanarsi il più possibile dallo show business. Doveva partire da Los Angeles.

La suoneria del cellulare lo distolse dal fluire mesto dei pensieri nel quale era sprofondato. Si allontanò dalla finestra, posò la tazza sul mobile e prese il telefono dal divano sul quale lo aveva abbandonato poco prima, dopo aver fatto una partita a uno degli ultimi videogiochi che aveva installato. Tutta vita, insomma. Il display gli mostrò il nome della persona che lo stava chiamando.

“Ciao mamma” rispose, cercando di adottare un tono leggero. Non aveva voglia di contagiarla con la sua malinconia, di cui si vergognava anche un po’. Non voleva certo passare per una donnicciola piagnucolosa!

“Ciao Nate! Tutto bene?” lo salutò allegra la signora Fillion.

“Certo, voi? Papà sta bene?” si informò. Nei mesi precedenti qualche acciacco aveva costretto suo padre a prendere la vita con più tranquillità e a fare pace con l’idea di non essere più un ragazzino. Più facile a dirsi che a farsi, conoscendo il tipo.

Infatti la madre rispose: “Sì, è insopportabile come sempre! Il peggior paziente dell’intero pianeta Terra…. Comunque, ti chiamavo per sapere se per il tuo compleanno vieni da noi a Edmonton.”

Tre settimane dopo avrebbe compiuto 46 anni. La rivelazione lo colpì come un fulmine. Non che fosse un compleanno importante, ma rappresentava un altro passo che lo avvicinava ai 50. Oh my God. Mezzo secolo. Gli venne un capogiro all’idea. Un motivo in più per fuggire. Doveva prendere il primo aereo e andarsene da lì. Appena possibile. E il più lontano possibile.

“Nate? Ci sei ancora?” lo richiamò la madre, preoccupata per il lungo silenzio.

“Sì… scusami, avevo altro per la testa. No, non torno a Edmonton. Pensavo di fare un viaggio, sai, di stare via qualche settimana…. In questo momento non ho grandi impegni, ne vorrei approfittare” dichiarò sereno, tentando di minimizzare il fatto che in quel periodo non aveva nessun ingaggio.

“Ah, be’, peccato, ci avrebbe fatto piacere festeggiare con te” rispose sinceramente la donna. “Dove vai?” gli chiese.

Giusto. Ottima domanda. Molto appropriata. Se solo avesse avuto una risposta…

“Non lo so ancora, forse in Europa” buttò lì senza troppa convinzione. Il suo rimuginare lo aveva condotto solo alla decisione di allontanarsi da LA e il pensiero di un giro nel vecchio continente cominciò a formarsi piano piano. Innanzitutto, oltre al coast-to-coast, c’era anche un oceano di mezzo. Una distanza ragionevole. E poi aveva voglia di qualcosa di diverso e le grandi capitali europee avrebbero rappresentato sicuramente una distrazione: buon cibo, ottimo vino e belle donne. All’improvviso si materializzò nella sua mente il volto di una persona che in Europa si sarebbe dedicata a visitare musei, ad ammirare l’architettura dei palazzi storici e a conoscere culture diverse dalla propria. Si sforzò di scacciare l’immagine di quel viso bellissimo, però poi ebbe un’illuminazione e si chiese: e se per una volta lo avesse fatto anche lui? Aveva detto di aver bisogno di cambiamenti, no? Ebbene, sarebbe andato nel vecchio continente a fare turismo culturale. Era deciso.

“Oh, Nate, non sarà pericoloso?” gli domandò la madre, allarmata dalle notizie degli attentati nelle grandi città. L’ISIS pareva aver dichiarato guerra all’intera civiltà occidentale, concentrandosi con particolare efferatezza sulle capitali europee: Bruxelles, Parigi, Berlino, Londra, Stoccolma…

“Mamma, non ti preoccupare. Non voglio che la paura mi impedisca di viaggiare o di vivere. Ci siamo già passati con l’11 settembre. Non devono vincere loro” dichiarò convinto. L’attacco alle Torri Gemelle rappresentava una ferita ancora sanguinante per la memoria collettiva americana, se non addirittura dell’intera civiltà occidentale. In particolare, ogni cittadino statunitense ricordava alla perfezione cosa stava facendo quel giorno che aveva cambiato drasticamente il corso della storia. Ma dopo l’iniziale stordimento, portato dalla consapevolezza di non essere intoccabili né tantomeno invincibili, tutti avevano imparato ad affrontare la paura e a riprendere in mano le proprie esistenze. Tutti avevano superato una specie di disturbo post traumatico da stress nazionale.

Cookie Fillion sospirò. Suo figlio aveva ragione, ma il suo cuore di madre non le impedì di preoccuparsi per lui “D’accordo. Hai già pensato a un itinerario? Qual è la prima tappa? Mi hanno detto che Parigi è bellissima a primavera…”

Poche sere prima aveva rivisto per l’ennesima volta in televisione il film tratto dal bestseller di Dan Brown e l’idea di visitare i luoghi dove era ambientato in parte il “Codice Da Vinci” gli parve subito allettante, tanto che rispose: “Potresti avere ragione, mamma. Parigi è sempre una buona idea.” Poi la congedò e si sentì pervaso da un’energia che non provava da tanto tempo. Finalmente aveva un progetto a cui dedicare i propri pensieri. Si sedette alla scrivania, accese il laptop, si collegò a internet e si mise a cercare volo e albergo. La sua prima destinazione sarebbe stata la capitale francese e poi avrebbe deciso quali altri paesi visitare. Acquistò un biglietto in business di sola andata e si dedicò ai bagagli: meno di tre giorni dopo si sarebbe trovato sotto la Tour Eiffel.

 

Aprì gli occhi ed ebbe bisogno di qualche secondo per realizzare dove fosse. Doveva essersi appisolata subito dopo il decollo. Non c’era da sorprendersi: le ultime settimane di lavoro erano state piuttosto impegnative ed erano state precedute da un periodo emotivamente faticoso. Tanto per usare un eufemismo.

La nuova sfida professionale, però, non sarebbe potuta arrivare in un momento migliore. Le cose con Kris non andavano bene da un po’ e averlo trovato in un atteggiamento compromettente ed inequivocabile con la sua assistente, nel più abusato dei clichés, era stato la classica ciliegina sulla torta. Per sua fortuna, sarebbe dovuta partire alla fine della settimana successiva per la Bulgaria, dove avrebbe iniziato le riprese per Absentia. Tempismo perfetto. Entrambi sapevano di non avere molto da dirsi: la crisi andava avanti da troppo tempo e il loro allontanamento era ormai irrecuperabile. Ma questo non significava che non ci stesse male: con lui aveva trascorso molti anni e certo non poteva cancellarlo con un clic. Per tenere a bada la nebulosa di sensazioni che le devastavano l’anima, costituita da rabbia, delusione e fallimento, si era gettata a capofitto nel lavoro: avrebbe dovuto interpretare Emily Byrne, un’agente dell’FBI – ancora una volta una donna forte, con un lavoro pericoloso – che scompare improvvisamente mentre dà la caccia a un famigerato serial killer di Boston, viene dichiarata morta per poi essere ritrovata in un rifugio nei boschi dopo sei anni, viva per miracolo e senza alcun ricordo di quel periodo. Tornata a casa, scopre che suo marito nel frattempo si è risposato e suo figlio, dunque, ha una nuova mamma. Un inizio senza dubbio interessante ed emotivamente molto impegnativo da interpretare. Appena aveva letto la sceneggiatura, il suo pensiero era andato alla sparizione di Rick Castle a un passo dall’altare. Inutile nasconderselo: quella serie avrebbe sempre avuto un posto speciale nel suo cuore. Una punta di dolore però la aggredì alla bocca dello stomaco e le fece aggrottare la fronte: l’epilogo e in generale l’intera ultima stagione l’avevano fatta soffrire molto. Forse avevano addirittura contribuito a mandare all’aria il suo matrimonio: suo marito (ancora non si era abituata all’idea di chiamarlo il suo ex, sebbene avessero già avviato le pratiche per la separazione) non aveva capito quanto stesse male per il clima gelido sul set e per l’atteggiamento insopportabile del suo coprotagonista e non aveva saputo starle vicino. Anzi, aveva cercato di distrarsi rivolgendosi altrove e rifugiandosi nelle braccia accoglienti della sua giovane assistente. Ma questo era un dettaglio di cui Stana era venuta a conoscenza solo in seguito e che le aveva rivelato il vero volto dell’uomo che aveva sposato.

Guardò l’orologio e vide che era già passata un’ora da quando aveva lasciato la capitale bulgara. Le restavano ancora due ore di viaggio prima di arrivare a destinazione. Cambiò posizione sul sedile del volo low cost, non certo il massimo della comodità, e si mise a guardare fuori dal finestrino, mentre la mente ritornò alla conversazione avuta il giorno prima.

“Bene, signori. Ringrazio tutti voi per aver partecipato a questo incontro. Era necessario fare il punto della situazione prima di riprendere a girare i prossimi episodi. So che state dando il massimo e non ho parole per dirvi quanto sia importante per me che abbiate creduto in questo progetto. Avete tre settimane di stacco prima di ritrovarci per le prossime riprese” dichiarò Oded Ruskin, raccogliendo i propri appunti e spengendo il portatile. Attori, tecnici e autori si alzarono dal tavolino e si salutarono. Si era creato un buon clima fra loro in tempo breve e i saluti che si scambiarono erano sinceri e affettuosi. Ruskin aveva ragione: tutti avevano riposto fiducia in una serie tv, dai tratti cupi e violenti, che sarebbe andata in onda su un canale a pagamento, presente in molti paesi nel mondo, ma non certo con un pubblico paragonabile alle reti in chiaro.

Dopo aver scambiato due parole con Matt Cirulnik, lo sceneggiatore, e aver messo a punto un paio di dettagli, il regista israeliano si rivolse alla sua attrice protagonista: “Stana, puoi fermarti un attimo?”

La donna si voltò e cercò di sorridergli, ma ad un’attenta osservazione si vedeva che un velo di malinconia le offuscava i begli occhi verdi-nocciola. Solitamente molto riservata, Oded le aveva ispirato fiducia sin dal primo incontro, tanto da aprirsi con lui e raccontargli di Kris.

“Che programmi hai per questa pausa?” le chiese con un interesse genuino.

“Ho bisogno di riposarmi, di distrarmi e di riordinare le idee prima di tornare a indossare i panni di Emily” gli rispose in tutta sincerità. “Non vado in America, se era questo che volevi sapere. E non faccio nemmeno un salto dalla mia famiglia in Croazia. Troppi ricordi” aggiunse con un sospiro. Vicino alla città di origine dei suoi familiari aveva celebrato il proprio matrimonio e non se la sentiva di ritornare sulla… scena del crimine, tanto per usare un’espressione che avrebbe potuto pronunciare il suo personaggio. Sia Emily che Kate, a pensarci bene.

“Beh, l’Europa è grande e ha molto da offrire! So che di recente sei stata in Italia per le riprese di Lost in Florence…” le suggerì Ruskin.

“Se è per quello, qualche anno fa il mio lavoro mi ha portato anche a Parigi... ma sai come funziona, quando si gira non c’è mai tempo per guardarsi intorno, immergersi in una cultura diversa, visitare un museo… ci crederesti? Non ho mai messo piede al Louvre! O al museo d’Orsay, e io adoro gli impressionisti!” affermò convinta.

“Cosa ti impedisce di andarci adesso? Se ti piacciono i musei, a Parigi avresti l’imbarazzo della scelta. E poi tu parli anche francese, no?”

E così aveva prenotato un piccolo albergo senza pretese, costituito da poche stanze che si affacciano su un cortile interno arricchito da un ippocastano (almeno così diceva il sito), aveva preparato i bagagli e ora si trovava sul volo che in tre ore l’avrebbe portata da Sofia a Parigi. “Parigi è sempre una buona idea” le aveva detto Ruskin prima di salutarla.

 

  
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