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Autore: esmoi_pride    30/01/2018    3 recensioni
Il Gran Regno di Saab è stato rifondato dalle sue antiche rovine, e adora il dio Saab. L'Imperatore scelto dal Dio ha accolto i reietti della società e li ha resi il popolo della città. Ma adesso i signori rivogliono indietro i loro schiavi e creano un'Alleanza, formata dalle sette città più importanti della regione, per annientare il loro piccolo avversario. Quella che scoppierà sarà una lotta tra gli uomini... e qualcosa di ben più grande di loro. | Storia fantasy. Cosa c'è dentro: guerra, drow, omosessualità latente, dettagli truculenti, drow, omosessualità sfacciata, morte, drow, slash, comandanti bboni, ho già detto drow?, pseudoincesto, scoperte molto boh, qualche umano, poteri psionici/cineti, una minoranza di altre razze, cose improvvisamente sci-fi ve lo ggiuro, e... drow, principalmente.
Genere: Avventura, Romantico, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Incest
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Storie di Saab'
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Storie di Saab, II
Capitolo 3 – Velnarin*
*Strumento, oggetto, mezzo


 
 


 
 

 
 
“Chiunque legga questo messaggio, salvi i miei bambini.
Il buio ha inghiottito la città. Non so perché, non so cosa stia succedendo… non ho fatto niente di male per avere tutto questo… ho sbarrato le finestre. Ho sbarrato tutto. Ho fatto in modo che niente entrasse. Niente dovrà entrare. Non lo permetterò.
I miei amici sono là fuori. Mia madre è là fuori. Ho sentito la voce della vicina che urlava. Stava piangendo. Poi è morta. Lo so perché l’ho sentita morire. È morta nel mio giardino. Ho preso i bambini e li ho fatti scendere nella cantina. Li ho lasciati lì con il cibo e l’acqua e li ho fatti chiudere a chiave, con le catene. Non so cosa sta succedendo. Voglio solo salvare i miei bambini. La parola d’ordine è Chiunque legga questo messaggio, salvi i miei bambini. Chiunque legga questo messaggio, salvi i miei bambini. Chiunque legga questo messaggio, salvi i miei bambini.
Spero che funzioni.”
 
 
Ritrovamento di una lettera di cinquemila anni fa,
Rovine di Fajjar Saeb.
 
 
 
 
 
***
 
 

 
La porta della Sala del Consiglio si aprì con un suono metallico della serratura. Valentino si diresse verso il fondo della sala, e i suoi passi riecheggiarono sulle pareti di pietra, fino a fermarsi davanti al basso piedistallo che ospitava il tavolo.
 
Azul Goldsmith gli dava le spalle. L’orlo del mantello era raccolto ai piedi della sua sedia, come una coda. I capelli erano raccolti in una corona di oro e rubini e aveva il viso sollevato a guardare le tre vetrate che aveva davanti. La luce del sole autunnale illuminava la sala filtrando tra i disegni incisi sul vetro.
 
“Fajjar Saeb. Cinquemila anni fa.”
 
Valentino portò le mani sul grembo, una sul polso dell’altra. Sopra le loro teste, le vetrate raffiguravano uno spargimento di sangue; a sinistra, un ragno lungo e sottile sovrastava piccole creature bluastre. Nella vetrata centrale, un continuo dell’immagine precedente, le persone correvano, circondate da un paesaggio urbano devastato. La vetrata di destra era corrotta da colori scuri, violacei, rossi, e inghiottivano tutto ciò che avevano davanti: le persone e gli edifici dorati.
 
“Un popolo pacifico e rigoglioso viene messo alla luce da Saab… poi qualcosa va storto. Gli dei maggiori si adirano, secondo i documenti storici. A ogni modo un giorno, senza spiegazioni, il Popolo di Saab è sterminato. I templi rasi al suolo, il palazzo imperiale in macerie. Non ne rimane niente.”
 
Azul indietreggiò con un piede per guardare Valentino. Il mezzelfo ricambiò il suo sguardo. L’Imperatore mosse il primo passo e si incamminò verso il mezz’elfo, sollevando un lembo dell’abito di modo che non gli intralciasse i piedi.
 
“Il primo popolo era drow.”
Valentino inarcò le sopracciglia, interdetto. Azul proseguì.
 
“La prima volta, per la sua missione, Saab scelse le creature del sottosuolo. Portò in superficie ciò che era stato creato per l’ombra, e gli diede un potere che discendeva dalle stelle. Quasi come se volesse… dimostrare qualcosa.”
 
Si fermò poco prima del limitare del piedistallo.
“Come… lo sai?”, chiese il Consigliere.
L’Imperatore si fece sfuggire una smorfia, sbuffando dalle narici.
“Me l’hai detto lui.”
“Ah,” il Consigliere sospirò, quasi sollevato, “si, certo,” dopodiché prese respiro e intavolò un nuovo discorso.
 
“Abbiamo sconfitto il sottosuolo, almeno per adesso. Ora dobbiamo occuparci del resto dell’alleanza. In questa battaglia abbiamo messo in campo ciò che avevamo e abbiamo vinto, ma la prossima sarà peggiore: più grande, più preparata.” Valentino scrollò il capo, “non c’è dubbio che, ora che hanno visto cosa siamo in grado di fare, sfrutteranno questa conoscenza per colpirci quanto più forte gli è concesso.”
Valentino alzò lo sguardo, grave, sull’Imperatore.
“Mi hai detto che abbiamo altri assi nella manica. È il momento di illustrarmeli.”
 
Azul sostenne il suo sguardo, poi, apparentemente distratto, alzò gli occhi verso le vetrate sul lato della Sala.
“Hai mai visto una mappa della Nuova Terra, Valentino?”
Valentino annuì incerto.
“E quanto è vasta la Nuova Terra?”
Il mezzelfo venne colto alla sprovvista. Provò a rispondere, ma Azul lo intercettò.
 
“Molto vasta. La più vasta di questo mondo a quanto pare, la più vasta mai vista,” il drow tornò a scrutare il biondo, “sai che Saab ha stipulato numerosi accordi con i… uhm, forestieri, di quelle terre.”
 
Valentino boccheggiò un istante, ma prese parola subito dopo.
 
“Saab è una città di commercio, è essenziale che abbia ottimi rapporti con mercanti e marinai, certo. Viste le dimensioni delle Nuove Terre non potevamo rinunciare a commerciare anche con loro. Ricaviamo oggetti preziosi, incantamenti…” borbottò, corrugando la fronte più incerto, “… non capisco ancora il tuo punto,” ammise, arrendendosi.
 
Gli occhietti gialli di Azul Goldsmith sembrarono luccicare, per un istante, alla luce delle vetrate.
 
“Le Nuove Terre non ospitano solo i mercanti e i marinai,” rispose. La voce si era abbassata in un tono più lugubre. Il drow abbassò lo sguardo e incontrò la mano destra, che aveva raccolto tra le dita un gioiello d’oro ricamato sul vestito. Lo strofinava tra le dita e quando scostò il pollice quel gioiello sembrò ammiccargli in risposta, baluginando nei suoi occhi.
 
“Pirati,” sibilò Valentino.
Quando Azul alzò gli occhi su di lui, il mezzelfo era chiaramente nervoso.
 
“Pirati, mercenari, streghe, stregoni…” lo corresse “uomini liberi, ladri. I nostri accordi coinvolgono diversi, e molti, generi di persone. Di… organizzazioni. Detto tra noi,” aggiunse, vedendo il ragazzo schiudere le labbra allibito.
 
“Ma… Azul… questa gente non è affidabile… e sono… dei ribelli, dei…” sospirò, “non saremo visti di buon occhio, useremo dei criminali stranieri per proteggere il nostro territorio!”
 
Azul ghignò.
“È questo che siamo, Val. Inutile fingere che non sia così. Siamo i ribelli, i criminali e gli stranieri. Proprio come loro,” mormorò con voce morbida, senza scomporsi, voltandosi per raggiungere il tavolo. Mentre proseguiva, recuperò un anello accanto alle carte.
“Città Alta crede di stare combattendo contro persone che hanno tutto da perdere. Gli ricorderemo ciò che brucia ancora vivido nella nostra testa: quando eravamo persone che non avevano niente.”
 
L’Imperatore infilò l’anello e si voltò nuovamente verso il Consigliere.
 
“I pirati sono la mia gente. Loro non tradiranno gli accordi; anche perché si annoiano senza far niente,” considerò in uno sbuffare beffardo, prima di continuare. “I fattucchieri sono subordinati ai pirati ed eseguiranno le loro direttive. I mercenari, invece…” scrollò le spalle, “staranno già sbavando sui racconti di un Palazzo Imperiale interamente fatto d’oro. Non sarà difficile convincerli che aiutarci sia la scelta più conveniente per loro.”
 
“Li stai sottovalutando,” lo fermò Valentino, facendo un passo verso di lui. “I mercenari sono concreti. Possono essere affascinati da un palazzo d’oro, ma vedranno che siamo in svantaggio e andranno contro di noi. Chiederanno a Città Alta un prezzo maggiore e finirà lì, se non gli diamo un motivo più convincente.”
 
Azul sollevò un sopracciglio, contrariato.
“Ah, siamo in svantaggio?”
Il mezzelfo scrollò il capo, si affrettò a spiegare, “uno contro sette? Sì, siamo in uno svantaggio nero, mio Imperatore.”
Il drow riportò le mani accanto ai fianchi, rilassate.
“Ah,” ghignò di nuovo, “ma non hai contato bene.”
Valentino sembrò confuso. L’altro chiarì subito dopo.
“Sette, contro uno… e… Saab."
Valentino sembrò colpito.
“Ah… già.”
“Hm.”
Azul sollevò i lembi del vestito per scendere lo scalino del basso piedistallo, ma Valentino, a lato, non accennò a seguirlo se non con lo sguardo.
“La storia dei mercenari non mi persuade ancora, Azul.”
“Hai ragione, Val,” gli concesse il drow una volta che ebbe sceso lo scalino. Voltò il viso verso di lui.
“Sai dove sto andando?”
“Dove stai andando?”
Azul gli sorrise.
“A dare ai mercenari quel motivo più convincente.”
Fece guizzare un occhiolino verso il Consigliere, che rimase di nuovo confuso, girandosi per guardarlo andarsene.
 
 
 
 
 
***
 
 
 
 
Steso sul grembo di una statua, Vilya godeva di quel poco sole che le nuvole lasciavano filtrare. Il suo petto si sollevò raccogliendo dalle narici il profumo del giardino attorno; tirò fuori un sospiro rilassato, poggiando la nuca sul collo dell’affascinante uomo di pietra che lo teneva sulle ginocchia.
 
Il cinguettio degli uccellini e il mormorio della corte erano un piacevole ronzio di fondo, che però fu interrotto quando la porta del chiostro venne aperta rumorosamente.
 
“Va bene. Siamo arrivati fin qui… e adesso?”
 
Il tono aspro della lingua del sottosuolo raggiunse le orecchie di Vilya. Il moro aprì gli occhi, sorpreso, e si sollevò dal petto accogliente della statua per spiare il porticato davanti a sé.
 
A fare capolino dalle colonne del chiostro erano tre jaluk. Il primo ad aver parlato era alto e giovane, snello e dai lineamenti longilinei. Spiava l’ambiente con sguardo critico. Il secondo era più basso e sembrava avere la sua stessa età, ma si guardava attorno con più circospezione. Il terzo, invece, era tozzo. Un ghigno gli deformava la faccia, e le sue mani erano aggrappate alla cintura dei pantaloni. Avanzò verso il giardino come se gli appartenesse.
 
“Ora cerchiamo l’Imperatore, e poi ce ne andiamo di qui il più presto possibile,” replicò il jaluk di mezzo, lanciando un’occhiata ansiogena agli altri due.
Il più alto sollevò un sopracciglio, scettico, mentre quello tozzo rise fragorosamente.
“Cosa c’è, Chaszmyr? Hai paura delle ombre? Se hai paura… puoi sempre tornare indietro.”
L’occhiata furba scivolò sul jaluk alto, che la ricambiò.
“Giusto Gwylyss,” lo assecondò quest’ultimo, “le sue gambette dopotutto sono arrivate qua da sole…”
“Smettetela. Smettetela.
 
Chaszmyr accelerò il passo, ma dovette interrompersi quando Vilya saltò giù dalla statua tagliando loro la strada. Il drow ansioso fece un passo indietro, tendendosi ancor di più, e cercò il viso dello sconosciuto che si alzò e tirò indietro i capelli scuri, rivelandosi a loro.
 
“… ewwwww.”
 
Fu la voce di Gwylyss a rompere il silenzio. Il drow tozzo si voltò dall’altra parte in una smorfia di disgusto.
Anche il jaluk più alto sembrava sconcertato. Chas, invece, si era raggelato nella sua ultima posizione.
Impassibile, Vilya si rivolse a loro.
“Identificatevi.”
“Identificati tu,” ribattè provocatorio il jaluk alto.
“Identifica questo cazzo,” ripeté soavemente Gwylyss una volta tornato verso gli altri. Avanzò verso Vilya, superando Chaszmyr. Vilya non si mosse, si limitò a ricambiare il suo sguardo.
“Facci passare, spiacevole aborto. Puoi ancora sistemare le cose.”
“Oh, no. Non hai capito bene.” Vilya avanzò di un passo verso il gradasso, guardandolo dall’alto.
“Tu mi dirai chi cazzo siete e perché volete vedere Azul… e io deciderò se è il caso di appenderti per gli alluci alle porte del Palazzo. Chiaro?”
Gwylyss sollevò il mento e rise, trattenendo gli occhi in quelli di Vilya prima di voltare metà busto verso i compagni. Ma all’improvviso interruppe quella risata per caricare un pugno verso la faccia del ragazzo in uno slancio del braccio. Vilya si accovacciò prontamente per schivare il colpo e poi mosse l’ultimo passo che lo separava dal jaluk basso, risalendo. Il risultato fu un montante che tirò fuori l’aria dai polmoni di Gwylyss prima di farlo indietreggiare in uno stento.
 
Chaszmyr sgranò gli occhi e indietreggiò. L’altro jaluk si fece sfuggire un sospiro sconsolato, ma non appena Gwylyss si riprese e cercò, urlando, di aggredire di nuovo un sogghignante Vilya, lui lo raggiunse per trattenerlo da sotto le ascelle.
“Lasciami, Jevan! Devo dargli la morte che i suoi genitori non gli hanno dato!”
“Calmati Gwylyss!”, esclamò Jevan, esasperato, “così peggiori solo le cose…”
“Che sta succedendo qui?”
 
La voce perentoria di Ra’shak li raggiunse. Il Comandante mosse gli ultimi passi che lo separavano dal gruppo di jaluk e li osservò uno per uno, freddamente. Vilya sciolse il ghigno che si era dipinto sulla sua faccia. Gwylyss e Jevan si fermarono per guardarlo, cauti. Chaszmyr, invece, sembrava aver raggiunto un livello di ansia ormai trascendentale.
 
Stavolta fu proprio Chaszmyr a parlare per primo. Ma il suo fu un sussurro atterrito, piuttosto.
“Ra’shak.”
 
Preso alla sprovvista, il Comandante puntò il ragazzo.
“… ci conosciamo?”
 
“Sì. Cioè, io conosco te. Tutti conoscevano te,” borbottò il giovane. Ra’shak sembrava ancora più confuso, e gli altri non osarono intromettersi. Chaszmyr tentò di chiarire, “eravamo nella stessa divisione a Jhachalkhyn. Combattevamo insieme…” e ammise, in un azzardo, “eri un esempio per gli altri.”
 
“Ah,” borbottò Gwylyss a Jevan in un ghigno, “ho capito perché è venuto qui. Ha il fidanzato.”
Jevan rimase diplomaticamente impassibile. Chazsmyr lanciò un’occhiata di disagio a Gwylyss senza dire altro. Ra’shak diede solo uno sguardo al jaluk più basso, poi tornò su Chaszmyr con una nota beffarda.
“Il vecchio Comandante non sarebbe stato d’accordo con te.”
“Lui non poteva ammettere il tuo valore,” ribatté il ragazzo, trattenendo lo sguardo su Ra’shak, “per paura di vederti prendere il suo posto.”
Il Comandante scrollò le spalle, “cosa che è successa comunque.”
“Già,” borbottò Chaszmyr. Sembrava che si fosse ammutolito, ma all’ultimo aggiunse, “dev’essere per questo che è stato così sconvolgente… tutto quello che è accaduto dopo.”
Chazsmyr titubava, tenendo lo sguardo basso, ma alla fine incrociò quello di Ra’shak.
“Non se lo aspettava nessuno.”
 
Un’atmosfera di tensione circondò il gruppo dei jaluk. Il Comandante era immobile, non muoveva neanche il petto a ritmo del respiro. Gli occhi di Chaszmyr, poi, vigili su Ra’shak, saettarono sulla figura che comparve poco dopo alle sue spalle. Inarcò le sopracciglia, raggelando, nel vedere il viso del giovane mezz’elfo che avanzava.
 
Valentino sondava le espressioni, turbate, degli uomini che aveva colto nel giardino. Avanzò, cauto, di qualche altro passo, fermandosi poco più in disparte.
“Hey,” la voce di Jevan si levò insieme al suo cipiglio incuriosito. “Non è lo schiavo di Zandor?”
“No,” berciò la voce grave di Gwylyss, sbuffando con disapprovazione, “il Comandante, qui, lo aveva com…”
La gola di Gwylyss fu serrata da un tentacolo celeste, che baluginò sotto gli occhi di tutti mentre sollevava il grosso jaluk diversi centimetri da terra. L’uomo strizzò gli occhi, boccheggiando, e tentò di liberarsi stringendo invano le dita attorno ai tentacoli.
Anche Jevan fu afferrato subito dopo, insieme all’avanzare di Valentino. Un’ombra sinistra incupiva il volto del mezz’elfo, e i suoi occhi chiari brillavano di una rabbia fremente.
 
“Perché siete qui?”, ringhiò gutturalmente, in una voce insolita.
I due jaluk continuavano ad annaspare, senza riuscire a recuperare il respiro né a rispondere. Chaszmyr teneva gli occhi sulla scena a bocca aperta, pietrificato.
Fu Vilya a interrompere il silenzio.
“-sono venuti per incontrare l’Imperatore!”
“Perché?”, proseguì il Consigliere.
Rispose Chaszmyr, stavolta.
“Siamo… r-rappresentiamo i drow che sono arrivati in città dopo la battaglia.”
Il mezz’elfo abbassò lo sguardo allucinato su di lui. Chaszmyr incrociò lo sguardo, con il panico nel proprio. Valentino premette le labbra in una smorfia di disprezzo, e l’attimo dopo i tentacoli sciolsero la presa sui due ed evaporarono. I jaluk caddero a terra, colti dalla tosse, piegandosi in due.
Valentino attese che ebbero finito di tossire, prima di rispondere.
“L’Imperatore è al momento impegnato.”
Abbassò gli occhi verso i jaluk ai suoi piedi, freddo come la sua voce.
“Vi porterò a un’anticamera dove potrete attenderlo.”
Si voltò e si incamminò verso la strada.
Chazsmyr lo seguì. I due jaluk annaspavano ancora. Furono costretti a correre per seguire il mezz’elfo.
 
Vilya, ammutolito, cercò Ra’shak. Il Comandante scambiò con lui un’occhiata di disagio prima di superarlo e allontanarsi.
 
 
 
***
 
 
 
 
Era raro che il punto più alto del Palazzo Imperiale fosse visitato da delle persone.
Le mura esterne del Palazzo Imperiale erano ricoperte d’oro. Quando il tramonto colpiva quelle mura, il metallo prezioso rifletteva la luce rossa come se il palazzo fosse avvolto nelle fiamme. Prima del crepuscolo estivo, lontano dal clima freddo che stava prendendo piede nella regione, il Palazzo era così lucente che rischiava di accecare chi lo guardasse, come se fosse il sole stesso.
 
In quel momento il tramonto non baciava più i piedi del palazzo. La luce era già più fioca, e l’oro delle pareti rifletteva un arancione malinconico, incapace di brillare.
 
Due ombre si affacciavano sul panorama che dava sul mare. Sotto un cielo vermiglio e delle nuvole rosee, una flotta navale dalle dimensioni disarmanti aveva assaltato il porto del Gran Regno e si affollava nel molo. Le due ombre osservavano la flotta, mani incrociate sul grembo. Azul Goldsmith indossava una corona d’oro e di rubino sopra l’abito, mentre l’uomo al suo fianco, ben più alto di lui, portava un’armatura leggera di ottima fattura, con dei simboli sfarzosi pressati sul cuoio.
 
“Fa un certo effetto, vista da qua,” osservò l’uomo. Aveva un tono di voce sicuro, spavaldo.
“Già,” convenne l’Imperatore, pacato, “essere generosi ha i suoi vantaggi.”
“Non ne dubito,” replicò l’uomo in un sospiro. Fece un passo indietro, “anche se la generosità, per mia esperienza, non ripaga quasi mai… senza un contratto.”

Azul colse con la coda dell’occhio lo sguardo furbo che il suo ospite gli aveva lanciato. Sbuffò dalle narici e indietreggiò per voltarsi verso di lui. Scrutò l’uomo, dal viso verso il basso. Lo soppesò, senza risparmiare i dettagli del suo corpo, e intanto gli rispose.
“Sareste più rassicurato se vi dessi un contratto?”
A sua volta, l’uomo stava esaminando la sagoma minuta e sinuosa del drow. Avanzò di un passo.
“La mia rassicurazione più grande è la certezza di vincere.”
Azul non poté trattenere un ghigno, e soffocò una risata nella gola.
“Se la vittoria fosse certa, non avremmo fatto ricorso ai mercenari. Non vi pare, Lyghenar?”
Mastro Lyghenar piegò il capo in un cenno assertivo.
“Così avete deciso di lanciare i vostri alleati delle Nuove Terre incontro all’intera Alleanza delle sette città di Siieeth…”

“Sapete…”, Azul lo interruppe, avanzando verso di lui senza preavviso. Avvicinò una mano all’uomo, “… cosa mi rassicura?” La mano curata di Azul si poggiò sul pettorale di cuoio altrui. Azul affondò gli occhi gialli in quelli di lui, scrutandolo dal basso, intensamente. “La vostra reputazione…” si fece sfuggire un sorriso entusiasta, “la vostra bravura in battaglia. Mi fa sentire al sicuro,” ammise con un tono di voce più caldo e basso.

Lyghenar scrutò negli occhi di Azul. Il Mastro dei Mercenari era un uomo avvenente. Dalla corporatura fiera che si addiceva a un combattente, aveva una zazzera di capelli scuri e degli occhi chiari. Possedeva uno sguardo altezzoso ma avido, che lo sbugiardava subito come un uomo arrivato in alto grazie alla furbizia, e non alla saggezza o alla nobiltà. Sgranò gli occhi quasi impercettibilmente nell’incrociare quelli dell’Imperatore, prima di sorridergli.

“Mio Imperatore…”, raggiunse la mano di Azul con la propria, tentò di stringerla contro il petto ma la mano di Azul scivolò via prima che lui potesse trattenerla. L’Imperatore si voltò, e camminò verso l’arco che mostrava il panorama. Lyghenar lo seguì, “la mia bravura è una certezza. Una di quelle che rassicurano voi… e anche me.”
Azul si affacciò al davanzale dell’arco e ammirò nuovamente il paesaggio. L’uomo lo affiancò, senza distogliere gli occhi dal drow.
“Perciò capirete bene quanto anche io abbia bisogno di… rassicurazioni, da parte vostra.”
La sua mano si adagiò sul fianco di Azul, finendo per cingerlo.
Quando Azul, con i suoi occhi liquidi, si voltò per guardarlo, trovò già i suoi occhi a esaminarlo profondamente.
“Non vi credevo un codardo, Mastro Lyghenar. Mi avevano detto che eravate un uomo capace di qualsiasi cosa.”
“Qualsiasi cosa,” confermò l’uomo, voltandosi del tutto verso Azul. Cercò di cingere i fianchi del drow con entrambe le mani, e l’altro non si oppose, rimanendo a guardarlo dalla propria altezza, “al giusto prezzo.”
“E quale sarebbe il vostro giusto prezzo?”, sussurrò roco l’Imperatore, muovendo un passo avanti verso l’uomo che aveva ormai messo le mani su di lui. Senza distogliere lo sguardo dal suo, si sollevò sulle punte dei piedi e avvicinò il viso al suo, al punto che il respiro del mercenario gli avrebbe riempito le narici.
“Un prezzo,” rispose Lyghenar, stringendo la stoffa sui fianchi del drow, “che, sono sicuro, voi ripaghereste… appieno.”

Non poté finire la frase che l’Imperatore sfuggì alla sua presa, in una risata, indietreggiando.
“Credete che io sia così semplice da comprare?”
“Semplice?”, Lyghenar inarcò un sopracciglio, sfidando l’altro, “quello che è in gioco è il vostro trono. Niente di tutto questo è semplice…” la sua voce si arrochì, e il mercenario avanzò verso Azul. Stavolta non sembrava intenzionato a farsi persuadere e riuscì a catturare il polso sottile del drow in una stretta.
“Nessuno vi biasimerebbe…”, sussurrò, scrutando gli occhi intensi del jaluk.

“Sei un gran pezzo di carne, Lyghenar.”
Azul avanzò di un passo verso l’uomo, ammorbidendo la tensione della sua stretta.
“Credi che non vorrei farmi scopare da un toro come te? Potrei darti tutto quello che vuoi.”
Abbassò gli occhi luccicanti per scrutare le labbra del più alto, che si passò la lingua attorno ad esse, assetato. Come ripresosi da una distrazione, l’Imperatore tornò a inchiodare lo sguardo nel suo.
“Vinci per me. E io ti darò tutto quello che vuoi.”

In una torsione della mano, finì per liberarsi dalla stretta di lui e afferrare, invece, lui il suo polso. Lo spinse verso il proprio corpo. Fece in modo che la sua mano potesse toccare il proprio bassoventre, rigonfio sotto le pieghe del vestito.

“Tutto il mio corpo… con i suoi gioielli,” sussurrò sulla faccia dell’uomo.

Lyghenar strinse ciò che aveva tra le mani, saggiando il rigonfiamento che gli riempiva il palmo. Iniziò a massaggiarlo, piano. Azul scrutò negli occhi offuscati dell’uomo diversi secondi, con un respiro più intenso, prima di tirargli via la mano. Si scostò e lo oltrepassò, superandolo.

“Voglio dei risultati, Lyghenar.”
Il Mastro dei mercenari si voltò verso Azul, in un sospiro impaziente, e ghignò.
“Li avrai presto, dolce imperatrice. E ti inginocchierai tra le mie cosce.”

Stavolta fu Lyghenar a superare Azul. Il drow rimase solo nel terrazzo più alto del Gran Regno, e osservò il paesaggio mozzafiato che si stagliava davanti a lui. Il cielo si stava spegnendo piano, lasciando spazio ai colori più tenui e rilassanti della sera.
Socchiuse gli occhi, e un sorriso furbo si distese sulle sue labbra.
“Sciocco idiota,” ridacchiò.
 
 
 
 
***
 
 
 
 
Ormai la sera era calata sul Palazzo Imperiale. Dalle finestre delle stanze private baluginavano le luci soffuse dei candelabri. Anche la stanza del Principe era avvolta in una atmosfera placida; Vilya sedeva ai piedi del letto, voltato verso il fondo della stanza dove So’o stava camminando. Il Principe aveva un’espressione tesa, dalle sopracciglia corrugate.
Si interruppe e puntò il fratello maggiore.
 
“Tu lo sapevi?”
Vilya, preso alla sprovvista, esitò a rispondere.
“… no. Perché avrei dovuto saperlo?”
“Perché non sei tu quello a cui nascondono le cose,” sospirò il più giovane.
“Stavolta le ha nascoste anche a me.” Vilya incrociò le braccia al petto, contro la maglia color sabbia. “È evidente che non sia qualcosa di cui gli piaccia parlare... ‘So’o, sono un negromante, e quando scendo in battaglia uso il mio potere per sterminare centinaia di persone. Ah, e ti voglio bene’.”
So’o cadde a sedere affianco al drow, ai piedi del letto.
“Non mi sembra un motivo valido. Credo che ce l’abbia nascosto per fare come voleva lui.”
Vilya sciolse la stretta delle braccia, interrogativo.
“Imesah gli fa fare quello che vuole, per quello che gli importa potrebbero morire tutti,” spiegò So’o. “Valentino e Ra’shak possono solo obbedirgli e credo che alla fine non capiscano la gravità della situazione…”
“Neanche io la capisco, a dire il vero,” si intromise Vilya.

So’o sgranò gli occhi nei suoi.
“Vilya, quel potere è malvagio. Il popolo di Saab ha smesso di sporcarsi le mani, vuole vivere in pace, senza crimini che gravano sulle loro coscienze.”
Avvicinò il viso a quello del ragazzo.
“Come possono sentirsi, quando il loro Imperatore usa la magia nera per salvarli? Come possono sperare di cambiare?”
Vilya sbuffò, voltando evasivo il capo.
“È la guerra, So’o. Se Azul non avesse usato quel potere, avremmo perso. Papà lo sta facendo per salvarci, lo sta facendo per qualcosa di… di buono,” azzardò.
So’o serrò le labbra con disapprovazione. Scosse piano il capo.
“Questo non rende buono quello che ha fatto.”
Stavolta fu So’o a guardare altrove, verso le tende della stanza.
 
Vilya rimase zitto per qualche secondo, guardandosi le mani, finché non trovò qualcosa da dire.
“Quando… si tratta di vita o di morte, fai tutto quello che devi per sopravvivere. Azul lo sa bene, e sono sicuro che lo sappia anche il resto di Saab.”
So’o si voltò di nuovo verso Vilya.
“Allora perché tutta Saab non fa un bel patto con un demone per diventare immortale? Forse perché gli avevamo detto che in questo posto finalmente non ne avrebbero più avuto bisogno. Ci hanno creduto, illusi…”
“Cosa faresti tu, So’o?”, chiese Vilya, scettico, “chiederesti per piacere? Credi che funzionerebbe?”
“Userei un’altra via,” rispose prontamente il ragazzo, determinato, sfidando l’altro con gli occhi nei suoi, “un altro strumento. Qualcosa che non vada contro i principi della città.”
 
Vilya restò a scrutare gli occhi verdi del mezzodrow a lungo, come in cerca del significato di quelle parole.
“… tipo?”
 
So’o abbassò lo sguardo, scrutando intensamente le coperte del materasso.
Rialzò gli occhi decisi in quelli del fratellastro.
“Saab.”
 
 




 
   
 
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