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Autore: Roscoe24    30/01/2018    6 recensioni
“Ahi,” si lamentò, toccandosi la fronte. Ci sarebbe spuntato un bel bernoccolo, se lo sentiva.
“Oh santi numi!” sentì esclamare e poi di nuovo il botto metallico dello sportello che veniva chiuso. Alec aveva ancora le mani sulla fronte, quindi non poteva vedere chi fosse il suo interlocutore. La verità era che si stava vergognando così tanto di essersi comportato come un tale imbranato che non aveva il coraggio di togliersi le mani dal viso.
“Ehi, là sotto. Tutto bene?” lo sconosciuto appoggiò le mani sui polsi di Alec, il quale percepì il tocco caldo contro la sua pelle. Curioso, si liberò la faccia.
Genere: Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Alec Lightwood, Isabelle Lightwood, Jace Wayland, Magnus Bane, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Alec stava nella sua stanza, il letto appena fatto e lo zaino per la scuola già sistemato. Osservava l’interno del suo armadio con fare titubante. Dai suoi capelli, ancora umidi per la doccia, scendevano gocce che tracciavano sentieri lungo la sua schiena nuda, portando con sé piccoli brividi di freddo. Un pensiero gli albergava la mente mentre, con addosso solo un paio di jeans neri, osservava il maglione verde scuro che stava accuratamente piegato all’interno del suo armadio. Aveva un ricordo particolare legato a quell’indumento, che aveva comprato settimane e settimane prima, ma non aveva ancora messo, convinto che dovesse usarlo per un’occasione speciale. Ma Alec non sapeva davvero scegliere quale fosse un’occasione speciale perché aveva sempre avuto la sdolcinata convinzione che ogni occasione fosse speciale con Magnus. Ed era proprio a lui che associava quel maglione che stava ancora fissando. Si ricordava il giorno in cui lui e Magnus stavano tornando dalla biblioteca pubblica e, passando davanti ad un negozio, Magnus aveva affermato che un colore del genere gli sarebbe stato benissimo perché risaltava il colore dei suoi occhi. Alec era arrossito e aveva liquidato la cosa farfugliando parole a metà e senza senso, ma se la cosa poteva essere finita lì, non era stato così per il suo cervello. Aveva sempre visto i suoi fratelli prepararsi per uscire con le persone con cui stavano: aveva visto Izzy truccarsi con più cura del solito, o mettere un vestito di un colore anzi che di un altro, perché sapeva che Simon avrebbe apprezzato di più; aveva visto Jace mettersi quella camicia blu notte perché sapeva che piaceva tanto a Clary. E, di conseguenza, si era insinuata nella sua mente la possibilità di fare lo stesso per Magnus, di comprarsi un maglione che gli piaceva per rendersi più piacevole ai suoi occhi. Così qualche giorno dopo era andato in quel negozio e l’aveva comprato. Non se l’era mai messo perché temeva che si sarebbe sentito un tantino ridicolo, ma adesso… adesso quel maglione aveva tutto un altro significato. Lo vedeva come un modo per fare una sorpresa a Magnus, per dirgli che ogni volta che parlava lo ascoltava e che teneva a quello che diceva, che gli faceva piacere farsi carino per lui perché il modo in cui lo guardava era la cosa più bella del mondo, che Magnus stesso era la cosa più bella del mondo. Non avrebbe più mancato nemmeno un’occasione per ricordarglielo, soprattutto dopo quello che gli aveva raccontato il giorno prima. Magnus non avrebbe più dovuto dubitare di quanto fosse meraviglioso, dentro e fuori. E anche se cominciare da un maglione poteva sembrare stupido, era pur sempre un inizio.
Un bussare deciso alla porta lo distrasse dai suoi pensieri e mentre afferrava il maglione e se lo infilava, Jace aprì.
Robert fece capolino nella camera dei suoi figli, già vestito e pronto per andare a lavorare. Il profumo deciso della sua colonia riempì la stanza, arrivando fino alle narici di Alec, che cominciarono a pizzicare. Nonostante tutto, comunque, era un odore familiare e Alec non lo trovava fastidioso.
“Buongiorno, ragazzi.”
“Buongiorno, papà.” Risposero in coro Jace e Alec, come se dovessero prepararsi ad un saluto militare.
“Sto uscendo e volevo salutarvi.”
Alec si focalizzò momentaneamente sulla routine di suo padre, su quanto fosse cambiata dall’incidente di Max. Prima di quell’orribile giorno, Robert cenava sempre con loro e non perdeva mai una colazione, sebbene non si prolungasse mai troppo – arrivare in ritardo al lavoro era fuori questione e lui era un uomo preciso in modo maniacale. Non era un uomo affettuoso, certo, ma almeno si sforzava di passare del tempo con la sua famiglia. Dopo l’evento funesto, invece, saltava ogni colazione e, come la sera precedente, a volte saltava la cena, rimanendo in ufficio a lavorare. Era cambiato, così come era cambiata sua madre, ma avevano avuto due modi completamente diversi di reagire all’intera situazione.
“Isabelle e Max sono già in cucina. Riuscite a crederci? Vostra sorella che scende puntuale?” Doveva essere un chiaro tentativo di fare conversazione, ma Alec – e sicuramente anche Jace – sapeva che c’era qualcosa sotto. Di norma, suo padre non si comportava in quel modo. I suoi saluti erano rapidi e sintetici, efficaci come la sua stessa persona. Per questo, dopo il saluto era strano che cercasse di fare conversazione.
“Un miracolo di Natale in anticipo?” cercò di scherzare Jace. Alec sorrise, mentre Robert serrò gli angoli della bocca.
“Nostro Signore ha miracoli più importanti da compiere, figliolo.”
Alec vide chiaramente il viso di Jace trasformarsi: il suo tentativo di alleggerire l’atmosfera piombò in un buco così come la sua allegria. La sua espressione si incupì e Alec sapeva che da lì a poco sarebbe arrivato il suo pungente sarcasmo, che ovviamente Robert non aveva mai trovato di proprio gradimento, quindi decise di intervenire.
“Devi dirci qualcosa, papà?”
L’uomo si aggiustò la cravatta – già sistemata perfettamente – per prendersi, evidentemente, il tempo necessario ad affrontare la questione. “Tua madre mi ha detto che hai parlato con Lydia, qualche giorno fa.”
Alec si trattenne dal chiudere gli occhi e sospirare. L’ossessione di suo padre per quella ragazza e il fatto che dovesse frequentarla stava diventando sfiancante.
“Sì, papà. Lydia mi ha chiesto di studiare insieme, qualche volta.”
“E tu che le hai risposto?” La sua voce tremò di impercettibile aspettativa e Alec fu quasi sopraffatto dalla volontà, un po’ sadica, di dirgli che aveva rifiutato. Ma sarebbe stato inutile, perché sarebbe venuto a sapere com’erano andate le cose. Magari proprio dal signor Branwell, con cui era tanto amico.
“Che mi andava bene.”
“Potremmo invitarla a cena, qualche volta. O tu potresti chiederle di uscire.”
Eccolo lì, il vero motivo di tutto questo teatrino. Non era un modo per passare qualche minuto con i suoi figli prima di andare a lavorare. No, assolutamente. Era un’occasione per cercare di controllare Alec, di trovare un modo per impostare la sua vita verso quella direzione che non poteva essere più distante dalla realtà. Anzi, per dirla tutta era totalmente opposta alla realtà, perché affinché il ridicolo piano di suo padre andasse in porto, Lydia avrebbe dovuto essere un maschio. E nemmeno in quel caso sarebbe andato a buon fine perché comunque non sarebbe stato Magnus.
“Questo è fuori questione, papà.” E davvero, il verso di scherno che uscì dalla sua gola dopo aver pronunciato quelle parole, fu puramente istintivo. Nessuna premeditazione. Gli uscì e basta. Alec, comunque, non se ne pentì.
Robert si accigliò. “Perché? Perché rifiuti tanto questa possibilità?”
“E perché tu insisti tanto?”
“Perché Lydia è una brava ragazza e-”
“E suo padre è tuo amico, la sua famiglia è importante nella comunità religiosa, proprio come noi, e credi che farmi uscire con lei potrebbe accrescere maggiormente la stima che hanno di te.”
Robert guardò il figlio sbigottito. Alec non si era mai rivolto a lui in un modo così schietto e sapeva di averlo scioccato. Ancora, comunque, non si pentiva di ciò aveva detto. Era stufo marcio di ingoiare rospi e obbedire ciecamente, senza opporsi mai. Era stufo di rinunciare alla sua felicità per qualcuno che lo voleva esattamente per come non sarebbe mai stato e lo faceva sentire sbagliato. Lui non era sbagliato.
“Ma non ti è mai venuto in mente che a me Lydia possa non piacere? O che io abbia già qualcun altro? Lo credi così impossibile??”
Alec stava perdendo il controllo, vomitava parole senza filtrarle e, anche se la cosa lo spaventava, era più forte la sensazione di libertà che riversare quelle parole come un fiume in piena gli dava.
Suo padre si riscosse dal momentaneo shock che la reazione del figlio gli aveva provocato. “Ce l’hai, Alec? Hai già qualcuno? È per questo che passi le giornate fuori di casa e torni appena prima di cena? E non studi più a casa?”
“Che puoi saperne, tu?” ringhiò Alec, sentendo un’improvvisa ondata rabbia accaldargli il viso. “Non ci sei mai a casa!”
“Tua madre l’ha notato.”
“Allora sa anche che passo le giornate fuori a studiare.” Non era proprio una bugia, lui e Magnus facevano anche quello, quando erano insieme. “E dal momento che i miei voti sono sempre alti, non vedo che motivo ci sia di rimproverarmi su dove studio. Non ti pare?”
Sentiva una tale forza, dentro di sé, che gli dava l’impressione che sarebbe anche riuscito a spaccare il mondo in due. Non temeva più niente, non la reazione di suo padre, non le conseguenze della verità. Niente. Era come se dopo anni passati a nascondere la testa sotto la sabbia, avesse finalmente trovato il coraggio e la forza di affrontare la luce del sole. E ciò che vedeva adesso era così intenso, così luminoso, che mai sarebbe tornato indietro, mai si sarebbe seppellito di nuovo.
“E per risponderti: sì, ho qualcuno. Qualcuno che amo e che mi ama, l-”
Jace lo interruppe prima che riuscisse a dire lui. “D’accordo, signori. Calmiamoci. La situazione si è scaldata, ma non deve necessariamente finire in una lite, giusto?” Le iridi bicromatiche di Jace andarono a scontrarsi con quelle irrequiete di Alec. Il biondo riusciva chiaramente a vederci lampi e saette e avrebbe davvero voluto lasciar finire la frase a suo fratello per vedere che faccia avrebbe fatto suo padre. Ma, sebbene Alec avesse trovato il coraggio di uscire dal suo guscio, lasciargli terminare quella frase sarebbe stato come gettarlo in pasto ad un leone. E Jace non l’avrebbe mai permesso. Avrebbero dovuto camminare sul suo cadavere, prima di riuscire a ferire Alec.
Il minore appoggiò una mano sul braccio del fratello e Alec, immediatamente, rilassò i muscoli e il respiro. Per una volta, nella loro vita, era stato Jace quello che aveva fatto appello alla parte razionale del suo cervello e aveva riportato Alec dentro ai cardini. Il maggiore annuì. Sapeva che doveva dare retta allo sguardo che abitava negli occhi di Jace, in quell’istante, e che gli stava dicendo che non era né il modo né il momento adatto per far venire fuori tutta la verità.
“Tuo fratello ha ragione.” Convenne Robert annuendo, sebbene la sua voce risuonò rauca e alterata. Alec sapeva che era ancora arrabbiato, ma stava rinchiudendo quell’emozione in un angolo remoto del suo essere. Suo padre era così: credeva che l’unico modo di gestire le emozioni fosse reprimerle. Quale essere umano sano fa un ragionamento del genere convinto che sia la soluzione giusta? Come faceva a non rendersi conto che era come una specie di bomba ad orologeria che sarebbe esplosa, un giorno?
Lo stesso Alec, che aveva passato anni a nascondere la sua omosessualità, aveva avuto l’impressione di rischiare di esplodere, se non l’avesse detto a qualcuno. Per questo aveva deciso di parlare con Izzy, all’inizio.
“Sì.” Concordò Alec, ma non aggiunse altro. Robert lo guardò per un attimo ancora, i suoi occhi neri – così simili a quelli di Isabelle, eppure così profondamente diversi – lo scrutarono come a volergli leggere l’anima. Alec sostenne quello sguardo senza timore alcuno, con quella fierezza che, fino a quel momento, era convinto appartenesse solo ad Isabelle e che l’aveva sempre fatta assomigliare ad una guerriera inarrestabile. E un po’ ci si sentiva anche lui – una specie di guerriero inarrestabile, dall’armatura ammaccata, ma non per questo facile da ferire.
“Ci vediamo stasera.” Disse solo Robert, con quella calma innaturale, come se non fosse successo niente, prima di uscire dalla stanza dei suoi figli.
Quando la porta si chiuse, Alec si lasciò andare ad un sospiro pesante e stremato.
“Ho sempre saputo fossi cazzuto, ma mi hai stupito.”
Alec rilassò le spalle e si lasciò andare ad una risata, che risuonò piuttosto liberatoria, doveva ammetterlo. “Grazie per essere intervenuto.”
“Sai, se ci fosse stato Magnus, sono sicuro gli sarebbe venuto duro.”
“JACE!” Alec arrossì violentemente e Jace scoppiò a ridere, portandosi una mano sull’addome per cercare – invano – di darsi un contegno.
“Comunque,” riprese Jace, asciugandosi una lacrima che era sfuggita da un occhio, “Non era il momento adatto. Se gliel’avessi detto mentre litigavate, l’avrebbe sicuramente presa male, pensando che esci con un ragazzo solo per fargli un dispetto.”
Alec era consapevole dell’intelligenza di suo fratello, ma si stupì comunque di quanto fosse saggio e astuto quel ragionamento.
“Ma siccome non è così, ti meriti di meglio. Meriti di parlarne in modo tranquillo e, soprattutto, a mente lucida. Non perché le stronzate che escono dalla bocca di quell’uomo mettono a dura prova la tua ferrea pazienza.”
Alec sospirò e un sorriso riconoscente andò ad aprirsi sul suo viso. “Grazie.”
Jace ricambiò quel sorriso e lo strinse in un abbraccio stritola costole. “Io le mantengo le promesse che faccio, Alec. Dovresti saperlo.”
Alec annuì e ricambiò l’abbraccio. “Lo so.”
Avevano giurato che si sarebbero coperti le spalle, sempre e comunque. Non importa in quale situazione si fossero cacciati, finché avevano l’un l’altro non avrebbero mai temuto niente perché si sarebbero sempre protetti.
«Non chiedermi di abbandonarti, o di fare ritorno senza di te, poiché ovunque tu andrai, verrò anch’io e ovunque ti fermerai il tuo popolo, sarà il mio popolo; il tuo Dio, sarà il mio Dio. Dove morirai tu, morirò io e ivi sarò sepolto. Sia questa la volontà dell’Angelo. E che ci punisca, se altra cosa che non sia la morte ci separerà.»
Avevano sentito quel giuramento in un film, da ragazzini, e avevano deciso di farlo proprio. Non avrebbero permesso a niente e nessuno di separarli. Ed entrambi sapevano che sarebbe stato così per tutta la loro vita: avevano preso tremendamente sul serio quella promessa e avevano tutta l’intenzione di rispettarla.

*

Quando insieme scesero per fare colazione, Alec sapeva cosa lo aspettava. O meglio, se lo immaginava. Non avrebbe mai immaginato, invece, di vedere sua madre ancora ai fornelli, con il grembiule da cuoca a coprirle il tailleur nero che indossava, mentre sorrideva.
Sua madre sorrideva davvero raramente. Aveva sempre quell’espressione severa, come se tendesse a rimproverare chiunque la circondasse, e dura, come se volesse far capire da principio chi è che comandava. Vederla sorridere così amorevolmente senza una ragione, quindi, lasciò perplessi sia Jace che Alec, i quali si lanciarono un’occhiata confusa e alzarono le spalle.
“Buongiorno.” Salutarono i ragazzi, sedendosi a tavola, al cui centro troneggiava una torre di pancake e una caraffa di caffè. Alec ne versò un po’ nella sua tazza vuota, mentre Jace si lanciava sulle frittelle, e rimase in attesa. Sospettava che il buonumore di sua madre sarebbe crollato non appena lo avesse visto, chiedendo spiegazioni su quello che era successo in camera loro e che, sicuramente, aveva sentito.
“Buongiorno,” li salutò la donna, il sorriso ancora non le lasciava le labbra. Il piccolo Max, seduto vicino ad Isabelle, stava raccontando come fosse riuscito ad arrampicarsi sulla corda, nell’ora di ginnastica del giorno prima, al secondo tentativo, mentre ai suoi compagni ce n’erano voluti molti di più.
“Non è bello vantarsi, Max.” lo rimbeccò bonariamente Maryse, sedendosi poi tra Isabelle e Alec. Il maggiore si mosse sulla sedia, improvvisamente a disagio. I suoi genitori erano strani, quella mattina. Insomma, sapeva gestire le assurdità di suo padre, c’era abituato ormai. Ma non era certo abituato a gestire sua madre in versione mamma super sorridente.
Mentalmente si preparò al peggio, evitando di aprire bocca per tutta la colazione, ascoltando gli aneddoti di Max e gli interventi di Isabelle e Jace, parlando solo quando direttamente interpellato. C’era qualcosa, in tutta quella situazione, che mandava al suo cervello un campanello d’allarme, che gli urlava alla ritirata. Per questo, quando ebbero finito di mangiare e Maryse mandò tutti al piano di sopra a prendere gli zaini, tranne Alec, il ragazzo si sentì in trappola.
“Dobbiamo parlare.” Disse Maryse, voltando il busto verso di lui. Alec la guardò per cercare di capire a cosa stava andando in contro, quale potesse essere il suo destino. Ma gli occhi neri di sua madre erano sempre stati imperscrutabili. Nessuno aveva il permesso di riuscire a leggere dentro l’anima di Maryse Lightwood, nemmeno i suoi figli.
“A proposito di cosa?” Ma sapeva benissimo quale sarebbe stato l’argomento di conversazione.
“Tuo padre.”
Odiava avere ragione, in determinate situazioni. Alec inspirò a fondo, prima di parlare. “So che non dovevo alzare la voce, ma la sua insistenza-”
“Tuo padre vuole solo che tu sia felice.”
Alec serrò le mascelle a quelle parole. “Allora perché anzi che cercare di controllare la mia vita, non mi lascia trovare la felicità da solo?”
Maryse fece vagare lo sguardo altrove per qualche istante, prima di chiudere gli occhi e sospirare – un sospiro pesante e distante, stanco. “È vero quello che gli hai detto? Hai già qualcuno?”
“Sì.”
Non c’era Jace, adesso, a farlo ragionare. Non c’era niente che gli impedisse di essere sincero, di dire tutta la verità. Se all’inizio, l’idea di tenere segreta la sua relazione lo tranquillizzava, adesso, tutta questa segretezza gli contorceva il cervello e gli dava l’impressione di essere saturo. Saturo di mentire, saturo di nascondersi, saturo di temere di non essere accettato dai suoi genitori.
“Ti rende felice?”
“Sì.”
Avrebbe voluto domandarle perché, improvvisamente, sia lei che suo padre fossero così ossessionati dalla sua felicità. Non era importato un granché a nessuno dei due, quando passava le sue giornate rintanato nello studio, convinto che fosse destinato a nascondersi per sempre. Quando era davvero infelice, non avevano mosso un dito per sentire come stesse. Adesso, invece, che aveva finalmente trovato una pace interiore che aveva agognato per anni, sembrava che non andasse bene, che anche la sua felicità dovesse essere decisa da loro.
“Bene. Suppongo me ne parlerai quando vorrai farlo. È una cosa che hai preso da me, questa.” Lo disse quasi come se rivedere un po’ di sé nel figlio la rendesse orgogliosa. “Siamo molto restii a parlare dei nostri sentimenti.”
Alec, nonostante tutto, si trovò a concordare con lei. Sapeva che aveva ragione, quindi sarebbe stato inutile negare. Perciò annuì soltanto.
“Vorrei dirti che è una cosa tipica dei Lightwood, ma i tuoi fratelli dimostrano il contrario.” Maryse accennò un sorriso intenerito, nominando i figli, e strinse la mano di Alec, che ci impiegò qualche istante a reagire a quel gesto. Era davvero colpito dal comportamento di sua madre. Avrebbe voluto chiederle se andava tutto bene, o se c’era qualcosa che la preoccupava, perché lo sguardo che gli riservò, sebbene indecifrabile, nascondeva qualcosa. Alec lo sapeva e avrebbe davvero voluto chiederle cosa la turbasse, ma sapeva benissimo che, proprio come aveva finito di dire Maryse, lei era parecchio restia a parlare dei suoi sentimenti. E comunque, anche se Alec avesse parlato, Max gli avrebbe interrotti. Il suo fratellino, infatti, piombò in cucina come un urgano. I capelli neri che svolazzavano per la corsa, mentre Isabelle e Jace lo rimproveravano di smetterla di barare.
“Ho fatto prima io!” esclamò trionfante il piccolo, girandosi verso i fratelli. “Siete due lumache.”
“Non sei partito al tre!” ribatté Jace.
“Ti da solo fastidio che io abbia vinto!” affermò Max, sicuro di sé, come se avesse capito profondamente la psiche del fratello.
Jace e Izzy si lanciarono un’occhiata complice e divertita, prima di posare di nuovo i loro sguardi su Max. I due sorrisero come se fossero due squali e si lanciarono sul fratellino, torturandolo a suon di solletico. Max cominciò a ridere a divincolarsi. “Basta! Basta!” esclamò, ma i suoi fratelli non avevano alcuna intenzione di lasciarlo andare, così il piccolo sgusciò abilmente via dalla loro presa e si diresse verso Alec, che era ancora seduto al tavolo con Maryse e si era concentrato a guardare i suoi fratelli.
“Prendimi Alec, prendimi!” gridò il piccolo e Alec lo agguantò, tirandoselo sulle ginocchia. Max gli circondò il collo con un braccio, mentre si voltava a guardare i fratelli.
“Alec è la mia fortezza. Non potete prendermi, se c’è Alec che mi protegge!” E fece loro una linguaccia per dare enfasi alle sue parole.
Jace e Isabelle scoppiarono a ridere, seguiti subito dopo da Alec.
“Ho vinto di nuovo!” esclamò trionfante Max, abbracciando poi Alec con tale entusiasmo che per poco non lo fece cadere dalla sedia. Il maggiore si mantenne in equilibrio e ricambiò l’abbraccio del fratellino.
“Che vuoi farci, Max. Sei imbattibile!” disse affettuoso, mentre Max annuiva concorde.
“Forza voi quattro,” si inserì Maryse, ma il suo tono non suonò esattamente severo come avrebbe voluto. Non aveva molte debolezze, ma una di queste era sicuramente guardare i suoi figli che giocavano insieme, dunque interromperli non le piaceva. “Dovete andare a scuola. O arriverete in ritardo.”
“Non si arriva in ritardo a scuola!” concordò Max e Maryse sorrise. Osservò ancora un momento i suoi figli che abbandonavano la cucina, zaino in spalla, diretti verso l’uscita di casa. Vide Jace passare lo zaino ad Alec e vide questo caricarselo sulla schiena, prima di raddrizzare quello di Max, che verteva troppo verso destra. E in quel momento, con il cuore che le si stringeva, pensò che sì, finché c’era Alec a proteggerlo, niente poteva prendere il piccolo Max.


*

“Mi vuoi dire che è successo?” domandò Isabelle, una volta scesi dall’autobus, rimasta sola con i suoi fratelli più grandi. Alec incassò la testa nelle spalle, affondando il viso nel suo giubbotto. Erano successe un mucchio di cose solo quella mattina: suo padre che lo tormentava, sua madre che cercava un contatto.
“Ho quasi fatto coming-out rabbioso davanti a papà.”
Isabelle, di norma sempre in equilibrio perfetto sui suoi vertiginosi tacchi, per un pelo non inciampò. Dovette reggersi a Jace al suo fianco per rimanere perfettamente salda sui piedi.
“Che cosa???” domandò, sgranando gli occhi accuratamente truccati di nero. Stesse iridi, emozioni totalmente diverse – ragionò Alec. Robert aveva gli occhi neri di Isabelle, sebbene aveva sempre pensato che la scintilla fiera che albergava dentro gli occhi di sua sorella fosse la stessa che caratterizzava quelli di Maryse, ma il modo che avevano di guardarlo non potevano che essere più diversi. Letteralmente opposti.
“Papà ha ritirato fuori la storia di Lydia e io sono quasi esploso.”
“Gli ha quasi detto di Magnus.” Confermò Jace, tenendo a braccetto la sorella per non rischiare di vederla cadere sul marciapiede. Isabelle parve riacquistare l’equilibrio, ma mantenne il contatto con suo fratello.
“E quindi stavi per gridarglielo in faccia?”
Alec annuì. “Jace mi ha bloccato in tempo.”
Isabelle rifletté su tutta quella situazione, in silenzio, qualche istante prima di annuire. “Ha fatto bene. Urlarglielo contro in un momento in cui voleva sistemarti con la figlia di un suo amico gli avrebbe solo dato l’impressione che lo facevi per dispetto.”
Jace annuì concorde. “Gli ho detto la stessa cosa.”
“Identica.” Confermò Alec.
“Che vuoi farci, Alec,” scrollò le spalle Izzy, “Hai due fratelli estremamente saggi.” La ragazza afferrò anche il suo braccio, tenendo entrambi a braccetto. I due la lasciarono fare, senza opporsi a quel contatto.
“Chi l’avrebbe mai detto!”
Isabelle gli lanciò un’occhiata truce e stava per rispondergli con un commento pungente, quando una voce alle loro spalle attirò la loro attenzione.
“Alec!” sentirono chiamare, voltandosi tutti e tre. Trovarono una Lydia che li guardava leggermente imbarazzata, le sue guance si colorarono di un leggero rosa quando tre paia di occhi si fissarono su di lei. La bionda fece scorrere velocemente lo sguardo su Jace e Izzy, prima di fissare i suoi occhi azzurri in quelli di Alec.
“Ciao!” la salutò lui, educato.
“Ciao.” La ragazza accennò un sorriso. “Volevo… volevo chiederti se oggi hai da fare, perché altrimenti potremmo studiare insieme.”
Alec fu enormemente tentato di rifiutare, ma si rese conto che l’unica cosa che lo spingeva ad un gesto del genere era ancora l’astio che provava nei confronti di suo padre per la discussione avuta quella mattina. Lydia direttamente non gli aveva fatto niente, di conseguenza, non avrebbe avuto senso tenerla a distanza, o essere scortese con lei, solo perché era ancora arrabbiato con suo padre.
“Credo che vada bene, ma posso darti conferma più tardi?”
Lydia annuì. “Certo. Allora… a più tardi.” Alzò la mano in segno di saluto, coinvolgendo in questo modo anche Jace e Izzy, che ricambiarono.
Isabelle osservò la chioma bionda di Lydia allontanarsi quel tanto affinché non fosse più a portata di orecchio, prima di parlare. “Ho un brutto presentimento.”
Alec alzò gli occhi al cielo. “Izzy…”
“Non usare quel tono, Alec. Tu sei talmente tonto che non ti sei reso conto di come ti guarda, ma io no.”
Il ragazzo aggrottò le sopracciglia, risentito. “Io non sono tonto!”
“Lo sei, fratello.” Confermò Jace. “La tua ingenuità ti porta a non notare certe cose.”
Alec sbuffò sonoramente. “Vi siete immaginati tutto.”
“Ti dico di no, invece. E non mi piace.” Isabelle era entrata in modalità protettiva. “Papà vuole costringerti ad uscire con lei e improvvisamente lei insiste tanto per vedervi e studiare.”
“Quindi pensi che nostro padre e il suo si siano messi d’accordo per convincerla ad adescarmi?”
Isabelle decise di ignorare il sarcasmo che grondava da ogni parola pronunciata dal fratello. “Più o meno, sì.”
“Questa è una follia, Iz! Solo qualche settimana fa hai detto che non è strano che Lydia mi chieda di studiare!”
Isabelle sostenne il suo sguardo, rimanendo fedele alla sua idea. Alec glielo leggeva in faccia, negli occhi che avevano cominciato ad indurirsi, chiaro segno che qualcosa la preoccupava e che si stava preparando a reagire.
“No che non è una follia. E posso aver cambiato idea!” Isabelle si voltò verso Jace. “Aiutami.”
Il biondo, seppur restio a prendere le parti di uno dei due, annuì. “Non puoi non notarlo, Alec. È una cosa sospetta. E non conosciamo Lydia così bene da escluderlo.”
“Ok, diciamo che voi due non siate impazziti e che abbiate ragione. Dove siamo, in un romanzo ottocentesco? Devo organizzarmi con suo padre per la dote di Lydia, o magari scambiarla per un po’ di bestiame?”
Isabelle sbuffò sonoramente e fece roteare gli occhi al cielo con convinzione. “Stai esagerando, adesso.”
“Senti chi parla.”
“Alec, ascolta,” cominciò Jace, “Forse esageriamo, forse no. Ma perché non andarci cauti?”
“Mi stai suggerendo di non fidarmi apertamente di lei?”
“Esatto!” concordò Jace.
“Certo, perché altrimenti le avrei raccontato ogni dettaglio della mia vita, vero? È rinomato che tra i Lightwood io sia quello più espansivo.” Alec li fissò con un’espressione sarcastica molto più eloquente delle sue parole, che già erano state assai esplicative.
“Ci dispiace.” dissero poi insieme Iz e Jace. “Solo che non vogliamo che nessuno ti forzi a fare niente.” Aggiunse il biondo.
“Vogliamo proteggerti, Alec.” concluse Izzy.
Alec, nonostante l’assurdità della situazione e della conversazione, si trovò a sorridere, abbandonando il suo cipiglio. “Siete strani.”
“Ma ci adori.” Affermò Isabelle, sbattendo teatralmente le lunghe ciglia.
Alec non rispose, ma sapevano tutti che era vero.


Quando arrivarono davanti a scuola, Clary, Simon e Magnus erano già arrivati ed erano intenti in una conversazione fitta, che a quanto pare stava annoiando Magnus a morte. Alec se ne accorse dal modo in cui annuiva assente – nella maniera tipica che aveva quando non voleva risultare offensivo e voleva impegnarsi a nascondere il suo disinteresse. La sua testa annuiva, ma la sua mente era altrove. Alec si chiese a cosa stesse pensando veramente. Sentiva i suoi fratelli parlare di qualcosa, ma anche lui si era estraniato dalla conversazione, concentrandosi su Magnus e sul modo in cui i suoi skinny jeans fossero particolarmente skinny e aderissero alle sue gambe in una maniera peccaminosa.
“Dio, Alec. E papà crede davvero di poterti sistemare con una ragazza!” borbottò Jace, facendo ridacchiare Isabelle e voltare Alec verso di lui.
“Come, scusa?”
“Sei discreto come un elefante in una cristalleria.”
“Già.” Sorrise maliziosa Isabelle. “Sembra tu ti stia chiedendo quanto sarebbe osceno strappargli quei pantaloni in pubblico.”
“Parecchio osceno.” Confermò Jace. “Ma approvo in pieno.”
“Siete due pervertiti!” sussurrò Alec, le guance che diventarono paonazze.
“Sei tu che hai cominciato a spogliare il tuo ragazzo con gli occhi.” Affermò Jace.
“Esatto. Prenditi le tue responsabilità di pervertito e taci.” Concluse Isabelle, facendo esplodere Jace in una risata che portò Clary, Simon e Magnus a voltarsi verso di loro e a raggiungerli.
“Che succede?” domandò Simon, baciando Iz sulla guancia a mo’ di saluto.
“Niente.” rispose lei, lanciando un’occhiata sorniona al maggiore dei suoi fratelli. “Perché non lo chiedi ad Alec?”
L’interessato arrossì violentemente. “Perché non ti fai gli affaracci tuoi, una buona volta?”
Jace e Isabelle si guardarono per qualche istante, prima di scoppiare a ridere insieme. Alec alzò le braccia e gli occhi al cielo, esausto. “Portateveli via, vi prego.” si rivolse a Clary e Simon, i quali furono più che felici di assecondare quella richiesta – che suonava più come una supplica esasperata.
“Non ti libererai così facilmente di noi!” esclamò Jace, ma aveva già un braccio intorno alle spalle di Clary, mentre lei gli circondava la vita, e si stava incamminando all’entrata.
“Ci vediamo a pranzo, fratellone!” Izzy gli lanciò un bacio volante e afferrò Simon per mano, seguendo la direzione presa da Jace e Clary.
“Mi vuoi spiegare?” domandò Magnus, una volta rimasti soli. Alec seguì con lo sguardo i suoi fratelli mentre si allontanavano e diventavano sempre più piccoli, fino a che non entrarono effettivamente a scuola e sparirono dal suo campo visivo.
“Si divertono a torturarmi. Sai che novità.” Ma nonostante tutto, un sorriso gli alzò un angolo della bocca, creando un netto contrasto con il suo tono burbero.
Magnus sorrise, resistendo all’impulso di accarezzarlo. “Non è il bello di avere dei fratelli? Ti sostengono tanto quanto si divertono a torturati?”
Alec rise. “Suppongo di sì.”
I due rimasero a guardarsi per un attimo più lungo del dovuto. Non potevano fare come Isabelle e Simon o come Clary e Jace, che si scambiavano segni d’affetto inequivocabili davanti a tutti. Loro dovevano evitare di toccarsi e non potevano ne baciarsi ne tenersi per mano. Alec cominciava davvero ad essere stanco di aver imposto quella regola: sapeva che Magnus continuava a rispettarla solo per lui, per rispettare i suoi tempi e per evitare che si sentisse forzato a fare coming-out, ma Alec iniziava a pensare che fosse una cosa ingiusta. Avrebbe voluto prenderlo per mano con la stessa facilità con cui Isabelle aveva preso quella di Simon, o avrebbe voluto baciarlo come faceva ogni coppia presente in quel liceo. Non poterlo sentire vicino a scuola stava diventando frustrante.
“Cosa vedono i miei occhi.” Ruppe il silenzio Magnus, distraendo Alec dai suoi pensieri. Notò che gli occhi di Magnus erano fissi sul collo alto del suo maglione. Arrossì.
“Te lo ricordi?”
Magnus annuì. “Certo che mi ricordo. Hai deciso di attentare ai miei ormoni, stamani?”
Alec rise di nuovo. Gli veniva facile farlo quando stava con Magnus. “Devo dedurre che ti piace, quindi?”
“Suppongo di sì, zuccherino. Ma lo appurerò meglio quando deciderai di toglierti il giubbotto.”
“Cercherò di accontentarti il prima possibile, allora.” Alec si incamminò verso l’entrata della scuola, una mano già sulla cerniera del giubbotto. Si voltò verso Magnus, quando si rese conto che non lo stava seguendo ed era rimasto fermo sul posto. “Devo spogliarmi qui fuori o vieni con me?”
Magnus non riuscì a trattenere un sorriso malizioso. “Oh, tesoro. Che equivocabile scelta di parole.”
“Adori quando uso parole equivocabili. Smettila di lamentarti.”
“Non mi stavo lamentando! È comunque un quesito duro da risolvere, il tuo.”
“Dici?” domandò Alec, fingendo innocenza, ma sapendo perfettamente dove sarebbe andato a finire il discorso.
Magnus annuì. “Molto, molto duro.”
“Capisco. Vorrei davvero poter fare qualcosa, in merito.” Alec lo guardò per qualche istante, senza dire altro. Non seppero esattamente cosa li fece scattare, ma lo fecero. Si diressero entrambi verso l’entrata della scuola, cercando di mantenere un’andatura tranquilla, mentre i loro cuori battevano come se fossero impazziti e i loro stomaci, improvvisamente arrotolati su loro stessi, cominciarono a sfarfallare come se una miriade di farfalle si fosse trasferita al loro interno.
Entrarono a scuola, trovando il corridoio semi deserto. Uno dei vantaggi di arrivare prima era che c’erano davvero pochi studenti. Si scambiarono solo uno sguardo, senza proferire parola alcuna, e si diressero verso il bagno dei maschi più vicino.
Una volta dentro, Alec ebbe appena il tempo di percepire un fastidioso odore di disinfettante che gli bruciava le narici, prima che Magnus lo trascinasse dentro ad uno dei bagni. Non che si stava lamentando, erano andati lì per quello. Non si lamentò nemmeno quando Magnus si appropriò voracemente delle sue labbra, infilandogli la lingua in bocca quasi con prepotenza. Lo capiva in pieno, comunque. Fremevano entrambi per avere un contatto e, si sa, l’attesa aumento il desiderio – o qualunque sia il detto. Alec non aveva tempo per pensarci, adesso. Non gli interessavano i detti, gli interessava Magnus e la sua bocca e tutto il suo corpo che premeva contro il proprio. Senza pensarci troppo, gli tolse gli strati di vestiti che gli impedivano di avere un contatto profondo. Con ancora le labbra incollate a quelle di Magnus, gli tolse malamente la borsa a tracolla e il cappotto – che sicuramente doveva costare quanto un rene, ma non gli importava – poi si liberò dei propri strati, lanciando per terra zaino e giubbotto. Magnus si staccò da lui per riprendere fiato e Alec si lamentò con un verso vergognoso per la lontananza. Il maggiore sorrise per quella reazione e osservò Alec in tutto il suo splendore: i capelli incasinati, gli occhi lucidi e le labbra rosse e gonfie. Era uno spettacolo già di per sé. Il maglione che indossava, poi, lo rendeva ancora più bello. Dio, come adorava avere ragione.
“Vuoi fissarmi e basta?” Alec annullò nuovamente la distanza tra di loro e lo baciò con intensità, giocando con le sue labbra, mordendole e passandoci sopra la lingua, prima di infilargliela in bocca. Magnus reagì con un gemito e, allacciando le braccia alla nuca di Alec, gli saltò letteralmente addosso. Alec, grazie ai suoi buoni riflessi, reagì immediatamente afferrando Magnus per le cosce e tenendo in equilibrio entrambi, prima di appoggiarlo alla parete del bagno, che tremò.
“Credi che se lo distruggiamo ci faranno pagare i danni?”
“Sta’ zitto.” Rise Alec, mentre la sua bocca scendeva sulla gola di Magnus, succhiando accuratamente un lembo di pelle. Magnus gli infilò le mani nei capelli e incurvò il collo per dare al suo ragazzo maggior spazio di azione. Alec era decisamente migliorato, si trovò a pensare, in un momento di lucidità. Era più sicuro e i suoi movimenti avevano abbandonato quasi del tutto la timidezza, affidandosi all’istinto e all’esperienza che cominciava ad acquisire senza freno alcuno. Lasciò che la bocca di Alec continuasse ad esplorare la pelle del suo collo, bersagliandola di baci e piccoli succhiotti che non avrebbero lasciato segni troppo evidenti. Erano attenzioni piacevoli. Forse anche troppo piacevoli e Alec se ne accorse perché si staccò da lui per guardarlo con un sorriso consapevole e abbastanza soddisfatto. “C’è un problema che va risolto, signor Bane.”
Magnus cercò di non concentrarsi troppo sul fatto che Alec, mentre teneva gli occhi fissi sul cavallo dei suoi pantaloni, si fosse leccato le labbra. Invano. Quel gesto gli bastò per mandare a fuoco i suoi già eccitati ormoni.
“E pensa di risolverlo in qualche modo, signor Lightwood?”
“Potrei risolverlo,” cominciò Alec, armeggiando con la cintura dei pantaloni di Magnus. Non gli piacevano le sue cinture, erano sempre in mezzo quando dovevano fare qualcosa e non riusciva mai a slacciare quella dannata fibbia al primo tentativo. Quella mattina, comunque, fu fortunato perché ci riuscì subito. E con la stessa facilità passò a sbottonargli i pantaloni. Quei jeans erano molto, molto, skinny, ma Alec riuscì ad abbassarli insieme ai boxer in un colpo solo. “Potrei davvero farlo,” continuò, mentre iniziava ad accarezzare Magnus delicatamente, prima sulla punta con il pollice e poi con la mano, percorrendo molto lentamente tutta la lunghezza di Magnus, che trattenne rumorosamente il respiro.
“Allora fallo.” Sussurrò Magnus, la sua voce uscì roca e spezzata. Alec continuò la sua dolce tortura, moderando i movimenti della mano, che rimasero di una lentezza costante.
“Non ho sentito, Mags.” Si avvicinò al suo viso, respirando il suo profumo. Alec lo adorava e voleva che gli riempisse le narici. Voleva che fosse Magnus l’unica cosa che lo riempisse. Le proprie narici piene del suo profumo e le proprie mani piene della sua virilità.
“Fallo!” ringhiò Magnus. “Smettila di giocare.”
Alec sorrise soddisfatto e lo baciò, appropriandosi di quel ringhio gutturale che era nato nella gola di Magnus.
“Come desideri.” Acconsentì e automaticamente, i suoi movimenti divennero più veloci e più decisi. Non aveva timore di sbagliare perché sentiva, dal modo in cui Magnus aveva cominciato ad ansimare, che non c’era niente di sbagliato in quello che stavano facendo. O nel modo che aveva lui di farlo.
“E se…” iniziò Magnus, dopo parecchi istanti passati in silenzio, la voce che sussultava per via del respiro accelerato. “Adesso entrasse qualcuno e ci scoprisse?”
“Non ci credo che la cosa non ti farebbe piacere.”
Magnus rise, un suono roco che fece rabbrividire ogni centimetro del corpo di Alec. “Mi conosci così bene.”
“Lo so.” Alec lo baciò di nuovo, mentre continuava a toccarlo. Era diventato bravo. Dio se lo era diventato. Non lo faceva più solo per Magnus, lo faceva anche per se stesso. Aveva cominciato a divertirsi, a giocare come se il gioco dovesse dare piacere ad entrambi, e Magnus davvero non poteva che esserne più felice.
“Alexan-” cominciò, perché per quanto fosse divertente, sentiva di star raggiungendo il limite, ma Alec gli tappò la bocca con un altro bacio, lungo e appassionato, continuando a muoversi ancora per un po’, fino a quando gli umori di Magnus finirono sulla sua mano.
Magnus aveva il fiatone e il suo cuore non voleva saperne di calmarsi. Batteva come un tamburo impazzito, come se avesse voluto correre in libertà e urlare al mondo quanto fosse innamorato.
“Ho creato un mostro.” Sussurrò, le parole che saltavano per il respiro accelerato. Alec, con la fronte appoggiata alla sua, rise di cuore.
“Devi decisamente smetterla di lamentarti.”
“Ancora: non mi stavo lamentando.” Magnus gli baciò la punta del naso e Alec sorrise.
“Ti amo.” Gli disse, come se fosse un segreto che solo loro avevano il privilegio di condividere.
Il cuore di Magnus, già agitato, galoppò ancora e il ragazzo pensò sul serio di rischiare un infarto. “Ti amo anche io, passerotto.”
Alec gli lasciò un bacio casto sulle labbra, prima di allontanarsi e prendere un pacchetto di fazzoletti dalla tasca esterna del suo zaino, malamente abbandonato sul pavimento. Li usò per pulire se stesso e poi li passò a Magnus affinché facesse lo stesso.
“E a te non ci pensiamo?” propose Magnus e Alec gli regalò un bellissimo sorriso astuto.
“Perché, vuoi farti perdonare?”
Magnus rise tirando indietro la testa, rischiando di dare una testata contro la parete alle sue spalle, alla quale era ancora appoggiato. “Non te lo sei scordato.”
“Speravi di sì?”
“Non farmi domande stupide, muffin. Se anche tu l’avessi fatto, sarei stato estremamente felice di ricordartelo!”
Alec rise di nuovo e davvero, se quella giornata non era iniziata in un bel modo, grazie a Magnus era decisamente migliorata. “A proposito, perché Cenerentola?”
L’orientale scosse la testa, divertito. “Te lo racconto a pranzo.” Si sistemò i pantaloni, riportandoseli completamente sulla vita e abbottonandoli con un movimento esperto, che Alec ritenne particolarmente ipnotico e soddisfacente da guardare.
Rimasero chiusi in quel bagno per un po’, fino a che non si ricomposero e furono pronti per affrontare la mattinata scolastica che li attendeva. Quando i loro respiri si regolarizzarono ed entrambi furono di nuovo presentabili, uscirono dal bagno uno alla volta.

*

Alec uscì dalla sua aula appena la campanella suonò, segnando la fine dell’ora. Si sentiva come se fosse ubriaco: il suo cuore aveva cominciato ad agitarsi al pensiero che avrebbe rivisto Magnus – ed era ridicolo che sentisse la sua mancanza, dal momento che si erano visti solo poche ore prima – e il suo stomaco fece una capriola. Due, quando, una volta uscito dall’aula, si rese conto che Magnus lo stava già aspettando fuori dalla sua classe. Non riuscì a trattenere un sorriso a trentadue denti, che Magnus ricambiò. Era bellissimo, si trovò a pensare Alec, mentre osservava il viso truccato del suo ragazzo. Aveva delle sfumature di rosso diverse sulle palpebre – smokey eyes, così gli aveva detto che si chiamava quella tecnica – che riprendevano il colore della cresta, la stessa in cui Alec aveva passato le mani poche ore prima, causandone una pendenza verso destra. Comunque, non rimpiangeva nulla. Nemmeno aver rovinato l’altrimenti perfetta capigliatura di Magnus.
“Non puoi guardarmi così, Lightwood. Ho un ragazzo. Sono sicuro che non approverebbe.”
Alec scosse la testa, sorridendo, mentre i suoi occhi andavano ad incatenarsi a quelli di Magnus. “Peccato, avrei sicuramente trovato una scusa per parlarti.”
“Ma davvero? Quale, ad esempio?”
Alec arricciò le labbra, facendosi pensoso. “Avrei potuto chiederti l’ora, o di consigliarmi quale corso fosse migliore: chimica o biologia? – Ma la verità è che la tua bellezza mi avrebbe distratto troppo e avrei dimenticato qualsiasi scusa avessi potuto preparare.”
Magnus gli regalò un sorriso soffice. “Oh, se solo non avessi già un ragazzo di cui sono innamorato, sappi che sarei caduto ai tuoi piedi.”
Alec scoppiò in una risata che lo portò a tirare indietro la testa, esponendo le curve del suo collo, su cui Magnus indugiò. “Inizio ad essere invidioso di questo ragazzo.”
“Fai bene, sai?”
Alec rise ancora, e allungò una mano per pizzicargli un fianco, ma si fermò a mezz’aria, realizzando che sarebbe stato un gesto troppo intimo e inequivocabile. Quella costatazione ruppe la magia di quello scherzo e fece sì che il viso di Alec venne attraversato da una smorfia di cupa tristezza.
“Tesoro?” lo chiamò Magnus, “Va tutto bene?”
“S-sì, io… Odio non poterti toccare, quando siamo tra queste mura.” Confessò a mezza voce. E sapeva che era egoista da parte sua esternare un tale pensiero, dal momento che era stato lui a chiedergli di non essere espliciti e che non aveva ripreso mai il discorso, non ponendo dei cambiamenti. Sebbene Alec fosse cambiato, quella richiesta era rimasta ancora la stessa. L’unica cosa rimasta invariata nel loro rapporto, che invece si era evoluto fino ad uscire dal bozzolo per diventare una bellissima farfalla.
Magnus mise su un’espressione riflessiva. “Beh, zuccherino, detesto doverti contraddire, ma mi sembra di ricordare che tu mi abbia toccato solo qualche ora fa, proprio dentro queste quattro mura.”
Gli angoli della bocca di Alec si alzarono automaticamente. “Non era questo che intendevo.” Ma la sua tristezza cominciava ad evaporare.
“Lo so, tesoro. Era per farti capire che a me non pesa. Vorrei sbattere in faccia a tutti che stiamo insieme? Certo che vorrei. Voglio dire, ti sei visto? Scatenerei più invidia di quanta la mia meravigliosa persona non scateni già, ma tu sei più importante di qualsiasi cosa. Di conseguenza non mi interessa che gli altri lo sappiano. Basta che lo sappiamo io e te. E quando poi vorrai coinvolgere altri, fuori da noi due, io sarò al tuo fianco.”
Alec avrebbe davvero voluto baciarlo. Non aveva parole per descrivere quanto lo amasse, perché qualsiasi parola sarebbe stata riduttiva. “Stamani ho quasi detto a mio padre di te.”
Magnus sgranò gli occhi. “Davvero?”
“Sì. Lui ha… ha cominciato a parlare di Lydia, ancora, dicendo che dovrei invitarla ad uscire e sono quasi esploso. Se non ci fosse stato Jace a fermarmi gli avrei detto che sono innamorato di te.”
Magnus metabolizzò quelle informazioni. “E… l’avresti fatto, senza pentimenti?”
Alec corrugò la fronte. “Perché avrei dovuto pentirmi? Io ti amo, Magnus. E ho intenzione di dirglielo. Forse aveva ragione Jace, farlo stamani, da arrabbiato, gli avrebbe fatto pensare che lo dicevo solo per fargli un dispetto – sai che mio padre non è particolarmente aperto mentalmente – ma ho intenzione di farlo.”
Magnus annuì, i suoi occhi si fecero lucidi. Si sentiva stupido, ma sentire Alec parlare in quel modo lo aveva emozionato. Era un’altra conferma del loro amore, di ciò che erano disposti a fare l’uno per l’altro. Ed era una cosa bellissima. “Tuo fratello ha ragione, comunque. Devi farlo con calma, prendendoti il tuo tempo.”
“Sì, credo di sì.”
Magnus gli sorrise. “Questa Lydia sa che tuo padre cerca di farvi sposare?”
“No, non credo. Stamani, fuori da scuola, mi ha chiesto se potevamo studiare insieme oggi pomeriggio e Izzy è entrata in modalità protettiva. Crede che anche lei c’entri qualcosa in tutta questa assurda storia, ma non credo.”
“E tu che lei hai detto?”
“Che le avrei fatto risapere. Volevo sentire te, prima. Cosa ne pensavi o se volevi fare qualcosa insieme, oggi.”
“Dille di sì,” cominciò, “In questo modo fai felice tuo padre, che per un po’ ti lascerà in pace con questa storia, e al tempo stesso capirai quali sono le intenzioni di Lydia. Sappiamo entrambi che Isabelle in modalità protettiva tende ad esserlo troppo e sfocia nell’ossessivo.”
Alec rise di nuovo. “Pensi che impazzirebbe?”
“Se non ha già trovato il modo per leggere nella mente di Lydia, penso che sì, potrebbe impazzire provandoci.”
“Non posso darti torto. Mia sorella è tremendamente testarda.”
Magnus alzò un sopracciglio perfettamente curato. “Chissà da chi avrà mai preso.”
Alec gli fece una linguaccia – perché era una persona matura ed era così che si reagiva – e insieme si incamminarono verso la mensa.

*

Dopo aver parlato con Magnus, Alec mandò un messaggio a Lydia informandola che quel pomeriggio avrebbero potuto studiare insieme, se a lei ancora andava bene. Isabelle si era fortemente opposta a quella decisione reputandola sciocca e avventata (Magnus intervieni! aveva detto e si era sentita particolarmente tradita quando Magnus si era mostrato complice di Alec) e aveva tenuto il broncio quando Alec non le aveva dato ascolto. La capiva. Capiva le sue preoccupazioni e tutto il resto, ma era fortemente determinato a dimostrarle che tutta quella faccenda stava sfociando nel ridicolo. Il fatto che suo padre pensasse di vivere dentro ad un romanzo di Emily Bronte, non significava che tutto il mondo fosse rimasto bloccato nel 1800. Lui e Lydia avevano sempre studiato insieme e lei non era mai stata inopportuna, di conseguenza Alec era fermamente convinto che fosse all’oscuro di tutta l’intera faccenda. Alec pensò a come dovessero sentirsi i figli dei sovrani quando venivano costretti a sposare completi sconosciuti per rafforzare alleanze politiche come se altro non fossero che merce di scambio. Lui stesso si sentiva così, quando suo padre tentava di convincerlo ad uscire con Lydia. Amaramente pensò che con ogni probabilità non era la felicità del figlio a cui Robert agognava, quanto piuttosto al fatto che se davvero il primogenito dei Lightwood e l’unica figlia femmina dei Branwell fossero usciti insieme, agli occhi di tutti quei bigotti avrebbero formato la coppia perfetta, che avrebbe portato ulteriori lodi a suo padre. Già immaginava Robert scegliere i centrotavola per il loro futuro matrimonio e parlare con padre Aldertree per decidere tutti i dettagli della cerimonia. Il solo pensiero lo fece rabbrividire visibilmente.
“Stai bene?” gli domandò Lydia, al suo fianco. Si trovavano a casa Branwell, nella camera della ragazza. I suoi genitori erano al lavoro e, nonostante Alec avesse proposto di studiare in biblioteca, Lydia aveva insistito affinché studiassero a casa sua.
“Davvero non lo trovi sospetto, Alec? I suoi genitori non sono in casa e lei insiste tanto per studiare con te da lei. Dimmi, sei davvero così stupido da non arrivare a dedurre l’ovvio?”
Uno dei difetti di Isabelle era che diventava particolarmente acida quando qualcosa che reputava incredibilmente stupido veniva fatto comunque, nonostante lei si fosse opposta.
Come quella volta in cui lui e Jace avevano avuto la brillante idea di provare a fare un giro completo sull’altalena per riuscire ad arrotolare le catene all’asta orizzontale dell’intera struttura. Isabelle l’aveva definito un suicidio, ma loro non l’avevano ascoltata e Alec aveva spinto Jace con tanta forza, convinto che in quel modo sarebbe riuscito facilmente a fargli fare un giro di trecentosessanta gradi. Jace, invece, schizzò in avanti e finì con la faccia sui sassi, graffiandosi la guancia. Isabelle aveva dato di matto ed era stata acida, colpendoli a suon di ve l’avevo detto, fino a quando non si erano scusati e non avevano ammesso che aveva ragione.
Alec scacciò quei pensieri e si concentrò su Lydia. “Sì, va tutto bene.”
“Hai freddo?”
“No, tranquilla. Sto bene.” Le sorrise e lei ricambiò. Era carina, non era certo cieco, e se suo padre non fosse stato così insistente e Alec fosse stato etero, forse un pensierino ce l’avrebbe persino fatto. Lydia era quel genere di ragazza discreta e intelligente, una presenza delicata. Non era arrogante, ma sapeva farsi valere – molte volte aveva assistito ad una delle gare di dibattito che facevano in classe e si trasformava in una specie di squalo.
Forse, avrebbero potuto anche essere amici, se avessero avuto più occasioni. Se Alec non si fosse chiuso nel suo guscio. Doveva ammettere, infatti, che se tra i due non era nata chissà quale grande amicizia, era un po’ colpa sua. Lydia aveva tentato più volte di instaurare un rapporto che andasse al di là degli incontri di studio, ma Alec aveva sempre rifiutato. Si sarebbe sentito a disagio e poi… poi non era bravo a socializzare, quindi non avrebbe proprio saputo cosa dirle.
“Ok.” sorrise lei, “Allora, vogliamo cominciare a ripetere?”
Alec annuì concorde. “Cominci tu?”
“D’accordo.”

Studiarono per ore, prima che Lydia chiedesse di fare una pausa. Alec fu ben felice di accettare, dal momento che il suo cervello stava per esplodere. Se avesse pronunciato un altro nome in latino per indicare uno specifico gruppo di batteri gli si sarebbe annodata la lingua.
“Vuoi un caffè?” gli domandò Lydia, sistemandosi una ciocca di capelli sfuggita dalla coda dietro ad un orecchio.
“Sì, grazie.”
Alec per un momento si trovò a pensare che quando studiava con Magnus, le loro pause si trasformavano in momenti dove altro non facevano che baciarsi e stare appiccicati sdraiati sul letto di Magnus, ma decise che non era opportuno riflettere su una cosa simile, dal momento che Magnus non era lì con lui. Si concentrò, quindi, nuovamente su Lydia, che si stava alzando dalla scrivania e gli aveva chiesto qualcosa che lui, immerso nei suoi pensieri, non aveva sentito. Per non fare la figura del maleducato, la seguì fuori dalla stanza e insieme si diressero al piano di sotto.
“Non serviva mi accompagnassi. Potevi rimanere di sopra, se preferivi.”
Ecco cosa gli aveva detto, probabilmente. “No, almeno ti do una mano.” Fece spallucce e Lydia gli sorrise. Una volta arrivati in cucina, Alec la trovò particolarmente confortevole. Non era grande, ma dava l’idea di familiarità e calore. C’era un piccolo tavolo rotondo al centro di essa; sulla sinistra c’era un frigorifero con la superficie di legno e al fianco di esso stava un piano cottura, sovrastato da una dispensa. Alec vide Lydia aprire uno sportello di quest’ultima e allungarsi per cercare di raggiungere, invano, qualcosa. Le si avvicinò senza che lei gli chiedesse niente e afferrò la moca che le dita di Lydia non riuscivano a raggiungere. “Ho fatto bene a scendere, suppongo.”
Lydia liberò un risolino imbarazzato. “Penso di sì.” Afferrò la moca dalle dita di Alec, sfiorando involontariamente la sua mano.
(Involontariamente. Certo, Alec, come no. Cristo, quanto sei ingenuo!)
Era davvero, davvero, davvero, inquietante che Isabelle fosse nella sua testa.
“Sarei salita su una sedia. Però grazie, comunque.”
AH! Alla faccia tua voce-di-Isabelle-nella-sua-testa! L’unica con dei pensieri contorti era solo ed esclusivamente sua sorella!
“Figurati, nessun problema.”
Alec osservò Lydia preparare il caffè in silenzio: la vide prendere il barattolo pieno di polvere di caffè, versare il contenuto necessario nella moca, dopo averla riempita della giusta quantità d’acqua e poi metterla sul fuoco in attesa che bollisse. Rimasero in silenzio fino a quando non sentirono salire il caffè e Alec ebbe l’impressione che tutto questo altro non fosse che una conferma ai suoi pensieri: non avevano un granché da dirsi, esclusi gli argomenti scolastici.
Lydia versò il caffè in due tazze e gli lasciò l’occorrente per prepararlo come più preferiva: zucchero e latte, se lo voleva macchiare. Ma Alec non aveva mai macchiato il suo caffè e ci metteva una quantità di zucchero così misera che rimaneva praticamente amaro.
Sorrise involontariamente pensando che Magnus, invece, metteva quantità industriali di zucchero nel suo caffè.
“Perché ce ne metti così tanto? Copre il sapore del caffè!”
“A me piace lo zucchero, fagiolino. Rende tutto migliore. E nella vita ci vuole dolcezza, non trovi?”

Sì, pensò Alec, mentre il suo sorriso non accennava ad andarsene, ci voleva proprio dolcezza, nella vita. La stessa che caratterizzava il cuore buono di Magnus, che aveva passato tutte le cose tremende che aveva passato e ancora riusciva ad essere dolce e gentile.
“Alec?”
Dannazione. Si era persino dimenticato di essere con Lydia. “Sì?”
La ragazza lo fissò per qualche istante e Alec si trattenne dal non arrossire per l’imbarazzo – sicuramente doveva pensare che fosse un tipo strano, dal momento che sorrideva  da solo come un matto – ma poi l’espressione perplessa di Lydia sparì dal suo viso e Alec si rilassò nuovamente. “Ti va se ci sediamo anzi qui? Ho bisogno di uscire un po’ dalla mia stanza.”
“Certo.” Alec sorrise e si sedette vicino alla ragazza. “A volte anche io ho bisogno di uscire dal posto dove studio.”
Lydia annuì. “Mi piace studiare là, non fraintendermi, ma talvolta mi sento soffocare.” Abbassò lo sguardo sulla sua tazza che abbracciava con le dita e i suoi occhi si fecero più cupi.
“Va tutto bene?” le domandò Alec di getto, prima di riflettere se fosse una cosa opportuna da fare.
Lydia fece spallucce. “Sì… sì, le solite cose.” I suoi occhi azzurri cominciarono a vagare per tutta la stanza, senza mai incrociare quelli di Alec, però. Gli diede l’impressione di star osservando un animale in trappola, un cervo che si aspetta da un momento all’altro di vedere un cacciatore comparire da dietro l’angolo per conficcargli una pallottola in mezzo agli occhi.
“Sembri tesa, Lydia.”
La ragazza esalò un sospiro lungo e pesante. “Vuoi davvero farmi da psicologo?”
Alec incassò le testa tra le spalle. Non erano affari suoi. Lui in primis avrebbe evitato ogni tipo di argomento personale con qualcuno con cui i rapporti si limitavano a fare i compiti, quindi perché doveva insistere tanto affinché Lydia si aprisse con lui?
(Perché ti ricorda te stesso quando non avevi ancora parlato con nessuno di come stavano le cose? O forse perché conosci quello sguardo? O perché sai cosa significa sentirsi in trappola?)
Seriamente, detestava la sua coscienza, a volte.
“No. Non sono affari miei.” Concluse, portando la tazza alle labbra e bevendo un lungo sorso. Lydia lo osservò attentamente per un po’, prima di sciogliersi.  
“Mi dispiace, non volevo essere scortese, ma è…”
“Difficile. Abbiamo qualcosa che ci divora dentro e vorremmo urlarlo al mondo per vedere se almeno in questo modo smette di mangiarci, ma abbiamo paura di farlo.”
I grandi occhi cobalto di Lydia si illuminarono di qualcosa simile alla comprensione, come se avesse udito la materializzazione dei suoi pensieri. “Sì.” Confermò con un filo di voce e Alec annuì semplicemente, bevendo di nuovo un po’ di caffè.
Lydia rimase in silenzio a fissarlo per qualche istante, abbracciando la propria tazza come se dovesse usarla come uno scudo. Alec cominciava a sentirsi a disagio sotto quello sguardo, ma prima che Alec spezzasse quel silenzio sconfortevole con dei convenevoli, Lydia parlò.
“I miei genitori non mi lasciano mai decidere niente. Sono un cliché vivente: una liceale che si lamenta dei genitori ossessivi.”
Alec si schiarì la gola, prendendo tempo per capire se Lydia avrebbe continuato o se stava attendendo una risposta. “Il fatto che sia un problema comune, alla nostra età, non significa che non può farti soffrire.” Le disse, appurato che Lydia stava attendendo una sua reazione.
“Lo so, ma odio lamentarmi. Non mi fanno mancare niente e a volte mi sento un’ingrata, ma… è difficile accontentarli, quando ciò che vogliono loro non è ciò che voglio io.”
Alec si riconobbe fin troppo nelle parole di Lydia e una parte di lui andò nel panico, facendosi prendere dalle paranoie che Isabelle aveva involontariamente alimentato per tutta la mattina –  e se sua sorella avesse ragione e questo fosse solo il modo che aveva Lydia di fargli confessare delle cose che poi lei avrebbe riportato a Robert? – ma un’altra parte di lui, quella più razionale, gli disse che non era l’unico adolescente che aveva problemi legati alle incomprensioni con i genitori e si rilassò un pochino.
“E cosa vogliono?”
Lydia sospirò di nuovo, come se si fosse arresa all’idea di farsi vedere vulnerabile da lui. “Vogliono che vada ad un college qui vicino e diventi una biologa, così posso prendere il posto di mia madre alla scuola privata dove lavora come insegnante di biologia. Non mi fraintendere, mi piace la materia, ma non così tanto da basarci il mio futuro.” Si morse un labbro, come se si fosse pentita di aver detto così tanto. Alec aveva l’impressione che Lydia fosse una di quelle persone che non ama parlare dei propri problemi con altri e teme sempre di esporsi troppo.
Fu tentato di far cadere l’argomento, ma arrivati a questo punto, avrebbe solo fatto la figura del menefreghista.
“E tu cosa vuoi?” le domandò con un filo di voce, come se avesse paura di sconfinare in un territorio a lui proibito, su cui non gli era in alcun modo permesso di camminare.
“Andare a Stanford e studiare legge.” Confessò come se fosse il suo più grosso peccato. “Lo so che non è corretto, ma-”
Alec bloccò le sue parole sul nascere. Gli sembravano un modo che Lydia aveva per giustificare i suoi desideri, come se in qualche modo fossero sbagliati e lei sentisse la necessità di non essere presa per una specie di mostro egoista. “Sì che è corretto, se è quello che vuoi. Non ferisci i tuoi genitori, non fai loro un torto.”
“Non conosci i miei genitori, Alec.”
“Non i tuoi, ma i miei sì. E davvero mi sembra di sentire parlare mio padre. Quando, l’anno scorso, gli ho detto che voglio fare lo scrittore, mi ha guardato come se fossi uno scarafaggio e mi ha detto parleremo del tuo futuro quando avrai intenzioni serie, figliolo. È passato un anno e ancora quando mi chiede cosa voglio fare da grande e io gli rispondo sempre nella stessa maniera, mi tratta con sufficienza.”
Lydia abbozzò un sorriso triste. “Credo che sia questo che mi trattiene dal dire loro la verità. Una parte di me desidera ancora la loro approvazione. E penso sia più forte della parte che vuole la libertà.”
Alec si rese conto che, forse, lui e Lydia erano più simili di quanto avrebbe mai potuto immaginare. Anche lui, prima di Magnus, si sentiva nello stesso identico modo. Il desiderio di mostrarsi per quello che era davvero veniva sempre sopraffatto da quell’istinto di essere come i suoi genitori volevano che lui fosse: studente modello, figlio ubbidiente, fratello presente. E voleva ancora essere tutte queste cose perché erano parte di lui – gli piaceva studiare perché significava apprendere ed arricchirsi mentalmente e gli piaceva essere un fratello presente perché voleva bene ai suoi fratelli. Ma non gli andava più di essere un figlio ubbidiente, se questo significava andare contro al vero se stesso. Si era nascosto per troppo tempo, consumato dal fatto che si sentisse in colpa per non rispecchiare i canoni dei suoi genitori, ma aveva capito che non c’era niente per cui sentirsi in colpa, non era sbagliato in nessun modo, in nessun fronte. E questo, l’aveva capito grazie a Magnus.
“Forse hai bisogno di un po’ più di tempo.” Azzardò Alec e Lydia annuì concorde. Calò nuovamente il silenzio e Alec finì il suo caffè. Lydia fece lo stesso in due sorsi e quando appoggiò la tazza al tavolino, la sua mano sfiorò quella di Alec. Il ragazzo pensò che fosse una coincidenza, come era successo poco prima, ma poi Lydia cercò con delicatezza di infilare le proprie dita nelle sue, per farle intrecciare. Alec, che aveva riservato un gesto così intimo e personale solo a Magnus, allontanò la mano cercando di non farlo in modo troppo brusco. Non voleva essere scortese, dopotutto. Ma Lydia si ritirò come se avesse preso la scossa, rannicchiandosi sul bordo opposto della sedia, cercando di allontanarsi il più possibile da Alec. Le sue guance erano diventate rosse e il suo sguardo era basso.
“Scusa.” Deglutì. “È stato un gesto fuori luogo.”
Alec si sentì tremendamente in colpa. “No, Lydia, io…” Ma non sapeva davvero cosa dirle. Io lo faccio solo con il mio ragazzo? Era giusto mettere Magnus in mezzo? Sentiva questa strana sensazione di protezione nei suoi confronti. Era come se, all’improvviso, potesse anche andare bene che Lydia e Robert e chiunque altro venisse a scoprire che fosse gay, ma sentisse la necessità di tenere Magnus lontano dalla bufera, di proteggerlo da tutti i commenti negativi che gli sarebbero inevitabilmente piovuti addosso una volta scoperta la verità. Magnus non meritava che un branco di bigotti inferociti gli si scagliasse contro. Lui non l’avrebbe permesso.
“Mi dispiace. Davvero. Non so cosa mi è preso, solo che…” Lydia tornò a guardarlo e lo fissò per un lungo attimo e poi abbozzò un sorriso triste, “…ho una cotta per te dal primo anno, Alec. E visto che sei stato così gentile con me, ho sentito l’impulso di farlo. Ma è stato sciocco e inopportuno. Scusami.”
Alec elaborò quell’informazione con grande sorpresa. Ripensò alle parole di Lydia al fatto che avesse detto che i Lightwood non passano inosservati e lui aveva dato per scontato che stesse parlando di Jace. Nessuno aveva mai avuto una cotta per lui, non quando c’era Jace che era praticamente il tipo di chiunque.
“Non… non è stato sciocco, Lydia. Solo che io… ho già qualcuno ed è un gesto nostro.” Si sentiva un idiota. Non aveva mai avuto a che fare con situazioni del genere. Nella sua vita l’unico che aveva mostrato interesse per lui era anche il ragazzo di cui era innamorato, quindi non c’erano state fasi di rifiuto, ma solo di sentimenti ricambiati. Il che rendeva tutto estremamente difficile da gestire. Si sentiva così in colpa. Incapace di trovare le parole giuste per evitare di ferirla.
“Ma certo, capisco. Scusami ancora, davvero.”
“Smettila di scusarti, non potevi saperlo. E io non so gestirle certe cose. Nessuno ha mai avuto una cotta per me. È Jace il rubacuori della famiglia.” Abbozzò un sorriso impacciato, convinto che dirle la verità, forse, sarebbe stata la cosa migliore da fare.
Lydia scosse la testa, ma un piccolo sorriso stava cominciando a tendere le sue labbra. “Un sacco di ragazze parlano di te, a scuola. Solo che tu non te ne accorgi.”
Alec abbassò lo sguardo, ritrovandosi ancora una volta senza sapere cosa dire. Sentì Lydia avvicinarsi di nuovo, abbandonando quella distanza che aveva messo tra di loro dopo quel tentativo di prenderlo per mano. “Non volevo metterti a disagio, Alec. E non voglio nemmeno che pensi che ti ho fatto venire qui per provarci con te. Mi sei simpatico e sei una delle poche persone che non mi guarda come se fossi strana perché viviseziono rane senza la mascherina.”
Alec alzò lo sguardo e notò che l’espressione di Lydia era più tranquilla. “Non sei strana, anche mia sorella lo fa. Dice che riesce a vedere meglio e a notare cose che altrimenti, e cito testualmente, una stupida mascherina protettiva le impedirebbe di vedere.”
Lydia si rilassò completamente e rise. “Concordo, quel vetro distorce la realtà.”
“L’ho notato.”
“Vuoi andare a finire, di sopra?”
“Sì, certo.” Alec si alzò dal tavolo e, afferrata la sua tazza, si diresse verso il lavandino per sciacquarla. Lydia lo seguì e fece lo stesso. Fuori dalla cucina, salirono al piano di sopra in silenzio, ma tra di loro c’era meno imbarazzo rispetto a quando erano scesi.
Quando entrarono in camera di Lydia, prima di riprendere posto alla scrivania, la ragazza lo chiamò. “Alec?”
“Dimmi.”
La bionda gli sorrise. “Grazie per avermi ascoltata.”
“Figurati. Nessun problema.”

*

Quando Alec rientrò in casa, all’ora di cena, il profumo del pollo arrosto di sua madre gli invase le narici e gli fece brontolare lo stomaco. Aveva una fame mostruosa. Non appena si chiuse la porta di casa alle spalle, sua sorella fece capolino dalla cucina, dove, probabilmente, stava tentando di aiutare Maryse.
Improvvisamente, lo stomaco di Alec – dotato di un incredibile istinto di sopravvivenza – smise di fare rumore. Se aveva cucinato Izzy, il pollo era sicuramente avvelenato. O crudo. O entrambe le cose. Rabbrividì.
“Allora?” sussurrò Isabelle quando lo raggiunse in salotto, i capelli raccolti in due trecce e un grembiule rosa legato alla vita, sopra a un paio di pantaloni di una tuta nera.
“Allora cosa?”
“Ti è saltata addosso appena hai messo piede in casa sua?”
“No, affatto. Abbiamo studiato e… parlato.”
Iz alzò un sopracciglio curato con scetticismo. “Parlato?”
“Perché la cosa ti sorprende tanto?”
“Alec.” si impuntò Isabelle, socchiudendo un occhio mentre lo scrutava attentamente. “Cosa mi stai nascondendo?”
Dannazione. Non voleva dirle ciò che gli aveva confessato Lydia, perché avrebbe cominciato a dire che aveva ragione, ma sapeva anche che non poteva nasconderle niente, perciò…
“Ha parlato un po’ di sé, dei problemi che ha con i suoi. E l’ho ascoltata perché mi sono rivisto molto in lei, davvero. Alla fine… ha provato a prendermi per mano e io mi sono ritirato. Non l’ho fatto in modo brusco, ma non volevo che lo facesse perché lo faccio solo con Magnus. So che può sembrare una cosa infantile, ma-”
“Non è infantile.” Lo interruppe Isabelle, un sorriso dolce sul viso. “Ogni gesto è speciale, se lo facciamo con chi amiamo, di conseguenza ne diventiamo gelosi e non vogliamo che qualcun altro se ne appropri.”
Alec ricambiò il sorriso e l’abbracciò, lasciandole un bacio sui capelli. Isabelle riusciva a capirlo meglio di quanto riuscisse a farlo lui stesso.
“Comunque,” disse Izzy ancora aggrappata al fratello. “Avevo ragione io. Ha una cotta per te. Ormai non puoi più negarlo.”
Alec sciolse l’abbraccio e allontanò sua sorella prendendola per le spalle, guardandola di traverso. “Iz.” La rimproverò.
Isabelle si aprì in un sorriso famelico. “Te l’avevo detto.” Gongolò.
Alec alzò gli occhi al cielo. “Sei un mostro insensibile, Izzy.”
Isabelle rise e la sua risata attirò l’attenzione di Maryse, che fece capolino dalla cucina, salutando Alec. “Sei tornato. Vatti a cambiare, tra poco mangiamo!” Sua madre sparì di nuovo in cucina e Alec tornò a prestare attenzione ad Isabelle.
“Papà non c’è?”
“Tarda anche stasera. Si scusa. Come sempre.”
Alec non si stupì un granché di sentire quelle parole. Era più raro averlo a cena, che non cenare senza di lui. “Si perde il pollo di mamma, il che è davvero un peccato.” Cominciò Alec, tentando di risollevare Izzy. Sapeva che, anche se non l’avrebbe mai ammesso, un po’ soffriva per l’allontanamento di Robert. Da bambini era sempre presente e giocava con lei in continuazione. Dopo l’incidente, il distacco del padre aveva fatto più male ad Isabelle di quanto desse a vedere. “Perché l’ha cucinato mamma, vero?” le domandò Alec, cercando di distrarla.
A quanto pare ci riuscì perché Isabelle gli riservò un’occhiata tagliente. “Che vorresti dire, Alec??”
Il maggiore scoppiò a ridere, mentre si allontanava da Isabelle per non rischiare la flagellazione. “Che altrimenti rischieremmo la morte per avvelenamento!” Fuggì al piano di sopra, salendo le scale alla velocità della luce con Isabelle alle calcagna.
“ALEC!” strillò, mentre cercava di raggiungerlo. “Io cucino benissimo!”
Alec raggiunse la sua camera e si chiuse la porta alle spalle, lasciando Isabelle fuori da essa, mentre bussava con la grazia di un rinoceronte inferocito.
Benissimo!” scandì ogni lettera con una bussata, rischiando di abbattere la porta, mentre Alec cominciava a ridere. Si cambiò velocemente, sapendo che Isabelle non se ne sarebbe di certo andata – adorava avere l’ultima parola nelle loro discussioni. Infatti, quando uscì dalla sua camera con la tuta, la trovò con le braccia incrociate al petto mentre un piede picchiettava per terra. Non era minacciosa nemmeno la metà di quanto avrebbe voluto, con la sua piccola statura, il grembiule rosa e le pantofole a forma di nuvola.
“Ritira quello che hai detto, o ti ficco un mestolo in gola.”
Adesso era minacciosa tanto quanto volesse mostrarsi.
“Non puoi continuare a negare la verità per sempre, Izzy.”
“Non puoi dirlo, finché non assaggi quello che cucino. Raphael dice che sono migliorata!”
“Forse a Raphael non funzionano le papille gustative.”
Isabelle gli scoccò un’occhiata tagliente. “Sei tu il mostro insensibile, non io.”
Alec scoppiò in una fragorosa risata e circondò le spalle di Isabelle con un braccio. Lei, nonostante tutto, non si oppose e gli passò un braccio intorno alla vita, mentre sentiva le labbra di Alec premerle contro la tempia. Gli voleva un bene immenso e non l’avrebbe cambiato con nessuno al mondo. Nemmeno con qualcuno che apprezzava la sua cucina. 





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Ciao a tutti!
Allooora, dopo il capitolo riguardante la storia di Magnus, ho pensato di riprendere gradualmente anche il background di Alec - il suo rapporto un po' instabile con Robert e gli accenni a ciò che è successo a Max. A questo proposito, so che la sto tirando per le lunghe, ma lo faccio perché ho intenzione di spiegare cosa è successo verso la fine della storia, legata ad un altro momento particolare, che non voglio spoilerare. Anche perché devo decidere ancora i dettagli e non vorrei venisse fuori qualcosa di confusionario. Quindi niente, perdonatemi se mi dilungo troppo! 
Se negli altri capitoli abbiamo visto Camille, in questo troviamo Lydia, che non è certo odiosa come la prima e, sorpresa sorpresa (mica tanto, in realtà) ha una cotta per Alec. A proposito, quella parte non mi convinceva un granché ed ero fortemente tentata di cancellarla - perché nonostante la rileggessi e cercassi di modificarla, non riuscivo a trovare qualcosa che mi soddisfacesse - ma poi ho pensato che viene nominata spesso da Robert quindi volevo che almeno un incontro lei e Alec lo avessero. Fatemi sapere se vi ha fatto schifo o se è almeno passabile! 
Piccolo appunto: ho inserito il giuramento parabatai, che forse è un po' fuori luogo, visto che sono tutti umani, ma siccome amo quel pezzo - e lo ammetto, piango come una fontana ogni volta che guardo quella scena - ho pensato di inserirlo. Passatemelo, pls. 
Dopo l'infinità di queste note, vi saluto e ringrazio tantissimo chiunque legga la storia, l'abbia messa tra le seguite/preferite/ricordate e chi trova sempre il tempo per recensire. Lo apprezzo tantissimo e siete tanto gentili <3 
Un abbraccio, alla prossima! :D 
   
 
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