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Autore: onmelancholyhill    31/01/2018    2 recensioni
Un matrimonio soffocante in cui tutto è andato storto. Un partner che con gli anni si è rivelato essere un mostro. Una storia senza via d'uscita. E' l'inizio di un incubo.
Genere: Dark, Introspettivo, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Quando entro in casa lei mi aspetta all’ingresso.
“Dove sei stato?”
“A comprare il latte.”
Non sono mai stato bravo a mentirle e alzo la busta di plastica bianca contenente la bottiglia di latte come se fosse uno scudo. Per un momento riesco a non vedere i suoi occhi.
“Ci hai messo due ore. Piantala con le cazzate. Dove sei stato?”
Non è colpa mia se ormai anche al commissariato c’è la fila, penso.
Con fare casuale si è avvicinata.
“Vabbe’, ho fatto anche un giro, qual è il problema?”
Siamo uno davanti all’altra adesso. I suoi bellissimi occhi blu sono fissi nei miei. Non riesco a reggere lo sguardo a lungo, e li abbasso. Fulminea, mi prende il braccio e me lo gira dietro la schiena.
“Daaaai, a me lo puoi dire dove sei stato,” dice come se stessimo giocando, ridendo. Con uno strattone ed una spinta in avanti mi fa mettere in ginocchio.
“Dove sei stato? Dove? Andrea? Andreeeeaaa… DOVE SEI STATO?”
Il braccio mi fa malissimo ora. Il tono allegro con cui pronuncia il mio nome mi da i brividi.
Sono con la schiena piegata in avanti adesso e lei è sopra di me. I suoi lunghi capelli biondi si riversano sulla mia testa e l’odore del suo profumo, lo stesso da anni, mi riempie il naso.
Sto cedendo e apro la bocca per dirle dove sono stato, per provare a farla ragionare, per farle capire che l’ho fatto perché questo non è più vivere, perdio, e come per magia le parole che escono non sono quelle che avevo in mente.
“Alla Snai! Sono andato alla Snai a scommettere sulla partita di stasera, va bene?!”
Se c’è una cosa che ha sempre odiato sono le scommesse, anche se mi sono sempre limitato ad una schedina ogni tanto, quando mi sentivo di poterci prendere.
La bugia non è di qualità migliore della precedente, ma l’aver ammesso di aver fatto qualcosa di proibito la calma.
L’avermi fatto confessare la fa tornare l’elemento dominante.
“Ti ho sempre detto che le scommesse sono da pezzenti,” mi sussurra suadente. Poi mi libera il braccio. Non faccio in tempo ad afferrarmi il polso, ansimando per il dolore, che con una ginocchiata precisa mi colpisce alla base della schiena, sull’osso sacro. Crollo a faccia in giù nel tappeto e vengo lasciato solo.
E se questo è stato il prezzo da pagare per aver provato a cambiare le cose, non mi pento di un secondo passato davanti a quella testa di cazzo del commissario.

Quando dopo qualche minuto mi alzo il dolore è ancora forte. In qualche modo riesco a raggiungere la poltrona in salotto e chiudo gli occhi. Devo riprendermi per quando Marco tornerà da scuola quindi decido di concedermi un attimo di pace. Quando chiudo gli occhi mi trovo a ripensare a tutti gli anni in cui io e Sara siamo stati insieme. Se qualcuno mi chiedesse in questo momento quando questo è cominciato, non saprei rispondergli. Gli potrei confermare che no, la donna che mi ha appena aggredito all’ingresso di casa mia non è la stessa persona che ho sposato. 

All’epoca vivevo ancora con i miei andando da un part-time all’altro dopo la maturità. Ero riuscito a pubblicare un romanzo in una piccola casa editrice con una manovra che qualche aspirante scrittore saprà essere un mezzo suicidio economico. Servirà a mettere un piede nella porta, mi dissi, e infatti mi facilitò le cose quando scrissi e riuscii a vendere il mio secondo. E’ più facile se sul curriculum puoi mostrare di aver pubblicato qualcosa in passato, anche se hai dovuto pagare per farlo.
Inoltre a differenza del primo, era oggettivamente un bel libro e meritava di essere pubblicato, per quanto difficile la cosa sia per uno scrittore emergente. Ma grazie a quel timido tentativo che venne venduto principalmente ai miei parenti, ci riuscii e ne sono orgoglioso.
Quel libro mi consentì di ottenere una certa indipendenza economica dai miei genitori e li convinse a farmi iscrivere alla facoltà di lettere.
Sara aveva la mia età e stava facendo una sorta di specialistica quando cominciai a frequentare il primo anno. La vidi per la prima volta quando ci fece una lezione di scrittura creativa, e non mi serve il rancore di questi dieci anni di matrimonio per dire che fu una delle peggiori lezioni a cui abbia mai assistito. Però mi dissi, che diavolo!, era veramente carina e indossava sempre quel suo profumo fantastico. Con una scusa la avvicinai e cominciammo a parlare. Poi a uscire. Quando a 25 anni finalmente mi laureai, con la convinzione di aver buttato tre anni della mia vita, ci sposammo. In quell’epoca lei aveva già cominciato ad insegnare alle superiori, per la felicità dei suoi alunni.
E con lei impegnata a scuola, io avrei finalmente avuto tutto il tempo che volevo per scrivere il mio terzo romanzo, quello che ero sicuro mi avrebbe lanciato nel mondo della letteratura. 

Gli appuntamenti nel mio studio dopo cena per vedere quanto scritto durante il giorno erano iniziati come una cosa giocosa. Quando mi dissi che non bisognerebbe far leggere a nessuno quello che si scrive prima di aver finito, ci pensai su e scrollai le spalle. Dopotutto, era mia moglie e non era certo estranea al processo che mi divertivo a chiamare crafting. All’inizio era contenta di quello che scrivevo. Poi cominciò a fare degli appunti qua e là, con tono quasi distratto, e come darle torto? Quella frase suonava veramente male, e quel passaggio in fondo era veramente inutile. Aveva ragione lei, no? Poi dagli appunti si passò alle correzioni, e non ci mise molto per farmi sentire come sono sicuro faccia sentire i suoi studenti. Se chiudo gli occhi vedo ancora i suoi tratti di penna rossa che commentano o cancellano alcuni passaggi di quello che avevo scritto ogni giorno.
Col passare del tempo, invece di venire del mio studio, ero io ad essere convocato nel salotto, la produzione giornaliera in mano, come un bambino che deve mostrare alla mamma l’ultimo disegno fatto con i nuovi pastelli che gli sono stati regalati.
Da 4-5, scritte con impegno e dedizione nell’arco di tutta la giornata, le pagine diventarono un paio, per arrivare poi a mezza facciata buttata giù prima di pranzo.
Alla fine, smisi di scrivere del tutto e mi trovai un lavoro come autista part-time per un’azienda locale. Le poco più di 250 pagine del mio romanzo, quasi tutte segnate in rosso, sono finite in un cassetto della mia scrivania

Un anno dopo nacque Marco e cominciammo a litigare praticamente sempre.  Quando avevo 27 anni, durante una lite, mi spinse giù dalle scale condominiali e mi ruppi una gamba.
Da allora, mi dico che la lascio fare per il bene di Marco. Aveva solo due anni, e non doveva crescere in una famiglia a metà.

 

 La verità è che la lascio fare perché sono un debole.

   
 
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