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Autore: Love_in_idleness    24/04/2005    3 recensioni
Henka non aveva idea che quei lunghi discorsi avrebbero potuto dilatare una sola notte di riflessione in un'eternità destinata a svoltare verso direzioni del tutto impreviste. Altrimenti vi si sarebbe applicato molto prima. FI-NI-TA (Non vedevo l'ora di scriverlo)
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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--- L’insonnia colpisce ancora

--- L’insonnia colpisce ancora.

Sono le tre del mattino e non riesco a prendere sonno.

In the end è un capitolo pesante…  ^ ^’’’

 

XII.

Alla fine si fa sempre come vuole Giulio.

Non che ci metta particolare impegno persuasivo nel tentare di convincermi della giustezza delle sue idee o proposte. Basta che mi guardi con aria supplichevole ed io accondiscendo, perché mi faccio intenerire da quei sottili occhi verdi e da quella boccuccia di rosa dispiaciuta.

Così, nonostante ce l’avessi messa tutta a portarlo con me, dopo esserci staccati con remore da quel paesaggio metafisico per risalire il sentierino serpeggiante scavato nella roccia, camminammo a rapidi passi fino alla fermata dell’autobus dove lui, mostrandomi un volto implorante e disperato mi fece notare che erano già arrivati tre supporti e che comunque la calca rimaneva asfissiante. Finii per adeguarmi al suo capriccio.

‘Va bene…’ Sospirai con tono di rimessa rassegnazione, ritornando sui miei passi.

Non mi stava seguendo.

Si voltò verso di me, che già mi trovavo ad alcuni passi di distanza dalla sua posizione –se ne stava con la schiena dritta impuntato su quel marciapiede sporco- e mi disse candidamente, sorridendo: ‘Di lì tagli tutto il pezzo di scalinata, Henka. Accorci la strada.’

‘No.’ Scossi la testa riccioluta. ‘Non – se – ne – parla.’

‘Beh.’ Scrollò le spalle sottili. ‘Io la strada la conosco. Puoi tornare da solo se non ti da fastidio.’

‘Lo stai facendo di nuovo!’ Urlai dall’altra parte della strada, prima di avvicinarmi.

‘Cosa?’

‘Mi ricatti moralmente, come fanno i bambini piccoli.’

‘Ma se funziona…’ Si rabbuiò un istante. ‘Anche tu lo stai facendo di nuovo.’

‘Di che stai parlando?’

‘Hai ricominciato a trotterellare al mio fianco.’

‘Io non trotterello!’

‘Ah… invece sì. Per esempio, adesso, in questo momento, tu stai trotterellando.’

‘No! Sto ciondolando da una parte all’altra di questa viuzza strettissima per fare in modo che tu mi guardi in faccia, ma questo non ha nulla a che vedere col trottolare.’

‘Trotterellare.’

‘Sì. Quello.’

Giulio fece spallucce. ‘Forse non sai nemmeno di cosa sto parlando.’

‘Invece –‘

Si mise a canticchiare a bassa voce una canzone che non avevo mai sentito, ma lui mi assicurò che, all’epoca dei suoi genitori, era famosissima, un vero pezzo da hit parade.

Non è che Giulio fosse particolarmente stonato, lui aveva una voce che grattava, e molto bassa. Quello non era certo il suo genere di canzone. Diceva: ‘Magari ti chiamerò trottolino amoroso dudu e dàdàdààà… il tuo nome sarà il nome di ogni cittààà…’

Sul momento mi fece ridere molto. Ancora se ci ripenso, se ripenso a tutta quella notte e a come mi sembra impossibile che potesse essere trascorso un lasso di tempo così breve per un discorso così ampio che, avrei giurato, avrebbe richiesto una vita mortale per poter essere degnamente concluso, sorrido tra me e me. 

‘Immagino di non poterti chiamare trottolino amoroso.’

‘No. Anche se non so cosa sia un trottolino.’

‘E’ una cosa simpatica.’

‘Non ci credo.’

‘Allora sei un uomo di poca fede.’

Camminando lentamente col suo portamento aggraziato, le braccia incrociate dietro la schiena ritta mentre si voltava a destra o a sinistra per guardare il porticciolo, un giardino particolarmente fiorito di buganvillee ed edera verde che si arrampicava sulla cancellata di una casa coloniale, uno scorcio caratteristico sul mare che sarebbe potuto fuoriuscire dalla tela di un pittore puntinista, la luna che era stranamente rossa, piena e più grande di quanto fossi stato abituato a riconoscere, procedette fino ad uscire dal centro del paese e dalla piazza su cui dava la chiesa dalla facciata massiccia a capanna, circondata da aiuole rinsecchite e grossi vasi di terracotta riempiti solo da terriccio riarso dal solleone, e si infilò in una viuzza laterale, chiusa da alte costruzioni intonacate in rosso o giallo, quei lunghi vicoli confusi e sempre in salita che contraddistinguono la zona e che, a parere di Giulio, avrebbero dovuto essere ripuliti per poter riconquistare l’alone di fascino che era giusto possedessero luoghi tanto incantevoli.

Ma c’erano un sacco di cose che avrebbero dovuto “essere ripulite” per lui.

Giulio non metteva mai le mani in tasca, per lo stesso motivo per cui camminava dritto come un fuso. Gli sembrava poco elegante.

Gli avevo più volte ricordato quanto questa sua ostinazione di dimostrarsi sempre impeccabile –di fronte a tutti tranne che al sottoscritto- potesse essere percepita dalle persone come una mancanza di naturalezza.

Naturalmente lui non smetteva di muoversi lentamente e con una certa grazia di movimenti, come se ogni suo gesto fosse calcolato per intensità e durata, e i suoi passi dovessero essere gentili sulla terra cosparsa di teneri petali di fiori.

Io sapevo che lo faceva per un puro desiderio estetico e perché era stato bacchettato sulle nocche fin da bambino, e questo, a ben vedere, gli bastava.

Mi guidò per alcune vie buie e maleodoranti finché non giungemmo ad una scalinata in cotto più ampia, almeno un metro e mezzo di larghezza. Non potevo distinguere quanto fosse lunga perché svoltava improvvisamente con una curva a gomito dietro ad un angolo.

Proseguimmo in silenzio contro il muretto di pietra viva che si alzava di un metro dal suolo e sul quale un giardino terrazzato era separato dal vuoto da una rete metallica. Alcuni gradini portavano al cancelletto che vi immetteva. Dall’altra parte la strada proseguiva, per mia profonda gioia, in piano.

Continuammo nella direzione della costa –sì, mi sembrava proprio che stessimo tornando indietro- per alcuni minuti, incontrando un gran numero di giardini fioriti, finché non sbucammo di nuovo nella scalinata di cotto.

Fino a quel momento avevamo proseguito nel buio, e finalmente la luce di un lampione lontano ci illuminava la via tortuosa ed impervia.

Giulio si sedette su un basso gradino per aspettarmi, e vidi che osservava l’orologio. Scorgendo di sottecchi il quadrante mi accorsi che mezzanotte era già passata da ventitré minuti.

Volevo sedermi anch’io.

Mi sorprese come una tempesta nel deserto.

‘Mi sono buttato.’ Disse semplicemente con quella sua usuale voce calma e ben calibrata.

‘Scusa?’

‘Mi sono buttato.’ Ripeté annuendo, come se stesso parlando di un argomento conosciutissimo ed io avessi avuto la possibilità, il dovere, di capire a cosa si stava riferendo.

Improvvisamente alzò lo sguardo e mi squadrò coi suoi occhietti verdi sempre disperati aggiungendo un sottile: ‘Stasera. Prima di cena.’

‘Ah.’

Mi accovacciai accanto a lui che subito si adagiò appoggiando la testa sulle mie gambe e distendendosi per quanto permetteva l’angusto passaggio e i suoi centonovantatre centimetri di superba altezza.

Aveva staccato un rametto dall’oleandro che ci sovrastava e ora stava giocando coi petali rosa dei fiori teneri e le foglie lanceolate.

‘Questi si chiamano “corimbi”.’

Indicò i fiori che erano disposti tutti allo stesso livello.

‘Corimbo…’ Ripetei addolcendo la “r”. Se c’era una lettera che facevo fatica a pronunciare era la “r”.

‘E il motivo è molto semplice. Delirante.’ Mi interruppe dagli infausti pensieri sui miei problemi di fonetica, precipitando di nuovo nel discorso che fino a quel momento aveva taciuto. ‘Ero così disperato che avevo bisogno di sentirmi male anche fisicamente. Allora mi sono gettato vestito nell’acqua gelida.

Dimmi, Henka, non ti viene mai la straordinaria ed irresistibile voglia di annullarti, di annientarti?’

 

--- non prendetemi per una pazza deviata (a parte per la parte sul trottolino amoroso… per quella posso darvi ragione), io non mi sono mai buttata in mare!!!

Chiariamo… perché Vlad quando ha letto ha fatto una faccia tipo: 0___0. Ha pensato che Giulio avesse voluto suicidarsi. Ma no, voleva solo stare un po’ male fisicamente… niente suicidio.

 

3° giorno di profuga della Marto: diario di bordo.

Vlad: non abbiamo fatto NULLA!!! Solo cazzeggiato!!!

Ore 2.35: ricerca su Gooooooooooooooooooooooogle col mio piccy di un’immy dei sonata da inserire nel mio profilo (andate a vedere com’è bella!!! C’ho messo anni a trovarne una che si intonasse col layout del sito ^_^ ß maniaca)

Ore 2.57: Vlad smettila di parlare di devianze psichiche.

Ore 3.02 Svegliate la sensei!!! Dolce Sensei!!! Dovete farmi tutti compagnia nelle mie lunghe notti insonni…

Ore 3.07: potremmo andare su e giù in ascensore… ß vlad’s idea.

 

Sapete, l’ispirazione per questa storia mi è venuta dal mio ex fisioterapista Marino. Lui voleva uccidermi per motivi che mi sono sempre rimasti oscuri… una volta m’ha messo il tens a manetta, mentre mi ero addormentata sul lettino… a momenti muoio… Marino ti ricordi come stavamo bene insieme, io, tu e la mia schiena distrutta? E cantavi: ‘Meravillllllllosa… caduta dalle nuvole (ß non è così)…’ e io’Aaaaaaaaah! Bastardo m’hai tirato un secchio d’acqua in faccia!!!’

Ho malissimo alla schiena. Non riesco a dormire dal mal di schiena…

 

Rinnovo gli auguri di buon 25 aprile.

 

Marto_ che_non_riesce_ad_addormentarsi_e_non_sa_che_fare…

 

 

Martona ei puhu suomea… T___T

ore 4.08: un'ora spesa a capire come inserire immy nella fic. Mi sembra il minimo che ora ve le guardiate anche voi...
   
 
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