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Autore: Nanas    20/02/2018    4 recensioni
“[…] Perché Gotham è, prima di tutto, i suoi cittadini.
Cittadini che continuano a portarla sull’orlo del baratro solo per tirarla all’ultimo nuovamente via, desiderosi di combattere per l’anima di quella città che si ritrova ad essere ancora una volta appagata del caos che la compone, soddisfatta della consapevolezza che il vivere le sue ombre comporta.
Poiché tutti sono parte della sua esistenza, tutti sono sangue che scorre caldo nelle sue vene e che rende possibile la sopravvivenza al freddo della notte:
Tutti sono criminali, a loro modo. E finché vivono, così vive la città.
E poiché la città vive, così vive Batman.”
_________________________________
Hint: [KuroKen] [BokuAka] [DaiSuga] [IwaOi]
[Batman AU] [WARNING: Slow Build Fanfiction!]
Genere: Azione, Dark, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Daichi Sawamura, Hajime Iwaizumi, Morisuke Yaku, Tetsurou Kuroo
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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13. A man that studieth revenge keeps his own wounds green
(Un uomo che medita vendetta mantiene le sue ferite sempre sanguinanti)



Francis Bacon





GOTHAM CITY Gotham International Airport (Bristol District)

22/12/1976 – 17:00 circa


Situata poco oltre l’aeroporto internazionale di Gotham, la collina segnalata dall’agente Ushijima apparteneva ad uno dei promontori più bassi della zona, una serie di altre rocce che rendevano la crosta dura e ferrosa mentre, a tratti, uno strato di humus cresceva a sufficienza da permettere la presenza di erba ma non lo sviluppo di radici proprie di grossi alberi. Sullo sfondo ingrigiva il panorama un divisorio offerto da due alture innevate stagliate a chilometri di distanza, mentre sul suolo la terra assumeva contorni grumosi lì dove la scarsa neve caduta nei giorni scorsi non aveva attecchito, le poche piante presenti che puntavano basse verso il suolo, le foglie rese strette dall’evoluzione e dalla necessità di ottimizzare l'esposizione al Sole o ai gas atmosferici.

Nonostante tutto, comunque, era probabilmente la presenza dell’uomo quella che doveva aver più di tutti variato quell’habitat già inizialmente secco ed inospitale. I continui rumori degli aerei pronti a decollare ed atterrare poco distante, il traffico a qualsiasi ora per raggiungerne la struttura, lo smog e l’inospitale effetto serra che avvolgeva l’intera landa scaldata dalle luci e dalle macchine aeroportuali avevano più di tutto il resto segnato la naturale presenza di animali e piante di quella zona, riducendo il numero di predatori a poche piccoli volpi selvatiche e quello delle prede a esili topi di campagna. Forse era vero non fosse difficile trovare tane scavate nel terriccio rossastro appena ci si allontanava dalle strade principali, ma in generale l’uomo aveva nel tempo sradicato abbastanza alberi per scopi costruttori da non permettere la presenza di altra fauna che fosse nella totalità abbastanza eterogenea da regolarsi autonomamente.


Non appena la città era stata presa da quella frenesia allucinogena inaspettata, però, il rumore degli aerei che erano soliti transitare in quella struttura sembrava essere completamente scomparso, e svanito era anche lo stesso contatto da parte di esterni della metropoli, che si erano prontamente chiusi nello stesso silenzio che aveva inglobato i mezzi di comunicazione non appena l’intera nazione aveva richiesto la quarantena precauzionale della città. Così ora era quasi alienante sentire come, assente quello, il rumore quasi assordante del vento finiva per filtrare, stridente e affilato, tra le incanalature delle montagne davanti alla vallata, quasi a fare da agghiacciante sirena di una realtà privata della sua umana quotidianità ma rimpossessatasi della propria naturalità.




Daichi rallenta leggermente nell’arrivare abbastanza vicino alla zona precedentemente appuntata sulla cartina alla GCDP, e quando anche l’ultima parte del motore sembra essersi spenta preme il pulsante di apertura del portello, posando al contempo un momentaneo sguardo sul posto del passeggero per controllare lo stato delle provette ancora al suo fianco. Sembra che il viaggio non le abbia troppo smosse, così nel vederle ancora integre ed ordinatamente impilate Daichi decide infine di scendere, a calpestare con gli stivali scuri il terriccio freddo ed umido della pavimentazione.

L’aria non tarda a sferzargli il costume mentre avanza, ma ad ogni passo i sensi rimangono all’erta mentre la consapevolezza di stare raggiungendo la stretta gola lo porta a stringere istintivamente i polpastrelli guantati alla cinta che ne fascia la vita. Se le informazioni trovate da Ushijima sono sufficientemente aggiornate, da lì dovrebbero passare molte delle correnti principali di Gotham: non è quindi improbabile la presenza di probabili alleati di Joker a presidiarne i contorni… Sempre che il piano del criminale sia effettivamente quello.

Daichi si inserisce nella scura forra silenziosamente, e nel vedere le ombre calare ad ogni passo in avanti una mano si sposta a sfiorare le rocce poste alla destra della spaccatura, trovandole lisce al tatto nella parte inferiore e friabili in quella superiore, ove piccoli grumi di terra sdrucciolata rotolano pigramente ad ogni pressione esercitata dai polpastrelli.

Percorre ancora qualche metro, venendo sempre più avvolto dall’oscurità mentre ripercorre a ritroso quell’imboccatura, avanzando adagio sino a trovarsi nel canale umido di un fiume scomparso. Il letto del torrente è scoperto, i ciottoli e le rocce che ne ricoprono la pavimentazione sembrano dischi che spuntano distrattamente in un mare di fango e di neve, e ai lati una serie di radici e rami bassi ricoprono insieme ai rampicanti le pareti scoscese dell’ambiente, creando un ambiente irrealistico e freddo.

Dall’alto, attirati da un allargamento inaspettato del soffitto roccioso, una serie di deboli raggi flebili e bianchi creano linee di luce che scoprono scorci umidi di muschio e di altri materiali depositati dal fiume, e sono proprio quei raggi che permettono a Daichi, durante la sua ricerca visiva del camino originario di quella luce, di notarla: una figura snella e vigile, poco sopraelevata rispetto a lui e con i piedi nudi posati sugli stessi ciottoli che i suoi stivali – nonostante creati appositamente per avere tenuta su qualsiasi terrenofaticano a calpestare senza fargli perdere per una frazione di secondi il baricentro.

Solo, il silenzio.

Daichi rimane a fissare quella creatura, elegantemente dritta e vestita di una immobilità degna di un essere etereo e impiegabile dall’età, prima di abbassare nuovamente lo sguardo verso l’alveo del fiume, avanzando tra i ciottoli umidi mentre lo sguardo non manca di scivolare a fasi alterne verso la figura sempre più vicina. All’inizio sembra che quella semi oscurità si stia prendendo gioco di lui, irridendolo con le ombre che lo contornano e creando forme di esseri che Batman è sufficientemente sicuro non abbiano motivi di trovarsi in quel luogo, ma man mano che gli occhi riescono a distinguerne maggiormente i tratti le sopracciglia celate dalla maschera si aggrottano leggermente, la mente che inizia a elaborare congetture mentre ogni passo lo porta ad accostarsi alla presenza silenziosa del metaumano davanti ai suoi occhi.



Non che si sia mai veramente aspettato di incontrare Joker in quel luogo, e questo non solo a causa dell’effettiva insicurezza con cui lui e la GCPD si stanno al momento muovendo nell’ipotizzare luoghi e modalità scelte dal criminale – problema già di suo non di poco conto; il vero motivo per cui dubitava di trovare il Pagliaccio lì dentro, anche in caso di corretta ipotesi riguardo la zona da controllare, era piuttosto da ricercarsi nella certezza, ormai sviluppata negli anni, di come Joker non sia decisamente qualcuno che si possa prendere in contropiede, non senza che questo abbia a sua volta trovato un modo per rendere nel frattempo l’intero imprevisto uno spettacolo a tutto tondo.

No, se fosse stata quella la zona scelta per il loro incontro probabilmente Daichi se ne sarebbe accorto da subito: vi sarebbero state luci intermittenti all’entrata della gola, un possibile pubblico di esseri – animati e non, contando la passione malsana del criminale per oggetti di pezza e cadaveri smembrati ed obbligati ad un sorriso tirato per mezzo di fili e cuciturea testimoniare la sua entrata in scena, e probabilmente avrebbe persino trovato un accenno di palco ad attenderlo all’interno, creato appositamente per ospitare entrambi durante lo scontro. E poi ancora troni, palloncini, uomini trasformati in bestie, simboli di risate e pagliacci pitturati con vernice fotoluminescente, apposti in giro come indicazioni per raggiungere la voluta ubicazione.

Nulla di tutto ciò è presente in quel luogo.

Davanti a Daichi vi è invece un giovane che il Cavaliere Oscuro conosce bene e che non fatica a riconoscere, nonostante la presenza in quel luogo lo lasci piuttosto sconcertato. È una figura che a Gotham difficilmente qualcuno potrebbe dimenticare, per l’eterea bellezza che la contraddistingue o per la pericolosità della sua fama: alto e longilineo, gli occhi lunghi ed eleganti e i tratti morbidi e raffinati, Poison Ives si staglia finemente a qualche metro da lui, sopraelevato mentre in perfetto equilibrio su una serie di rocce dalla superficie umida e liscia, l’asse baricentrico del corpo perfettamente in linea con il resto del corpo. Un piede è posto davanti l’altro nel seguire la curva del masso su cui poggia, mentre le braccia cadono morbide ai suoi lati, sfiorando i fianchi e andando a terminare in una carezza a metà coscia.

«Poison.»

La voce di Daichi è solida e stabile nel chiamarlo, ma nonostante ciò il metaumano rimane immobile, gli occhi del colore del sottobosco che si limitano ad osservarlo: un’aria di indifferenza – che ormai Batman conosce sin troppo benesembra essere fiorita da tempo su quel viso senza età mentre lo scruta dall’alto, in piedi su quello che in alta stagione deve essere il trampolino naturale di una delle tante rapide del fiume e che, essendo queste ora assenti, risulta essere al momento solo una delle molteplici sporgenze acuminate che ne accentuano i dislivelli.

«Non porti nulla per proteggerti dalle esalazioni.»

Continua, fermando la sua avanzata mentre le cornee scure vanno a puntarsi su quelle dell’altro, ora maggiormente visibile per via di un nuovo e sottile raggio di sole scivolato via dalle nubi scure e riuscito, in qualche modo, ad insinuarsi all’interno della stretta gola, cadendo proprio al fianco del metaumano ancora immobile.

«Su di me queste cose non possono avere effetto.»

Poison commenta dopo un momento di attesa, e mentre termina la frase lo sguardo va ad alzarsi appena verso il cielo, le palpebre che si abbassano mentre le narici inspirano silenziosamente l’aria fredda e dicembrina in cui sono entrambi immersi. Batman è abbastanza sicuro che una cosa del genere per lui sarebbe ancora una condanna a morte; non ne può essere certo naturalmente, non a così grande distanza dalla città, ma la possibilità contraria non è sufficiente probabile da fargli decidere di allentare la pressione ferrea che la maschera ancora indossata continua a fare sulla sua mandibola e su tutta la parte inferiore del viso.

«Non più, almeno.»

Lo sente terminare mentre il verde marino di quegli occhi lunghi torna a posarsi verso il basso, le lunghe ciglia che si abbassano anch’esse, estese e sottili, ad ombreggiarne la sfumatura fresca.

«Vuol dire che esistono persone immuni a questa sostanza?»

Daichi avanza la sua domanda con una tonalità che esterni potrebbero giudicare piatta, ma nel frattempo che lo fa osserva con attenzione l’espressione dell’altro, cercando in essa una qualsiasi reazione ne possa precedere una risposta. Poison non nega né appoggia la sua ipotesi, così il Cavaliere Oscuro lascia che il silenzio cali su entrambi mentre si arrischia a fare un passo in avanti, vedendo l’altro irrigidirsi istintivamente senza, tuttavia, accennare ad un arretramento.

Alla luce di quel pallido raggio ancora filtrante tra le fessure delle rocce la pelle di Poison risulta essere bianca come latte, sottile e fragile nell’apparenza, percorsa da una densa mappa di vene e capillari che corrono appena al di sotto della superficie pitturando, attraverso la linfa smeraldina che trasportano, le braccia e le gambe del metaumano di una leggera sfumatura menta. Daichi può vedere alcune delle vene più grandi creare una cartina acerba e dai confini smussati che attraversa tutte le zone scoperte del corpo del giovane, mentre quelle che colorano di un delicato verde le tempie più in alto sembrano quasi risplendere, chiare e traslucide, al punto da dare ai contorni del viso di Poison una tonalità quasi marina.

Ah.

Ecco dunque la risposta.

«Solo quelle mutate geneticamente.»

Propone, e non ha bisogno di vedere l’assenso formarsi negli occhi dell’altro per capire come la sua intuizione sia corretta.

«Eppure non può essere l’unico modo per esserne immune, o Joker avrebbe perso i suoi seguaci nel momento stesso in cui ha liberato il morbo.»

A quelle parole Poison abbassa indifferente lo sguardo, andando a carezzare distrattamente una pianta cresciuta nel frattempo accanto a lui, mentre le dita affusolate vanno a spostarsi con raffinata lentezza lungo la liscia superficie dello stelo arricciato davanti a lui. Rimane così a lungo, e nel frattempo altre piante ascendono dal terreno, creando ricami attorno alla sua figura e accogliendolo in quel riparo fresco e naturale; Batman nota l’altro sembri quasi essersi completamente dimenticato di lui, tuttavia decide che è inutile per il momento forzare la mano, preferendo rimanere a qualche metro di distanza mentre lo vede far scivolare i polpastrelli da un ramo all’altro, un accenno di sorriso a piegarne le labbra rosate.

Quel momento di flemma è però destinato a durare poco. Quando finalmente gli occhi verdemare scivolano nuovamente su di lui Daichi può vedere l’espressione morbida sfiorire rapidamente dal viso dell’altro, appassendo lentamente sino a farsi nuovamente distaccata, le mani che rimangono a sfiorare distrattamente qualche foglia scura mentre le restanti liane rimangono immobili, quasi come fossero animali in attesa, sensibili alla tensione accumulatasi nel metaumano.

«Lui gli ha fatto produrre qualcosa.»

Dichiara semplicemente, mentre ad una nuova carezza la pianta si arrotola maggiormente in una forma a spirale, alzando il fusto così da aumentare il contatto con il palmo morbido dell’altro.

«Qualcosa che Joker fa respirare a tutti i suoi tirapiedi, prima di farli uscire.»

Termina, e nel mentre lo dice il braccio viene leggermente piegato verso l’alto, così da permettere alla liana ancora arrotolata attorno al dorso di arrampicarvisi intorno, superando il gomito e risalendo lentamente verso la piega della spalla.

«… Lui?»

Prova a chiedere, senza ottenere tuttavia risposta. Che sia stato qualcun altro a trovare le formule della tesi? Che sia davvero Bokuto il responsabile, alla fin fine?

Cala nuovamente il silenzio, ed esso permane nell’aria pesante di domande e di dubbi fino a quando, nel vedere uno stivale di Daichi farsi in avanti e nello scorgere sottocchio il petto del Cavaliere Oscuro spandersi come a prendere aria e prendere nuovamente parola, Poison alza una mano, portandola in avanti ed intimando così a Batman di fermarsi.

«Fermo.»

Dice solamente, le palpebre che nel frattempo si abbassano a nascondere le iridi scure. Il Cavaliere Oscuro si arresta, ma la voce grave non tarda comunque ad arrivare, la rigida mascherata indossata che ne rende la tonalità grigia e metallica.

«Perché sei qui, Poison? Tu non lavori per lui.»

«Non importa il perché.»

Poison risponde secco, sbrigativo, e Batman non ha bisogno di studiarne il tono per intuire quanto il metaumano sia decisamente poco propenso all’argomento. Non fatica ad intuirne il motivo, dopo tutto: nonostante i tanti anni passati nella stessa città, sembra che il rapporto fra Poison e Joker non si sia mai veramente sviluppato al livello di alleati, ed i crimini ad opera di entrambi continuano ad essere piuttosto rari e quanto mai insoliti. Fra di loro sembra vigere un rapporto di non belligeranza, più che di simpatia, e seppure questo da un certo punto di vista lo metta in allerta – cosa potrebbe avere Joker che Poison possa bramare tanto da diventare suo temporaneo alleato? – rimane che, forse, questo potrebbe anche andare a suo favore. Daichi fa istintivamente un passo in avanti nel pensarlo, ma non riesce a farne un secondo che qualcosa cambia.

È un attimo: le piante del metaumano che perdono il contatto con il terreno, le liane che si avviluppano attorno a corpo del loro proprietario, ed in una manciata di istanti quella creatura eterea, flebile incontro tra intelletto umano e pura naturalità, è a mezz’aria e lontana da lui, lo sguardo che lo scruta diffidente e impassibile e la distanza che li separa ormai raddoppiata.

Sembra essere una posizione di difesa, certo; ma è anche, e soprattutto, una che favorisce un possibile attacco dall’alto. Attacco che Batman ha sperimentato più volte essere il preferito del metaumano.

«Non c’è bisogno di combattere, Poison.»

«Davvero, Batman?»

La voce di Poison sembra non differire da quella usata nelle frasi precedenti, eppure una sfumatura di attesa ne incrina appena la tonalità piatta, esponendo – forse persino inconsapevolmente – un sospetto che Batman può quasi sentire strisciare contro la sua uniforme, gli occhi stretti che continuano a studiarlo dall’alto come farebbe un animale da un dosso.

«Davvero; non sei tu quello che sto cercando, e lo sai. Dimmi dove trovare Joker, ed oggi sarà l’ultima volta che mi vedrai.»

Poison rimane in silenzio, e nell’attesa di una sua risposta le piante attorno a lui tornano a muoversi in maniera frenetica, arcuandosi maggiormente mentre dalle superfici lisce alcune spine iniziano a fiorire spontaneamente, crescendo in lunghezza pur rimanendo sottili come aghi.

«Sai che non posso farlo.»

«Sembra le mie conoscenze non siano sempre corrette. Sapevo anche tu non fossi solito allearti con Joker.»

L’espressione di Poison è indecifrabile, eppure Batman riesce a sentire la sensazione bruciante di quegli occhi su di lui, a fissarlo intensamente per secondi interi prima di espirare dalle narici, chiudendo gli occhi per una manciata di battiti prima di tornare a schiuderli verso di lui.

«E continuo a non farlo. Mi è stato chiesto di presidiare questo posto, ma non di difenderlo a costo della mia stessa vita. Facendo ciò, il mio debito con Joker sarà estinto.»

«Quale debito puoi aver accumulato con Joker per portarti a partecipare ad un piano simile?»

Poison non risponde, ma l’espressione apatica lascia per qualche secondo spazio ad una diversa, le sopracciglia che si aggrottano leggermente e l’osso della mandibola che viene stretto con appena più forza. Batman rimane immobile, ma le spalle diventano un fascio di muscoli tesi mentre il corpo si prepara istintivamente a muoversi in caso di necessità, gli occhi che slittano silenziosamente a vedere il modo attraverso cui le lunghe liane attorno al corpo di Poison siano ormai diventate edere velenose dalle spine lunghe e ricurve, l’energia accumulata che le rende vibranti e pronte a lanciarsi verso il basso al primo cenno del metaumano.

«Non è nulla che ti riguardi.»

La voce di Poison è ormai chiaramente incrinata dal disprezzo mentre parla, e il Cavaliere Oscuro può quasi sentire l’aria che respira portarsi gli strascichi di quel veleno che trapela da ogni parola. Verso chi è indirizzato quel disprezzo, però? Verso di lui, o verso il criminale dal sorriso di sangue?

«Questa non è la tua lotta, Poison. Qualsiasi cosa ti abbia promesso Joker, non ne vale la pena.»

«Non esiste nulla che Joker possa procurarsi e che mi possa interessare, Batman.»

«Cosa potrebbe darti, se non qualcosa di materiale?»

Il metaumano non risponde, rimanendo ancora fermo a mezz’aria mentre, tutto attorno, lo scrosciare delle piante contro le rocce umide crea una litania continua e sibilante. È come ascoltare un lamento lento e profondo, pensa di sfuggita Daichi; un gemito quasi, che va ad echeggiare per le pareti ripide ogni volta che le liane si arrampicano sfuggenti lungo il letto di quel fiume invisibile e che supera strisciante le rocce scure, spandendosi lungo l’alveo come un telo su una culla di morte.

«Poison, non mi interessa il vostro accordo. Ho solo bisogno di avere accesso a questo posto.»

«Perché proprio questo? Qualsiasi luogo offre libero accesso, eppure ciò non significa ti sia utile.»

Commenta, ed è una risposta disinteressata e distaccata, forse persino fredda se messa in rapporto con ciò che sta in quel momento accadendo a migliaia di esseri umani appena fuori da quella gola, poco oltre il ponte situato più a sud.

La classica risposta alla Poison Ives.

«Non avrò la certezza sia tale finché non saprò cosa ci sia effettivamente nell’aria

Il giovane rimane in silenzio, ancora nel fiore di quelle liane che sembrano cullarlo tra le verdi fronde, e proprio da loro sembra che alla fine prenda nuovamente il desiderio di tornare a reagire, la mano che va ad alzarsi a lato aspettando che una di loro si strusci morbidamente contro il suo dorso, arrampicandosi nel frattempo attorno al suo braccio.

«Se è un modo per chiedermi di cosa si tratti rimarrai deluso. Non so cosa stia usando, né dove se lo sia procurato. Come ho già detto, non sono suo alleato.»

«La GCPD ha un’ipotesi, ma non sarò in grado di validarla finché non verrà testata.»

«Un’ipotesi?»

«Un batterio, per quanto sarebbe meglio dire un insieme di batteri. Sicuramente più di un ceppo.»

«Batteri–»

Poison non commenta ulteriormente la notizia ma Daichi riesce a vedere, oltre quell’espressione di finto disinteresse, il modo attraverso cui il mento viene alzato leggermente, le narici che inspirano rumorosamente una piccola quantità d’aria mentre una velata sfumatura di irritazione scivola appena oltre la maschera di distacco indossata da Poison. La mano libera dalle carezze delle piante va a chiudersi a pugno, mentre i muscoli del braccio si contraggono sul posto, come se la notizia avesse in qualche modo sbilanciato qualche sorta di certezza avuta fino a quel momento.

«Non sapevo si trattasse di batteri. Ma ne conosco la fama: ogni giorno migliaia di loro uccidono molte delle piante presenti a Gotham.»

Dichiara infine, e Batman intuisce come finalmente sia riuscito a trovarle: poche parole, ma abbastanza per aprire uno spiraglio di dubbio nella perfetta schermatura che divide Poison dal resto del mondo. È una frattura stretta, momentanea, ma sufficiente a convincerlo nuovamente ad avanzare, le parole successive che escono lente e franche nel tentativo di arrivare il più possibile oltre quel muro di impassibilità creato dal metaumano.

«Forse so come evitare che faccia loro del male; ma non si risolverà nulla finché Joker e Due Facce continueranno ad avere la formula da replicare. Ho bisogno di sapere dove siano, e se tu»

«Non fraintendermi, Batman.»

Le labbra di Poison si schiudono appena il necessario nel pronunciare quelle parole, ma bastano a fermare nuovamente Daichi, bloccandone la lenta camminata.

«Non sono dalla parte di Joker, ma questo non significa sia dalla tua.»

Continua, e mentre sta ancora terminando di parlare un nuovo fascio di liane si avviluppano in maniera protettiva attorno ai suoi piedi, creando una spirale di muschio ed edera che sale verso l’alto a coprirgli la parte metà inferiore del corpo. Daichi scruta lentamente quei movimenti striscianti, e aspetta esse si fermino dal pulsare in maniera offensiva prima di rispondere, il tono fermo e diretto.

«Però sei dalla parte delle piante, e quello di cui stiamo parlando è un batterio. Quanto credi ci vorrà prima che inizi a corrodere l’aria al punto di renderla inospitale persino per loro?»

Ora il silenzio cala da entrambe le parti.

Gli occhi di Poison Ives sono immobili, eppure in qualche modo sembrano giudicarlo silenziosamente mentre le palpebre calano a mezza altezza sulle iridi marine, imbrunendo l’ombreggiatura della palpebra lì ove il sole non arrivi a schiarirne le tonalità. Batman vede le piante scivolare pigramente ai lati della figura del metaumano, come a chiedere consiglio su cosa debbano fare e su come si debbano comportare con l’ospite situato poco più in basso, e solo dopo una serie di interminabili minuti le vede iniziare lentamente ad abbassarsi, restringendosi con delicatezza e scivolando silenziosamente verso terra, portando con sé la figura del loro proprietario.

Rivedere Poison a terra è sufficiente a rilassare nuovamente i muscoli delle spalle di Daichi, e mentre i piedi nudi del metaumano si posano delicati sui massi muschiati la schiena del Cavaliere Oscuro torna a raddrizzarsi, abbandonando la posizione difensiva adottata istintivamente poco prima.

Non ha modo di ricominciare a parlare però con l’altro che questo si volta, dandogli le spalle e facendo qualche passo verso il letto del fiume, allontanandosi di qualche metro.

«Non so dove stia Joker–»

Lo sente dire, la voce che giunge ovattata a causa dei metri che li separano e che continuano ad aumentare ad ogni passo dell’altro, le piante ormai quasi del tutto scomparse o tornate alla terra dalla quale sono inizialmente fiorite.

« –Ma so dov’è Due Facce.»

Daichi fa un passo avanti a quella frase, ma si ferma prima di poterne fare un secondo. Seguire Poison sarebbe inutile, oltre che probabilmente controproducente: non c’è infatti bisogno di conoscere il metaumano per intuire come la vicinanza non sia esattamente qualcosa a cui sia avvezzo, e questo non contando che qualsiasi contatto con lo stesso potrebbe risultare potenzialmente nocivo, come ha avuto modo di scoprire in passato.

E con nocivo intende proprio fisicamente nocivo.

Il tipo di nocivo che uccide, se non si ha con sé un antidoto che ne contrasti gli effetti; come quello che lo ha salvato durante il combattimento allo Jezebel Center, per fare un esempio.

«Indicamelo allora.»

«Ad una condizione.»

Il metaumano si ferma per voltare appena lo sguardo, incastonando l’unico occhio blu marino visibile di profilo con lo sguardo impenetrabile di Batman, l’iride che va a studiare silenziosamente la maschera che indossa.

«Che tu non lo uccida, qualsiasi cosa esso faccia.»

Le parole vengono pronunciate con apatia, eppure il messaggio sembra essere pesante, pensato a lungo, una richiesta che richiama una sicura minaccia di scontro nel caso Batman non dovesse ottemperare all’unica istanza mandata avanti dal metaumano.

«Io non uccido.»

«Perdonerai il mio scetticismo in proposito.»

«Non cancellerei mai la vita di una persona. Non ne ho diritto, e non sono un criminale.»

«Ci sono molti modi di cancellare la vita di una persona, come ci sono molti modi di essere un criminale.»

Ed a questo segue un momento di silenzio, gli sguardi di entrambi che si scrutano attenti mentre la frase pronunciata da Poison rimane nell’aria, pesante e impermeabile alla neve che ha ricominciato a cadere leggera sul letto del fiume umido e congelato.

«Ti do la mia parola.»

«Non mi interessa tu me la dia, mi interessa tu faccia ciò che ti ho chiesto.»

«Lo farò.»

La voce di Batman è ferma mentre lo dice, e Poison si prende qualche secondo per studiarlo, cercare di vedere oltre quella maschera, capire attraverso i movimenti o – in questo caso – l’immobilità dell’altro quanto e se si possa fidare, e soprattutto se valga davvero la pena farlo.

Sembra infine giungere ad una soluzione, e dopo un ultimo silenzioso monito si volta nuovamente verso la cava che si apre fra le alture, tornando a camminare attraverso quella gola mentre l’oscurità inizia lentamente ad inghiottirlo.

«… Teatro Monarch, oltre l’Antica Cattedrale, superate le Ace Chemicals. Park Row.»

«Ti ringrazio.»

«Non farlo, non è per te che lo sto dicendo.»

Un ultimo battito di ciglia, ed infine Poison sparisce, scivolando nell’ombra di uno dei tanti canali secondari che rendono le superfici dell’angusto passo alte e irregolari. Batman rimane a fissare il punto ove è scomparso l’altro, gli occhi che studiano ancora per qualche istante le ombre in movimento mentre le orecchie si riempiono del suono cadenzato della placida natura che lo circonda, ed infine si volta anche lui, il mantello che fende l’aria mentre torna alla Bat-mobile, tirando fuori le boccette prese alla GCPD prima di insinuarsi nuovamente nella gola.

La segue per un numero imprecisato di metri, e solo quando raggiunge il termine, l’aria compressa dalla strettoia che tira con prepotenza indietro il mantello e che pone resistenza al suo avanzare attraverso le rocce dissestate, si piega a poggiarle a terra, fissandole tra i massi e aprendole una ad una.

L’antidoto è libero.

Daichi varia appena la curvatura della base, portando l’apertura dei flaconi nel verso del vento discendente verso la vallata ai loro piedi, e per una manciata di secondi si domanda se funzionerà davvero, se sia la scelta giusta da fare; lasciare liberi altri batteri può davvero essere soluzione di un problema di cui si abbiano solo teorie a riguardo? Qualcosa a cui non abbia lavorato lui, qualcosa che non esca dalle sue ricerche, qualcosa che sta posizionando sulla fiducia riposta verso qualcuno al di fuori di Asahi e Nishinoya?

Lo sguardo corre verso Gotham, ancora erta in lontananza ed oltre il lungo fiume che scivola pigramente a valle, e mentre le iridi scrutano la città di cemento e mattoni i pugni vanno a stringersi e a fare pressione sui palmi freddi, la pelle del guanto che geme appena nel contatto oppressivo con il resto del cuoio. In un attimo lo stesso freddo senso di solitudine legato alla sua infanzia ed alle sue ronde notturne sembra impossessarsi nuovamente della parte più interna del suo io, e nel fissare la metropoli in basso la mente viene invasa da pensieri scuri, da nuovi piani di azione, nuove ipotesi e nuove ricerche che certo, lo portino nuovamente in città, ma che gli permettano di tornare a lavorare sul come sconfiggere Joker a suo modo, con le sue forze, con i suoi piani.

Da solo.

Un tintinnio.

La maschera si abbassa a guardare verso terra, e le pupille si posano con attenzione sulle ampolle che lo stivale è andato involontariamente ad urtare, guardandole muoversi leggermente spinte dal vento e tintinnare al contatto con le altre. Sul lato di ciascuna di essere, la grafia di Yaku è chiaramente visibile e numera con professionale calligrafia ogni fiala, riportando il peso totale e la quantità di batteri inseriti in ogni miscela. Sono numeri, ma agli occhi del commissario di polizia devono essere sembrati una promessa, una speranza di salvare la sua città e i suoi cittadini da un incubo a cielo aperto che dalla mattina rischia di cancellare tutto ciò per cui ha lavorato tutta la vita.

Yaku Morisuke; voce portante del Gotham City Police Department.

Un uomo che non è né Asahi né Yuu.

Un uomo che ha riposto nella sicurezza della metropoli una priorità personale, prima che lavorativa.

Daichi rimane ancora qualche istante nel silenzio e nell’immobilità poi, lasciata libera la pressione alle mani, scivola nuovamente via, verso il buio che lo ha accolto all’andata. Gotham in lontananza cigola, piange, urla e si avvolge su se stessa, la pazzia che la logora dall’interno, uno strenuo attaccamento alla sopravvivenza che striscia tra le strade cercando di trattenerne le fondamenta e di attendere, forse, l’arrivo di un aiuto che venga da se stessa e dalle sue zone più scure.

Nere.

Come le ali di un pipistrello.

Prossima meta: Park Row.




- - - -

Buongiorno! ;v;)’’
Innanzitutto, mi scuso per il ritardo… Non era mia intenzione metterci tanto, ma mi sono trovata a dover risolvere in questi mesi un’infinità di problemi che mi hanno molto spenta anche dal punto di vista creativo. ;_;)’’
Lo ammetto: questo capitolo non è assolutamente il massimo. Non era nato per essere così, e questa doveva essere solo la prima parte di uno molto più ampio e che doveva avere tutt’altro argomento come fuoco principale. Purtroppo però sono finita per allargarmi troppo nel corso della scrittura, e quando ho notato che il capitolo stava diventando una cosa di una ventina di pagine mi sono fermata e ho messo a posto almeno la prima metà, che è quella che avete letto al momento! Potremmo vedere questa parte come una “pausa”, diciamo, tra i tre archi principali della storia. O un modo per rifarci gli occhi su Akaashi… Non so, a me fa morire come Poison Ives, ma sono palesemente di parte dal momento che l’ho messo io nel personaggio. (??)
Adesso siamo ufficialmente pronti ad entrare nella parte del “ti meno male”, comunque sia! Scusatemi ancora per la mancanza di azione, avrei evitato ma davvero, Akaashi non mi sembrava molto incline a combattere, e io non ho la forza di impormi su quegli occhioni da killer di cuori.
Ci rivediamo presto però, perché ho già scritto la bozza del capitolo successivo quindi devo solo correggerla…!
Promesso!
Un ringraziamento unico e speciale alle due bellissime dame che mi hanno dato la forza di continuare a pubblicare questa fanfiction, “unamoresolitario” e “Shila95”. Avete il mio cuore. (...)

  
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