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Autore: Lelaiah    24/02/2018    1 recensioni
Da diversi anni il genere umano è entrato in contatto con il mondo soprannaturale e la convivenza, nonostante alcuni alti e bassi, sembra essere tranquilla. L'arrivo del branco MacGregor a New York ha creato un grande scompiglio tra gli altri gruppi di licantropi e stuzzicato la curiosità della stampa.
Tutto quello che vuole Evan, figlio dell'Alfa del clan appena arrivato da oltreoceano, è poter vivere la propria vita in pace. Possibilmente evitando la maggior parte dei contatti col padre e ignorando le richieste egoiste della bella ed algida Crystal, sua moglie.
Nella stessa città vive anche Amanda, giovane assistente che condivide l'appartamento con la sorella Frances e il fidanzato di lei, Andrew. La loro vita scorre tranquilla, lontana da qualsiasi coinvolgimento col soprannaturale... almeno fino a quando tutti loro non si ritroveranno nel bel mezzo di un attacco perpetuato da alcuni licantropi di un clan locale.
L'inaspettata trasformazione di Drew porterà questi due mondi ad entrare in collisione. Far collimare stili di vita dissimili sembrerà ancora più difficile quando la città verrà sconvolta da una serie di omicidi, questa volta ai danni della comunità soprannaturale.
Umani e licantropi riusciranno a collaborare? E magari anche ad innamorarsi?
Buona lettura!
Genere: Azione, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Cap. 23 Ombre dal passato, ombre nel presente Wow, siamo già alla ventitreesima parte di questa storia e i nostri personaggi hanno ancora molta strada da fare ^^' e tante prove/torture a cui essere sottoposti dalla sottoscritta (ride in modo sadico).
Come capirete ben presto leggendo, questo è un capitolo abbastanza "statico": niente grandi azioni nè sangue, ma solo molte emozioni. Avrei potuto benissimo condensare le informazioni contenute qui dentro in mezza pagina oppure buttandole qua e là, ma sentivo la necessità di dar spazio alle personali di alcuni dei protagonisti.
Tra l'altro, il capitolo si è scritto praticamente da solo, quindi...
Dal prossimo aggiornamento in poi ci sarà da rimboccarsi le maniche: i muri non si ricostruiscono da soli e gli psicopatici tendono a non autoeliminarsi :D

Buona ! :)






 
Cap. 23 Ombre dal passato, ombre nel presente


   Tutte le persone che dovevano essere avvertite, in particolare datori di lavoro e amici, avevano ricevuto notizie più o meno uguali: nessuno di loro sarebbe uscito di casa per un po’ di tempo.
Quanto far durare la “degenza” sarebbe stata prerogativa personale.
Purtroppo non avevano tenuto in considerazione Eric che, ormai completamente guarito, entrò nell’appartamento come un piccolo uragano.
Più o meno tutti gli occupanti della casa stavano riposando, qualcuno se ne stava accoccolato sotto le coperte, qualcun altro semplicemente appoggiato all’imbotte di una finestra. La notte era stata tremenda e i segni erano chiaramente visibili sui loro visi e nei vestiti imbrattati di sangue.
Il giovane europeo rimase a fissare basito la scena che gli si presentava davanti, indeciso se mettersi a strillare oppure tapparsi la bocca per non farlo.
-Entra e smettila di arrovellarti.- la voce di Evan lo trasse d’impaccio, riscuotendolo.
-M-ma cosa…?- iniziò, guardandosi attorno. –Perché il palazzo è mezzo distrutto? Alst non mi ha detto nulla.
-E a ragione. Ti saresti precipitato qui urlando come un forsennato… o sbaglio?- replicò il suo capobranco.
Eric arrossì visibilmente. –Non trattarmi come un bambino!- sbottò.
Evan allora sollevò le palpebre, puntando gli occhi sul giovane affiliato. –Non ho voglia di discutere, ora come ora. Ti basti sapere che Andrew si trova nella cantina, finalmente sotto controllo e che nessuno di noi ha riportato ferite mortali.- tagliò corto.
-Avreste potuto avvertirmi…- il ragazzo incrociò le braccia al petto. Sapeva che lo consideravano poco più di un pivello, ma quello era il suo branco ora e se c’era una cosa di cui sapeva dar prova, quella era la lealtà.
-Tuo zio è stato chiaro: se ti dovesse succedere qualcos’altro, esigerà la mia testa.- replicò lo scozzese. –E’ una prospettiva che non mi alletta molto, a dir la verità.
-Lascia perdere mio zio. Si diverte a mettere in soggezione le persone.- Eric liquidò la questione con un’alzata di spalle.
Van si lasciò sfuggire un sorrisetto. –Fa molto più di questo, ma sei troppo giovane per capirlo.- disse di rimando. –Ora… ti chiedo di chiudere la porta e trovarti qualcosa da fare. Ho bisogno di riposare.- aggiunse, sistemandosi meglio contro il muro. Eric non poté fare a meno di notare la smorfia di dolore che gli attraversò il viso.
-E un letto non sarebbe più adatto allo scopo?- si ritrovò a chiedere.
MacGregor riaprì un occhio. –Sono tutti occupati.- e con questo pose fine alla discussione.
Eric rimase ad osservarlo per qualche istante, convincendosi sempre di più che la prima impressione avuta sul capitano fosse completamente sbagliata. Mettere i bisogni del branco al primo posto, anche se significava semplicemente cedere un letto, era una qualità fondamentale per essere un buon Alfa.
Evan poteva sembrare ruvido e poco incline a lasciarsi coinvolgere, ma ogni tanto lasciava trapelare la sua vera natura, quella nascosta sotto la corazza. Eric non aveva idea di come fosse prima di arrivare a New York, ma era sempre più certo che quella fosse una facciata.
Solo David sembrava conoscere il vero carattere dello scozzese e non faceva altro che ricordargli i bei vecchi tempi, nel tentativo di riaccendere quel fuoco.
“Aleksandr aveva ragione, in fin dei conti. In lui c’è più di quello che si vede.”, pensò con un sorriso mesto. Esitò ancora un attimo, poi uscì lentamente dall’appartamento, deciso a raggiungere Andrew.
Il minimo che poteva fare era aiutarlo nel momento del bisogno.


   Sapeva che non stava dormendo.
Non più, almeno. E avvertiva il pressante desiderio di chiederle spiegazioni.
Proiettò la propria aura all’esterno, sondando l’ambiente che lo circondava.
Poteva ancora percepire la presenza di Alst e Frances nella cantina, intenti a discorrere su quale fosse il metodo migliore per accudire il giovane Andrew. Distolse l’attenzione da quella conversazione per concentrarsi sull’interno dell’appartamento.
Mentre saliva le scale incrociò Eric, diretto verso il piano seminterrato: le intenzioni che lo animavano erano scritte a caratteri cubitali sul suo viso.
Gli sorrise brevemente, felice che, a conti fatti, non fosse un damerino senza spina dorsale e proseguì la propria ascesa.
“Attento alle domande che porrai.”, la voce di Evan s’insinuò furtiva nella sua mente. Di nuovo, sorrise. “Un Alfa non ha tempo di riposare.”, lo sentì aggiungere, in risposta alla sua domanda inespressa.
“Dovresti. Te lo sei meritato.”, replicò.
Riuscì a vederlo mentre sbuffava, assolutamente in disaccordo. David gli aveva sempre invidiato quel profondo senso del dovere verso gli altri: lui aveva impiegato decenni per abbandonare il proprio menefreghismo.
“Dovremo trovare una sistemazione alternativa. Questo appartamento è troppo piccolo.”, Van passò ad un argomento più neutrale.
“Non ti crucciare. Ti ricordo che sono un architetto.”, gli fece presente Dave.
Era ormai arrivato al pianerottolo dell’appartamento di Amanda e si concesse un momento d’esitazione, valutando i pro e i contro di quello che stava per fare. Evan non lo interruppe, probabilmente perché non riteneva necessario il proprio intervento.
L’inglese gliene fu grato e, dopo aver lasciato passare qualche altro istante, si decise finalmente a varcare la soglia.
Una volta dentro non poté impedirsi di guardare verso Van. Scorse il luccichio dei suoi occhi, segno che era vigile, ma nient’altro avrebbe rivelato il suo stato vigile.
Attento a non svegliare Amanda, il lupo attraversò il soggiorno e sparì tra le ombre del corridoio. Ci mise poco ad individuare la camera da letto, dato che le porte erano solamente due.
-Entra…- la voce di Emily gli arrivò sommessa. Fece come gli era stato detto e scivolò all’interno come fosse fatto di fumo, senza produrre il minimo rumore.
L’ambiente si trovava in penombra, ma per i suoi occhi non fu un problema individuare le due figure che occupavano il letto. Blake se ne stava tutto accoccolato in grembo alla zia, finalmente al sicuro, mentre lei gli accarezzava la testolina scura, traendo molto più conforto da quel contatto di quanto avrebbe mai ammesso.
-Come state?- David decise di iniziare con qualcosa di semplice.
Emily si strinse nelle spalle. –Scossi, ovviamente. Ma Blake è riuscito ad addormentarsi e questo è un bene.- rispose lei.
-Questa cosa ha scosso parecchio anche te… emotivamente parlando.- l’inglese spostò il peso da una gamba all’altra, nervoso.
Capendo dove volesse andare a parare, l’americana si lasciò sfuggire un sorriso amaro. –Vuoi sapere il perché del mio comportamento?- chiese allora.
David si avvicinò lentamente al letto, in attesa di un rifiuto da parte di Emily. Quando questo non arrivò prese posto all’angolo opposto a dove si trovava lei, in modo da non invadere il suo spazio vitale o disturbare Blake.
-Lo scontro che c’è stato con Andrew ha riportato alla mente ricordi che vorrei poter estirpare dalla memoria.- iniziò, stringendo con forza il copriletto. David non sapeva a cosa si stesse riferendo, quindi si mantenne in silenzio. –La morte di Evelyn.- rivelò infine la giovane donna.
Quelle poche parole lo colsero di sorpresa: aveva capito che fosse qualcosa di importante, ma non aveva capito lo fosse così tanto. –Non sei obbligata a parlarne.- disse, mettendo le mani in avanti.
-Il vaso è stato aperto, ormai.- mormorò. –E parlarne non mi farà di certo male.
-Rivangare il passato può essere doloroso.- la contraddisse Dave.
Si fissarono in silenzio per alcuni istanti, valutandosi a vicenda. Emily era quella nuova,  entrata nel branco con l’inganno. David era l’amico fidato, il braccio destro dell’Alfa.
Non potevano ricoprire due ruoli più diversi.
-E’ successo mentre ero di ronda.- lanciò una rapida occhiata al suo interlocutore per poi abbassare lo sguardo. –Ricordo ancora l’irritazione: ero stata assegnata ad una staffetta per controllare che la consegna di quel giorno andasse a buon fine.
-Con staffetta intendi quel tipo di staffetta?- volle sapere l’inglese. La storia aveva già preso una brutta piega.
-Sì. Droga.- confermò lei.
-Perché sei coinvolta…- tentò di domandare, ma venne zittito.
-Non importa. Lasciami continuare, per favore.- disse. Percependo l’enorme sforzo che stava facendo, David l’assecondò. –Grazie… come ti stavo dicendo, ero fuori di ronda. Non vedevo l’ora di tornare indietro e passare del tempo con la mia famiglia: quel giorno era il compleanno di Blake.
-Blake era lì?!- senza poterselo impedire, David trasalì.
Emily annuì gravemente. –Evelyn stava preparando una torta per lui. Al contrario di me, lei è sempre stata brava in quelle cose… ed era migliorata notevolmente da quando era diventata mamma.- si lasciò sfuggire un sorriso, negli occhi la malinconia per un tempo che mai avrebbe potuto tornare.
Dave guardò brevemente il piccolo lupo e poi tornò a concentrarsi su sua zia. –Cos’accadde?
-Jared aveva comprato un regalo al suo prezioso erede, come era solito chiamarlo. Ma assieme a quello si era fatto anche una striscia e aveva preso qualcosa anche per Eve.- Emily puntò lo sguardo sul muro, cercando di non farsi sopraffare.
Era la prima volta in assoluto che condivideva quell’esperienza con qualcuno, un estraneo per di più. Ma sentiva che poteva fidarsi di David e, soprattutto, che erano affini.
-Tua sorella si drogava?
-Sì. Purtroppo è sempre stata un animo tormentato, anche se era una persona estremamente posata. Incontrare Jared non l’ha aiutata.- ammise. –Prendeva qualche allucinogeno, ma nulla di più. La coca è arrivata con lui.
-Ma perché..?- David non si capacitava della scelta della giovane.
-Era malata terminale: la licantropia può molte cose, ma non sconfiggere un tumore. Gli allucinogeni l’aiutavano a liberarsi di parte del dolore.- confessò con voce tremante.
Il riccio si morse l’interno della guancia, dandosi dello stupido. Aveva già iniziato a giudicare Evelyn senza nemmeno conoscere a fondo le sue ragioni. –Io… mi dispiace…- riuscì solamente a dire, confuso.
-L’unica cosa positiva è che adesso dovrebbe essere libera da quel dolore.- replicò Emily. La voce le si era incrinata a metà frase, ma era riuscita comunque a terminare, lasciando che le sue parole si espandessero nel silenzio della camera.
-E’ stata la droga ad ucciderla?- dopo un po’ David decise di azzardare una domanda.
La sua interlocutrice scosse il capo. –No. E’ stato Jared.
Il giovane tornò a farsi confuso. –Non capisco.- dovette ammettere.
-Quel giorno Evelyn si rifiutò di prendere la dose di cocaina, dicendo che non voleva essere fatta di fronte a suo figlio. Mi aveva confessato di aver smesso di assumere droghe subito dopo aver scoperto di essere incinta, anche se quello l’aveva fatta ripiombare nel dolore.- raccontò, cercando di delineare al meglio le intenzioni della sorella. –A Jared la sua risposta non piacque e l’attaccò.
-Quell’uomo è un mostro.- commentò disgustato l’inglese. Gli prudevano le mani tant’era forte il desiderio di stringerle al collo del licantropo.
-Sì e la droga non faceva altro che renderlo più imprevedibile. Hanno lottato, ma alla fine lui l’ha scaraventata contro la grande finestra del loro loft.- disse lei. –Io ero appena rientrata dal mio giro di ronda.
David non chiese altro: poteva benissimo immaginare l’orrore provato alla vista del corpo esangue di Evelyn. E la rabbia verso Jared, che probabilmente era rimasto a guardare il risultato delle sue azioni come una divinità soddisfatta del proprio operato.
Mentre cercava di reprimere la furia che lui stesso stava provando, si rese conto che Emily stava cercando inutilmente di non piangere.
L’aura rossa che aveva circondato ogni cosa nel suo campo visivo svanì, lasciandolo disorientato. –Emily…?- allungò una mano verso di lei, pentendosi di aver chiesto.
Ma lei scosse la testa e racimolò la forza per sorridergli. –Grazie, David.- disse in un sussurro.
-Ti ho fatta piangere.- obiettò.
-E’ vero. Ma ne avevo bisogno.- replicò, asciugandosi una lacrima.
Si alzò, impacciato. Non aveva previsto di poter scatenare una tale reazione e non aveva assolutamente immaginato cosa potesse celarsi dietro lo strano comportamento della lupa.
Lasciò vagare i pensieri, cercando di capire cosa fare.
Poi, senza poterselo impedire, dalla sua bocca uscirono le seguenti parole:-Lascia che ti la mia storia.

***

    Erano passati diversi anni dalla sua prima trasformazione.
Quella notte aveva creduto di essere stato posseduto dal demonio e aveva rischiato di uccidere sua madre. Aveva fallito soltanto perché l’odore dei cavalli era così forte da riempirgli le narici e l’aveva condotto lontano dalla stalla.
Eleanor l’aveva trovato disteso in mezzo ai cespugli di caprifoglio che crescevano ai confini della tenuta di famiglia. David era completamente imbrattato di sangue e tremava così forte che la donna temette gli si sarebbero spezzati i denti.
Senza una parola l’aveva avvolto in una coperta e l’aveva fatto alzare, conducendolo verso il maniero. Lui si era lasciato guidare, docile.
Una volta al sicuro tra le mura domestiche, Eleanor si era presa personalmente cura del figlio, allontanando la servitù. E tra i vapori di un bagno ristoratore gli aveva raccontato la verità.
   Ricordava quel momento come fossero trascorse appena poche ore, invece erano ormai sette anni.
Sbuffando, David lanciò un altro sasso nel fiume Lea. Era nervoso a causa dell’ennesimo litigio col padre e la vicinanza col plenilunio lo rendeva ancora più irritabile.
-Smettila, te ne prego.- si sentì pregare.
Lasciò cadere la pietra che stava per lanciare per poi rivolgersi al giovane al suo fianco. –Scusa se non riesco a controllare le mie emozioni…- brontolò.
L’altro gli dedicò una lunga occhiata, distogliendo lo sguardo dal libro che stava leggendo. –Se ti è così difficile la convivenza con tuo padre, allora vattene.- gli suggerì.
Il giovane aristocratico alzò un sopracciglio. –Per andare dove, Evan?
-Ovunque.
Scuotendo la testa, l’inglese si passò una mano tra i capelli ricci. –Per te è diverso. Tu non hai nessun tipo di dovere verso la tua famiglia.- replicò.
Evan si raddrizzò, abbandonando definitivamente la propria . –Tu credi?- lo guardò divertito. David se ne accorse e gli lanciò un’occhiata interrogativa. –Devo portare avanti la genealogia, ricordi?
-Come se fosse una cosa così sgradevole.- fu la risposta dell’altro. Sapeva che l’amico aveva a sua volta problemi col padre, ma in quel momento desiderava solo sfogarsi.
Van rimase in silenzio, evitando di commentare con tono sprezzante, ma non poté impedirsi d’irrigidire la postura. Notandolo, Dave s’affrettò a scusarsi, dandosi dello stupido.
“So essere proprio infantile, a volte.”, si rimproverò mentalmente.
Rimasero in silenzio per qualche minuto, poi MacGregor disse:-Fai valere la tua posizione. Non con la forza, ma con l’intelligenza.
-E se non dovesse ascoltare?- chiese l’altro.
-Nel branco di mio padre c’è spazio anche per un sassenach* altolocato come te.- Evan si lasciò sfuggire un sorrisetto. Quel ghigno gli valse uno spintone da parte dell’amico, ma sortì anche i suoi effetti.
Poco dopo David si alzò ed annunciò la propria partenza.

   Per tutto il tragitto non fece che ripetersi mentalmente le parole che voleva dire al genitore.
Sapeva che doveva mostrarsi deciso, ma non aggressivo. Albert I, Earl di Chorleywood, avrebbe contrattaccato al minimo accenno di sfida, rimettendo al suo posto il figlio riottoso con poche, taglienti sillabe.
Era quasi arrivato davanti alla porta dello studio che il padre era solito usare per dilettarsi nella , quando il suo fine udito colse i frammenti di una conversazione.
Si fermò e si mise in ascolto, non potendone fare a meno.
-Perché non gli permetti di rendersi utile? David non è uno sprovveduto.- sua madre protestò con vigore.
-Certo che lo è. Spreca il suo tempo a disegnare, ignorando il mondo circostante.- replicò aspramente suo padre.
-David sta coltivando il talento che gli è stato dato.- Eleanor passò rapidamente davanti alla porta socchiusa, aggirando la scrivania di legno massello per avvicinarsi al marito.
Albert fece una pausa, scrutandola. –Così come sta coltivando il suo amore per il demonio?- replicò, velenoso.
-Non ti permettere!- il rumore di uno schiaffo spezzò l’immobilità dell’aria.
David sgranò gli occhi, stupito. Di cosa stavano parlando?
-Immagino che sia già arrivato a quello stadio. Da qualche anno, ormai.- continuò il conte, indefesso. -Come suo padre prima di lui.
Il giovane aggrottò le sopracciglia, ancora più confuso. Perché i suoi genitori stavano discutendo di adorazioni del demonio? E perché suo padre usava la terza persona, parlando di se stesso?
-Avrei dovuto tagliarti la gola la prima notte di nozze…- la contessa di Chorleywood aveva preso a tremare, i pugni stretti per la rabbia. David la poteva vedere perfettamente dalla fessura tra le due ante, in piedi di fronte al marito.
“Cosa sta succedendo, qui?”, si chiese, avvicinandosi di qualche passo.
Aveva sempre creduto che, nonostante gli alti e bassi del loro rapporto, i suoi genitori si rispettassero e provassero affetto l’uno per l’altra. Non amore, quello no: sapeva che il loro era stato un matrimonio di convenienza.
Invece, quella conversazione smentiva tutte le sue convinzioni…
-Non avresti potuto farlo. Dovevi difendere il tuo piccolo lupo.- Albert schernì la moglie.
“Lui sa!”, realizzò all’improvviso, sobbalzando.
La figura minuta di Eleanor si mosse all’improvviso, slanciandosi in avanti coi pugni serrati. –Sei un mostro! Volevi strapparmi l’anima dopo aver schiacciato il mio cuore!- lo aggredì.
Ridendo malignamente, l’uomo le bloccò i polsi. –Alexander era un abominio. E tu non avresti dovuto infatuarti di lui.
-Alexander era un licantropo! Il solo abominio che vedo, sei tu!- in un impeto d’ira, la contessa riuscì a liberarsi e graffiare il viso di quello che non aveva mai considerato suo marito.
Albert l’allontanò bruscamente da sé, portandosi la mano alla guancia. –Tu! Traditrice del tuo sangue..!- allungò le mani, pronto ad afferrarla.
Di fronte a quella scena David vide rosso. La bestia dentro di lui ruggì, infuriata, e lo spinse con foga all’interno dello studio. –Non osare toccarla!- ringhiò, bloccandogli entrambe le mani. La porta alle sue spalle sbattè sonoramente contro il muro per poi rimbalzare indietro, ruotando sui cardini ben oliati.
-D-David!- sua madre sussultò, colta di sorpresa. Davanti a lei, il conte di Chorleywood se ne stava immobile, il respiro accelerato.
David le lanciò una rapida occhiata. –Madre, andatevene.- ingiunse.
Ma lei si oppose. –No. Cosa vuoi fare?
-Dargli quello che si merita.- rispose con voce metallica, trasfigurando la propria mano destra. Interruppe il contatto visivo con la sua genitrice e lo puntò negli occhi dell’uomo che aveva di fronte. Non suo padre, non Albert Spencer.
Semplicemente, un uomo.
-No! Non diventerai un assassino!- Eleanor non volle sentire ragioni e si aggrappò con forza al suo braccio. Suo figlio cercò di liberarsi, ma non voleva ferirla. –Non sei una bestia assetata di sangue.
-Forse dovrei esserlo.- considerò il giovane, tornando a fissare quello sconosciuto che aveva chiamato padre. Il lupo dentro di lui ringhiava e uggiolava, assaporando già il sapore del sangue e l’ebbrezza dell’uccisione.
Gli sarebbe bastato poco, un semplice gesto per porre fine alla sua inutile vita. Così poco.
“Mi hai mentito per tutto questo tempo. Mi hai disprezzato. Hai ucciso il mio vero padre.”, quei pensieri si susseguivano veloci nella mente di David.
Albert Spencer non poteva udirli, ma li vedeva trasfigurare il viso del giovane, che pian piano assomigliava sempre più a quello di una bestia demoniaca.
Quando sembrava che la sua vita fosse appesa ad un filo, una figura irruppe rapidamente all’interno della stanza, gridando il nome di David con quanto fiato aveva in gola.
Tutti i presenti si voltarono, colti di sorpresa.
La tensione che fino a quel momento si poteva tagliare con un coltello esplose come una bolla di sapone.
Il primo a riprendersi fu proprio il giovane inglese, che ringhiò qualcosa tra i denti e poi tornò a fissare la propria preda. -Non te lo permetterò.- Evan non si diede per vinto e chiuse le dita forti attorno al braccio dell’amico, mentre Eleanor si spostava per lasciarlo fare.
-Non hai il diritto di fermarmi!
-Tua madre mi ha chiesto di esserti amico. E gli amici fanno anche questo.- replicò, proiettando la propria aura verso quella del moro.
Dave tremò, respingendo il primo attacco. –Non…- iniziò. La bestia ringhiò e tentò di ribellarsi, infuriata.
-Lascialo andare.
Scosse la testa, sentendo la bestia farsi di colpo confusa. Aveva ancora il battito accelerato e respirava in modo rapido e superficiale, ma l’alone rosso che era calato su di lui si stava lentamente alzando.
-Devo vendicare mio padre…- provò a protestare.
Evan lo afferrò per le spalle, facendogli mollare la presa sul collo di Albert. –Lo sarà.- gli promise. –Ora vieni con me.

***


   David tornò al presente con un singulto.
Sbattè le palpebre diverse volte, ancora profondamente immerso nei ricordi. Emily, accanto a lui, lo fissava basita.
-Non volevo sconvolgerti…- mormorò il Beta.
-David… io…- non trovava le parole per esprimere il proprio dolore.
-Non lo uccisi.- disse solamente.
Lei si bloccò, ricacciando indietro una lacrima. –Cosa successe dopo?- chiese invece.
-Evan mi portò lontano dalla tenuta per farmi calmare.- raccontò, gli occhi fissi sul muro davanti a sé. –Poi arrivò mia madre e mi svelò quello che era accaduto ventiquattro anni prima.
-Ti raccontò di Alexander?
Annuì. –Sì… mi raccontò di come si erano innamorati. Lui era un semplice borghese, un gran lavoratore, mentre lei era destinata a sposare un duca per volere della famiglia. Ma nonostante le premesse, Alexander riuscì a conquistarsi il favore del conte e, alla fine, la sposò.- si concesse un sorriso. Ripensare alle parole della madre gli stringeva il cuore, ma al tempo stesso gli dava conforto.
-Immagino fossero felici, insieme.- mormorò Emily. Senza poterselo impedire accarezzò brevemente la testolina scura di Blake, ancora profondamente addormentato.
-Eccome. I primi anni del loro matrimonio furono molto felici…- assicurò. –La mia nascita, poi, portò loro ulteriore gioia.
Vedere quel sorriso triste sul viso dell’inglese le fece male. –Cosa… cosa accadde… dopo?
-Albert si era invaghito di mia madre… e dei soldi della sua famiglia.- le lanciò una breve occhiata. –Aveva scoperto che Alexander era un licantropo e così assoldò un cacciatore per ucciderlo.
-Che cosa spregevole.- commentò Emily, amareggiata.
-Una volta ucciso il lupo, fu facile appropriarsi di ciò che rimaneva della sua famiglia con la forza e il ricatto.- concluse cupo.
-Tua madre l’ha fatto per salvarti da morte certa…- iniziò col dire Emily.
-Non la incolpo di niente. Io stesso avrei considerato l’idea, se mi fossi trovato nella sua stessa condizione.- ammise.
-Dopo che te ne fosti andato… cosa successe?- domandò allora lei.
Dave lasciò vagare i ricordi, tornando ai giorni immediatamente successivi la sua fuga. Aveva provato così tanto odio nei confronti di quell’uomo, che la bestia aveva preso il controllo del suo corpo per alcune notti.
Solo sua madre aveva potuto qualcosa contro la sua rabbia e, con calma, aveva chetato il lupo.
Ma quando era tornato in sé, era ormai tutto finito.
-Evan uccise Albert al posto mio. Lo fece per impedirmi di macchiarmi del suo sangue.- disse solamente, guardando Emily direttamente negli occhi.
Rimasero a fissarsi per alcuni istanti, poi David decise che era arrivato il momento di togliere il disturbo. Si alzò con un movimento fluido e mormorò:-Cerca di riposare.
La lupa lo guardò uscire in religioso silenzio, turbata da quanto aveva appena udito.
Di nuovo nel soggiorno, Dave si concesse un momento. Chiuse gli occhi e si passò le mani sul viso per scacciare i ricordi amari.
-Non eri obbligato a farlo.- sentì sussurrare.
Sorrise mesto. –Ho ritenuto giusto farlo. Mi è sembrato necessario.- rispose.
-Dopo tanti anni riesci ancora a sorprendermi.


     Si era approssimato il più silenziosamente possibile, temendo di poter disturbare il riposo del giovane lupo. Era molto probabile che Andrew si trovasse in uno stato comatoso, al momento, ma non voleva comunque destabilizzarlo.
Rimase un attimo a fissare immobile i danni causati dal combattimento e poi, impressionato dalla porta di metallo sfondata, s’incamminò lungo il corridoio che dava accesso alle cantine.
Percepì subito la presenza di un’altra persona e si fece cauto.
-Disturbo..?- chiese, bussando sullo stipite in acciaio.
La figura all’interno si voltò di colpo, sobbalzando. –Oh… ehm… credevo che…- iniziò a farfugliare, sfregandosi nervosamente gli occhi.
Eric sollevò le mani, cercando di apparire innocuo. –Mi dispiace. Credevo che Andrew fosse solo.- si scusò.
-Tu saresti…?- si sentì chiedere.
-Eric, faccio parte del branco. Sono l’ultimo acquisto.- si presentò, sfoggiando il suo sorriso più accattivante. Non voleva far colpo sulla ragazza, ma semplicemente rassicurarla circa le sue buone intenzioni.
-Ah… sono Frances, piacere.- gli sorrise brevemente, lanciando poi una rapida occhiata alla sagoma di Andrew, steso dietro di lei. –Non si è ancora svegliato.- aggiunse, alludendo proprio al lupo.
Il giovane europeo si mise le mani in tasca, non sapendo bene cosa dire. –E’ normale. La prima luna è difficile per tutti.- buttò lì.
Frances annuì distrattamente, mantenendo il contatto visivo con il grosso canide. Il suo disagio era palese, così come il suo desiderio di essere altrove.
-Tu sei la fidanzata di Andrew, vero?- se ne ricordò in quel momento. Sorpresa, lei annuì. –Gli manchi molto.- aggiunse poi, addolcendo il tono.
Sperava che quelle parole potessero calmarla un po’, ma sortirono l’effetto contrario.
Frances s’irrigidì tutta e si portò una mano alla bocca nel tentativo di non piangere. Eric fece per allungare una mano, intenzionato a stabilire un contatto, ma lei non glielo permise.
Sussurrò una scusa e si defilò rapidamente, uscendo poco dopo in strada.
Il licantropo rimase a fissare il punto in cui si trovava fino a poco prima, inebetito. “Ma cos’ho detto di male?”, si chiese sinceramente confuso.
“Non è colpa tua…”, la voce s’insinuò nei suoi pensieri all’improvviso.
Sobbalzò come se gli avessero dato la scossa e si voltò verso l’interno della cantina. –Andrew?- fece, stupito. –Non credevo che fossi cosciente. Vuoi che avverta qualcuno?
Il grosso lupo aprì lentamente un occhio per poi scuotere lentamente la grossa testa. Saggiò la propria forza cercando di muovere una zampa, ma quella rispose a malapena. “Cosa mi succede?”, volle sapere.
Non sembrava spaventato, semmai stanco.
-Hai esaurito le energie.- fu la risposta.
Drew chiuse gli occhi, sospirando. Era la soluzione più ovvia e lui l’aveva scartata a priori, temendo che ci fosse qualcosa di ben più grave. Una paralisi permanente, ad esempio.
-Riesci a tornare umano?  
Sollevò lentamente le palpebre, osservando quello che lo circondava. La cella era esattamente come la ricordava, anche se ora la luce esterna penetrava dalla bocca di lupo superiore e l’aria entrava ad intervalli regolari dalla porta divelta.
Provò a racimolare le forze necessarie per cambiare forma, ma il suo corpo si rifiutò di obbedire. Dopo vari tentativi andati a vuoto fu costretto a scuotere la testa.
-Oh… va bene. Devi concederti del tempo per recuperare le forze.- le parole di Eric volevano essere incoraggianti, ma alle orecchie di Andrew fu l’ennesima riprova della sua inettitudine.
“Amanda sta bene, vero?”, chiese dopo alcuni attimi di silenzio.
Eric alzò gli occhi al soffitto e poi tornò a guardarlo. –Sì… credo abbia preso una bella botta, ma non ho visto né percepito sangue.- lo rassicurò.
“Ed Evan? David?”, volle sapere.
L’europeo non poté trattenere una smorfia. –Poteva andare peggio.- si limitò a dire. Drew lo fulminò con l’unico occhio aperto. –Braccio rotto e vertebra incrinata.- fu costretto a rivelare.
“Per fortuna non ho ucciso nessuno.”, sospirò, grato.
Facendosi coraggio, Eric entrò nella cella di detenzione e si appoggiò alla parete di fronte alla branda, esattamente davanti alla versione animale di Andrew. –Non devi sentirti in colpa. Affrontare la luna piena è difficile per qualsiasi giovane lupo e tu eri umano fino a poche settimane fa.- gli disse, ripetendo quello che aveva già detto anche a Frances.
“Questo non mi è d’aiuto.”, la creatura arricciò leggermente il labbro superiore in un gesto d’insofferenza. Nonostante giacesse inerme su un fianco poteva ancora usare le espressioni facciali per esprimere le proprie emozioni.
Se si poteva parlare di espressioni in riferimento ad un lupo.
Vedendo che le sue parole non sortivano nessun effetto, Eric si passò una mano tra i capelli. –Sapere che anche io ero un Omega potrebbe aiutarti, invece?- lo disse fingendo noncuranza, come se quel ruolo non gli pesasse.
Drew sgranò gli occhi, stupito. “Tu, cosa? Davvero?”
Annuì lentamente. –Secondo mio zio si deve iniziare dal basso.- confermò.
“Non lo augurerei a nessuno.”, commentò l’altro. Diventare l’Omega era stata la disgrazia più grande che gli fosse capitata da quando era diventato un licantropo.
-Il ruolo dell’Omega è molto importante nel branco. Soprattutto se questo è vecchio e si regge ancora sulle vecchie tradizioni.- rivelò.
“Può essere vero per un branco di lupi, ma non per i licantropi…”, ribatté l’americano.
-Oh, no. Vale anche per i licantropi.- assicurò. –Nel mio branco d’origine l’Omega era il lupo fisicamente più debole, ma in grado di compensare con l’ingegno. Grazie a lui le tensioni interne non sfociavano mai in combattimenti e, per questo, gli era assicurata protezione permanente.
Il lupo assunse un’espressione perplessa. “Non capisco…”
-Un branco privo di tensioni è un branco efficiente ed efficace. Inoltre, ognuno può dedicarsi a ciò che vuole, senza doversi costantemente guardare le spalle.- spiegò. –All’inizio anche io ero confuso e molto arrabbiato: non capivo perché dovessi ricoprire quel ruolo quando sentivo di poter essere un Pretendente.
“Pretendente? Ad un altro ruolo?”, domandò Andrew.
-Esatto. Al ruolo di Gamma.- confermò. –Ci sto ancora lavorando, però.- ammise subito dopo, ridacchiando.
“E cos’è successo?”, la curiosità del giovane stava aumentando, così come la sua attenzione.
Eric ne fu contento, perché significava che lo stava distraendo dandogli modo di dimenticare, anche se per poco tempo, quello che l’aveva tanto sconvolto.
-Essere Omega è una propensione naturale: se l’individuo scelto non ha questa vocazione, allora avanzerà naturalmente di ruolo, lasciando il posto ad un altro lupo.- disse. –Ma mentre si è in carica si possono scoprire molte cose, prima tra tutte come tenere sotto controllo una ventina di licantropi su di giri.
Il lupo arricciò il naso. “Io devo tenerne a bada solo uno.”, si lasciò sfuggire un breve ringhio.
-Prima di pensare alla vendetta sarebbe meglio acquisire maggior controllo sul tuo nuovo corpo, non credi?- buttò lì l’europeo. –Posso aiutarti. L’intero branco può.
Andrew non rispose, abbassando gli occhi chiari. Sapeva che Eric aveva ragione e che il branco sarebbe stato lì ad aiutarlo in qualsiasi momento, ma lui desiderava solamente il supporto di una persona.
“Frances.”
-Non puoi obbligarla ad accettarti.- mormorò Eric. –Ma puoi dimostrarle che si sbaglia e che il lupo non è più pericoloso dell’uomo.
“Perché mi dici questo? Ora come ora non ho bisogno di un discorso d’incoraggiamento, ma…”, bloccò il pensiero del suo interlocutore sul nascere. –Hai bisogno di qualcuno che creda in te e ti ami per come sei.- gli disse, spiazzandolo.
Drew lo fissò dritto negli occhi, immobile, poi abbassò le orecchie e uggiolò leggermente.
Non sapendo cosa fare per migliorare l’umore del giovane, Eric si fece scivolare lentamente lungo il muro, fino a sedersi a terra. Si lappò le labbra, indeciso su cosa dire e poi si passò una mano tra i capelli, arruffandoli.
Alla fine sospirò ed esordì dicendo:-Avevo una sorella che amavo con tutto me stesso… ma ormai sono sei anni che non c’è più.
Andrew si fece vigile, aprendo gli occhi e puntando le orecchie nella sua direzione. “Mi dispiace…”, la sua voce fu poco più di un sussurro.
-E’ morta a causa della mia inesperienza come Omega.- confessò, lanciandogli una breve occhiata. Non aveva mai parlato con nessuno di quello che era successo, nemmeno coi suoi genitori. Loro sapevano, ovviamente, ma non immaginavano nemmeno quanta fatica gli costasse indossare la maschera di strafottenza che si era costruito.
Forse nemmeno suo zio Aleksandr poteva capire.
“Non capisco…”, per la seconda volta il suo interlocutore ammise i propri limiti.
-Alina era completamente umana e per questo era vista come una cosa preziosa, da proteggere ad ogni costo. Tutti nella mia famiglia stravedevano per lei ed io con loro.- si lasciò sfuggire un sorriso amaro mentre i ricordi gli invadevano la mente. –Le piaceva pattinare sul ghiaccio. Ogni occasione era buona per recarsi al lago e trascinarmi con sé.- aggiunse subito dopo, ridacchiando.
Sentì pizzicare il naso, ma ignorò ostinatamente il nodo che gli stringeva la gola. Non avrebbe pianto: non era quello lo scopo del suo racconto. “E quale sarebbe, invece?”, si chiese, confuso.
Lanciò una rapida occhiata al suo interlocutore che, immobile, stava aspettando la parte successiva. –All’epoca vivevamo in Russia e se c’è una cosa da sapere sui licantropi russi è che sono estremamente venali e territoriali.- continuò, riprendendo da dove si era interrotto.
“Vi hanno attaccato?”, chiese Andrew in un soffio. Iniziava a temere un risvolto assai crudo per la storia.
-Avevamo sconfinato mentre pattinavamo… e io, come un pivello, non me n’ero accorto.- disse, stringendo con forza i pugni. Ricordare quella parte della storia gli faceva sempre montare la rabbia: rabbia per la propria stupidità e avventatezza. –Ci hanno circondato in poco più di dieci minuti.
Vedendo l’altro in difficoltà, Drew provò a fermarlo. Si agitò leggermente, lasciando uscire un tremulo uggiolio. “Non devi, se non vuoi.”, pensò.
Il giovane Kinsey sembrò non averlo udito, troppo preso dai suoi stessi ricordi. –Ho provato a tenerli a bada comportandomi come mi avevano insegnato, come un Omega, ma fu tutto inutile.- s’interruppe, trattenendo il respiro. Nella sua mente non c’era spazio per nulla che non fosse il bianco della neve e il rosso del sangue. –Sono tornato a casa con più ferite di quante potessi contare e il corpo di Alina tra le braccia.
Andrew non seppe cosa pensare: in confronto il suo sembrava un dramma da poco. -Ma lo sai cos’è che mi fa più male, di tutta questa storia?- si sentì chiedere. Lentamente e con un enorme sforzo, sollevò il capo. –Ha continuato a ripetere che si fidava di me. Per tutto il tempo, anche mentre mi massacravano di botte e lei affondava in uno stupido buco creatosi nello strato di ghiaccio. Si fidava di me come fratello e come lupo, nonostante fossimo caduti preda di un branco di licantropi.
Gli occhi verdi del giovane incontrarono quelli azzurri del lupo e, per qualche istante, tra loro passò qualcosa: condivisione, compassione, impotenza.
Il primo a rompere il contatto fu Eric, che distolse lo sguardo per puntarlo sulla superficie liscia del pavimento. Sentiva ancora il bisogno di piangere, ma non l’avrebbe fatto davanti ad un uomo emotivamente debilitato dalla sua prima trasformazione.
Andrew, invece, si sentiva svuotato. Si sarebbe paragonato volentieri ad un guscio vuoto, se solo non si fosse sentito al tempo stesso così vivo.
Era come se qualcuno l’avesse liberato da un grosso peso, sostituendolo con una nuova consapevolezza. La bestia dentro di lui sembrava essersi assopita, esausta, e l’uomo poteva finalmente riprendere il controllo.
Il limbo in cui era rimasto bloccato svanì come neve al sole e, in men che non si dica, avvertì le ossa scricchiolare. Lasciò che la natura facesse il suo corso, provando poco dolore in confronto alle trasformazioni precedenti.
Quando infine ebbe riassunto la forma umana, l’unica cosa che disse fu:-Grazie.
Per poi piegarsi su se stesso e lasciar libero sfogo alle lacrime.
  
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