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Autore: tatagma_    28/02/2018    4 recensioni
Park Jimin lavora come cameriere in uno dei ristoranti più ambiti di tutta Seoul. La sua è una vita stabile, circondata da amici, divertimento ed un grande sogno nel cassetto: quello di diventare un ballerino professionista. Tutto cambia quando incontra Jeon Jungkook, figlio di un importante avvocato, ribelle, trasgressivo e con un forte desiderio di libertà. [Jikook _ accenni Namjin _ surprise!]
Genere: Angst, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Jeon Jeongguk/ Jungkook, Jung Hoseok/ J-Hope, Kim Seokjin/ Jin, Park Jimin
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: nessuno
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Nothing like Us


 
“If one day you wake up and find that you're missing me 
and your heart starts to wonder where on this Earth I could be ,
Think maybe you'll come back here to the place that we'd meet,
you'll see me waiting for you on the corner of the street.
I’ve never moved”.

 
 
In quella ventosa e fredda sera di fine settimana il locale si era presentato più affollato del solito. Hoseok aveva appena finito di sbrigare, con quella gentilezza che tanto lo rappresentava, l'ultimo cliente della giornata; uno di quelli abituali, che passavano lì dopo il lavoro solo per bere qualcosa, gettarsi alle spalle lo stress di una cattiva giornata e per scambiare qualche chiacchiera con la prima persona capitata di turno. Quei giorni prima di San Valentino erano frenetici come non mai, Hoseok proprio non capiva perchè le persone si riducessero a quell'unica ed insulsa festa per celebrare un sentimento che andrebbe invece coltivato attimo dopo attimo: era ormai abituato a vedersi circondato dall'amore, coppie di ogni età, cene a lume di candele, rose impeccabilmente rosse, proprio quella sera aveva assistito ad una dolcissima proposta di matrimonio. L'unico pensiero che gli faceva stringere i denti e lo teneva ancora in piedi – ed ancora sveglio – era quello che di lì a poco sarebbe tornato finalmente a casa per godere il meritato riposo e le feste del suo cagnolino Micky.
 
Erano passati tre mese da quando il capo gli aveva assegnato dei turni a dir poco massacranti, da quando Jimin aveva dato di punto in bianco le sue dimissioni, “sono dovuto partire per Busan, un’emergenza” aveva detto senza fin troppe spiegazioni. Ma Hoseok , seppur si mostrò sorpreso quanto il resto dello staff dinanzi quell'ambigua telefonata, sapeva che dietro l'improvvisa fuga di Jimin si nascondevano ben altre ragioni, le quali il destino volle incrociassero ben presto anche il suo di cammino.

 
“Oppa qui ho finito, le sale sono tutte pulite!” disse Mina, l’aiuto cameriera che il signor Choi aveva assunto in assenza di Jimin e che stava adesso sotto la supervisione di Hoseok.
 
“Grazie Mina-ssi va’ pure”, rispose il rosso “Alla chiusura ci penso io”.
 
“E a lui ?”, chiese la ragazza indicando un cliente ubriaco accasciato al bancone del bar.
 
Hoseok seguì il suo indice e sospirò con rassegnazione non appena lo vide, “Anche a lui ci penso io”.
 
“Allora ci vediamo domani”, si congedò lei con un accenno di sorriso. “Buonanotte Oppa”
 
“Buonanotte Mina, grazie ancora”.
 
La graziosa ragazza andò via, scomparendo di tutta fretta verso la porta d’ingresso. Una volta rimasto solo, quasi al buio ed avvolto da un profondo silenzio, Hoseok spense le luci della cucina e si tolse il grembiule da lavoro appendendolo nel suo armadietto personale; raccolse lo zaino, il giubbotto ed una volta indossati, pronto ad uscire, si avvicinò al bancone del bar per svegliare dal sonno etilico quel cliente ormai abituale che restava lì fermo, seduto sullo sgabello in compagnia di un bicchiere di whiskey fino all’orario di chiusura. Da due mesi a quella parte era come vivere una scena a ripetizione. Ogni sera, da quando Jimin era andato via, era sempre la stessa storia.
 
“Jungkook ?”, il rosso lo scosse dolcemente “Forza bello è tardi. Ti riaccompagno a casa”
 

Il minore si mosse emettendo un mugugno, “Lasciami in pace … hyung”.
 
Hyung. Ad Hoseok faceva ancora uno strano effetto sentirsi chiamare in quel modo da lui. Il suo lavoro lo portava spesso ad essere spettatore della vita privata dei suoi clienti, ad intraprendere delle volte conversazioni del tutto disinteressate consapevole che si sarebbero limitate ad essere soltanto quello: futili chiacchiere da bar. Su quel bancone i clienti, solitamente dinanzi a bottiglie intere di alcolici, erano soliti riversarci fallimenti, segreti, persino delle lacrime, ma nessuno di quelli era riuscito a vedere al di là dello spesso legno d'acero, ad accorgersi che prima ancora di un semplice cameriere, Hoseok poteva essere un amico.
 
Nell’ultimo mese di assenze, Jungkook questo lo aveva capito. Sera dopo sera aveva imparato a conoscere non il JHope che il locale tanto stimava, ma soltanto il dolce e sincero Jung Hoseok. Aveva imparato ad apprezzare il reale valore dell’amicizia, per la prima volta ad ascoltare e sentirsi ascoltato. Non importava se lui fosse in servizio o meno, per Jungkook non faceva alcuna differenza, sapeva che se fosse andato lì e sarebbe scoppiato a piangere all’improvviso, raccontandogli ancora una volta quanto male si sentisse e quanto Jimin gli mancasse, quel ragazzo lo avrebbe portato nell’ufficio e gli avrebbe preparato un tè caldo senza giudicarlo ne reputarlo stupido o noioso. Perché Hoseok teneva a Jimin, ma in quei giorni condivisi assieme scoprì di tenere – al di là dei suoi errori – anche un po' a Jungkook.  

 
“Basta, hai bevuto abbastanza per oggi”, Hoseok gli tolse il bicchiere da mano e tastò le tasche della sua giacca “Dove hai messo le chiavi della macchina ?”
 
Jungkook alzò un dito facendo roteare il portachiavi, abbassandolo non appena il rosso cercò di afferrarle “Non portarmi a casa Hobi, ti prego” lamentò con un fil di voce “Non voglio passare un’altra notte da solo …”
 
Kook andiamo, è l’una passata, devo chiudere il locale”
 
“Fammi stare da te … per favore … ti prometto che domattina all’alba me ne vado”

 
Il rosso si portò una mano sugli occhi e sospirò, “D’accordo, ma che sia l’ultima volta intesi ?”
 
Jungkook annuì e si tirò in piedi lentamente, reggendosi al bancone a causa della testa vorticante e dolorante. Il maggiore si fece carico del suo peso, mettendosi un suo braccio attorno al collo ed aiutandolo a far sì che le sue gambe non cedessero. Riuscì a chiudere la saracinesca del ristorante e a portarlo fin dentro la sua macchina; Hoseok si sedette al lato del conducente, restando ancora una volta affascinato dalla bellezza di quell’auto. Nemmeno con la somma di cinquanta stipendi sarebbe stato in grado di permettersene una come quella.
 
“Mi fa male tutto – ”, mormorò Jungkook accanto. “ – La testa, lo stomaco, le gambe”

 
“Se devi vomitare fa pure, tanto la macchina è la tua”
 
“Figurati se mi importa …” rispose lui “Ci ho fatto anche di peggio qui dentro … soprattutto dove sei seduto tu”
 
Hoseok alzò le mani dal volante con un’espressione disgustata, scoppiando poi a ridere quando vide il minore sorridere e farsi chiaramente beffa di sé. “Sei uno stronzo anche da ubriaco. Ti farei dormire volentieri nella cuccia di Mickey”.
 
“Adoro quel cane … te l’ho mai detto ? Dovrei prenderlo anche io … un cane, e magari chiamarlo –“
 
“ – Non ci pensare neanche!” lo interruppe il maggiore puntandogli un dito contro.
 
Jungkook gettò le spalle allo schienale, “Mi manca hyung … mi manca da morire. Potrei strapparmi il cuore dal petto per quanto batte forte ogni volta che penso a lui … ai suoi occhi … alle sue labbra”
 
“Lo so Kook, l’amore fa proprio schifo”
 
“No … sono tutte stronzate. L’unico a fare schifo qui sono io”
 
“Smettila, okay ?” lo esortò in tono più conciliante “Non puoi continuare a tormentarti così, non ti fa bene. Hai fatto degli errori Jungkook, è vero, ma lascia che ti dica una cosa: tutti li facciamo, nessuno di noi è perfetto!”
 
“Jimin lo era … lui era … tutto” Jungkook esitò non appena sentì il magone opprimergli nuovamente la gola “Credi che … credi che tornerà, Hobi ?”
 
“Lo farà” rispose lui continuando a tenere lo sguardo fisso sulla strada “Sono quasi certo che lo farà”.
 
Nel giro di pochi minuti, Hoseok arrivò nel suo quartiere residenziale e parcheggiò la Mercedes di Jungkook a poca distanza dalla palazzina a tre piani. Aprì la portiera, dopo aver spento il motore, e si apprestò a raggiungere il minore dall’altro lato, il quale presuntuosamente, pur di non lasciar trapelare ulteriori debolezze, stava già scendendo da solo. Si reggeva in piedi a malapena, il viso magro e pallido valorizzato solo da profondi solchi viola posti al di sotto degli occhi. Hoseok lo resse per le spalle e lo guidò dentro l’ascensore, salendo fino a raggiungere il suo appartamento. Non appena la chiave girò nella toppa, e la porta si aprì, Mickey corse ai suoi piedi scodinzolando ed abbaiando, felice di veder finalmente il suo padrone tornato a casa. Il rosso salutò il cagnolino con veloci carezze sul dorso ed accompagnò Jungkook dritto nella sua stanza. Lo aiutò a spogliarlo del cappotto e delle scarpe, e a metterlo a letto rimboccandogli le coperte.
 
 “Ci stai provando gusto ad avermi nel tuo letto”
 
“Lo sai che ci dormi soltanto perchè il divano è scomodo” rispose il maggiore sistemandogli il cuscino “Se provi ad abbracciarmi di nuovo, credendo sia Jimin, giuro che ti prendo a calci”
 
Jungkook chiuse gli occhi, “Mi si rannicchiava sempre contro il petto quando dormiva. Adorava farsi accarezzare i capelli da me, riesco ancora a sentire il suo profumo Hyung … sembrava sempre così … così piccolo tra le mie braccia.”
 
Hoseok si bloccò sull'arco della porta non appena sentì quei ricordi così intimi fuoriuscire nostalgici dalla sua bocca. Si voltò a guardarlo in viso, pregando che non scoppiasse nuovamente a piangere ma l'unico suono che gli giunse da sotto quell'ammasso di coperte fu – per buona sorte – solo il suo respiro pesante. Jungkook dormiva ormai profondamente, crollato tra le braccia di Morfeo nella speranza di ritrovare Jimin almeno lì nei suoi sogni. Il rosso spense l'abatjour sul comodino e socchiuse piano la porta alle sue spalle. Si sedette sul divano del salotto, prendendo Mickey sulle proprie gambe, ed accese la televisione nella speranza che il sonno raggiungesse presto anche lui. Le riflessioni però presero presto il via libera e Hoseok proprio non riuscì a darsi pace, a smettere di pensare alla situazione in cui si era calato, a quanto odiasse vedere Jungkook ridursi in quello stato: ubriacarsi per alleggerire la mente, farsi del male per provare a riempire almeno un minimo quell'orribile voragine che aveva adesso al posto del cuore. Di fatti, senza neanche troppi sensi di colpa, infischiandosene altamente del fatto che potesse crear disturbo e che fosse notte ormai fonda, il rosso afferrò il cellulare dalla tasca dei jeans e compose al volo un numero. Se ci fosse stata anche solo una cosa che avrebbe potuto fare per aiutarlo, si giurò che l'avrebbe fatta.
 
Dopo due squilli, una voce sommessa bisbigliò dall’altro capo del telefono,  “Hobi ?”
 
“Jin – ” mormorò lui passandosi una mano fra i capelli “ – Scusa, mi dispiace chiamarti a quest’ora”.
 
“No, tranquillo”, rispose “Ero di là con Jimin, mi assicuravo stesse riposando”
 
“Come sta ?”
 
“Bene – ” Jin esitò, quasi come se stesse controllando che nessuno potesse sentirlo. “ – o almeno finge. Cerca di stare a casa il meno possibile ed evita qualsiasi confronto con me o con Namjoon. Vuole farmi credere che fili tutto liscio, che Jungkook si sia semplicemente volatilizzato dalla sua testa, ma in realtà ha un accumulo di rabbia dentro di sé, Hobi,  che non riesce a tirar fuori in altro modo se non restando chiuso in sala danza tutto il giorno …”
 

“A questo proposito –“ rammentò Hoseok “ – E’ proprio di Jungkook che volevo parlarti”
 
“Che succede ?”
 
“Succede che in questo momento è ubriaco fradicio e dorme di nuovo nel mio letto”
 
“Dannazione …” imprecò il maggiore.
 
“Già …”, il rosso esalò un sospiro a sua volta “Non possono più continuare così, Hyung, hanno bisogno di rivedersi, di metterci un punto o una virgola a questa storia. Jungkook si sta distruggendo con le sue stesse mani, ogni sera viene al ristorante sperando di trovarlo al di là del bancone. E’ a pezzi !”

 
Lo sa ?
 
Che siete tornati a Seoul ? No, certo che no, ho tenuto la bocca chiusa ma non so per quanto posso ancora reggere”
 
“Sarei disposto a tutto pur di vedere Jimin felice”
 
“Non puoi Jin –“ lo interruppe lui prima che potesse anche solo accennare un obiezione “ – non puoi proteggerlo per sempre”.
 
“È vero, hai ragione. Non posso …”,  Jin restò in silenzio per qualche secondo. “Ma forse c’è qualcos’altro che possiamo ancora fare” disse infine.

 

 
 
“You had the drink, take a toke, watch the past go up in smoke.
You fake a smile, lie and say you're better now and your life is okay.
But it's not
 
 
 

Il lato negativo dell'essersi ubriacato solo poche volte in vita sua era che Jungkook non metteva mai in conto quanto potesse essere orribile il post-sbornia il mattino seguente. Quando si svegliò alle luci del giorno ormai inoltrato, le tempie gli pulsavano incessanti e la testa sembrava quasi sul punto di spaccarsi a metà per il troppo dolore. Aveva un sapore disgustoso in bocca, il che non faceva che aumentare ancor di più il suo senso di nausea. Un piede uscì fuori dalle coperte poggiandosi sul pavimento freddo, Jungkook batté le palpebre e diede un'occhiata alla stanza illuminata che subito non riconobbe come la propria. Si alzò faticosamente tenendo le mani alla parete per sostenersi, proseguendo poi a tentoni lungo il corridoio fino a raggiungere la cucina.
 
Il minore trovò Hoseok poggiato al bancone intento nel leggere le ultime notizie dal cellulare, una tazza di caffè stretta nell’altra mano. Dal momento che non toccava cibo dalla sera precedente e la sua gola aveva ingerito soltanto fiumi di alcool, un’abbondante colazione lo attendeva fumante sulla tavola apparecchiata, ma per quanto Jungkook apprezzasse le sue attenzioni ed amasse le uova strapazzate al mattino, inspirarne il solo odore non fece che incrementargli la tremenda sensazione di voltastomaco.
 
“Buongiorno, raggio di sole” disse il maggiore non appena lo vide “Hai un aspetto orribile”
 
“Lo so” mormorò lui accasciandosi su una sedia.
 
“E puzzi di whiskey”
 
“So anche questo” precisò. “Mi sento uno schifo, come se un tir mi fosse appena passato sopra in retromarcia”
 
Hoseok riempì una tazza con del caffè amaro e gliela porse “Bevi questo, ti farà sentire meglio”.
 
“Grazie” Jungkook la prese con entrambe le mani e sorseggiò appena, “Ho … ho detto qualcosa stanotte ?”
 
“Stranamente no, sei rimasto fermo come un sasso. Da quanto non dormivi così ?”
 
“L’ultima volta nemmeno me la ricordo”
 
Il cellulare di Hoseok prese a tintinnare, una valanga di messaggi in entrata invasero la sua casella di posta, il minore si massaggiò la fronte infastidito da quel rumore implacabile “Dio … hyung metti a tacere quell’affare, mi sta trapanando il cervello”
 
Il rosso scrollò le notifiche sullo schermo ed alzò poi lo sguardo verso di lui, “Hai da fare stasera ?” chiese.
 
“Ti ho già detto di no, Hobi” scosse la testa “Non ci verrò al karaoke con te. Stasera voglio solo guardare kdrama con Maru ed ingozzarmi di gelato alla banana fino ad esplodere”
 
“Peccato …” Hoseok sospirò con un sorriso stampato sulle labbra “Credevo invece ci tenessi a rivedere Jimin

 
Jungkook spalancò gli occhi e per poco non si strozzò con il caffè   “E’ … qui ? Jimin è … tornato a Seoul ?”
 
“Stasera all’accademia di danza c’è la sua cerimonia di diploma. Mi dispiace rovinare il tete-à-tete con il tuo gatto, Maknae, ma mollerai i kdrama, la vaschetta di gelato e verrai con noi”.
 
“Non posso hyung …” il minore sfoderò un sorriso a metà bocca “Jimin mi odia e questo è il giorno più importante della sua vita. Non posso rovinarglielo”
 
“Sono certo che Jimin non ti odi affatto, Kook. E’ solo arrabbiato, e non puoi biasimarlo, chiunque al suo posto lo sarebbe”
 
Jungkook si rigirò la tazza vuota fra le mani, “Sono l’ultima persona che vorrebbe vedere lì, lo sai anche tu” mormorò.
 
Hoseok si piegò sulle ginocchia alla sua stessa altezza “Non ti getterei in mezzo ad una gabbia di leoni per niente … ti fidi di me ?” gli domandò.
 
“Certo che mi fido di te hyung”
 
“Allora dopo andrai a casa, metterai il tuo completo migliore e verrai a quella dannata cerimonia, siamo d’accordo ?”
 
Il moro non parve pienamente convinto, ma annuì lo stesso abbozzando un sorriso “Penserai tu a proteggermi da Jin, vero ? Quel tipo ha le spalle grandi quanto il mio armadio e sai … al momento credo di non stargli tanto simpatico”
 
“Tranquillo, Jin non ti ucciderà – ” disse Hoseok, “ – dopotutto l’idea di farti venire lì è stata sua”.
 

Non si sentiva meritevole di ricevere tutta quell'accortezza da parte sua. Jungkook non sarebbe mai stato grato abbastanza per tutto quello che il suo hyung aveva fatto nell'ultimo mese – e che stava ancora facendo – per lui. Seppe a pieno cosa volesse dire avere un ancora di salvezza accanto a sé, di che forma e colore potesse essere quell'utopica luce che si vedeva in fondo al tunnel. Hoseok, in quell'arco di tempo, non gli aveva mai dato motivo di gettare via la spugna ed aveva sempre trovato mille modi per risollevargli il morale nonostante lui ritenesse la sua vita sentimentale giunta ormai al capolinea e non volesse far altro che crogiolarsi nei pensieri dolci e disegnare nella mente i lineamenti del volto smussato di Jimin ancora e ancora, finché non sarebbe stato abbastanza. Ma pensare al suo Jimin, immaginarlo arrossire dinanzi ad un complimento, ricordare le sue labbra mettere il broncio per un bacio non dato, non era mai abbastanza per Jungkook.
 
Riprese a poco a poco il pieno delle energie e, non appena il mal di testa fu un po' meno battente, Jungkook salutò il dorso Micky con delle carezze, il rosso con un abbraccio e levò il disturbo facendo esattamente quanto da lui suggeritogli. Tornò a casa nel primo pomeriggio, quella casa silenziosa, luminosa, in cui aveva vissuto da sempre ma che improvvisamente sembrava fin troppo grande e dispersiva per accogliere la quotidianità di una sola persona. Jungkook gettò le chiavi e il cappotto sul divano e percorse il corridoio denudandosi strada facendo dei vestiti sporchi e raggiungendo il bagno, gettandosi senza troppe esitazioni sotto il flusso dell'acqua calda. Quella sera avrebbe rivisto Jimin, Minnie così come lo chiamava lui, ed il solo pensiero gli faceva tremare le ginocchia e palpitare il cuore. Non sapeva dire con certezza cosa provasse.

 
Era felice ? Forse
 
Agitato ? Decisamente
 
Spaventato ? Da morire
 
Jungkook restò sotto la doccia finché non sentì i muscoli contratti della schiena sciogliersi e la stanza attorno a sé diventare un'unica e fitta cappa di vapore. Si avvolse nell'accappatoio una volta uscito e raggiunse la sua camera da letto restando, per ore interminabili, impalato come una statua dinanzi la cabina armadio. Il suo letto fu sommerso ben presto di abiti, giacche, camicie e pantaloni di ogni tipo e colore, certo di star sfiorando la soglia di una crisi di nervi circondato da tutta quella stoffa.
 
Con quegli enormi occhi verdi e la coda che oscillava all’insù, Maru appollaiato ai piedi del letto fissava il suo padrone correre da una parte all’altra della stanza e presentarsi dinanzi lo specchio ogni volta con un completo diverso. Quando Jungkook finalmente uscì dalla cabina – elegantissimo – in abito nero e dolcevita, il micio miagolò e a lui quello sembrò proprio il consenso ‘divino’ che tanto aspettava.
 
“Dici che mi sta bene ?” chiese sistemandosi prima la giacca, passandosi poi una mano sugli occhi per la domanda stupida che aveva appena posto.Stai davvero chiedendo consiglio al tuo gatto, Jungkook ?

 
Si guardò riflesso e volteggiò su se stesso per diverse volte prima di decidere che quei vestiti andavano bene. Jungkook diede attenzione ad ogni suo minimo particolare e quando si sentì finalmente pronto, si sedette sul divano del salone ed aspettò che si facesse l’ora giusta per andare, ingannando i minuti fra un episodio e l’altro del suo drama preferito: il soldato Junjeol aveva appena dichiarato il suo amore alla principessa Heejin sotto un albero di ciliegio, dopo una folle corsa contro il tempo, e Jungkook dall’altro lato dello schermo non riuscì a non farsi sfuggire delle lacrime dinanzi quella scena toccante.
 
“Fanculo” sussurrò spegnendo la televisione.
 
Il moro fissò l’orologio sul polso e sentì subito una morsa d’acciaio stringersi attorno lo stomaco. Non aveva la più pallida idea di come la serata si sarebbe svolta o conclusa, sapeva soltanto che doveva andare, che doveva rivederlo. Jungkook prese le chiavi della macchina e si precipitò fuori. L’accademia di danza si trovava proprio al centro di Seoul, la strada la ricordava ancora, ci aveva accompagnato Jimin una volta. Una moltitudine di persone attendeva fuori l’ingresso, Jungkook parcheggiò la macchina e scese da essa sentendo man mano che si avvicinava il cuore perdere battiti e sperando – invano – di veder spuntare fra tutta quella gente una piccola testa bionda.
 
La testa che invece gli si palesò davanti non fu bionda, bensì rossa. Quella di Hoseok. “Sapevo che Jungkookie non mi avrebbe deluso!” disse lui con un sorriso non appena lo vide. “Hey ma … Hai gli occhi arrossati, hai pianto?”
 
Jungkook si strofinò gli occhi, “Ma che pianto, che diavolo ti salta in mente”
 
Hoseok si portò le mani sui fianchi, “Hai guardato di nuovo “Amore al di là dei confini” non è così ?”

 
“Abbassa la voce” mormorò lui guardandosi intorno.
 
“Anche il mio ragazzo guarda quel drama – ” disse una profonda voce alle loro spalle che Hoseok riconobbe subito come quella di Namjoon “ – E finisce sempre col piangere come un bambino”.
 
“Io non piango come un bambino” replicò Jin affiancandolo, le sue spalle ancor più grosse di quanto Jungkook ricordasse, rese ancora più evidenti dall’elegante ed attillato vestito di sartoria che indossava “Sono un attore, mi calo nel personaggio” Jin salutò Hoseok e guardò poi Jungkook accanto abbozzando un sorriso decisamente forzato.

                                                                                 
Namjoon lo colpì alle costole con il gomito, un segnale che Jin conosceva bene e che stava ad indicare ‘Cerca di non ucciderlo e di essere invece gentile’. “Non abbiamo mai avuto modo di conoscerci, sono Namjoon”, si sporse lui con la mano.
 
Il moro la strinse flebile, “Jeongguk” rispose.
 
“Sei teso come una corda di violino coniglietto, rilassati” notò Jin piegando il capo “Domani mi ringrazierai”.
 
“Per … per cosa ?” domandò.
 
Il maggiore gli mollò una pacca sulla spalla ed avanzò con lui verso l’ingresso, “Vedrai” rispose.

 
I quattro ragazzi subentrarono nell'angusto teatro dell'accademia, seguiti dai rispettivi amici e familiari dei diplomanti di quella sera. Jin aveva fatto riservare l'intera terza fila sottopalco aggiungendo solo all'ultimo minuto – e all'oscuro di Jimin – un posto anche per Jungkook. Il moro sprofondò nella poltrona guardandosi attorno, Hoseok seduto accanto a lui avvertì appieno il suo stato irrequieto e cercò nell'attesa di alleggerirlo raccontandogli del disastro che il piccolo Micky aveva combinato in casa mentre lui era al lavoro; Jungkook d'altro canto a stento lo ascoltò, la sua attenzione era tutta focalizzata sul palcoscenico ancora coperto dal sipario rosso mattone, ansioso di vedere cosa di lì a poco sarebbe accaduto davanti a sé.
 
 Quando tutti furono all’interno e le luci si spensero, il sipario si alzò e lo spettacolo che anticipava la cerimonia di diploma ebbe finalmente inizio. Jungkook osservò le esibizioni passargli avanti una per una, limitandosi soltanto ad applaudire poiché di danza lui non ci capiva assolutamente niente. Scrutò a fondo il viso di ogni ballerino che metteva piede su quel palco alla ricerca del suo di viso. Per un attimo ebbe quasi paura di averlo dimenticato, si chiese se il suo naso fosse ancora così piccolo, i suoi zigomi ancora così pronunciati. Jungkook vide la scena chiudersi nuovamente e Jin alla sua sinistra poggiargli una mano delicata sulla gamba. Una musica sprigionò dagli altoparlanti, violini, Jungkook la riconobbe dal primo rintocco: era la stessa su cui Jimin ballò la sera in cui l’aveva baciato per la prima volta. Un brivido gli attraversò la spina dorsale, il cuore prese a battergli all’impazzata, il moro fissò il sipario alzarsi ed una luce illuminare al centro la figura composta di Jimin. Era vestito esattamente come quella volta, in jeans chiari strappati sulle ginocchia ed una larga camicia bianca sbottonata sul petto. Ma il dettaglio che più fece perdere battiti a Jungkook fu il suo colore di capelli, non più biondi, ma di un rosa pallido.

 
Jimin ballò sotto i suoi occhi nascosti, flettendo il corpo e seguendo incantato il suono della musica come fosse quello di un pifferaio. I suoi movimenti erano aggraziati, naturali: un’estensione della gamba flessibile, il suo viso segnato dall’entusiasmo del momento ma anche dalla grinta e dalla rabbia che invece lui nascondeva all’interno. Il ballerino stava rendendo tutti partecipi delle sue emozioni, la sua danza stava raccontando una storia, la loro storia. Jungkook giurò di riuscire a sentire fin dentro le ossa tutto il suo rammarico, come uno schiaffo dato in pieno volto, un ferita riaperta che lasciava riaffiorare passo dopo passo il dolore lancinante che aveva provato quel maledetto giorno. Quando la musica terminò, la sala esplose in un fragoroso applauso. Seokjin si alzò fiero, dando inizio a quella che fu una vera e propria standing ovation. Jimin si avvicinò al margine del palco, inchinandosi con una mano sul cuore e ringraziando tutti i presenti per l’affetto appena dimostratogli.
 
Jungkook guardò i suoi due solchi preferiti nascere sulle sue guance e si sentì morire dentro per quanto quel sorriso gli fosse mancato. Jimin era bello come il sole, più di quanto il moro ricordasse, il viso luminoso solcato da scie di lacrime cadute giù dall'emozione. Quella bellissima luce raggiante però ben presto si spense, il ragazzo si voltò a mani giunte verso i suoi migliori amici e si pietrificò non appena lo sguardo cadde su di lui; Jimin sperò fosse il buio della sala a dargli quell'illusione, era così abituato a vedere ovunque qualsiasi cosa gli ricordasse Jungkook che non sapeva ormai più distinguere il vero dall'irreale. Quella però non fu un'allucinazione, Jungkook era proprio lì in piedi accanto a Jin. Le sue labbra si schiusero dalla shock, i suoi polmoni smisero di raccogliere aria e quelli del moro sembrarono fare altrettanto; i loro occhi si incatenarono gli uni negli altri come se ricordassero esattamente a quale parte del mondo appartenere, come se non si fossero mai abbandonati prima. Se da un lato Jungkook sperò anche solo per un attimo che lui provasse il suo stesso subbuglio, dall'altro Jimin aveva imparato bene a non lasciarsi sopraffare più dall'istinto, a far sì che quel cuore che – era convinto gli avrebbe presto reciso lo sterno – battesse contro il vuoto. Tutto intorno a loro smise di far rumore, Jimin e Jungkook si fissarono per attimi interminabili ricreando quella bolla, quella casa, in cui non riusciva ad esistere altro se non loro due. Jimin indietreggiò piano, scuotendo la testa, ed abbandonò quel palco non appena le luci si spensero.

 
Il moro si morse un labbro, cercando di trattenere invano le lacrime che sapeva presto avrebbero invaso i suoi occhi. “Non posso restare …” mormorò facendosi largo tra la fila. “Non posso …”
 
“Jungkook ?” lo chiamò Jin “Jungkook dove vai, aspetta!” disse afferrandolo per un braccio.
 
“Non ce la faccio Jin!” rispose lui strattonandolo. “Mi dispiace!”
 
Jin lo guardò correre via, “Sei uno stupido idiota Jeon” mormorò non appena se ne andò.
 
Jungkook raggiunse casa in un battito di ciglia, sbattendo la porta d'ingresso ed accasciandosi a terra con la schiena contro lo stipite. Il suo gatto corse ad accoglierlo come faceva ormai da sempre, con quel muso buffo e le zampette che riecheggiavano ad ogni passo sul parquet. Lo guardò strusciarsi attorno le sue gambe e miagolare pretenzioso di carezze, Jungkook lo prese in braccio e se lo portò in grembo, abbracciandolo come se Maru fosse davvero l'unico in grado di volergli bene nonostante tutte le orribili cose che aveva fatto. Avrebbe tanto voluto dare sfogo a quell'esplosione dentro di sé, gridare, piangere, qualsiasi cosa lo aiutasse a smettere di tremare. Rivedere Jimin non aveva fatto altro che confermargli ancor di più ciò che già sapeva: lo amava da morire ma era tutto troppo tardi. Aveva visto il modo in cui lo guardava, la delusione sul suo viso e il cuore prese a fargli davvero troppo male. Se aveva avuto anche solo una speranza che le cose si aggiustassero, quella fu la certezza assoluta che ciò non sarebbe mai accaduto.  

 
Si alzò da terra facendo scendere il micio dalle sue braccia e, dopo aver gettato il cappotto lì da qualche parte, Jungkook si trascinò dritto nella sua stanza lasciandosi poi cadere sul letto a peso morto. Restò in quella posizione per qualche minuto, con la faccia premuta contro il cuscino dopodiché scostò le coperte raggomitolandosi al di sotto senza nemmeno spogliarsi dei propri abiti. Voleva soltanto metter fine alle voci nella sua testa e cadere in un sonno profondo, ma il destino ce l'aveva con lui, tutto ce l'aveva con lui, persino il cellulare che da qualche minuto non smetteva più di suonare. Jungkook lo prese dalla tasca dei pantaloni con tutta l'intenzione di lanciarlo contro il muro ma si fermò non appena notò che, fra tutti i messaggi preoccupati di Hoseok, uno era da parte del suo Minnie. Il moro lo aprì con il cuore in gola, aspettandosi parole letali come coltelli, ma le sue aspettative furono miracolosamente deluse stavolta più che mai..
 
“Grazie … i fiori sono davvero belli”, citava il messaggio.
 
Jungkook sollevò un sopracciglio. Fiori ? Quali fiori ? Ci pensò su per qualche secondo dopodiché scosse la testa iniziando a sorridere fra sé e sé.“Jin” sussurrò mordendosi il labbro.
 
“Sono contento ti siano piaciuti”rispose.
 
C’erano tante altre cose che Jungkook avrebbe voluto scrivergli in aggiunta: quanto sembrasse delicato quando ballava, quanto fosse bello con quel nuovo colore di capelli, quanto il suo letto invece sembrasse troppo grande senza di lui. Jungkook sospirò e fissò le due strisce di messaggi, stava per posare il cellulare sul comodino quando vide in chat comparire tre puntini in basso a sinistra, segno che Jimin stava digitando ancora qualcosa.
 
“Ti va di vederci al solito posto domani ?”, scrisse.
 
Il moro rilesse quel messaggio altre trecento volte prima di rendersi conto che sì, Jimin gli stava davvero chiedendo di incontrarlo. La sua testa era ancora lì ad elaborare ed a chiedersi quale fosse la cosa giusta da dire, le dita presero invece a digitare da sole incoscienti. Mente e cuore completamente sconnessi l’una dall’altro, la risposta non si fece affatto attendere e con grande sorpresa del maggiore, Jungkook accettò il suo invito.


 

 
 Everything that you’ve done in front of my eyes it’s a complete darkness
Even so, I keep hoping.
Even at the end, if you’re with me, I’m okay.
 


 
Jimin scese dall'autobus dirigendosi a passo svelto verso la piccola – ma accogliente – caffetteria posta a qualche isolato di distanza dalla propria accademia. Non era un caso che avesse deciso di incontrare Jungkook proprio lì, in quel piccolo locale. Quando le mattine erano frenetiche e i loro rispettivi lavori non disponevano di eccessivo tempo libero da trascorrere insieme, i due ingannavano spesso la monotonia della loro pausa pranzo in quel posto, consumata fra risa e baci rubati, sguardi fugaci e dita intrecciate timide sotto il tavolo. L'ambiente era fresco, le torte erano deliziose e il caffè ... beh il loro caffè era il preferito di Jungkook.
 
Non appena arrivato, Jimin spinse la porta a vetri ed entrò nel locale facendo tintinnare appena le campanelle poste sull'uscio. Un odore propagato nell'aria di muffin al cioccolato e di yakgwa appena sfornati invase presto le sue narici provocandogli un leggero brontolio di stomaco, il rosa si guardò intorno ispezionando i tavoli uno ad uno e trovando, solo nell'ultimo in fondo la sala, Jungkook seduto ad aspettarlo. Il giovane avvocato indossava un trench nero accompagnato al di sotto da una semplice camicia bianca aperta sul petto di due bottoni. Jimin restò per una manciata di secondi fermo ad osservarlo, la testa china sul suo stesso cellulare e le dita frenetiche sullo schermo che sapeva erano intente nel superare un livello di quello stupido gioco che tanto adorava. Jungkook era in anticipo rispetto l'orario prestabilito ed era ... bello ... così bello che Jimin quasi parve dimenticarlo.

 
Il rosa lo avvicinò piano, avvertendo solo allora il cuore tremargli in sincrono con i battiti dei suoi passi. "Ciao ..." mormorò arrossendo.
 
Jungkook distolse lo sguardo dal cellulare e spalancò gli occhi non appena lo vide, alzandosi goffamente dalla sedia quasi portando le ginocchia a sbattere contro lo stesso tavolo, "Hey!" esclamò.
 
“Scusa se ti ho fatto aspettare” disse lui sopprimendo una risata.
 
“Non importa, tranquillo” rispose il moro risiedendosi e porgendogli un bicchiere a due mani “Ho preso qualcosa anche per te, spero non ti dispiaccia”
 
"No, è okay ..." Jimin scoperchiò il bicchiere ed abbozzò un sorriso alla vista del contenuto: americano al caramello, Jungkook non l'aveva dimenticato. "Come stai ?" chiese poi bevendone un sorso.
 
Uno schifo, avrebbe voluto dire. “Bene” invece rispose “Ti trovo … in splendida forma”
 
“Grazie” arrossì.

 
“I tuoi capelli  …” Jungkook si indicò la testa “… sono diversi”
 
“Già ... ” si passò una mano fra questi “Avevo bisogno di cambiare
 
“Ti  donano molto”. 
 
Jimin giocherellò per qualche attimo con l'orlo della manica del maglione, abbassando lo sguardo incapace di reggere, senza che il suo cuore facesse tumulti di capriole, la bellezza di quegli occhi grandi e dolci che in quel momento aveva dinanzi a se. "Sono ... Sono contento che tu sia venuto ieri"
 
"Sì, è stato . . . carino" titubò.
 
"Non sapevo fossi tornato a Seoul" spiegò poi Jungkook "Se in qualche modo ti ho messo a disagio, sappi che . . . è stata un'idea di Jin e —"
 
"Lo immaginavo" rispose il rosa con leggera saccenza, "Hoseok mi ha detto che vi siete frequentati spesso in quest'ultimo periodo".
 
"Hobi è un bravo ragazzo"
 
"Lo è davvero"
 
Jimin si inumidì appena le labbra "E Taehyung ?" chiese poi con coraggio, gli occhi che stavolta incontrarono il terrore dipinto in quelli di Jungkook. "Come sta ?"
 
A quella domanda, letale e per nulla prevedibile, Jungkook guardò al di fuori della finestra i passanti scorrere veloci, inspirando piccole boccate d'aria per tenere a bada il panico e i ricordi di quella fredda mattina di novembre. "È tornato a Daegu, nella sua città natale. Noi ... non ci siamo più visti dopo quel giorno"
 
Un cupo e spiacevole silenzio si frappose fra loro, Jungkook osservò il volto di Jimin chino sul caffè fumante, le piccole mani stringere il bicchiere le quali portarono in seguito il suo margine alle splendide labbra rosee. Le parole improvvisamente sembravano non essere abbastanza, nessuna in grado di descrivere e spiegare a pieno quanto in realtà Jimin gli fosse mancato; i suoi occhi a mezzaluna, le guance paffute, persino quel suo adorabile modo di tenere giù lo sguardo quando l'imbarazzo alla sprovvista lo colpiva. Jungkook si morse così l'interno della guancia, sospirando appena per ciò che stava per pronunciare. "Jimin" il suo nome quasi gli morì in gola "Io volevo . . . "
 
"No Jungkook –" lo interruppe lui " – non farlo, per favore, non dire che ti dispiace".
 
Jungkook schiuse così le labbra come per obiettare qualcosa, ma tutti i suoi tentativi furono vani nel momento in cui guardò il viso stanco e pallido di Jimin rendersi finalmente visibile e chiaro dinanzi al dolore provato in quei mesi, l'indifferenza cercata e le barriere che fragili crollarono con lui senza la minima fatica. "Non ti ho incontrato per farti sentire in colpa ne tanto meno per rivivere quello che è successo. Ciò che c'è stato tra noi ... è stato fantastico, okay ? Ma per qualche ragione non ha funzionato"
 
"Possiamo riprovarci ..." sussurrò Jungkook allungando una mano sul tavolo, "Darci una seconda possibilità. Possiamo farlo Jimin, solo tu ed io . . . e nessun altro"
 
"No" rispose Jimin scuotendo la testa e ritraendo la mano "Per quanto io abbia provato in tutti i modi di dimenticarti, non possiamo Jungkook . . . non possiamo. Il male che mi hai fatto è . . . indescrivibile"
 
"Mi odi ancora, è così ?" si corrucciò lui.
 
"Io non . . . non ti odio" chiarì il rosa con velo di rammarico nel suo sguardo lucido "Vorrei prenderti a pugni in faccia per quanto sono arrabbiato ma ho riflettuto a lungo in questi mesi e nonostante tutto ciò che è successo, una parte di me tiene ancora a te. Non sarai mai un completo estraneo ai miei occhi Jungkook ed è per questo che . . ." sospirò Jimin "Vorrei ci fosse ancora un rapporto fra noi . . . che restassimo amici" azzardò.
 
Jungkook avvertì il cuore spezzarsi nuovamente, in frammenti ancora più piccoli, senza stavolta nessuna probabilità di ricrescita. Quella era di certo la parola che meno aspettava le labbra di Jimin pronunciassero. Amici. Jungkook sarebbe stato in grado di sopportarlo ? Mandar avanti un'amicizia pur conoscendo che sapore avessero i suoi baci ? Che profumo avesse la sua pelle ? Il moro sospirò appena, buttando giù il magone provocato dalle lacrime incalzanti e si disse che se quello era il prezzo da pagare per ciò che aveva fatto, allora avrebbe preferito accettare quel compromesso. Soffrire ed averlo vicino piuttosto che perderlo e non rivederlo mai più.
 
"Amici" ripeté lui con tono assente, "D'accordo, certo ... siamo amici"
 
Jimin lo guardò deglutire e distogliere gli occhi dai suoi, pur sapendo che Jungkook non fosse affatto convinto di ciò che stesse dicendo. "Maru ti graffia ancora, vero ?" mormorò dopo un po' guardando piccoli graffietti rossi contornare le nocche delle sue dita.
 
"Già, a volte lo fa ..." rispose lui nascondendosi le mani nella giacca. "Ma mi è stato assicurato che è soltanto una fase"
 
Jimin abbozzò un flebile sorriso ricordando tutto ad un tratto quella bellissima serata trascorsa insieme in cui aveva coperto una ferita simile con un cerotto per bambini, "Un po' mi manca sai ?" mormorò.
 
Jungkook si morse appena le labbra, "Ti ... ti andrebbe di star con lui per un po' ?" domandò "Tra due giorni partirò per il Tokyo e non ho nessuno che possa prendersi cura di lui in mia assenza; mio padre è fuori città per rifinire i dettagli del matrimonio e sai che Hoseok ha già un cane ..."
 
"Per quanto starai via ?"
 
"Due settimane circa, devo incontrare delle persone per lavoro"
 
Un'ombra di delusione nacque presto sul volto di Jimin, "Certo ..." scosse la testa "Non c'è problema, insomma ... sarei felice di occuparmi di lui. Sono certo che Jin lo adorerà".
 
Jungkook sorrise appena come per ringraziarlo della sua gentilezza e gettò un occhio all'orologio da polso aggrottando le sopracciglia ed imprecando tenue a fior di labbra "Devo ... andare" disse con una punta di amarezza "Ho una riunione fra mezz'ora"
 
Jungkook, Jimin pensò, non era cambiato di una virgola. Sempre così diplomatico e diligente, risucchiato da quel vortice di doveri e responsabilità che era ormai il suo lavoro. Il rosa giurò per un attimo di odiare tutta quella sua perfezione, la lotta contro il tempo e le sue stupidi riunioni perché quello, sapeva, sarebbe stato l'attimo in cui si sarebbero dovuti allontanare. Salutarsi senza promettersi nulla al più tardi. "Allora ci vediamo presto ..." disse Jimin una volta usciti fuori dal locale. " . . . Per Maru".
 
"Sì certo ..." mormorò Jungkook a sua volta " ... per Maru"
 
Jimin regalò lui l'accenno di un sorriso timido prima di seppellire le mani nel suo giubbotto ed incamminarsi sul lato della strada opposto al suo. Jungkook lo guardò avanzare tra la folla, con quella camminata scaltra che assicurò avrebbe riconosciuto fra mille. "Jimin!" poi urlò inconsciamente sperando quasi che il rosa non l'avesse sentito, ma non appena questo si voltò nella sua direzione, Jungkook non seppe mimare altro con le labbra se non uno strozzato e flebile "Mi dispiace".
 
Il ragazzo dall'altro lato storse la bocca ed annuì appena. Gli occhi a metri di distanza incollati gli uni negli altri, le gambe che proprio non volevano saperne di camminare via. Jimin sentì il pianto incombere, le lacrime sfiorargli le guance, ma avvertì dentro anche il coraggio e la forza necessaria per nascondere il viso nella grossa sciarpa di lana e voltarsi fingendo che dietro di lui nessuno fosse lì ad aspettarlo.
 



 
"Nothing can ever replace you
Nothing can make me feel like you do.
There’s no one I can relate to
I know we won’t find a love that’s so true"




 
Occhi verdi e lucenti come lo smeraldo, il pelo striato che ricordava quello di una piccola tigre, Maru arrivò nell’appartamento di Jimin esattamente il pomeriggio di due giorni dopo.
 
Jungkook gliel'aveva affidato nel suo trasportino prima di poter raggiungere l'aeroporto principale di Seoul ed imbarcarsi su di un volo dritto per Tokyo. Aveva inoltre spiegato a Jimin tutto il necessario per la sua cura: le sue abitudini, quante volte avrebbe dovuto mangiare, ma soprattutto le attenzioni e le carezze cui era solito viziarlo. Il rosa prese nota di tutto, assicurandogli – con mano sul cuore – che il suo micio sarebbe stato trattato come un vero principe e non avrebbe risentito delle due settimane di assenza. Prima di andare però Jungkook lo fece uscire dalla sua gabbietta e lo prese in braccio avvicinando il viso al suo muso, stampandogli un bacio sul capo e sussurrando un dolce "Fai il bravo, hai capito ?"..


Jimin, appoggiato a braccia conserte ad una delle pareti del salone, tentò invano di osservare nei dettagli quanto Jungkook fosse attraente nei vestiti da lavoro. I jeans scuri, che fasciavano alla perfezione i suoi fianchi stretti e le gambe definite, difficile inoltre staccare lo sguardo dalla camicia che, aderente al torace, ne evidenziava ogni suo muscolo. "Starà bene" infine mormorò.

Il moro lo poggiò così a terra riprendendo il suo zaino in spalla "Se c'è qualcosa che non va o se dovesse darti dei problemi ..."

“ … Ti chiamo”, finì Jimin  “Promesso”.

"D'accordo, allora ... direi che è tutto" Jungkook si avvicinò alla porta e la aprì, voltandosi indietro per un'ultima volta "Grazie".

"Fa' buon viaggio" rispose.

Non appena Jungkook scese le scale, Jimin chiuse la porta del suo appartamento poggiandosi con la fronte ad essa, gli occhi chiusi ed una mano ancora stretta sulla fredda maniglia. Pensava, era certo, che nulla l'avrebbe più scalfito. Non i suoi gesti, le sue parole. Jimin era convinto che avrebbe resistito senza troppi sforzi a tutto quello che era stato il suo mondo, che nulla invece avrebbe graffiato la sua piccola corazza costruita d'indifferenza. Averlo di nuovo attorno lo gettò a capofitto in quel doloroso abisso di desiderio che aveva combattuto negli ultimi mesi in maniera così disperata. Jungkook era così bello e affascinante che Jimin avvertiva il cuore ardere al solo pensiero. Aveva dimenticato quanta soggezione fosse in grado di mettere, quanto i suoi capelli neri gli si arricciassero sulla nuca nonostante lui cercasse di tenerli sempre in ordine. Aveva dimenticato quanto suonasse bene il suo nome sulle sue labbra, ma soprattutto come ci si sentiva ad essere l'oggetto delle sue attenzioni.
 
Prima che potesse anche solo pensare di fare qualcosa di stupido, Jimin fu distratto dal piccolo Maru che in basso prese a strusciarsi e a far le fusa intorno le sue caviglie. Il rosa lo attirò con il suo giochino preferito verso il divano e lo fece salire sui cuscini, accarezzandogli il dorso fino a raggiungere la punta della coda. Maru strofinò il muso contro il suo torace e, prima che lui potesse accoglierlo, il micio si acciambellò sulle sue gambe. Jimin gli si avvicinò piano, poggiando le labbra sulla sua testa, nello stesso ed esatto posto in cui le aveva premute Jungkook prima. Un modo stupido per risentire il suo tocco, la scia di quel bacio colmo d'amore.
 
"Il tuo padrone è un'idiota, lo sai ?" sussurrò accarezzandogli il muso. "Uno stupido, egoista e completo idiota".
 
Maru miagolò quasi come se potesse comprendere – ed anche confermare – a pieno le sue parole. Il micio si alzò poi sulle zampe, prendendo a giocare con il pendente che il ragazza aveva al lobo dell'orecchio. Jimin rise a crepapelle sentendosi il collo solleticare dal suo pelo; aveva sempre desiderato avere un cucciolo di cui prendersi cura, un semplice scambio di affetto senza dare e pretendere nulla in cambio. Quel micio era una fonte pura di allegria e dolcezza, e Jimin solo adesso capiva perchè Jungkook gli era così tanto affezionato.
 
La chiave girò rumorosa nella toppa, Jimin vide Jin togliersi le scarpe ed entrare in casa con i sacchetti della spesa appena fatta. "Jiminie sono –" disse il maggiore fermandosi di botto quando vide il gatto poggiato sulla sua spalla "– a casa" mormorò.
 
Il ragazzo sorrise a pieno viso e prese la zampetta di Maru mimando un saluto. Jin poggiò la spesa in cucina e raggiunse il divano prendendo anche lui ad accarezzare il manto del micio. "E questo piccoletto da dove sbuca fuori ?" domandò.
 
"Si chiama Maru" rispose "È il gatto di Jungkook"
 
"Ciao Maru" sussurrò Jin sorridendo e giocherellando con le sue piccole orecchie. Il gatto annusò le sue lunghe dita, che prese poi a mordicchiare piano, facendosi coccolare dai due per tutto il tempo ed allentando seppur per qualche attimo la tensione che da settimane regnava in quella casa. Jin guardò Jimin ridere in maniera spontanea e sincera per la prima volta dopo tanto tempo. "Ti va di parlarne ?" chiese cauto dopo un po'.
 
"È solo per pochi giorni hyung, ti garantisco che non darà problemi", rispose lui.
 
"Io intendevo di Jungkook ..."
 
Jimin abbassò lo sguardo, la bocca che gli si strinse nuovamente in un'unica e dura fessura. "Sto bene Jin" sussurrò. "Gli sto soltanto facendo un favore ... da amico"
 
"È una storia che non regge, Jimin. Puoi ingannare lui ma non me".
 
Nonostante ci provasse, ogni volta con strategie diverse, Jimin non smetteva mai di perdere a quell'insulso gioco. Quello in cui fingeva di essere forte, quello in cui sperava Jin non fosse attento abbastanza da accorgersi quali prepotenti battaglie la vita gli aveva posto dinanzi. Aveva sempre desiderato che il suo hyung non percepisse un cenno dei suoi dolori, che soprattutto non li alleviasse condividendoli, perchè Jin era un diamante troppo bello e puro per essere raschiato da una fragile e piccola pietra pomice. Le parole erano vane, le spiegazioni ancor di più, Jin aveva il dono di guardarlo negli occhi giù fino allo specchio del cuore e capire sempre il principio di ogni cosa. Qualsiasi situazione Jimin stesse affrontando, lui era sempre pronto a porgergli una spalla, l'intero sé stesso se quello non fosse stato abbastanza. Quell'aiuto di cui Jimin aveva bisogno quella volta arrivò sotto forma di parole, prepotente come uno schiaffo micidiale dato proprio lì in piena guancia. "Perché non gli hai detto che lo ami ancora ?" domandò.
 
Jimin esitò, mordendosi le labbra e guardando in alto il soffitto per trattenere le lacrime "Perché ho paura Jin, ho una paura fottuta".
 
"Jiminie ..."
 
"Lo vedi che succede quando provo ad aprirmi con gli altri ? Tutti mi usano, mi feriscono e, non appena si stancano di me, non ci pensano un solo istante a gettarmi via come un giocattolo malandato" disse stavolta singhiozzando "Jungkook ... mi ha fatto male Jin, più di quanto potevo sopportare ed anche solo immaginare. Gli stavo regalando tutto il mio mondo ... gli avevo dato tutto il mio cuore ..."
 
Jin gli asciugò le lacrime grondanti, "Stavolta non è come credi ..."
 
"Non puoi saperlo ..." disse lui tirando su con il naso.
 
"Non con certezza, ma se c'è una cosa che so è che la vita non ci da' seconde possibilità senza una ragione" abbozzò un sorriso il maggiore guardando il micio sonnecchiare sulle sue ginocchia. "Jungkook ha sbagliato, Chim. Non lo si può giustificare ma ... ho visto come ti guardava l'altra sera, ho visto quanto cercasse di starti vicino senza farti soffrire ... lui ti ama, Chim, più di quanto credi"
 
“Non … non mi fido di lui hyung"

 
Jin si alzò dal divano, stampandogli un pressante bacio sulla fronte “Non impedirti di essere felice, Jiminie. Qulasiasi cosa tu decida di fare, promettimi soltanto questo”
 
Il minore si riasciugò gli occhi con la manica della maglia ed annuì. Guardò il suo hyung sorridergli e scombinargli i capelli prima di imboccare il corridoio e dedicarsi ad un rilassante bagno caldo.
 
“Jin ?” lo chiamò.
 
 “Mh ?” si voltò lui.
 
“Perché non abbiamo mai preso un gatto ?”
 
Seokjin rise, “Non ne ho la più pallida idea”.
 
Quando il suo hyung andò via, Jimin rimase disteso sul divano a fissare il soffitto e a ripensare al momento esatto in cui il suo sguardo aveva incontrato quello penetrante di Jungkook, al momento esatto in cui si era innamorato di lui. Aveva provato a stargli lontano, perchè uno stupido detto diceva 'lontano dagli occhi, lontano dal cuore', ma ogni volta che ci ripensava Jimin desiderava soltanto poterci annegare dentro ancora e ancora, sempre più a fondo, non curante quanto potesse far male. La mente visualizzò la curva del suo naso pronunciato, quella che lo faceva uscir fuori di senno, scendendo fino a contornare le sue labbra sottili ma belle da morire. Lo stomaco prese a far capriole, tripli salti carpiati, quando le immaginò infine premute sulle sue. Si chiese se avessero ancora quel sublime sapore di vaniglia, se la sua lingua fosse ancora in grado di lasciargli in bocca, per giorni, il gusto dei suoi baci. Jimin sospirò frustrato, perchè quando pensava a tutti quei bei momenti ecco che ritornavano alla carica i dubbi, le incertezze, ma soprattutto la paura. Il rosa guardò per qualche attimo il micio dormiente accanto a sé e decise, di tutto punto, che quello sarebbe stato l'ultimo giorno in cui avrebbe pianto per lui. Si alzò dal divano con fretta, infilandosi le scarpe, afferrando il portafogli e la giacca di pelle, uscendo poi di casa solo dopo aver lasciato un breve messaggio per Jin lì sul tavolo della cucina.

Jin uscì dal bagno dopo qualche ora, rilassato e disteso come mai gli era successo. La spugna dell'accappatoio avvolgeva con dolcezza la sua pelle morbida e profumata, i capelli ancora bagnati che lasciavano piccole scie d'acqua sul petto leggermente scoperto. "Jiminie ?" chiamò lo hyung strofinandosi il collo con un asciugamano pulito, ma quando raggiunse il salone Seokjin non ci trovò nessuno se non Maru che giocava frenetico con uno dei suoi pupazzi preferiti. Dopo aver fatto il giro della casa, e delle stanze, fu solo quando entrò in cucina che Jin vide uno stropicciato pezzo di carta attenderlo sulla superficie legnosa. Lo prese fra le dita ancora umide e sorrise scuotendo la testa quando ne lesse il contenuto. "Sei pazzo Jimin Park, completamente pazzo" mormorò fra sé e sé.

Il campanello di casa suonò, Jin andò ad aprire sapendo esattamente chi avrebbe trovato dall'altro lato. Namjoon fece capolinea stringendo tra le braccia le buste del ristorante giapponese in fondo la via, "Hey ho preso del sushi e gli involtini primavera per cena, spero che a Jimin piacciano!" esclamò. Seokjin aspettò che lui le poggiasse sul bancone della cucina prima di abbracciarlo da dietro e stampargli un bacio sul collo.

"Siamo soli" mormorò "Jimin è uscito".

Namjoon storse il naso, "Come uscito ? Dove è andato ?" chiese dubbioso.

Jin sorrise contro la sua pelle, “A Tokyo” rispose.




 
"Baby I just want you to see there’s nothing like us,
there’s nothing like you and me 
Together through the storm"
.
 
 
 



Se anni addietro avesse avuto la possibilità di vedere cosa aveva in serbo per lui un futuro ormai lontano, Jimin era certo - avrebbe scommesso - che mai al mondo sarebbe stato coraggioso abbastanza da compiere una follia grande come quella: precipitarsi fuori casa in fretta e furia, con nulla tra le mani se non i documenti necessari ed una carta di credito che gli avrebbero permesso di comprare lì in aeroporto il primo biglietto disponibile per Tokyo.

Una pazzia improvvisata senza il minimo strascico di ripensamenti, poiché Jimin era fin troppo stanco di rinunciare e lasciarsi alle spalle tutto quello che era in grado di scattare in lui scintille di pura emozione, fuochi che lo facessero sentire vivo, parte integrante di qualcosa di bello abbandonando quel senso di codardia sulla propria pelle e timore di un'ulteriore delusione nel suo cuore. L'istinto quella volta aveva prevalso, ancora, e sceso dal taxi preso - come un colpo di fortuna - a pochi metri dal suo appartamento, Jimin era piombato all'interno dell'Incheon correndo senza più fiato nei polmoni, volgendo lo sguardo alle indicazioni dei terminal e ai numerosi tabelloni che luminosi annotavano gli orari delle future partenze.

Il rosa non era per nulla certo di dove stesse andando ma sapeva però che non avrebbe aspettato due intere e lunghe settimane prima di rivedere Jungkook, ne tanto meno avrebbe sollevato il telefono per ascoltarne la voce spinto da qualche stupida scusa inventata sul momento. Jimin aveva bisogno di guardarlo negli occhi e dirgli - confessargli - che tutti quei futili tentativi di allontanarlo dalla sua vita erano falliti miseramente, che non c'era altra persona con cui volesse trascorrere il resto dei suoi giorni, che invece lo amava . . . più di qualsiasi altra cosa al mondo.

E così dopo aver comprato il biglietto ed esser salito a bordo, scrutato a fondo dal personale di volo poiché l'unico a non aver ombra di bagaglio tra le mani, l'aereo decollò alle dieci in punto e Jimin calcolò che sarebbe arrivato a Tokyo nel giro di due ore esatte. Due ore che sembrarono non fluire mai, interminabili, nel quale Jimin non fece altro che sbuffare inquieto, guardare il buio intenso incalzare al di fuori del finestrino e pensare a cosa avrebbe detto una volta trovato Jungkook. Già, trovato. Perché Jimin non aveva la più pallida idea di dove l'avvocato fosse, sapeva soltanto che per quelle poche volte in cui - abbracciato a lui lì stretto tra le lenzuola del suo letto - aveva ascoltato stralci della sua infanzia, Jungkook adorava il quartiere di Shibuya. Affacciarsi alla finestra panoramica per osservare come in un pieno luna park le scintillanti luci colorate sopraggiungere al calar del sole. Intuì forse che era proprio quello il luogo da cui sarebbe dovuto partire, a costo di impiegarci l'intera notte, di girare l'intera Tokyo, Jimin giurò che lo avrebbe trovato.

Il tempo trascorse lento. Jimin quasi sentì l'ombra del sonno far peso sulle palpebre, i muscoli delle cosce rilassarsi appena, ma proprio quando l'onirico stava per vincere sul reale, il veicolo cominciò a scendere gradualmente a bassa quota posandosi sulla terra ferma fino ad atterrare. Il rosa strabuzzò gli occhi non appena si accorse cosa intorno a lui stava accadendo e balzò in piedi dal suo posto precipitandosi lungo il corridoio, spingendo i restanti passeggeri per raggiungere l'uscita il prima possibile. L'adrenalina, come un getto in circolo nelle vene, non gli permise di formulare pensieri razionali e Jimin riuscì soltanto ad avvertire le gambe muoversi involontarie attratte da una voglia cieca di raggiungere quello che ben presto sperava sarebbe stato suo per sempre. Il rosa corse a perdifiato lungo l'aeroporto di Haneda, raggiungendo in fretta l'esterno e quasi rischiando di farsi investire in strada nel tentativo di fermare uno dei tanti e frettolosi taxi verdi.

"Shibuya, per favore!" urlò Jimin - in un pessimo ed elementare giapponese - una volta entrato nell'abitacolo.

L'autista sembrò afferrare la sua destinazione ed annuendo partì, con una veloce manovra, laddove indicato. Jimin tamburellò le dita sulle ginocchia per tutta la durata del tragitto, gettando un occhio continuo non al panorama che incorniciava la Tokyo che tanto avrebbe voluto visitare, ma al tassametro con l'angoscia che i suoi soldi non sarebbero potuti bastare per coprire le spese dell'intera corsa. Fortuna volle, ciò non accadde. Il rosa arrivò nel quartiere giapponese più ambito dopo circa mezz'ora e scese dall'autovettura pagando il servizio e donando anche una generosa mancia al gentile conducente, il quale aveva cercato per tutto il tragitto di smorzare la sua tensione con futili chiacchiere.

Si trovò così sperso, nel giro di un attimo, al centro della grande ed affollata Shibuya. Seppur quel quartiere fosse mozzafiato, molto più bello rispetto le foto che spesso vedeva sulle riviste, Jimin non aveva assolutamente tempo per star lì ad ammirarne le sue insegne colorate ed i maxi schermi pubblicitari posti sui palazzi di vetro. Cominciò a vagare senza una meta precisa, camminando a lungo per i vichi stretti, chiedendo a suo modo informazioni ai passanti sugli alberghi più lussuosi della zona, perché se Jungkook era lì per lavoro – e soprattutto per conto di suo padre – il signor Jeon aveva senz'altro fatto riservare il meglio per la permanenza di suo figlio.

Jimin visitò tre grandi alberghi a distanza di un miglia uno dall'altro ma tutti si rivelarono essere un enorme buco nell'acqua. Jungkook non alloggiava in nessuno di quelli. Stanco, affamato e con i piedi che cominciavano a poco a poco a fargli male, il rosa si apprestò a camminare e a raggiungere l'ultimo hotel: una costruzione imponente al pari di un grattacielo, posta alle spalle del santuario di Meiji, illuminato ad ogni piano da tante piccole luci dorate, forse l'albergo più bello che Jimin avesse mai visto in tutta la sua vita. Spinse così la porta girevole avvicinandosi cauto alla reception, dietro la quale trovò un'elegante donna di mezz'età.

"Buonasera, benvenuto nel nostro hotel" lo accolse lei "Come posso aiutarla ?"

"Ho bisogno di sapere –" Jimin ansimò " – se qui alloggia un certo Jeon Jungkook, o solo Jeongguk o Jeon Jeongguk ... cristo non so nemmeno più quanti nomi abbia"

La donna consultò velocemente il registro degli ospiti e, con sua grande sorpresa, alzò il capo sorridendogli "Alloggia qui, stanza 604. Ma non posso farla salire ..."

"La prego, è una questione importante" implorò. "Sono disposto a pagarle la notte, a lasciarle i miei documenti ma ho un disperato bisogno di vederlo"

"Mi dispiace signore non è una mia prerogativa, per non disturbare la quiete dei clienti non facciamo salire più visite dopo le 2 del mattino"

"Quando potrò farlo ?"

"Verso le dieci del giorno"

Jimin guardò l'orologio posto sulla parete di fronte a sé e batté un leggero pugno sul banco in legno. 7 ore di attesa, non ce l'avrebbe mai fatta. Il suo cellulare era scarico al punto tale da impedirgli di chiamarlo, la sua pazienza ormai esaurita, Jimin stava per voltare le spalle ed andarsene amareggiato quando sentì dietro di sé l'ascensore suonare ed una persona uscire proprio lì nella hall dell'albergo. Quello era il segno del suo destino, la sua opportunità mancata, il rosa guardò prima la receptionist, poi l'ascensore, e prima che le porte potessero chiudersi e la sicurezza fermarlo, Jimin ci si infilò all'interno premendo freneticamente il numero del piano della stanza. La cabina salì in fretta, al sedicesimo piano della palazzina, così in fretta che sembrava stesse volando. Quando arrivò al corrispondente, Jimin percorse l'androne che gli apparve dinanzi scrutando i numeri delle porte uno ad uno fino a fermarsi davanti a quella che portava la targhetta della 604. Senza pensarci neanche un solo istante e con un groppo in gola che quasi gli impediva di gridare, Jimin iniziò a batterci su i pugni, facendo un gran rumore e sperando che nessuno della sicurezza salisse proprio in quel momento e lo trascinasse fuori da quell'hotel con la forza.

La porta si aprì violentemente, Jimin quasi cadde.

Davanti a sé, con indosso una semplice maglietta nera e dei pantaloni grigi, i capelli arruffati per il sonno appena mancato, Jungkook perse il respiro non appena lo vide; lo stomaco pervaso dai crampi, la bocca dischiusa per lo shock o soltanto per la sorpresa di averlo proprio lì di fronte. Jimin poggiò le mani sul suo petto e lo spinse all'interno della stanza, guardando furtivo la scia di corridoio alle sue spalle. Fu soltanto quando sentì lo schiocco della serratura chiudersi che il rosa voltò la testa verso di lui e senza traccia di esitazione gli gettò le braccia al collo. Jungkook restò immobile, gli occhi ancora sbarrati e le braccia sospese a mezz'aria, cercando di comprendere se quel corpo che gli era tanto mancato e, che adesso era tra le sue braccia, sfiorasse più la soglia del sogno o della realtà tangibile.

"Jimin . . ." sussurrò Jungkook incredulo, "Che . . . che ci fai qui ?"

"Ti amo" rispose lui stringendolo.

"C-cosa ?"

"Ti amo" ripeté ancora "Ho cercato di non dirlo, mi sono sforzato di reprimerlo, di ignorarlo. Ma non ci riesco e non riesco neanche più a dormire, a tratti persino a respirare. Non riesco a pensare a niente, a nessun altro che non sia tu Jungkook ... "

"Jiminie ..."

"Se credevi che mi fossi dimenticato di te, sbagliavi. Se intendi andare via per starmi lontano, sbagli ancora. Se sei certo che rinuncerò a te, sbagli Jungkook . . . sbagli come mai prima d'ora. Perché in qualsiasi posto della terra tu sia, io non rinuncerò mai a te. Hai capito ? Mai"

Jungkook si aggrappò forte alla sua schiena, sentendo i sensi sbocciare e tornare a vivere, sprofondando il naso nel suo collo ed ispirando a fondo quell'odore che gli era mancato quasi quanto l'aria. Assaporò la pura essenza di quel dolce e lento momento, carezzandogli i fianchi stretti e le spalle piccole, cercando in ogni centimetro della sua pelle la conferma che la sua mente non gli stava giocando un brutto scherzo ma che Jimin fosse reale, reale per davvero.

Le lacrime iniziarono a sgorgare silenziose sulle loro guance, Jungkook lo prese in braccio e lo sollevò a cingergli il bacino con le gambe, stringendolo contro il petto ancora più forte, fino a poterlo sentire nuovamente entrare far parte di ogni sua molecola. Jimin chiuse gli occhi, respirando contro il profumo che emanavano i suoi capelli, le labbra che presero a baciare la pelle delicata dell'orecchio.

" . . . Ci ho provato Minnie" sussurrò Jungkook tremando. "Ho provato a lasciarti andare, a fare come mi avevi chiesto ... non cercarti più e ..."

"Non sei mai stato bravo con le promesse" rispose lui "Mi hai spezzato il cuore Jungkook ... Ti avevo chiesto di prendertene cura e invece tu l'hai calpestato, gettato via ... e ti ho odiato per questo ... ti ho odiato con tutto me stesso . . ."

"Mi dispiace ... " singhiozzò sulla sua spalla " ... Mi dispiace così tanto. Vorrei poter prendere il tuo posto, farmi carico del tuo dolore. Vorrei che non ti sfiorasse più, che facesse male solo a me ... "

"Dovevi soltanto essere sincero, dirmi la verità sin dall'inizio"

"Sono stato così egoista Jiminie, avevo così tanta paura di perderti ... "

"Mi avresti perso comunque"

Jungkook tirò su con il naso, piangendo ad ogni singhiozzo sempre più forte "Tu non meritavi di incontrare un disastro come me ..."

Jimin si allontanò a stento per guardarlo negli occhi, "Tu sei il mio splendido disastro, Jeon Jungkook. Mi hai insegnato ad amare, amare forte fino a togliere il fiato. Mi hai insegnato a dare tutto senza desiderare nulla in cambio solo per veder nascere –" gli indicò le labbra " – questo splendido sorriso ogni volta. Non potevo desiderare nulla in più da te Jungkook: mi hai cambiato la vita . . . mi hai rovinato la vita".

Jungkook chiuse forte gli occhi e poggiò la fronte sulla sua, riuscendo quasi avvertire il suo stesso sospiro per quanto le loro labbra fossero vicine. Le sfiorò appena, sentendo il cuore mancare di battiti ed il disperato bisogno di sentirle nuovamente sulle sue, di assaggiarle e percepire il suo calore; ma ben presto Jimin si tirò indietro, sciogliendosi dalla sua presa delicata e tornando con i piedi rigidi sul pavimento. Jungkook sentì il magone opprimergli la gola, una mano sospesa a mezz'aria che accarezzava debole la punta delle sue dita, una tacita richiesta che lo implorava a non andare via e che Jimin d'altro canto non ne aveva alcuna intenzione di soddisfare.

Si avvicinò invece a lui, sollevandosi sulle punte degli stivaletti e prendendogli il viso umido tra le piccole mani, "Shh, basta. Smettila di piangere" mormorò dolce accarezzandogli gli zigomi con i pollici.

Le mani di Jungkook scivolarono sulle sue, "Mi ... sei mancato da morire Jimin"

"Mi sei mancato anche tu, stupido idiota"

"Potrai mai perdonarmi ?" sussurrò lui tra i singhiozzi.

Jimin sorrise appena, "Non ti perdonerò mai –" rispose "– per non avermi fermato quel giorno. Mai".

"Non saresti rimasto"

"Forse no" ipotizzò "Ma se mi avessi pregato magari non avrei preso un volo per il Giappone e girato tutta Shibuya solo per trovarti".

Il moro abbozzò una risata fra tutte quelle lacrime, "Sei pazzo"

"Di te, completamente" mormorò rauco piegando leggermente il capo "E adesso baciami prima che cambi idea"

Jungkook si sporse così per poggiare lentamente le labbra sulle sue, schiudendole appena, sentendo quanto sotto di sé anche Jimin le stesse desiderando. Erano passati mesi dall'ultima volta in cui le aveva toccate, mesi in cui le aveva immaginate, a volte persino sognate. Il primo tocco sembrò un dolce ritorno a casa ma entrambi subito capirono che quel bacio era diverso da tutti i precedenti condivisi poiché racchiudeva molto più di quanto loro stessi potessero immaginare. Forse perchè, per la prima volta, entrambi avevano soltanto sentimenti tra le mani, la tacita promessa che da quel momento in poi mai più si sarebbero lasciati.

Jimin sentì la sua bocca andare a fuoco, il suo cuore esplodere all'interno del torace. Si era ripetuto più volte che tutto quello non gli sarebbe affatto mancato, che lo avrebbe invece riprovato, ma ogni fibra del suo essere invece non aveva fatto altro che trascinarlo sempre più verso quell'unico momento. Non c'era altro posto al mondo in cui voleva appartenere, se non lì tra le braccia di Jungkook.

I loro baci divennero presto caldi ed esigenti, le loro mani presero a vagare lungo le fessure dei loro corpi. Jungkook gli strinse sui fianchi i lembi della maglia sentendone la pelle calda al di sotto, ed arrendendosi del tutto all'intima carezza delle loro lingue che danzando, rinnovavano ogni volta con maggiore fervore l'umido contatto, cercandosi ed assaporandosi per poi ritrarsi e cercarsi di nuovo. Jimin indietreggiò lentamente verso il letto, sedendosi sulle lenzuola solo quando le gambe urtarono contro il bordo, tirando il moro su di sé e spogliandolo della maglietta per poter baciare il suo petto in ogni suo millimetro. Jungkook aveva dimenticato quanto fossero fatti l'uno per l'altro, quanto i loro corpi aderissero e si incastrassero perfettamente. Una voce gli aveva sempre suggerito, da quando lo aveva tenuto così per la prima volta, che non sarebbe mai stato lo stesso con nessun altro. Le sue labbra scesero a mordergli il collo, i bacini che fremevano e si muovevano a ritmo dei loro cuori impazziti. Una passione crescente, selvaggia, coperta a stento dai loro strozzati gemiti di piacere e dall'affanno dei loro respiri.

"Fa' l'amore con me Jungkook" sussurrò Jimin mordendogli il labbro. "Voglio sentirti"

Jungkook scese a baciargli la linea dell'addome, intrecciando strette le dita fra le sue. "Promettimi che domattina non te ne pentirai" chiese alzando appena lo sguardo.

"Nemmeno per un secondo" Jimin rispose.

Per lo spazio di un istante le voci si attutirono, la notte si fermò, soltanto loro due ed il sentimento di un amore condiviso a renderla magica e speciale a suo modo. Jimin e Jungkook fecero l'amore con una dolcezza tale da mozzargli i respiri, abbracciandosi e stringendosi con le lacrime che solcavano le guance e l'emozione nel cuore di chi aveva appena ritrovato, proprio lì fra miliardi di persone, la propria metà mancante; esplorandosi l'un l'altro curiosi, come se i corpi stessero per fondersi per la prima volta. Le labbra bruciavano ardenti sulla pelle dell'altro, lasciando marchi, segni evidenti di quella che sarebbe stata ricordata come la notte più bella della loro vita. Jungkook sentì l'anima legarsi a quella di Jimin, vibrare ad ogni respiro emesso come le corde pizzicate di una chitarra. Quella leggera musica, data dagli schiocchi dei loro baci e dai loro gemiti sommessi, li trasportò in un vortice così devastante che sarebbe stato in grado di travolgere l'intero mondo se solo loro avessero voluto.

Così importante e potente. Come potente era stata, quella notte, la forza del loro piccolo e grande amore. 

 


 
“They say only fall in love once, but that can't be true.
Every time i look at you i fall in love all over again.”
 

 

Il sol levante della Tokyo mattutina illuminò a pieno la stanza d'albergo nel quale si trovava, Jimin si stiracchiò ed aprì lentamente gli occhi con un sorriso già delineato sulle labbra piene, felice e sereno come mai si era svegliato prima d'ora. La notte appena trascorsa era stata così tanto intensa che il rosa quasi non ebbe bisogno di darsi un pizzico sulla coscia per credere che quello non era stato un sogno come tanti altri. Jimin sentì un respiro pesante alle sue spalle emettere sbuffi di aria calda sul collo ancora arrossato mentre un braccio gli cingeva stretto e possessivo l'addome ancora nudo. Jungkook dormiva profondamente, i tratti del viso rilassati, i capelli arruffati sparsi in disordine sulla federa del cuscino. Il rosa si voltò dal lato opposto per osservare meglio lo spettacolo meraviglioso che aveva da offrirgli il suo ragazzo di prima mattina. Più lo guardava più non riusciva a rendersi conto quanta felicità avesse accumulato nel giro di poche ore e quanta ne stava invece provando in quel momento. Tutto così assurdo, ma così dannatamente giusto, bello e finalmente al proprio posto.
 
Era stato uno stupido a pensare di riuscire a vivere senza di lui, a dimenticare quello che era il suo primo e – sperava – ultimo amore. Jimin fissò il contorno della piccola bocca incapace di resistergli. Accarezzò la guancia con il dorso della mano e lo baciò posandogli le labbra sulle sue dapprima con una leggera pressione intensificandola poi fino a catturargli l'inferiore fra i denti. Il rosa sentì a poco il bacio restituirgli con una delicatezza esasperante, schiudendo le labbra appena per lasciare che la sua lingua entrasse piano ad incontrare la sua. Jungkook posò una mano sulla sua schiena e lo attirò ancora più vicino fino a sentire il calore del petto contro il suo. Le bocche si stuzzicarono e si inseguirono, le lingue si accarezzarono languide affamate l'una del sapore dell'altra. Fu solo quando Jimin si staccò per riprendere aria che Jungkook aprì gli occhi.
 
“Buongiorno anche a te” rise Jimin arrossendo.
 
Jungkook non rispose, restò invece ancora steso su un lato, fermo a fissarlo. Lo sguardo che percorse l'intero suo viso, dalle punte dei capelli rosa alla curva delle sue labbra gonfie ed arrossate."Sposami" sussurrò.  
 
Jimin strabuzzò gli occhi, "Che ... cosa ?"
 
"Ti ho chiesto di sposarmi" ripeté con voce rauca "Voglio svegliarmi e trovarti accanto a me tutti i giorni" spiegò "Ogni volta che mi addormentavo - quando non c'eri - lasciavo sempre piccolo spazio nel letto per te, nella speranza che tu apparissi nel bel mezzo della notte, che mi abbracciassi stretto e dormissi fra le mie braccia fino l'alba ..."
 
"Jungkook ..."
 
"Va bene litigare, va bene anche farci del male" Jungkook si alzò mettendosi a sedere, guardandolo dritto negli occhi con le mani strette tra le sue "Ma voglio che ci facciamo soprattutto del bene, che ci asciughiamo le lacrime, che ci urliamo cose orribili per poi fare l'amore per tutta la notte. Spezziamoci i cuori Jimin, distruggiamoci se necessario ma promettimi che poi riprenderemo i pezzi ad uno ad uno e li metteremo di nuovo insieme, che ci ameremo più forte di prima. So che è una cosa folle ed è presto ma –“
 
“ – Sì !” urlò Jimin, “Sì, Jungkook, sì!” strepitò gettandogli le braccia al collo.
 
Jungkook cadde sul materasso sovrastato dal suo peso, scoppiando poi a ridere di cuore, “Sul serio ?” domandò guardandolo "Vuoi ... vuoi farlo ?"
 
"Diamine, sì!" rispose lui stampandogli un bacio sulle labbra "Voglio ... cominciare la giornata in questo modo. Voglio baciarti fino a che non ne hai abbastanza, farti ridere, fare l'amore con te ... ovunque! Voglio farti trovare la cena quando torni dal lavoro, anche se non ti piacerà e ordineremo delle pizze perché la verità è che ai fornelli sono davvero un disastro" rise "Voglio coccolare Maru con te davanti alla tv, viverti giorno per giorno Jungkook perché ... se ho te al mio fianco io ho tutto quello che potrei desiderare".
 
Jungkook lo baciò intrecciando le dita nei suoi capelli, "Ti prometto che imparerò a fare il caffè al caramello più buono di tutto il mondo".
 
"Solo per me ?"
 
"Solo per te" mormorò chiudendo gli occhi e sfregando la punta del naso sulla sua "Ho davvero intenzione di amarti per tutta la vita Jimin ..."
 
"Direi allora –" Jimin sorrise " – che ora di cominciare, Avvocato Jeon".
 
Si dice che al mondo esistono soltanto due tipi di amore: quelli che nascono per caso, come piccoli germogli tra le macerie, che sconvolgono la vita prima di renderla meravigliosa, e quelli incancellabili, che non danno tregua, che si reinventano mille volte e tornano sotto tanti aspetti diversi. Amori che fanno tremare il cuore, che danno un senso alle emozioni; amori che fanno perdere la testa ma che fanno invece ritrovare la voglia di vivere. Si dice che due anime nascano legate ad un filo indistruttibile, non importa quante miglia percorrano, quanto distanti sono l'una dall'altra, in un modo o nell'altro sono destinate ad incontrarsi e le loro aure a fondersi e vivere come sola. Jimin e Jungkook si erano incontrati, odiati, amati e fatti persino del male. Avevano sentito quell'amore crescere graduale dentro di loro come un piccolo fiammifero che da origine ad un incendio. Quelle due anime si erano amate come solo due folli sapevano fare ed ora, Jungkook e Jimin, nella loro splendida e romantica Tokyo, erano finalmente pronti a cominciare la loro vita insieme.

 
 

“Love is a road that goes both ways”
 
 
 
   The end.


 

N.a. - a K. per avermi accompagnata nella scrittura di questo capitolo, per essersi subita  tutti i miei deliri notturni ed avermi consigliato la visione di un fantastico Jimin rosa. Grazie tesoro, sei una persona preziosa. -  a   C. per avermi spronata a pubblicare le mie storie e a dare un senso alla mia creatività. Grazie per essere, nella vita, il mio Seokjin. - a   G. che non leggerà mai questo racconto. - a   D. per non esser stato il mio Jungkook. 
   
 A voi tutti, grazie di cuore per esser stati qui.  - Moonism
   
 
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