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Autore: Corydona    04/03/2018    8 recensioni
Come in una partita a scacchi, due fazioni si ritrovano schierate l'una contro l'altra, pronte a dichiararsi una guerra che entrambe non vorrebbero. Da un lato gli Autunno, la cui potenza sembra inarrestabile, dall'altra i Primavera-Inverno, che possono contare su un'influenza senza eguali.
Una situazione di apparente stasi: apparente, perché nell'ombra i sovrani cadono e le successioni al trono sembrano più complicate del previsto. La guerra sarà dichiarata? Termineranno i regicidi? Quale delle due parti avrà la meglio?
Un'antica profezia annuncia la disfatta degli Autunno: si realizzerà? O rimarranno solo vaneggiamenti di un passato caduto nell'oblio?
Genere: Avventura, Fantasy, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Selenia '
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(Capitolo revisionato)

Re Guglielmo giaceva a terra, gli occhi chiari spalancati e puntati verso l'alto; un cortigiano glieli chiuse proprio sotto lo sguardo attento del principe appena arrivato. Dal petto del sovrano un fiotto di sangue scuro scendeva verso il fianco destro, tingendo la veste cobalto del colore atro della morte.

Un nobile più intraprendente degli altri osservava la pozza sanguigna che si stava formando lentamente sul pavimento, senza dare gli stessi segni della follia che sembrava aver colto l'intera corte. Solo dopo qualche secondo gridò di chiamare qualche servitore perché pulisse le scarpe che gli si stavano insudiciando.

Erik trattenne a malapena un sorriso nel constatare che gli unici a non aver perso il senno erano gli uomini al servizio dei Lotnevi: chiunque avesse una sola goccia di sangue blu non era in sé. Alcuni uomini avevano formato un cerchio intorno al re ucciso e lo scrutavano inebetiti, incapaci di pensare, di avere una reazione di qualsiasi genere; nel frattempo, Erik aveva percepito i suoni attenuarsi, le grida diventare chiacchiere e poi sussurri, come se dopo l'improvvisa e iniziale agitazione, fossero tutti in attesa di novità.

L'Inverno si guardò intorno, come alla ricerca di qualche indizio sull'uccisione. Due lunghe tavolate erano state apparecchiate per un ricevimento, dettaglio di cui lui si stupì: non c'erano altre sale per cenare? O che il re volesse parlare durante la cena con i suoi uomini più fidati? Ma in tal caso perché due tavoli? Li indicò a un servitore che gli spiegò: «Parecchie delle sale sono chiuse per lavori di miglioramento. Molti signori mangiano nei loro appartamenti, alcuni qui.»

«Il principe?» domandò Erik sbrigativo.

Il giovanotto strinse le spalle. «A volte qui, a volte nelle sue stanze.»

«Intendevo: corri a chiamarlo» spiegò l'Inverno. Perché Nicola non era già lì?

«Oh, sì... certo, signore, subito, signore» farfugliò quello, prima di allontanarsi da lui e di uscire dalla sala del trono.

«È una punizione di Danào!» urlò una donna accasciandosi sul pavimento.

Il principe ospite trattenne a stento una risata per la teatralità del gesto e delle parole della dama, ma anche per la sua eccessiva fede per quella divinità minore. Quella di Guglielmo era stata una semplice uccisione; ed eseguita da una mano umana. Ad Erik sembrò di scorgere con la coda dell'occhio qualcosa sotto uno dei tavoli; qualcosa di sottile, che nonostante la sua stranezza non aveva attirato la curiosità di nessuno: un pugnale, dalla cui punta cadevano lente gocce di sangue.

«Uscite tutti dalla sala del trono» ordinò improvvisamente. Alcuni cortigiani lo guardarono dubbiosi, altri come ipnotizzati dalla sua voce; ma dopo un primo istante in cui sembrarono tutti parimenti storditi, procedettero in silenzio verso l'uscita della sala, arretrando armoniosamente, alla stregua di un'onda del mare che si ritira dopo aver frustrato la sabbia.

Erik fece cenno all'ultimo servitore che uscì di chiudere la porta e questi gli ubbidì, pur indirizzandogli un'occhiata perplessa; l'Inverno temette per un istante che quello lo ritenesse l'uccisore del re, salvo poi abbandonare l'idea con una scrollata di spalle: nessuno nello Cmune avrebbe mai osato formulare, né tantomeno concepire, una tale ingiuria contro di lui.

Una volta rimasto solo, si avvicinò alla tavola sotto cui giaceva la lama misteriosa: possibile che nessun altro l'avesse notata? Dalla punta continuavano a cadere gocce di sangue, che formavano una piccola pozza sul pavimento di marmo chiaro. Erik si piegò per afferrarne l'impugnatura in legno, con rifinimenti in ferro: un'arma leggera, come quella che una donna avrebbe portato con sé per difendersi da eventuali assalti. Solo in un secondo momento vide uno stemma stilizzato, che riconobbe all'istante: una conchiglia con perla, il simbolo della famiglia Dal Mare.

Erik strabuzzò gli occhi, per essere sicuro di aver visto bene, ma la conchiglia di quella famiglia del sud rimaneva lì, immobile, scolpita nel legno e rimarcata con ancor più decisione dal ferro che ne percorreva le linee decise. Rimase impietrito, riflettendo sul motivo per cui quella lama si trovasse lì. Sapeva molto bene che Ariel Dal Mare, la più giovane della casata, ne possedeva una uguale: lei stessa gli aveva mostrato il pugnale mesi addietro; ma per quale motivo avrebbe dovuto usarla per uccidere Guglielmo Lotnevi? Per lei il re di Cmune era un completo estraneo, con cui non aveva nulla a che fare.

Inoltre, a quanto lui poteva ricordare, e la ricordava molto bene, la fanciulla aveva il carattere più mite che avesse mai conosciuto: non la credeva in grado di commettere un omicidio simile, a sangue freddo; senza considerare che la presenza di Ariel a Mitreluvui avrebbe di certo attirato chiacchiere anche nel Defi. Oppure si trovava lì in segreto? Era per questo, allora, che Guglielmo aveva insistito affinché Erik si recasse lì?

Sospirò, facendo passare lo sguardo dalla lama al cadavere di Guglielmo: era appena stato ucciso, e con quello che sembrava senza ombra di dubbio il pugnale di Ariel Dal Mare. In effetti, meditò Erik, la fanciulla che aveva visto poco prima fuggire tra le vie di Mitreluvui somigliava molto alla principessa Dal Mare e non gli parve più impossibile l'ipotesi che fosse stata lei.

Sbuffò, sperando che l'arrivo di Nicola e un confronto con lui gli avrebbero schiarito le idee. Pochi istanti dopo, la porta della sala si aprì con un lento cigolio.

«Cosa ci fai tu qui?»

Si voltò e vide Nicola Lotnevi, l'unico figlio di re Guglielmo. Le guance scavate del principe di Cmune erano appena rosse, come se il giovane avesse corso fin lì. Si appoggiò appena a uno dei tavoli e sporse la testa in avanti, quanto gli fu sufficiente per vedere il corpo esamine del padre. Le sopracciglia si inarcarono leggermente, ma tornarono svelte al proprio posto, come non volendo tradire qualche turbamento interiore. Nonostante lo spettacolo che si parava davanti ai suoi occhi, non riusciva a mostrare il giusto dispiacere che ogni figlio avrebbe provato. Il rispetto distante che provava per Guglielmo era noto a Erik, che non si stupì per quell'assenza di reazione.

«Venivo per ordine di mio padre» disse l'Inverno, quasi distraendo Nicola da quella visione. «Mi sono precipitato qui non appena mi è stato detto... Mi sembrava strano che non ci fossi e ti ho fatto chiamare.»

Nicola annuì appena, con i corti capelli castani ancora scomposti. «Hai mandato tutti fuori» constatò con tono di voce piatto, ma che esigeva una spiegazione. Puntò i suoi occhi di cielo in quelli dell'altro, del medesimo colore ma che tuttavia sembravano fatti di ghiaccio.

«L'ho ritenuto necessario» si limitò a dire Erik, prima di porgergli il pugnale.

Nicola afferrò la lama, che ripulì con un tovagliolo preso dalla tavola. Ne scrutò l'impugnatura con attenzione, e disse ad Erik: «Chiedi di far chiamare Saro.»

L'Inverno fece un cenno di assenso con il capo, per poi avvicinarsi alla porta chiusa. Non gli piaceva ricevere degli ordini, ma sapeva di essere lui l'ospite e Nicola il futuro re di quel regno, perciò eseguì senza opporsi. Si affacciò appena per avvicinare un servitore e chiedergli di Saro. Richiuse la porta alle proprie spalle, mentre il Lotnevi era ancora incuriosito dal pugnale, come se non riuscisse a fare il collegamento che a lui era parso immediato.

«È dei Dal Mare» disse soltanto.

«Questo lo vedo da me» replicò lui, posando la lama su uno dei tavoli, tra un piatto che ospitava dell'arrosto e uno che conteneva grappoli di uva bianca.

Erik trasse un profondo respiro prima di parlare di nuovo. «Temo che sia stata Ariel.» La sua voce tremò, sebbene impercettibilmente: sapeva quanto era azzardato pronunciare quelle parole ad alta voce.

Nicola sbarrò gli occhi. «Ariel? Perché lo credi?»

Il principe di Defi sospirò. Lanciò uno sguardo a Guglielmo, che giaceva in terra alla sua destra. Per quanto solo l'idea gli suonasse ridicola, era l'unica che combinasse insieme tutti gli elementi.

«Quando stavo per arrivare, ho visto una ragazza dai capelli rossi fuggire da uno dei cancelli secondari» spiegò scrollando le spalle, come se non fosse abituato a veder messa in dubbio la propria parola; nemmeno da un amico come Nicola. «Ho provato a inseguirla, ma io e Peves eravamo stanchi e mi è sfuggita. Sembrava proprio Ariel... e poi so che ha un pugnale come questo perché me l'ha mostrato tempo fa.»

«E quindi tu credi che sia stata Ariel Dal Mare?»

«Chi altro potrebbe avere un pugnale con quello stemma?» esclamò Erik. Era ovvio per lui che quel pugnale non potesse essere d'altri che di Ariel.

«Qualcuno che glielo ha rubato» rispose prontamente Nicola. «O qualcuno che è al servizio del Dal Mare... o magari un pegno di qualche tipo, non so.»

«Non credo che Ariel darebbe via il suo pugnale, nemmeno se fosse per ringraziare qualcuno per un qualsiasi servigio» lo contraddisse l'Inverno. «È più probabile che qualcuno gliel'abbia preso.»

«Potresti andare da lei e chiederle se lo ha perso» gli propose l'altro.

«Non è così facile come a dirsi» replicò Erik. Nonostante fosse stato lui a ipotizzare la colpevolezza di Ariel, non era affatto sicuro che fosse semplice rubare un pugnale che, a quanto ne sapeva, la giovane Dal Mare portava sempre con sé. Oltretutto non aveva intenzione di recarsi nel sud di Selenia e dal suo sguardo glaciale trasparì del disappunto.

Nicola aveva notato una piccola esitazione nell'amico, ma sapeva che solo lui era in grado di poterlo aiutare ed era necessario che andasse a sud.

Non poteva ordinarglielo, perché era suo pari: doveva convincerlo.

«Perché non puoi?» gli chiese. Provò un moto di disgusto e disagio nel conversare come se niente fosse davanti al cadavere del padre, tuttavia era ben consapevole di non poter fare altrimenti. Non appena Saro fosse arrivato, avrebbero spostato la conversazione in un altro luogo, ma non voleva che i cortigiani entrassero di nuovo lì, non prima di aver sistemato alcune cose.

«Mio padre vuole che scopra chi sia lo spasimante di Flora» rispose Erik.

Quelle parole risvegliarono in Nicola altri pensieri, che andarono a sovrapporsi alle preoccupazioni per la recente uccisione e che lo fecero impallidire.

«Questo non è il momento di parlare di Flora» asserì a fatica, gettando un'occhiata preoccupata verso il padre. Gli occhi chiari del re puntavano verso l'alto, quasi increduli per l'ultima cosa che avevano visto e il figlio provò un moto di pietà verso di lui, che cercò di nascondere. Doveva tenere i nervi saldi per non perdere il controllo della situazione.

Provvidenzialmente, la porta della sala si aprì e ne sbucò Saro, che aveva impiegato troppo tempo per arrivare.

«Ti hanno trattenuto?» gli chiese subito il Lotnevi, notando del sudore sul viso del ragazzo. Che lui sapesse, il servitore non era occupato in quel momento.

Saro annuì, tenendo il volto basso, vergognoso.

Nicola sospirò. Quei cortigiani non gli piacevano affatto, cosa stavano complottando alle sue spalle?

«Non è colpa tua» disse soltanto. Quello alzò appena lo sguardo, e nei suoi occhi di miele il suo principe lesse un sincero ringraziamento. «Devi occuparti di questo» aggiunse, porgendogli il tovagliolo con cui poco prima aveva ripulito la lama dei Dal Mare. «Deve sparire e nessuno deve notarlo. Siamo intesi?»

Saro annuì nuovamente, strappando al principe un rincuorato sorriso. Era l'unica persona su cui potesse contare davvero, in quel momento. Non credeva opportuno ricorrere alla madre, già avvertita con tutta probabilità dai cortigiani.

Mentre Erik nascondeva prontamente il pugnale in una tasca del suo mantello, Nicola si avvicinò alla soglia della sala, ne aprì l'uscio e a catturare il suo sguardo fu un gruppo di nobili che parlottava a bassa voce e con tono concitato. Fino a poco prima sembravano tutti in preda al panico; forse si erano abituati in fretta alla novità, dopo un iniziale e folle sbandamento.

Richiamò a gran voce alcuni servitori e disse loro di preparare il corpo del padre per il funerale. Poi si rivolse ad Erik e gli fece cenno di uscire insieme a lui, per percorrere insieme i corridoi, in silenzio.

Lungo il cammino che li conduceva alle stanze private del principe, incontrarono poche persone: Nicola notò con un sospiro che preferivano recarsi all'esterno per godere del fresco della sera; o forse volevano rimarcare la loro distanza da lui.

Fece entrare Erik in un piccolo studio, con una scrivania di marmo chiaro su cui era stato installato uno scrittoio. Tirò le tende che mostravano la camera a uno dei cortili interni dell'immenso palazzo, in modo che nessuno potesse scorgere niente della loro conversazione.
«Possiamo fidarci di quel Saro?» gli chiese Erik, prendendo posto su una sedia imbottita e dal tessuto violaceo.

«Gli hanno tagliato la lingua da bambino» spiegò Nicola. «Aveva insultato una divinità proprio davanti a una cattedrale, in un luogo poco incline al perdono... credo a Cremini, non ricordo. Qui mio padre non lo avrebbe mai permesso.»

L'Inverno annuì. «Bene. Adesso dovrai sposare mia sorella.»

«Ci sono altre cose da fare» ribatté l'altro, elusivo. «Devo controllare i confini a nord e rassicurarmi che non ci siano attacchi...»

«Ma con Flora al tuo fianco avrai...»

«Erik, non è così semplice» lo interruppe il Lotnevi. «Mio padre è appena stato ucciso, devo prendere il suo posto, occuparmi della difesa del regno...»

«Proprio di questo ti parlavo» insisté l'ospite.

Nicola sospirò, prima di aprire un cassetto della scrivania e tirarne fuori una carta geografica che rappresentava lo Cmune e i suoi confini: un breve tratto a settentrione era segnato di rosso.

«Questo è il punto da cui possono attaccarci» indicò. «Il Ruxuna ha già conquistato Lisse e Ralini. Sono stati molto veloci, perché in meno di un mese sono arrivati a occupare il Loavi partendo dai loro territori... sarà solo questione di tempo prima che prendano anche il Copne e puntino a sud. Verso di noi.»

Aveva cercato di essere freddo, distaccato, ma non poteva negare a sé stesso che la situazione lo preoccupava: il suo regno, la sua casa, era in pericolo e non c'era più il re su cui poter fare affidamento, perché spettava lui ora il compito di subentrare al padre. E temeva di dover fare tutto da solo.

«Se riescono a trovare un varco tra le montagne, sarà solo questione di tempo...» mormorò Erik. Lo sguardo dell'Inverno corse lungo il confine meridionale dello Cmune, quello che condivideva con il suo Defi.

«Abbiamo costruito un muro tra le montagne, in modo che non possano avere spazio» disse Nicola. «Mio padre è stato previdente.»

«Potrebbe non bastare.»

«Lo so.»

«Per questo è importante che tu e Flora vi sposiate» riprese Erik. «Ufficialmente noi non possiamo allearci, quindi l'unico modo che abbiamo per aiutarti è questo. Nessun trattato vecchio di secoli potrà impedire a mio padre di inviare l'esercito qui, se c'è la vita di Flora in pericolo. E lo capiranno anche gli altri regni. A quanto ne so io, c'è un'intera divisione già pronta per lo Cmune. Il Ruxuna è preparato militarmente, e ora ha anche tre regni da cui pretendere dei nuovi soldati...»

«Lo so» ripeté il Lotnevi, interrompendolo. «So che aspettano solo l'occasione propizia...» Indicò sulla mappa il territorio a ovest dello Cmune, segnato con una croce blu. «Hanno già inviato minacce allo Dzsaco e se non gli permetteranno di attraversarlo senza creare problemi...»

Si alzò in piedi e iniziò a camminare freneticamente per la stanza, sotto lo sguardo attento dell'altro. C'erano troppe cose di cui occuparsi e lui era da solo; già riteneva una fortuna che ci fosse Erik, almeno non aveva dovuto fronteggiare da solo i cortigiani.

«Quindi hai degli informatori?» gli chiese l'Inverno.

Scosse la testa. «No, ho Luciana, che è molto più preoccupata di me.» Nicola ebbe la tentazione di mostrargli la lettera della principessa di Dzsaco, che gli era giunta il mattino precedente, ma poi ci ripensò: non sarebbe stato di alcuna utilità. «La cosa peggiore è che non possiamo neanche provare a unire le forze con lo Dzsaco, perché il confine da difendere sarebbe troppo lungo e non abbiamo i soldati per poterlo fare: saremmo circondati su due lati... e il Pogudfo non può esserci di alcuna utilità.»

Erik annuì, sconsolato. «Questi antichi patti militari non mi piacciono per niente. Gli Autunno non li stanno rispettando, mentre noi, piuttosto che violarli, rischieremmo l'invasione...»

«E tu sei convinto che l'unico modo di fermare gli Autunno sia il mio matrimonio con Flora?»

L'Inverno fece un cenno di assenso con il capo. «Non ne vedo altri.»

Nicola sospirò. Abbandonò la sua compostezza, sedendo su uno dei divani imbottiti del salottino. Pensò alla sorella di Erik, con cui il matrimonio era combinato da diverso tempo. Si stropicciò gli occhi e la immaginò sola, nella sua camera del castello di Defi da cui usciva di malavoglia per i suoi doveri, come gli scriveva nelle frequenti lettere che si scambiavano.

L'ultima gli era giunta nel pomeriggio e lo incoraggiava a farsi forza contro l'aperta ostilità dei cortigiani fedeli a suo padre. Anche la fanciulla si era sfogata della propria condizione: da alcune settimane non poteva andare da nessuna parte senza essere sorvegliata a vista dagli uomini fedeli ai genitori o da alcune guardie reali. Sebbene per motivi diversi, i due avevano trovato qualcosa in comune e già da tempo avevano maturato il fermo proposito di non sposarsi. Accettare quella decisione avrebbe significato sottomettersi alla volontà altrui, cosa che Flora non riusciva a sopportare; e aveva suggerito a Nicola di ribellarsi, anche se non in modo aperto. La principessa di Defi era un'amica preziosa, e al Lotnevi era sufficiente la sua amicizia: nonostante la sua bellezza, Flora non lo interessava affatto. Solo in un secondo momento aveva scoperto che lei era sentimentalmente legata a qualcun altro e per questo motivo si opponeva alle nozze.

«Mio padre mi ha anche incaricato di scoprire chi sia il famoso spasimante di Flora» ripeté Erik a un tratto, rompendo il silenzio.

Nicola sollevò lo sguardo e lo posò in quello di ghiaccio dell'Inverno. «Credevo che Tancredi sapesse già di chi si tratta.»

«Pensa che sia un altro. Secondo te Flora si lascerebbe scoprire tanto facilmente?»

Il Lotnevi annuì, celando un sorriso che gli stava per affiorare sulle labbra. Era abile, la fanciulla, i suoi intrighi non sarebbero stati svelati con poco.

«Che abbia un amante?» chiese invece. Nonostante l'amicizia con Erik, non poteva dirgli come stavano davvero le cose.

«È possibile, ma come farebbe a vederlo se è sempre sorvegliata?»

Il principe di Cmune scrollò le spalle. «Non ne ho idea.»

Gettò una rapida occhiata al cassetto lasciato aperto e si apprestò al tavolo, per richiuderlo. La lettera di Flora era sopra addirittura a quella di Luciana. Si soffermò per un istante a rileggere le parole che da lì poteva distinguere, di nascosto ad Erik.

Loro mi guardano e mi vedono sorridere, perché non sanno. Non sanno che li sto prendendo in giro proprio davanti ai loro occhi. E non mi dispiace affatto, Nicola, non riesco a essere dispiaciuta, né a mostrare neanche un velo di tristezza. Perché quando sono con lui, sono felice e loro non possono togliermi questa felicità. Nessuno può farlo.

«Per quanto riguarda il pugnale...» iniziò a dire Erik.

«Uno di noi due deve andare da Ariel» stabilì Nicola. «Ci andrei io, ma non posso lasciare da sola mia madre. Non dopo quello che è successo.»

«Tu non puoi andare da nessuna parte, qui c'è bisogno di te» asserì l'Inverno, anche se non era entusiasta della prospettiva di essere lui a doversi recare a sud. Significava dare alla corte dei Dal Mare un pretesto per parlare di lui e di Ariel: sapeva che i genitori di lei sarebbero stati felici della prospettiva di un loro matrimonio, ma lui non era incline a sposarsi; almeno non al momento.

«Non mi fido di nessuno» disse il Lotnevi. Aveva intravisto una nuova esitazione nell'amico e premette sul legame che li univa. «Non posso mandare Saro, è muto. E qui mi chiederanno di avviare delle ricerche... non posso non dare loro alcun punto di partenza, perché sospetteranno di me.»

Erik sollevò lo sguardo su di lui. «Nessuno deve sapere del pugnale: finché non ne abbiamo la certezza, non possiamo rischiare che qualcuno punti il dito contro Ariel... ti chiederebbero di muovere guerra ai Dal Mare, e non possiamo permetterci un'altra guerra. Non con la minaccia del Ruxuna.»

«Ma cosa diciamo, che il pugnale è sparito? Sospetteranno tutti di te!»

L'Inverno scosse appena la testa. «Prima che li mandassi fuori, nessuno l'ha visto. Mi è sembrato strano... ma forse erano tutti presi da Guglielmo da non notarlo. Intanto tu fa' avviare delle ricerche, magari su chi poteva avere dei buoni motivi per ucciderlo.»

Nicola scosse il capo. Conoscendo i cortigiani, avrebbero tutti detto all'unanimità che l'unico a non amare il re era proprio lui. Ma sapeva di non avere alternative. Forse, con un po' di fortuna, avrebbe trovato qualche borghese, in città, o qualche proprietario terriero che aveva avuto dei trascorsi poco amichevoli con il padre; anche se si trattava di una debole speranza.

«Non possiamo fare altrimenti» insisté Erik. «Dirò a mia madre che vado a raggiungere mio padre nell'Isola di Pecama, mentre in realtà andrò sì nel Pecama, ma per parlare con Ariel.»

«E Flora?» chiese il Lotnevi.

«Falla venire qui, la sua influenza può esserti utile in questo momento. Potrebbe occuparsi lei del matrimonio, mentre tu pensi alla difesa a nord.»

Il principe di Cmune annuì con sospiro: era un'ottima idea avere lì Flora di persona.

Erik tastò il mantello da viaggio, che non aveva tolto per tutto il tempo, nel punto in cui era nascosto il pugnale della giovane Dal Mare. «Lo restituirò ad Ariel» mormorò, scambiando uno sguardo di intesa con l'amico.

Uscirono insieme dal salottino del principe e, alla presenza di qualche cortigiano, l'Inverno disse: «I recenti avvenimenti mi spingono a mettermi nuovamente in viaggio per informare mio padre, vostro alleato, della nuova situazione. Vi auguro di trovare il colpevole di questa uccisione terribile durante la mia assenza.»

Si inchinò in maniera cerimoniosa, e Nicola sperò che i nobili che avevano assistito a quello scambio verbale iniziassero sin da subito ad accettare che il re, ben presto, sarebbe stato lui.

 

(Ultima revisione: 22/05/2020)

 

   
 
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