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Autore: Corydona    26/02/2018    14 recensioni
Come in una partita a scacchi, due fazioni si ritrovano schierate l'una contro l'altra, pronte a dichiararsi una guerra che entrambe non vorrebbero. Da un lato gli Autunno, la cui potenza sembra inarrestabile, dall'altra i Primavera-Inverno, che possono contare su un'influenza senza eguali.
Una situazione di apparente stasi: apparente, perché nell'ombra i sovrani cadono e le successioni al trono sembrano più complicate del previsto. La guerra sarà dichiarata? Termineranno i regicidi? Quale delle due parti avrà la meglio?
Un'antica profezia annuncia la disfatta degli Autunno: si realizzerà? O rimarranno solo vaneggiamenti di un passato caduto nell'oblio?
Genere: Avventura, Fantasy, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Selenia '
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Dedico questa storia a chiunque abbia un sogno immenso da realizzare.

Selenia è il mio sogno, un viaggio lungo tutta una vita che ho scelto di condividere con chiunque si voglia imbarcare in questa avventura.

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Ho iniziato a scrivere questa versione di Selenia nell'ormai lontano 2018.

Da allora ho continuamente rimaneggiato il testo per renderlo più scorrevole, ma mi rendo perfettamente conto di non esserci riuscita in pieno. Lo stile è, almeno per la prima parte di storia, un po' artificioso e complesso... Per quanto abbia fatto almeno una revisione all'anno, non riesco mai a trovare il giusto equilibrio, quindi finché Selenia rimarrà qui e non uscirà da wattpad ed efp, purtroppo rimarrà in questa forma (il lavoro da fare è tanto e io sono impegnatissima su diecimila fronti!).

Vi chiedo di dare comunque alla storia una possibilità, visto che per me significa davvero tanto, e di non soffermarvi solo ai primi capitoli❤

Infine, benvenuti su Selenia💚

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Erik varcò la soglia della città di Mitreluvui quando l'oscurità si stava repentinamente facendo largo tra le sue strade, avvolgendola in un incanto notturno. Nella via lastricata camminavano stanchi solo alcuni lavoratori della terra, che rientravano dopo una giornata di lavoro in campagna, e piccoli proprietari, che tornavano ai loro poderi dopo aver venduto i prodotti nei mercati del giorno. Uno rivolse un'occhiata ammirata nella sua direzione, o forse di invidia per la sua vita ricca e più che agiata; lui non avrebbe saputo dirlo.

Un soffio di vento gli scompigliò i capelli e accarezzò il manto del fidato cavallo con cui si era messo in viaggio, scuotendo le cime dei platani che costeggiavano le sette vie principali della capitale di Cmune. Gli ultimi raggi del sole si riflettevano sulla sommità delle case e sulle tegole dei tetti, contaminando il colore rossastro di una velata malinconia.

Accarezzò la criniera di Peves con un sospiro. Il purosangue era stanco, tanto che aveva iniziato a trotterellare non appena aveva capito di essere vicino alla meta. Lui, invece, era più frustrato che stanco: era stato inviato lì come un messaggero qualsiasi e per la fretta non aveva nemmeno portato qualcuno di scorta. Preferiva occuparsi di quanto accadeva nel proprio regno e non negli altri. Sbuffò al ricordo del padre, che non si era piegato davanti alle sue proteste; ma solo in quel modo aveva ottenuto delle spiegazioni.

Non era stato invitato in virtù del legame di amicizia che univa la sua famiglia e la Lotnevi, lì regnante, e neanche della parentela che in poche settimane sarebbe diventata cosa fatta tra le due casate.

Tancredi aveva preso da parte il figlio maggiore, e gli aveva confidato la sua preoccupazione per una possibile invasione dello Cmune da nord. Il re Guglielmo Lotnevi aveva richiesto esplicitamente la sua presenza, per consultare la sua conoscenza delle arti belliche; ma era assurdo: perché il sovrano di un regno in pericolo avrebbe dovuto chiedere consiglio proprio a lui e non a dei maestri di guerra? Aveva la sua corte e i suoi uomini di fiducia, perché non rivolgersi a loro?

Tuttavia, Mitreluvui tutto sembrava fuorché una città pronta ad armarsi. Il silenzio era assoluto, escluso il cadenzato suono degli zoccoli di Peves, e dopo alcuni minuti cavallo e cavaliere non incontrarono più anima viva: probabilmente i cittadini erano nelle loro case ventilate a godersi la frescura serale dopo l'afa del giorno.

Erik si stupì di non essersi imbattuto nelle guardie che di solito sorvegliavano le vie del regno; neanche nel tragitto percorso sin lì le aveva incontrate, ma conosceva l'indole degli abitanti dello Cmune, più preoccupati del loro lavoro che di rendere il posto un pericolo per gli altri. Popolo saggio, aveva constatato il principe in diverse occasioni.

Eppure la città era sempre sorvegliata con attenzione, perché era al suo centro che si trovava la reggia dei Lotnevi e, nonostante la benevolenza dei sudditi, la prudenza non era mai troppa. Che tutte le forze armate fossero state condotte al nord, al confine con il Loavi?

Scosse la testa, perché sarebbe stata una mossa troppo azzardata che avrebbe lasciato privo di difesa il resto dello Cmune. Si accorse di essere quasi alla fine della lunga via, uno dei sette raggi pavimentati che partivano dal centro della capitale. Entro pochi minuti sarebbe giunto al palazzo reale e avrebbe domandato di persona delle delucidazioni a re Guglielmo.

Poco dopo, infatti, lui e Peves si trovarono in un'ampia piazza piena di aiuole, ancora verdeggianti nonostante la calura. Lì Erik aveva visto molte volte i bambini radunarsi e giocare a rincorrersi o a nascondersi dietro le botti di un'osteria, lasciate incautamente fuori dal locale. Lanciò un'occhiata all'insegna dell'Antica osteria di Mitre, con l'abbreviazione che gli abitanti usavano per la loro città. Avrebbe desiderato volentieri bere un bicchiere di quel vino pregiato che importavano dal Tuilla, ma l'entrata era chiusa come tutte le sere dei giorni di lavoro. Dopo essersi fermato un momento, diede un colpo di redini a Peves, indirizzandolo verso la scalinata che conduceva al palazzo reale.

Fu in quell'istante che la sua attenzione fu attirata da una figura che si allontanava da uno degli ingressi secondari del cortile esterno. La fissò imbambolato scendere gli scalini a passo spedito e poi dirigersi verso ovest, correndo. Il cappuccio del mantello scuro scivolò a causa dell'accelerazione, scoprendo una folta chioma del colore del fuoco: una fanciulla.

Erik diede un colpo di speroni a Peves nel tentativo perché galoppasse verso quella giovane, fuggita tra i vicoli intorno alla piazza. Raggiunse la viuzza in un istante, ma il principe dovette scendere da cavallo perché non c'era abbastanza spazio anche per lui: con uno sguardo ordinò al purosangue di fermarsi. Erik sorrise appena confidando nel destriero ma, quando si voltò per cercare traccia della fanciulla, non vide nulla. Tese anche l'orecchio, adoperando ogni sforzo per tentare di carpire un qualsiasi indizio.

Non sapeva perché fosse tanto importante, ma in qualche modo sentiva che era vitale riuscire a rintracciarla. Una sensazione che non lo abbandonava, che gli continuava a pulsare nelle vene, gli sussurrava che quella era la cosa giusta da fare.

Tuttavia quel silenzio che lo circondava lo frastornava. Si affacciò circospetto a una delle finestre di un pianterreno, con il favore del buio serale a nasconderlo, al riparo dietro delle tende spesse e logore. Scorse una famiglia seduta attorno a una tavola, con dei marmocchi in attesa che la madre versasse nei loro piatti del cibo contenuto all'interno di una pentola in rame. Una scena semplice, che contrastava con l'eccezionalità di quello che Erik, invece, aveva visto poco prima.

Si portò le mani al viso, incerto su cosa fare: avrebbe guardato all'interno di tutte le case di Mitreluvui? Sarebbe stata un'inutile perdita di tempo, convenne tra sé e sé mentre riprendeva il passo verso il cavallo.

Peves lo accolse con un nitrito entusiasta: non vedeva l'ora di arrivare alla stalla e di riposarsi dopo due giorni di viaggio. Erik salì sul suo dorso, ma non gli diede ordine di tornare alla piazza.

Il principe Inverno meditò per qualche istante, fermo in mezzo a una strada di media ampiezza. Il suo sguardo cadde sulla flebile luce di un lampione ad olio e gli venne in mente, in quel momento, che non aveva incontrato neanche gli uomini incaricati di accendere le candele poste su quei pali in ferro sparsi per la capitale: c'era qualcosa che non andava... ma cosa?

L'apparizione di quella fanciulla, inoltre, era stata improvvisa come in un sogno, ma lui non riusciva a credere che si trattasse di una visione prodotta dalla sua mente; per quale motivo immaginarla? Sospirò, confidando nella sapienza di re Guglielmo: forse lui sarebbe stato in grado di fornirgli una spiegazione.

A ridestarlo dalle sue riflessioni fu il cavallo che nitrì ancora.

«Buono, Peves, ci siamo quasi.» Erik gli accarezzò la criniera nera. Diede un altro colpo di redini e il destriero si slanciò verso la piazza antistante il palazzo reale, quasi disarcionandolo.

Una volta raggiunta la scalinata in marmo bianco, l'Inverno scese dal purosangue e salì insieme a lui i dieci gradini illuminati dai lampioni e dalle luci del cortile. Al di là di alcuni alberi si distinguevano i finimenti delle finestre dei piani superiori, abbellite forse con un eccessivo uso di ornamenti. La pietra brunastra in cui il palazzo era interamente costruito assumeva una sfumatura ocra per le illuminazioni artificiali.

Erik varcò il cancello in ferro battuto che dava verso sud, guardandosi alle spalle. Fuori dalla recinzione che circondava il cortile esterno del palazzo, tutto sembrava ancora avvolto in una quiete irreale. Allora si incamminò in direzione della reggia lungo un sentiero secondario, che si dirigeva con un percorso sinuoso verso l'ingresso principale.

Pochi istanti dopo, proprio da lì, uscirono gruppi di cortigiani che parlottavano tra loro, superati da servitori che correvano da una parte all'altra ubbidendo a chissà quali ordini. Due donne vennero condotte di peso fuori dal maestoso edificio e adagiare su delle panchine del cortile esterno, svenute. Due uomini di servizio sventolavano grossi ventagli nel tentativo di farle riprendere; forse qualcuno aveva pensato che l'aria fresca avrebbe loro giovato, senza preoccuparsi degli abiti stretti che indossavano e che ne costringevano il respiro.

Ma cosa poteva essere accaduto di tanto grave perché due dame perdessero i sensi?

Erik si avvicinò a un trio di cortigiani che conosceva solo di vista continuando a tenere le redini di Peves, che altrimenti si sarebbe messo a scorrazzare per tutto il giardino ben curato dei Lotnevi. I visi arrossati dei tre tradivano una forte agitazione e un'urgenza relativa al loro chiacchiericcio sommesso, che si ammutolì nel veder comparire il principe Inverno.

«Cos'è accaduto?»

«Principe Erik, per fortuna siete qui!» Uno di loro tese le mani verso di lui, quasi a volerlo abbracciare. «È avvenuta una disgrazia!»

«Una disgrazia?» Aveva immaginato che si trattasse di qualcosa di importante, ma non addirittura una disgrazia.

«R-re Guglielmo...» A quello al centro, tremavano le mani. Provò a intrecciare le dita, ma il tremolio non si arrestò.

Quelle esitazioni erano troppo teatrali. «Re Guglielmo cosa?»

«È stato ucciso!» buttò fuori il terzo cortigiano, quasi in un'esplosione nervosa.

Erik inarcò le sopracciglia con stupore, ma mantenne la compostezza. Affidò ai tre cortigiani Peves, perché venisse condotto nelle stalle reali e si incamminò verso l'ingresso della reggia, tagliando il sentiero di ghiaia, invece di seguirne il corso sinuoso: se Guglielmo era stato ucciso, aveva poco tempo da perdere; e poco gli importava che l'erba umida per l'innaffiatura gli sporcasse gli stivali. Alcuni uomini e donne della corte lo videro e gli rivolsero parole di saluto, a cui lui rispose appena.

Superò i due gruppi attorno alle svenute, presumibilmente dame di compagnia della regina, senza curarsi troppo di chi lo fermava e gli parlava. Qualcuno si azzardò a proporgli di prendere le redini del regno di Cmune, ma lui non vi badò ritenendo quello del nobile un vaneggiamento sciocco, dettato da uno stato d'animo spaventato e confuso. L'unica preoccupazione del principe Inverno era rintracciare Nicola Lotnevi, figlio di re Guglielmo.

Non pensò di domandare se qualcuno avesse visto la ragazza dai capelli rossi attraversare il cortile. Se lei aveva avuto l'accortezza di uscire da uno dei cancelli secondari, lui dubitava che avesse commesso l'imprudenza di lasciarsi scorgere da un mucchio di cortigiani. Tenne per sé il dubbio, risoluto a parlarne solo con Nicola e in attesa di scoprirne di più. Si inoltrò tra gli ampi corridoi del palazzo reale in cui il viavai di nobili era ancora più caotico, come se ognuno di loro volesse rendersi utile per il proprio re, invano.

Re Guglielmo ucciso... chi mai avrebbe potuto? E perché? 

Le guardie assenti, quella misteriosa apparizione... Forse tutto era stato prestabilito, ma non aveva idea di chi avesse potuto commettere quel crimine immotivato: Guglielmo Lotnevi era un sovrano attento ai bisogni del suo popolo e all'equilibrio nella corte. In realtà Erik aveva con lui poca dimestichezza, poiché aveva maggiore confidenza con il principe Nicola: era suo padre a curare i rapporti con il re di Cmune; motivo di più perché la richiesta di averlo lì lo aveva reso perplesso.

L'intera corte era gettata nello scompiglio, con i cortigiani che non smettevano di agitarsi e i servitori che cercavano di contenere la smania dei nobili, completamente disorientati. La situazione era molto diversa dalle altre volte: l'unico dettaglio rimasto immutato dall'ultima visita era il palazzo, con gli arazzi appesi e i finimenti in oro sulle colonne decorative, come incastonate nelle pareti per sorreggerle. Dalla porta aperta di un salottino, Erik intravide una dama lasciarsi cadere su un divano imbottito, con lo sguardo stralunato e perso nel vuoto, sorretta e aiutata da alcuni camerieri in livrea.

Più si avvicinava alla sua meta, più la folla di cortigiani si faceva movimentata e il volume delle loro chiacchiere saliva, ma questo non fu un ostacolo: dignitari e funzionari del regno gli cedettero il passo per lasciarlo passare per il rispetto che portavano a lui e alla sua famiglia.

Entrò nella sala del trono e lo vide.

   
 
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