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Autore: Cici_Ce    19/03/2018    5 recensioni
Dopo la rinascita del Nemeton e la possessione da parte del Nogitsune, Stiles si scopre più turbato e ferito di quanto pensava di essere. Quando il branco scopre che ogni notte sogna una strana figura che cerca di affogarlo e che al mattino si sveglia completamente fradicio, Stiles decide che è il momento di risolvere qualsiasi trauma gli sia rimasto. Nota così che in tutti gli eventi importanti della sua vita, l'acqua è sempre presente. (Questa storia ha partecipato al Teen Wolf Big Bang Italia del 2014)
Genere: Angst, Introspettivo, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Cora Hale, Derek Hale, Sceriffo Stilinsky, Stiles Stilinski, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Capitolo 6

River Lullaby - Amy Grant

 

 

«Fa un freddo cane qui, Doc. Se volessimo sbrigarci…»

Sono fermi davanti alle vasche, con il freddo dell’acqua e del ghiaccio che sembra penetrare fin dentro alle loro ossa – e ancora non si sono immersi – ma sono pronti, lui, Allison e Scott. Diavolo se fa freddo in quella stanza. Sinceramente, Stiles si sta chiedendo perché mai abbiano accettato di prendere parte a  un piano così assurdo, sono davvero convinti che farsi congelare fino all’assideramento possa servire a trovare i loro genitori? È più che certo che almeno uno degli altri due si stia ponendo le stesse domande, ma o la va o la spacca, giusto? O così o niente. E lui non lascerà certo morire suo padre. Meglio tentare l’impossibile che non tentare affatto.

A un cenno del veterinario tutti e tre si immergono contemporaneamente. È in quel momento, mentre l’acqua comincia a ricoprirlo, mentre il freddo lo sovrasta e i pezzi di ghiaccio lo colpiscono sotto il mento invadendo la sua visuale, che Stiles si rende conto di non aver nessuna ancora. Alle sue spalle non c’è nessun persona pronta a tirarlo fuori, nessuno da cui tornare. Allison ha Isaac, Scott ha Deaton, ma sopra di sé Stiles non vede nessuno.

L’angoscia si scatena inesorabile. Deaton ha detto che bisogna necessariamente avere qualcuno per riuscire a tornare indietro. Vuole trovare suo padre, certo che vuole, ma come diavolo farà a tornare indietro? E chi diavolo lo sta tenendo sotto? Il suo cuore comincia a battere all’impazzata, sempre più veloce, come se dovesse scoppiare da un momento all’altro. Stiles riconosce il principio di un attacco di panico e seguendo l’istinto di sopravvivenza comincia a lottare contro le mani che ora lo hanno spinto sotto il pelo dell’acqua. Scalcia, graffia, si dimena.

Due secondi dopo riemerge dalla vasca, annaspando alla ricerca d’aria. L’acqua straborda e inonda il pavimento con uno scroscio sonoro, ed è l’unico rumore che Stiles riesce a sovrastare il rimbombare del proprio cuore e i suoi respiri affannati. Anche l’aria sembra congelata. Stiles esce dalla vasca e le gambe lo reggono a malapena, tanto che deve appoggiarsi al bordo per sostenersi; è scalzo, i vestiti sono fradici e sotto l’orlo dei pantaloni riesce a vedere distintamente che le dita dei piedi cominciano ad assumere una preoccupante sfumatura bluastra. Il suo cervello, seppure ancora stordito dall’esperienza appena vissuta, fa immediatamente un’associazione: è fradicio, proprio come nei suoi incubi, ma non è solo come dovrebbe essere.

Aspetta… lui non ha mai avuto incubi, salvo rare eccezioni, finché non è iniziata tutta quella storia. Non ne ha avuti quando quella pazza di Jennifer era a piede libero, perché pensa che possa essere qualcosa del genere? Il suo sguardo corre immediatamente alle mani, così in fretta che Stiles si sbilancia verso la vasca e l’acqua ghiacciata schizza tutto intorno. Non si rende conto di aver trattenuto il fiato finché non riesce a distinguere le dita, anche con la vista appannata: sono dieci, non una di più e non una di meno.

Grazie al cielo.

Solo quando riprende a respirare regolarmente si concede il lusso di perdere un po’ il controllo.

«Deaton! Hey Deaton, che cazzo sta succedendo?»

Non è da lui sbottare – urlare, per la precisione – a quel modo, ma non ne può proprio più. Da un lato è convinto di essere in quel momento, e le dita gli confermano che non si tratta di un incubo, dall’altro è proprio questo ostinarsi a pensare agli incubi che lo porta a credere che sia tutto solo un… ricordo?

«Lo sai che il tuo veterinario non c’entra nulla.»

Stiles si volta di scatto e fissa lo sguardo su quella che, ora ricorda, è l’Agana. Si sforza di trattenere l’ansia crescente; è una visione.

«Che cosa vuoi da me?» sussurra implorante. «Mi stai facendo impazzire, smettila, ti prego.»

«Non ti sto facendo niente, è la tua mente che vuole ricordare. Io la aiuto soltanto.»

«Beh, smetti di farlo!»

Stiles ansima, inciampa e scivola, ma riesce ad allontanarsi da lei. Lei, che avanza inesorabile lasciando tra loro sempre la stessa distanza, come se non potesse fare ameno di stargli vicino, e la cosa che più terrorizza Stiles al momento è che anche lui sente lo stesso bisogno. Come il bisogno che qualcuno lo tiri fuori da lì. Come possa associare tale desiderio a lei resta un assurdo mistero.

«Vieni con me, Stiles.»

Una mano argentata si tende verso di lui, che resta immobile e non fa alcun cenno per accettarla.

«Non vuoi capire cosa ti sta succedendo?»

Stiles è indeciso, ora: una parte di sé sa che è lei a causare tutto e per sistemare le cose dovrà seguirla, ma teme anche che, se deciderà di farlo, non farà altro che peggiorare la situazione.” Ma lui vuole sapere, perché il bisogno di sapere le cose è sempre stato la sua molla, la sua carica; teme però ciò che potrebbe scoprire. E teme lei.  E teme se stesso.

«Ti prometto che questa volta assisterai e basta. Non avrai altri incubi, Stiles.»

«Chi sei?» esala ancora. Non riesce a impedirsi di fare qualche passo verso di lei, che non si muove lasciandolo avvicinare.

Non le prende la mano, non ne ha la minima intenzione; il pensiero di toccarla aumenta quell’inquietudine che già lo divora, e lui deve restare lucido. La segue, invece, fino a due porte socchiuse che prima non c’erano. O forse non  aveva notato.

«Cosa mi sta succedendo?» le chiede. Non si preoccupa più di non mostrare il timore che agli amici ha nascosto per giorni. In tutto quel casino ci sta bellamente lasciando la testa, e ormai non gli importa nemmeno più sapere come ci si è trovato, se quello è il modo per uscirne lo accetterà.

«Una di queste porte ti riporterà al passato, l’altra al futuro. Saranno solo due sprazzi, due brevi immagini di ciò che è stato e di ciò che potrebbe essere, ma ti è concesso di viverli, o riviverli, così da capire ciò che ti è chiesto. E fare una scelta.»

«Non mi fido di te. Sei un’Agana, vero?»

«Se sai questo, sai anche che prima ero qualcun’altro.»

«Non mi importa chi eri, ma non puoi giocare con me. Ho degli amici, un padre...»

« È  quello che dicono tutti.»

Stiles fissa le due porte, incapace di muovere un passo. Sono diverse l’una dall’altra: la prima, quella a sinistra, è una porta vecchia, di legno verniciato di grigio. I riquadri al centro sono scorticati, così come i profili tutt’intorno, e in quei punti la vernice è scrostata o addirittura mancante. La seconda è più chiara, di legno puro, senza vernici né decori, né intagli. Per Stiles non è difficile intuire quale sia il passato e quale il futuro, ma perché attraversarle? Non è così stupido da non aver intuito che si tratta di ingressi alla sua anima, immagini di quella porta rimasta socchiusa dentro di lui.

Perché la creatura dovrebbe sottoporlo a quella prova, se  il suo scopo è farlo scomparire dalla faccia della terra?

«Se il mio scopo è comunque portarti con me, tanto vale che guardi ciò che ho da mostrarti, non credi?» aggiunse lei, rispondendo alla domanda che Stiles non aveva posto.

La voce della donna è così vicina che Stiles quasi ne sente il fiato sul collo. Dopotutto, è come per il tuffo nella vasca di ghiaccio, no? Cos’ha da perdere? Solo se stesso.

E Stiles lo fa. Attraversa la soglia grigia e rovinata.

 

 

Un ospedale, il pianto di un bambino.

Stiles si guarda intorno, incerto di dove si trova. Il cuore gli batte forte quando riconosce quello che sembrerebbe il Beacon Hospital ma è in qualche modo diverso, più vecchio. Se si trova nel passato, come Stiles ha ipotizzato, tutto torna. Ma può davvero fidarsi?

Quei singhiozzi affranti lo distolgono dai propri pensieri e lo attirano come una calamita; è un bambino disperato e il dolore nella sua voce è palpabile, tangibile. Stiles non capisce perché senta quei singhiozzi così suoi, perché gli facciano così male, finché non gira l’angolo e li vede: padre e figlio, chini sui seggiolini del corridoio. Il piccolo Stiles – perché Stiles sa, per quanto lo ferisca ammetterlo, che quel bambino non è uno qualsiasi, è lui stesso – piange, ha il visetto nascosto nel collo dell’uomo, stritola la sua divisa con le manine e resta aggrappato come un morbido koala addosso al suo papà, fradicio e ancora con la divisa da vice sceriffo addosso. Il papà gli accarezza la schiena, gli bacia la testa, lo stringe forte e Stiles, quello grande, non può fare a meno di notare che le lacrime gli solcano il viso mentre con voce ferma, all’apparenza quasi serena, cerca di consolare il figlio.

Lo Stiles adolescente sente un brivido corrergli lungo la spina dorsale e trema cercando di ignorare la morsa al petto che non lo abbandona un attimo. Ora si ricorda quel posto, si ricorda esattamente il giorno e anche l’ora. Istintivamente fissa lo sguardo sulla porta bianca dietro suo padre e il se stesso più piccolo, e rabbrividisce più forte.

Gli sembra di non riuscire a muoversi, di non averne la forza; sono i suoi piedi a spingerlo in quella direzione, una direzione che non avrebbe mai voluto prendere di nuovo. Sono i metri più lunghi e più difficili di tutta la sua vita e li affronta come fossero la salita al calvario.

Stiles entra in quella stanza d’ospedale, e non saprebbe dire se era veramente così o se è solo la sua memoria di bambino a renderla tale, ma è scarna, vuota, senza vita, così come è senza vita la donna stesa al centro del letto. Però non lo sembra, non agli occhi di suo figlio. Stiles non si ricorda più quanto era bella la sua mamma, e non riesce a capire se sta vedendo anche lei con gli occhi del bambino, dello stesso bambino che oltre quella porta piange una persona troppo importante che non rivedrà mai.

Fuori dalla finestra c’è un temporale fortissimo, ma a Stiles non importa, non più. Allunga una mano verso quella morta ma ancora calda di Claudia e la stringe, lasciandosi sfuggire un singhiozzo.

«Ti ho amato tanto,» si sente sussurrare all’orecchio.

Stiles sgrana gli occhi e per un istante resta immobile, come paralizzato: ha il cuore batte all’impazzata e il terrore che gli scorre nelle vene. Sa che non è un incubo, non materialmente, ma non riesce a definirlo in nessun altro modo. Lentamente, si volta verso l’Agana che lo ha raggiunto.

«Tu non sei lei,» esala. È un sussurro così debole che a malapena lui stesso riesce a sentirlo.

«Non vuoi vedere quello che il tuo cuore sa già. Ho cercato di avvisarti, è tanto tempo che ci provo.»

«Avvisarmi di cosa? Perché? Se davvero sei mia… se davvero sei lei devi dirmelo.»

L’Agana si limita a fissarlo e il silenzio diventa pesante, un macigno sul suo cuore che Stiles non riesce a spostare. Quella non può essere sua madre, lei non lo avrebbe mai tormentato fino alla pazzia.

È così, è diventato pazzo.

«Non sai più chi sei, Stiles, non sai più cosa vuoi. Ci sono due grandi sofferenze nel tuo cuore, e non riesci a liberartene. Devi farlo per poter vivere.»

Stiles riporta lo sguardo su sua madre, quella vera; Claudia aveva davvero i capelli ricci, Stiles si ricorda com’era bello infilarci le manine: stringeva i pugni in mezzo alla chioma e tirava leggermente, mentre la mamma gli mordeva il naso. Una chioma morbida e profumata di camomilla. Claudia usava sempre lo stesso shampoo per entrambi, e Stiles riusciva a sentirlo ogni volta che affondava il visetto nel suo collo, lo stesso gesto che lo Stiles bambino sta facendo ora, oltre la porta. Ma non è l’odore della mamma quello che sente, e non lo sarà mai più.

Perché Claudia è morta? Perché li ha abbandonati? Stiles non è stato l’unico a soffrire,  hanno sofferto in due. Terribilmente. E anche credeva di essere guarito, mentre stringe la mano morta e fredda di sua madre Stiles si rende conto che quella ferita non si è mai rimarginata. È rimasta lì, e ansi, si è allargata fino a lacerarsi. Forse per quello, tra tutti, il nogitsune ha scelto lui.

All’improvviso è come se quel corpo e l’intero letto scottassero. Stiles non riesce più a guardarla, a guardare sua madre, non con l’Agana vicino.

«Fammi uscire di qui.» ringhia.

 

 

Il tempo di rendersene conto e non si trova più nella stanza d’ospedale, ma di nuovo al loft.

Questa volta la stanza è molto diversa da come la conosce: il pavimento è più chiaro, quasi fosse stato ristrutturato, c’è un divano nuovo e persino una cucina. È come se si trattasse di un altro loft.

Stiles vorrebbe andarsene ma non lo fa, non può; capisce che deve essere il futuro, qualcosa che non ha mai vissuto, che non è un suo ricordo, e deve vedere. Anche se il dolore della morte di Claudia è lì, pungente come mille spilli, Stiles non può evitare di andare avanti. I rumori che provengono dal fondo della stanza attirano inevitabilmente la sua attenzione.

L’angolo che ospita il letto di Derek entra lentamente nel suo campo visivo: Stiles aggira l’ultimo ostacolo che lo separa dalla scena, poi non ha più dubbi. Solo che non vorrebbe guardare, o meglio, non dovrebbe.

Sente le guance prendere immediatamente fuoco e darebbe qualsiasi cosa per trovarsi altrove. Non è proprio disagio, quello che prova. O meglio, il disagio è verso il senso di calore che lo travolge all’improvviso quando riconosce la scena. Certo, guardarsi fare… certe cose con Derek Hale non era esattamente quel che si aspettava. Eppure, per quanto la sua mente stia cercando di spronarlo a scappare a gambe levate, non riesce a fare a meno di fissarli. Fissarsi.

I due, loro due, sono abbracciati tra le lenzuola – lenzuola che  sono di un qualche colore chiaro, un qualcosa che Stiles associa all’amore di Derek per i gamberi e che coprono ben poco, a suo parere, considerato quanto spesso i ragazzi del branco entrano nel loft senza permesso. Non sono neanche propriamente abbracciati. Stiles li fissa, si fissa, a occhi sgranati chiedendosi se ci sia una parola che descriva una via di mezzo tra un abbraccio amorevole e un intreccio focoso. Anche se ci fosse, al momento non sarebbe in grado di farsela venire in mente.

È senza più alcun pudore, dimenticato in qualche recesso della sua mente, che osserva Derek stringerlo quasi fosse la cosa più preziosa del mondo; osserva se stesso stringere forte Derek, aggrapparsi a lui non  come se fosse alla ricerca di un’ancora, quanto come se lui stesso volesse offrirgli protezione.

I due rotolano un paio di volte, scambiandosi le posizioni senza però mai interrompere l’abbraccio. Sono sudati, con la pelle che luccica sotto la debole luce che filtra dalle vetrate, e si guardano in un modo che Stiles si ritrova a invidiare. È uno una condivisione di sentimenti, non è solo sesso. Per un istante Stiles arriva persino a domandarsi se Derek non possa essere in calore – e si, non è del tutto convinto che i licantropi non vadano in calore, non c’è nessuna certezza scientifica a riguardo! – ma no, è tutto troppo intimo, troppo profondo… semplicemente troppo.

Sotto il corpo di Derek,  l’altro Stiles sembra pienamente in pace con se stesso, e così Derek, che lo osserva come si osserverebbe una gemma rara. Stiles fissa i loro corpi che si uniscono, osserva ammaliato dal guizzare dei muscoli di Derek ad ogni movimento; guarda le sue stesse gambe avvolgersi attorno alla schiena piegata di Derek, con i piedi tesi e le dita arricciate, così come nota spudoratamente il modo in cui il sedere e i fianchi di Derek scattano in avanti.

Suoni leggeri, attutiti, soffiati, sono la colonna sonora di quel momento, inframmezzati da parole che Stiles non riesce a cogliere ma che gli trasmettono la tenerezza di un amore mai provato. E poi Derek solleva i fianchi del suo doppione e gli entra dentro, così  a fondo che è come se anche Stiles lo potesse sentire, in quell’istante.

Così scappa.

Si volta e scappa a gambe levate, attraversa il loft con il rumore del proprio cuore che fa eco al suono dei passi sul pavimento, spalanca il portellone ed esce da quel futuro così desiderato, eppure così impossibile da realizzare. Così temuto.

…ed esce.

Esce da un futuro che mai aveva preso in considerazione, ma che ora che l’ha visto gli sembra se non possibile, quantomeno desiderabile.  I due ragazzi in quella stanza, stretti nel loro intimo abbraccio, gli hanno mostrato un amore che Stiles si riscopre improvvisamente ad invidiare. Vorrebbe fortemente lasciarsi sfiorare da un sentimento così grande, essere guardato nel modo in cui Derek sta guardando lo Stiles del futuro. E, allo stesso tempo, è già certo che non accadrà mai. Perché, dopotutto, lui non è che un ragazzo qualsiasi e Derek è… Derek. Quel futuro è incredibilmente desiderabile, ma anche il solo desiderio gli fa male.

 

  

 

Derek fece un salto e si aggrappò al davanzale della finestra di Stiles, puntò un piede contro il muro, fece forza con i muscoli delle braccia e si issò nella stanza. Dalla loro ultima cena erano passati due giorni e Stiles non si era più fatto vivo. Non è che Derek si fosse aspettato una chiamata, un sms o dei segnali di fumo, considerato che oltre ogni logica a malapena parlavano durante le cene.

Così era passato a controllare, solo per sicurezza, si era detto, per tranquillizzare Scott ma aveva capito subito che qualcosa non quadrava: la jeep era ferma al suo posto, ma già dall’esterno Derek sapeva che non c’era traccia di Stiles. Una volta salito, constatare che non era in camera, né in bagno né, a dirla tutta, nel resto della casa, fu una pura formalità. Stiles era semplicemente sparito.

Fu un pensiero che lo fece raggelare.

E poi scattare.

 

 

 

   
 
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