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Autore: Old Fashioned    19/03/2018    13 recensioni
L'Ordine Templare sta attraversando una profonda crisi: i possedimenti in Terra Santa sono perduti, e la sua funzione di difensore della fede sta venendo meno.
Da una delle ultime zone di combattimento contro gli infedeli, un cavaliere viene richiamato in Francia, destinato a una commenda apparentemente tranquilla e pacifica. Allo stesso tempo, un cavaliere Teutonico non particolarmente ligio agli ordini viene inviato al castello di Metz, poco lontano dalla commenda in questione, e un giovane nobile di un feudo nei dintorni desidera disperatamente entrare nell'Ordine Templare. I destini di questi tre personaggi si incroceranno con quello del celebre ordine del Tempio, ed essi saranno testimoni degli eventi terribili che cominciarono con la fatidica data del 13 ottobre 1307.
Seconda classificata al contest "Leggende, Luoghi misteriosi e Miti" indetto da Fiore di Cenere sul forum di EFP.
Prima classificata al contest "Raccontami una Storia" indetto da milla4 sul forum di EFP
Genere: Azione, Drammatico, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Medioevo
Capitoli:
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Salve a tutti, ecco il temuto malloppone!
Come sempre, ringrazio tutti coloro che sono passati a dare un’occhiata, e rivolgo un ringraziamento speciale a chi è stato così gentile da lasciarmi un commento, ovvero Saelde_und_Ehre, queenjane, mystery_koopa. John Spangler, alessandroago_94, molang, evelyn80, _Polx_ e Rose Ardes (ex by a lady^^).






Capitolo 3

Fratello Roland uscì dagli alloggi talmente in ordine che nemmeno fratello Adrien trovò nulla da ridire. Per l’occasione aveva detto a Mathias di lucidare la cotta di maglia con la sabbia, e sorella Agathe, una delle due donne presenti nella commenda, gli aveva lavato tunica e mantello fino a renderli più bianchi della neve.
Così vestito, andò alla ricerca di fratello Geoffroy.
Lo trovò impegnato in una conversazione piuttosto animata con un uomo in borghese.
Fermatosi a debita distanza, rimase a osservare attento il nuovo arrivato: poteva avere sui quarant’anni, vestiva abiti da nobile e teneva per le redini un magnifico palafreno di razza turcomanna, bardato con finimenti ornati d’argento.
L’uomo, evidentemente contrariato da qualcosa, parlava a voce alta e gesticolava.
Fratello Roland ponderò se allontanarsi con discrezione, ma in quel momento la voce del nuovo arrivato si alzò di tono: “Che cosa avete detto a mio figlio?”
La risposta del commendatario giunse invece decisamente pacata: “A cosa vi riferite, barone de Jussy?”
Mio figlio ha perso il senno,” replicò l’altro adirato, “Non fa che ciarlare di entrare nel vostro Ordine, di votarsi al Tempio! È nato signore, e vuole diventare un servo!” Fece una pausa, che utilizzò per far girare uno sguardo sprezzante tutt’intorno, poi riprese: “Voi dovete avergli detto qualcosa per convincerlo. Che cosa gli avete promesso?”
Fratello Geoffroy fissò il furente interlocutore con espressione serafica, quindi rispose: “In verità, barone, noi facciamo di tutto per dissuadere i postulanti. Non promettiamo né ricchezze né onori, ma solo privazioni e sofferenza.”
Fandonie!” berciò de Jussy. “Del resto, è ben noto quello che si dice di voialtri cavalieri del Tempio!” Fece una breve pausa, quasi aspettandosi che l’altro gli chiedesse conto delle sue affermazioni, ma fratello Geoffroy si limitò a fissarlo in silenzio. “Si sa quello che fate!” riprese allora, “Le voci girano. Avete fatto voto di povertà e siete pieni di denari, avete fatto voto di obbedienza e rendete conto del vostro operato solo al Papa, avete fatto voto di castità e...”
Basta così, signore,” lo interruppe fratello Geoffroy con voce severa.
Il barone de Jussy tacque, confuso dall’improvviso cipiglio del commendatario, ma subito dopo ringhiò: “Sono io che dico basta, lasciate perdere mio figlio. Lui non ha niente da spartire con voi.”
Vostro figlio ha l’età per scegliere da solo,” fu la gelida replica del Templare. “Deciderà lui se entrare nell’Ordine o no. Noi non lo incoraggeremo, ma di certo non lo scacceremo, se la sua volontà di vestire la croce è pura e ferma.”
Ci sarà un modo per impedirvelo!”
Sempre in tono tranquillo, il Templare rispose: “Nel vostro sproloquio, una cosa giusta l’avete detta, barone: noi rispondiamo solo al Papa.”
Incapace di trovare una risposta, l’altro si limitò a rivolgergli uno sguardo di fuoco, poi rimontò in sella al palafreno e scomparve al galoppo.
Fratello Geoffroy emise un sospiro. “Molto bene,” disse. Si voltò verso fratello Roland e soggiunse: “Hai visto quanto può essere ingrata la gente che vive nel lusso e nella sicurezza? Sono certo che dove servivi prima, nessuno diceva queste cose dei cavalieri del Tempio.”
Fratello Roland rievocò l’immagine della donna che aveva cercato di baciare la mano a fratello Léon. “No, signore,” rispose.
Il commendatario annuì con vigore. “Ma certo, chi viene difeso da noi, chi deve a noi vita e beni, conosce il nostro valore.” Lo squadrò dal basso verso l’alto. “Come mai quest’abito impeccabile, fratello?”
L’altro abbassò gli occhi. “Ecco, signore, vorrei chiedervi una grazia.”
Dovevo immaginarlo. Cosa vuoi, dunque?”
Visto che andrò a Metz con la mula bianca, vi chiedo il permesso di portare i saluti della commenda di Vaux al castello dei cavalieri tedeschi.”
Fratello Geoffroy aggrottò le sopracciglia perplesso. “Vuoi andare a salutare i cavalieri tedeschi?”
Magari potrei dire loro che siamo soddisfatti dei cavalli, e poi informarli sul torneo.”
Ancora con questo torneo?” sbuffò il commendatario. “Confusione, disordine, spese straordinarie, tutti i lavori che rimangono indietro… pensi che siamo qui per sollazzarci come dei nobilastri sfaccendati?”
Fratello Roland scosse la testa. “No, signore, ma forse fratello Friedrich sta aspettando una risposta.”
Ah, fratello Frédéric, certo,” borbottò l’altro. “Digli che ho chiesto il parere al Siniscalco.” Tacque per qualche istante, poi in tono ammonitore aggiunse: “Ma vi voglio qui entro sera, ricordatelo.”
Grazie, signore.”
Trascorrere la notte fuori è un’infrazione che ti farebbe perdere l’abito. Lo sai, vero?”
Non succederà, signore.”

Soddisfatto forse per la prima volta da quando era a Vaux, fratello Roland raggiunse fratello Olivier. Questi, che si stava preparando a montare in sella, interruppe il gesto e lo squadrò come aveva fatto il commendatario, quindi con voce pacata gli chiese: “Dobbiamo farci accompagnare da qualcuno che sappia il tedesco, per caso?”
L’altro lo fissò stupefatto. “Cosa?”
Fratello Olivier si strinse nelle spalle e rispose: “Ti presenti vestito come se dovessi scortare il Santo Padre in persona, stiamo andando a Metz, quando sono venuti i tedeschi sei stato con uno di loro per tutto il tempo e non ti risolvevi a lasciarlo partire, e adesso ti ho visto parlare un bel po’ con fratello Geoffroy. Ne deduco che gli hai chiesto di passare al castello dei cavalieri tedeschi, come peraltro desideravi fare da tempo. Cosa ci troverai, poi, in quei Sassoni...”
Fratello Roland si limitò a far cenno allo stalliere di portargli il cavallo, quindi montò in sella, si sistemò il mantello in modo che cadesse bene sulla groppa del destriero, indossò l’elmo alla normanna e chiese: “Andiamo?”
Quanta fretta,” lo prese in giro fratello Olivier. “Ricordati che prima dobbiamo portare alla magione di Metz i guadagni della commenda.”
Ma sì, certo. Prima partiamo e prima finiamo, no?”

§

In procinto di cominciare il giro di ronda, Michel e Bertrand, membri della milizia reale, raccolsero le rispettive alabarde e se le misero in spalla.
In quel momento, entrò nel cortile della caserma un messaggero esausto, in groppa a un cavallo schiumante. I due, che stavano per uscire sulle strade, si scambiarono un’occhiata perplessa e si fermarono incuriositi.
Il nuovo arrivato si accorse di loro. Smontò da cavallo e chiese: “Dove posso trovare il vostro capitano?”
Fu Michel a rispondere per entrambi: “Si sta occupando dei novellini assieme al sergente, che vuoi da lui?”
Ho qui un dispaccio urgente da Parigi.”
Da’ qua, glielo porto io.”
Il messaggero scosse la testa e si strinse al petto la pergamena sigillata come se Michel stesse per portargliela via. “Ho ordine di consegnarla solo al capitano,” disse poi con sussiego.
Il capitano è impegnato,” rispose l’armigero, “inoltre, io non so nemmeno leggere, quindi cosa vuoi che mi importi di quello che c’è scritto in quel foglio?”
Fa lo stesso,” fu la risposta, “Ho ordine di consegnare questa missiva,” calcò la voce sul termine, “al capitano in persona.”
Michel alzò gli occhi al cielo ostentando esasperazione. “E va bene, se proprio ci tieni, vieni con me.” Fece qualche passo, poi girandosi a guardare il messaggero da sopra la spalla, soggiunse: “Poi però non te la prendere con me, se il capitano ti piglia a calci nel culo perché l’hai disturbato.”
Scomparvero all’interno della caserma.

Michel raggiunse nuovamente Bertrand. “Andiamo,” disse, recuperando l’alabarda che aveva lasciato appoggiata al muro.
Che voleva quel tizio?” gli chiese il commilitone.
Mah,” borbottò il primo, “Chi ci capisce qualcosa è bravo.” Si avviò verso il portone che dava sulla strada. “Portava un ordine sigillato, che deve essere aperto solo alla mezzanotte tra il dodici e il tredici ottobre.”
Un ordine sigillato?” fece eco Bertrand stupefatto, “E cosa dice?”
Non fare l’idiota: è sigillato, come faccio a saperlo?”
Tu sai sempre tutto,” rispose l’altro.
Presero a camminare fianco a fianco lungo la strada. Come sempre, dalle botteghe provenivano occhiate torve nella loro direzione, e la gente faceva di tutto per non incrociare la loro strada. Un vecchio sputò da una parte vedendoli passare, ma non appena Michel si voltò verso di lui con fare minaccioso, si affrettò a rientrare in casa e a chiudersi la porta dietro le spalle con un tonfo.
Udirono poi un rumore di zoccoli associato al tinnire di metallo. Si girarono e videro un gruppetto di Templari, cavalieri e fratelli di mestiere, che procedeva al centro della strada.
Fu la volta di Michel di sputare da una parte con disprezzo. “Eccoli lì, i damerini,” ringhiò. “Tutti belli puliti sui loro cavalli da guerra strigliati alla perfezione, e non certo da loro. Con la loro mula bianca carica di denari, come ogni mese.”
I cavalieri del Tempio difendono la fede,” gli ricordò Bertrand, seguendo con lo sguardo il silenzioso gruppetto.
Beh, io ho fede,” protestò l’altro, “perché allora non mi danno un po’ di quei denari? Così posso difendermi dalla sete andando a bere in una taverna.”
L’altro lo fissò risentito. “A te non piacciono i cavalieri del Tempio,” constatò.
Michel scosse la testa. “Certo che non mi piacciono. Sono tanto marci dentro quanto sono bianchi fuori.”
E tu come lo sai?”
Te l’ho già detto: basta ascoltare le voci che girano su di loro.” Abbassò il tono, poi soggiunse: “Fra le altre cose, si parla di sodomia e di eresia...”
Non ci credo,” lo interruppe Bertrand categorico.
L’altro usò il calzuolo dell’alabarda per sollevare il coperchio di una cesta appoggiata sulla soglia di una casa, constatò che dentro non c’era nulla e la lasciò perdere. “Vedrai se non ho ragione,” disse sibillino al collega. “Ti ripeto che quelli sono sepolcri imbiancati, bianchi fuori e marci dentro.” Si voltò a fissare i cavalieri che si allontanavano e di nuovo sputò per terra con fare sprezzante.

§

Fratello Roland tirò le redini e per qualche istante rimase a contemplare il maniero dell’Ordine Teutonico: dal punto in cui si era fermato, riusciva a vedere le due alte torri bianche, dal tetto conico. Tra esse si trovava un ampio portone, in quel momento aperto, oltre il quale si vedeva un cortile immacolato, in cui transitavano figure vestite di bianco.
Si avvicinò piano, facendo risuonare il selciato sotto gli zoccoli del cavallo. Subito due soldati si fecero avanti, ma quando si accorsero che la croce sul suo mantello era rossa e non nera, si fermarono interdetti. Si scambiarono qualche rapida frase, poi uno di essi scomparve all’interno del corpo di guardia, e ne uscì pochi istanti dopo accompagnato da un sergente. Il graduato lo squadrò a sua volta perplesso per qualche istante, poi gli disse: “Sît ir willekommen, herre.” Si spostò da una parte come per farlo passare.
Il Templare fece avanzare adagio il destriero, e quando fu all’altezza dei tre si fermò e chiese: “Qualcuno parla la mia lingua?”
Potete parlare con me, herre,” rispose il sergente.
Fratello Roland smontò da cavallo e disse: “Sto cercando un cavaliere di nome Friedrich.”
Bruoder Friedrich,” ripeté l’uomo, come tra sé e sé. Poi, a voce più alta: “Certo, herre. Vi accompagno.”
Disse qualcosa in tedesco, e subito uno dei due soldati si fece avanti per prendere in consegna il cavallo. Fratello Roland gli lasciò le redini dell’animale e si dispose a seguire il sergente.
Oltrepassarono il posto di guardia ed entrarono nel cortile principale, poi il graduato lo condusse attraverso uno stretto corridoio a una porta che si apriva su un cortile più piccolo, nel quale gli unici rumori che si udivano erano il gorgogliare dell’acqua che scorreva alcune braccia più in basso e lo stormire delle fronde dei salici.
Il sergente si fermò sulla soglia. “Là in fondo, herre,” disse poi, indicando due figure vestite di bianco, con la croce nera sul mantello.
Grazie.”
Il Templare fece qualche passo avanti. Fratello Friedrich, lo riconobbe subito dai capelli biondi, era in piedi, mentre l’altro, di corporatura egualmente robusta ma con i capelli scuri, era seduto e aveva un libro aperto sulle ginocchia. I due cavalieri erano assorti in una conversazione e non si erano accorti di lui.
Rimase per un po’ a guardarli e si sentì pungere da una fitta di nostalgia. Quello che c’era fra quei due giovani uomini non aveva nulla a che fare con la cortese, fredda consuetudine che si era instaurata tra lui e gli altri cavalieri di Vaux. Era un sentimento profondo, intenso, che lui conosceva bene, perché era il tipo di amicizia che nasceva esclusivamente sui campi di battaglia. Anche a quella distanza riusciva a percepirne il calore.
Il cavaliere seduto fece per alzarsi, ma si muoveva con difficoltà, come se avesse male da qualche parte. Subito fratello Friedrich corse a sostenerlo. L’altro disse qualcosa, ed entrambi risero.
Il Templare chinò la testa con un sospiro e per un istante ponderò l’eventualità di andarsene senza disturbarli.
Era ancora immerso in quei pensieri quando fratello Friedrich si accorse di lui. Subito fece un gesto di saluto ed esclamò: “Bruoder… fratello Roland! Questa è davvero una sorpresa.”
Disse qualcosa all’altro cavaliere, facendogli cenno di sedersi di nuovo, poi gli si fece incontro.
Fratello Roland,” ripeté, “sono contento di rivedervi.”
Anch’io,” rispose il Templare.
Si strinsero la mano, poi il tedesco disse: “Venite, vi presento il mio confratello, Adalbert von Hohenburg.”
Io… forse eravate impegnato, non vorrei disturbare.”
No, venite, sarà contento di poter parlare con un vero cavaliere del Tempio.” Fece una pausa, poi in tono di spiegazione soggiunse: “È un appassionato di Wolfram von Eschenbach, sapete.”
Così parlando, raggiunsero l’altro cavaliere. Fratello Friedrich disse dapprima qualcosa in tedesco, poi proseguì in francese: “Ti presento fratello Roland, come vedi è un cavaliere del Tempio. Fratello Roland, vi presento fratello Adalbert.”
L’altro gli porse la mano. “Scusate se non mi alzo,” disse, “ma sono stato ferito, e faccio ancora fatica a compiere certi movimenti.”
A quelle parole fratello Friedrich fissò il confratello, e il templare colse un barlume di apprensione nei suoi occhi grigi. “Ferito è dire poco,” brontolò. “Per settimane siamo stati certi che Dio volesse chiamarlo a sé.”
Ma non l’ha fatto,” replicò l’altro, “Però i miei superiori, per punirmi di essermi lasciato colpire da un pagano, mi costringono a oziare qui.”
Vi capisco,” sospirò fratello Roland. “Io non sono stato ferito, ma sono qui a oziare esattamente come voi.”
Davvero? Che cosa avete fatto di male?”
Non lo so. Pensate che chi mi ha mandato qui l’ha fatto credendo di concedermi un privilegio.”
Valli a capire. Sembra che arrivati a un certo punto non si ricordino più che il più grande privilegio per un cavaliere è combattere.”
Già.”
Perché non vi sedete un po’, fratello Roland?” propose fratello Adalbert. “Mi piacerebbe farvi qualche domanda sul Tempio.”
Volentieri,” rispose l’altro prendendo posto, poi in tono scherzoso soggiunse: “Ma non fatemi domande sul Graal, io servo a Vaux, non a Munsalvaesche.”
Gli occhi celesti di fratello Adalbert si illuminarono. “Conoscete il Parzival?”
Fratello Roland annuì. “Purtroppo non ho molte occasioni per dedicarmi alla lettura, ma lo amo molto.”
Questa è davvero una bella notizia. Io e il Fritz, qui, amiamo leggere i poemi epici. Magari ogni tanto potreste unirvi a noi.”
Il Templare ripensò alla fatica che gli era costato strappare quell’ora di permesso alla rigida programmazione della giornata. Emise un sospiro e rispose: “Purtroppo non sarà così facile. Il Tempio non vede di buon occhio certe attività.”
L’altro lo fissò sinceramente stupito. “Davvero?”
È così.”
Ach so.” Fratello Adalbert alzò lo sguardo sul confratello.
Molti di noi leggono,” disse allora questi. “Alcuni scrivono, anche. Non è vero, Adalbert?”
L'altro annuì.
Voi… scrivete?” chiese basito fratello Roland.
Beh, un po’. Adesso sto lavorando a un poema epico, Daz liet von der vergezzenen helden… Il canto degli eroi dimenticati, nella vostra lingua.”
Di cosa parla?” chiese il Templare.
Antiche famiglie delle Alpi. Io sono di quelle parti, e così sto riscrivendo un poema epico di Frouwe Mathilde, una contessa bavarese.”
Stava per aggiungere altro, ma comparve sulla porta un fratello di mezz'età, corpulento, che portava una tunica grigia e un grembiule bianco che gli arrivava quasi fino ai piedi. Questi disse qualcosa in tedesco. Fratello Adalbert gli rispose nella stessa lingua, quindi in francese spiegò: “Scusatemi, è l'ora della medicazione.” Si puntellò per alzarsi, e subito fratello Friedrich scattò ad aiutarlo. Si scambiarono qualche frase a bassa voce in tedesco, poi fratello Adalbert si rivolse a fratello Roland: “È stato un piacere conoscervi.” Gli porse la mano.
Anche per me,” gli assicurò il Templare, stringendogliela con calore.
Spero che tornerete a trovarci.”
Mi piacerebbe molto.”
Con un ultimo cenno di saluto, fratello Adalbert si incamminò cauto. Fratello Roland dapprima seguì con lo sguardo la sua andatura incerta, poi si voltò verso fratello Friedrich e si accorse che questi non aveva occhi che per il confratello. Lo vide fremere, come pronto a lanciarsi in avanti, se mai l'altro avesse dato segno di aver necessità di aiuto.
Alla fine fratello Adalbert si appoggiò alla robusta spalla del fratello infermiere e se ne andò in sua compagnia, e fratello Friedrich si rilassò. Rivolse un'ultima fugace occhiata alla porta chiusa, poi tornò a fissare il Templare. “Quando l'hanno riportato a Ritterswerder, tutti pensavano che non avrebbe nemmeno passato la notte,” disse cupo. “Due ferite in pieno petto, l'usbergo squarciato come una rete da pesca.” Aggrottò le sopracciglia, quindi soggiunse: “Diciamo che il compito di scortare lui mi ha reso meno gravoso questo trasferimento.”
Fratello Roland rimase in silenzio per un po', poi chiese: “Perché siete stato inviato qui, fratello Friedrich?”
L'altro strinse i denti. Per qualche istante fissò lontano lo sguardo da rapace, poi, come parlando a se stesso, rispose: “Ci sono momenti in cui si deve scegliere, fratello Roland.”
Che intendete dire?”
Momenti in cui si è chiamati a decidere, e si accetta di rispondere delle proprie decisioni.”
Il Templare scosse la testa. “Non vi seguo, fratello.”
Allora sarò più chiaro,” rispose il tedesco. “Decidere se eseguire gli ordini, e perdere il castello, o non eseguirli, e salvarlo.”
L'altro lo fissò trasecolato. “Voi avete fatto questo?”
Ho ucciso degli ambasciatori che mi era stato ordinato di scortare. Se non l'avessi fatto, ora Ritterswerder sarebbe in mano nemica, perché gli ambasciatori erano in realtà spie lituane.”
Fratello Roland rimase in silenzio, chiedendosi se in una situazione del genere sarebbe riuscito a fare la stessa cosa. Il primo, e per lungo tempo l'unico insegnamento che aveva ricevuto quando era diventato cavaliere del Tempio era stato che gli ordini si eseguono. Sempre, incondizionatamente, senza discussione. Era quella la forza del Templari, gli avevano ripetuto fino alla nausea, era quello il segreto della loro disciplina e del loro valore in battaglia.
Il che era vero, naturalmente, in ogni situazione a parte quella che gli aveva appena descritto fratello Friedrich.
Si voltò verso il tedesco. “Mi dispiace,” gli disse, “posso solo immaginare il vostro tormento nel prendere una decisione del genere.”
L'altro emise un sospiro. “A volte il bene comune esige il sacrificio di sé,” rispose lapidario.
I due rimasero in silenzio per un po'. Di nuovo, gli unici rumori che si udivano erano lo stormire dei salici e il gorgogliare lieve dell'acqua. Alla fine, fratello Roland disse: “Non ho ancora abbandonato la speranza di incrociare le armi con voi. So che il mio commendatario ha parlato con il Siniscalco, per quanto riguarda la vostra richiesta.”
Fratello Friedrich sorrise. “State parlando del torneo?”
Ho buone speranze.”
Ne sono felice. Sono ansioso di misurarmi contro i celebri cavalieri del Tempio.”
L’altro non rispose. Pensò a fratello Olivier, sempre impeccabile, sprezzante di ogni attività che comportasse l’uso delle armi; a fratello Séverin, grande e grosso, ma con le mani lisce come quelle di una fanciulla; e a fratello Philippe, bravissimo nel rimettere giovani marioli sulla retta via con buone parole piene di saggezza.
In quel momento, la porta si aprì di nuovo e sulla soglia comparve un soldato. Fratello Friedrich gli rivolse la parola in tedesco, i due si scambiarono qualche frase, poi l’armigero salutò e se ne andò.
Ci sono i vostri confratelli alla porta,” disse il Teutonico. “Chiedono di voi.”
Di già?” non poté fare a meno di replicare fratello Roland. Il commendatario gli aveva concesso un’ora, ma di sicuro non ne era passata neppure la metà.
Debbo lasciarvi,” disse poi a malincuore. Si alzò in piedi e si voltò verso la porta, come se si aspettasse di veder spuntare fratello Olivier da un momento all’altro.
Fratello Friedrich si alzò a sua volta. “Vi accompagno,” gli disse.
Raggiunsero il portone. Fratello Olivier, a cavallo, tamburellava nervosamente con le dita sull’arcione della sella. Dietro di lui c’erano i fratelli di mestiere e la mula bianca, tutti già in formazione di marcia.
Eccoti qui,” lo accolse. Salutò anche il tedesco con un cenno del capo, poi disse: “Andiamo?”
Fratello Roland si limitò ad annuire. Strinse la mano di fratello Friedrich e montò in sella. “Ci rivedremo presto,” gli assicurò, fissandolo dritto negli occhi.
L'altro non distolse lo sguardo. “Lo so,” rispose.
Andiamo?” ripeté fratello Olivier, questa volta in tono vagamente spazientito.

§

Quando rientrarono a Vaux, fratello Geoffroy li stava attendendo.
Ci siamo attardati troppo, signore?” chiese fratello Olivier, quindi scoccò un’occhiata risentita a fratello Roland.
Il commendatario scosse la testa. “No, fratelli, non preoccupatevi. Ho solo bisogno di fratello Roland.”
Di me, signore?” chiese stupito il Templare.
Sì, porta il cavallo in scuderia e poi raggiungimi.”
L’altro spinse la cavalcatura verso l’edificio indicato. Fratello Olivier gli si affiancò e disse: “Lo vedi? Ora ti assegnerà una punizione, te l’avevo detto che avremmo fatto tardi.”
Fratello Roland non rispose, ma pensò che non gli sarebbe importato di farsi frustare davanti a tutti ogni venerdì, se questo gli avesse conferito in cambio la possibilità di fermarsi al castello dei cavalieri tedeschi ogni volta che andava a Metz.
Lasciò il cavallo agli scudieri e poi raggiunse il commendatario.
L’uomo lo accolse con un’espressione di serietà grave, tanto che fratello Roland si convinse che effettivamente intendesse punirlo per il suo ritardo e si preparò a ricevere un’aspra reprimenda.
Il momento è arrivato,” lo accolse invece l’altro. Gli mise una mano sulla spalla. “Vieni,” disse poi.
Cominciarono a camminare lentamente. Si staccarono dal cortile della commenda e procedettero per un po' verso i campi. Nel tramonto di tarda estate le ombre degli alberi si allungavano sui prati, nell’aria c’era un silenzio estatico e raccolto. “Che cosa vedi?” chiese dopo un po’ fratello Geoffroy.
Fratello Roland si voltò stupito a fissarlo. “Signore?”
Dimmi che cosa vedi.”
L’altro fece girare lo sguardo tutt’intorno. “La campagna?” propose esitante.
Il commendatario annuì come chi si sente dire esattamente quello che si sarebbe aspettato. “Sai leggere?” gli chiese.
Sì, signore.”
E quando hai in mano un libro, ti accontenti di contemplare la sua rilegatura?”
No, signore.”
Fratello Geoffroy assentì con espressione compiaciuta. “È esatto, perché l’esterno delle cose non ci rivela che una minima parte della loro essenza.” Fece qualche passo, poi proseguì: “Tutto questo, vedi, non è che apparenza, non è che uno, forse il minore, degli aspetti del mondo e delle cose.” Annuì come per sottolineare il concetto, quindi abbassò leggermente il tono: “Anche il Tempio è ben altro rispetto a quello che i tuoi occhi non addestrati sono in grado di vedere, fratello Roland.”
Di nuovo, il più giovane lo fissò stupefatto. “Domando perdono?” chiese, dopo qualche istante di silenzio.
Il Tempio è depositario di sapienza. Le conoscenze che abbiamo accumulato in anni di studio e ricerca ci conferiscono la capacità di vedere le cose quali esse sono, nella loro vera essenza.” Fece una pausa, durante la quale continuò a camminare lentamente, quindi in tono improvvisamente duro concluse: “Questa sapienza deve essere preservata a ogni costo.”
Fratello Roland si voltò verso di lui. “Non capisco, signore. È forse in pericolo?” Si guardò intorno: erano nel cuore della Francia, in una zona pacifica, dove tutti li amavano e dove il più grande pericolo sembrava essere costituito da quattro briganti che si davano alla fuga dopo i primi colpi di spada. Una zona prospera, tranquilla, addirittura noiosa, per un cavaliere abituato a combattere ogni giorno.
Non ti biasimo per ciò che hai appena detto,” rispose l'altro. “I tuoi occhi vedono ancora gli idoli che il fuoco proietta sulla parete della caverna.” Emise un lungo sospiro, poi soggiunse: “Tu devi essere liberato, devi vedere il mondo com'è veramente.”
Fratello Roland non rispose. Aveva l'impressione di trovarsi davanti a una porta chiusa, oltre la quale c'era qualcosa che lo avrebbe cambiato per sempre. “Perché io?” chiese alla fine.
Sei stato scelto.”
Il che vuol dire tutto e niente,” replicò in tono improvvisamente duro il più giovane.
Lungi dal risentirsi, l'altro parve compiaciuto. “Ogni cosa è tutto e niente,” si limitò a rispondere. “Questa sera non ti ritirerai con i confratelli. Verrai invece nella sala del Capitolo, e lì attenderai i miei ordini.”

§

Fratello Roland fu grato che la Regola imponesse di non parlare durante la cena, perché aveva un disperato bisogno di riflettere. La pur breve passeggiata con il suo superiore era stata in grado di stravolgere completamente la sua idea del Tempio, e di già quando si guardava intorno, e vedeva i confratelli chini sul pasto della sera, gli sembrava di trovarsi fra estranei. Il passo delle Sacre Scritture, al quale normalmente prestava orecchio devoto, aveva una musicalità dissonante, come di uno strumento incrinato.
Quando fu dato il segnale fu il primo ad alzarsi, e subito uscì dal refettorio. Fratello Olivier gli tenne dietro. “Non vieni a dormire?” gli chiese.
Bruscamente riscosso dai suoi pensieri, fratello Roland rispose: “No, io... devo assentarmi.”
Le latrine sono dall'altra parte.”
Voglio passeggiare un po', fratello. Devo pensare.”
Fratello Olivier aggrottò le sopracciglia. Fece per aggiungere qualcosa, ma l'altro gli girò le spalle con un movimento brusco e si allontanò nel buio.
Quando fu solo, fratello Roland si allontanò un po' e si sedette su una staccionata. Da lì si girò a osservare il Capitolo, che si stagliava nero e imponente contro un cielo che andava colorandosi di indaco.
Cosa sarebbe successo là dentro?
Si accorse di essere teso, ma in un modo diverso rispetto all'inquietudine che lo pervadeva nell'imminenza di una battaglia. Inspirò profondamente l'aria calma della sera, cercando di farsela entrare dentro come un balsamo benefico.
Raggiunse l'edificio. La porta era accostata e da essa filtrava un debole spiraglio di luce. Spinse l'anta, che cedette con un cigolio.
Al di là il silenzio era perfetto. Una sola candela, posata su una mensola, spandeva intorno un chiarore appena sufficiente a delineare le strutture architettoniche. Nell'aria c'era il consueto odore di cera d'api e incenso, sotto il quale serpeggiava però un sentore più strano, come di umidità e chiuso.
Fece qualche passo, che echeggiò contro la volta immersa nel buio. “Signore?” chiamò guardandosi intorno. “Signore, siete qui?”
Avanzò ancora, continuando a sondare l'ambiente con una strana sensazione di inquietudine.
Signore?”
Si arrestò di colpo: dal buio erano emerse due figure. Entrambe ammantate di bianco, avevano i cappucci calati sul volto, così che i loro lineamenti erano sostituiti da una voragine nera.
Il Templare si irrigidì, e come sempre la mano gli corse d'istinto alla spada.
Non preoccuparti, fratello Roland,” lo tranquillizzò la voce pacata del commendatario.
Siete voi, signore?”
Sì, non preoccuparti,” ripeté l'altro. “Seguici.”
I due gli girarono le spalle e presero a camminare in perfetto silenzio. Pur nel buio quasi completo, si muovevano con sicurezza, come chi segue un percorso che conosce già perfettamente.
Raggiunsero una porta. Fratello Roland ricordava di averla sempre vista chiusa, ma in quel frangente era aperta, e da essa promanava l'odore che aveva percepito entrando nel Capitolo.
Le due figure, che il giovane cavaliere intravedeva come vaghi fantasmi chiari, vi entrarono e scomparvero nelle tenebre più complete.
Fratello Roland allargò cauto le braccia, e le sue dita incontrarono pareti umide e fredde. Spinse avanti il piede e si accorse che c'era una scala che portava verso il basso.
Scese per un tempo che gli parve interminabile, con solo il rumore dei passi di chi lo precedeva a guidarlo, e le mani che scorrevano lungo muri via via più scabri e grezzi.
Alla fine si trovò su un pavimento di pietre, in una stanza che a giudicare dai rumori doveva essere piccola e col soffitto basso.
L'aria era pesante, carica dell'odore greve degli ossari.
Brillò dapprima una scintilla, che in quel buio colpì i suoi occhi come una lama, poi un fiammella incerta rischiarò l'ambiente.
Il Templare si guardò intorno: erano nel vestibolo di quella che gli parve una specie di chiesa. Davanti a loro c'era una porta, oltre la quale si intravedeva una sala sostenuta da colonne cerchiate di ferro. Il pavimento e le pareti erano coperti di simboli che non conosceva, in fondo c'era una specie di altare, sul quale era posato un libro.
Si voltò verso i suoi accompagnatori. Fratello Geoffroy si fece scivolare indietro il cappuccio, imitato dopo poco dall'altro. Fratello Roland si trovò a fissare i lineamenti scavati e lo sguardo bruciante di fratello Urbain.
Che significa tutto questo?” chiese facendo un passo indietro. I suoi occhi saettavano dall'uno all'altro senza riuscire a trovare pace.
Le labbra della saggezza sono aperte solo alle orecchie della comprensione,” proclamò la voce autorevole di fratello Urbain.
Il più giovane si immobilizzò. “Che significa?” ripeté.
Fratello Geoffroy ti ha parlato del vero scopo del Tempio,” disse l'altro.
Conosco lo scopo del Tempio,” rispose con voce dura fratello Roland. “Difendere i luoghi santi, proteggere i pellegrini.”
Questa è solo la meno nobile delle sue funzioni.”
Nel silenzio opprimente si udiva solo qualche lieve fruscio di vesti. Di nuovo, fratello Roland fece girare lo sguardo dall’uno all’altro dei suoi accompagnatori, poi lo fissò in quello di fratello Geoffroy come chiedendogli spiegazioni. Questi si limitò a voltarsi verso il confratello più anziano, come a significare di chi fosse l'autorità in quel frangente.
Di nuovo in tono duro, fratello Roland allora replicò: “Se combattere per la fede è la meno nobile, quale sarebbe la più elevata? Prestare soldi?”
Fratello Urbain scosse la testa. “Sei ancora schiavo della concretezza. Dovrai imparare i sette principi ermetici, dovrai compiere l'iniziazione che libererà dai vincoli terreni la tua parte divina, ovvero l'intelletto.”
Fratello Roland scosse la testa. “Io non sono un sapiente,” disse dopo un lungo silenzio. “Sono un uomo d'armi, avvezzo alla spada e alla disciplina. Non so nulla di queste cose. Perché avete scelto proprio me?”
Perché presto ci sarà da combattere,” rispose sibillino fratello Urbain. “Presto saranno necessarie proprio le armi, per difendere il sapere che abbiamo accumulato.”

Congedato fratello Roland con l'obbligo della più stretta segretezza, gli altri due fecero ritorno al tempio sotterraneo. Entrarono nella navata e si avvicinarono all'altare su cui era posato il libro.
Fratello Urbain vi passò sopra la mano. “Anni di studio,” mormorò come tra sé e sé. “La filosofia sufi, i precetti del Vecchio della Montagna, la sapienza orientale, lo gnosticismo, l'ermetismo...” Alzò bruscamente la testa. I suoi occhi neri, illuminati dalla fiammella danzante della candela, mandavano lampi. “Questo è il vero Graal,” disse, alzando il tono della voce. “La sapienza, fonte di vita eterna.”
Fratello Geoffroy annuì grave. “E di lui che ve ne pare, maestro? Siete ancora soddisfatto della mia scelta?”
È uno stallone turcomanno, focoso ma docile sotto una mano esperta. È un bene che abbia carattere, se fosse troppo remissivo non servirebbe al nostro scopo.”
Fratello Geoffroy si limitò ad annuire, e l'altro riprese: “Il sapiente ha il dovere di preservare con ogni mezzo le conoscenze che ha acquisito.” I suoi occhi grifagni sembrarono farsi ancora più brucianti. “Il sapere è tutto. Anche la vita di qualche non iniziato è nulla, paragonata al sapere.”
Questo vuol dire che fratello Roland potrebbe morire, nel portare a termine la missione?”
Se anche accadesse, non sarebbe nulla di diverso da ciò che ha giurato di fare nel momento in cui è entrato a nell'Ordine.”
L'altro emise un sospiro. “Che cosa dovrà fare?” chiese poi.
Fratello Urbain fece scorrere di nuovo la mano ossuta sulla rilegatura del libro. “Se sarà necessario, questo andrà portato al sicuro. Deve essere preservato a discapito di qualsiasi altra cosa, non possiamo rischiare che cada nelle mani di chi non ha gli strumenti per capirlo, ma allo stesso tempo non posso affidarlo a chi non sia in grado di comprendere almeno a grandi linee il valore inestimabile del suo contenuto.”
Quindi volete istruirlo, maestro?”
Almeno nelle conoscenze di base. Spero solo di averne il tempo.”

§

Conducendo il cavallo per le redini, Gwenel de Jussy fece qualche passo nel cortile, poi si fermò e controllò se il sottopancia era ben stretto. Raddrizzò le bisacce che aveva fissato alla sella, poi diede qualche pacca sul collo dell'animale. Si voltò indietro, e per un po' lasciò vagare lo sguardo sulla facciata del palazzo paterno. Non c'era nessuno alle finestre.
Emise un sospiro, buttò le redini sul collo del cavallo e si apprestò a montare in sella, ma in quel momento il rumore di una porta che si apriva lo distrasse. Si voltò in quella direzione. “Meister Wulf!” esclamò.
Ve ne andate, juncherre?” chiese il maestro d'armi avvicinandosi con passo misurato. Aveva l'espressione di chi sa perfettamente cosa sta succedendo e perché.
Sì, vado,” rispose il ragazzo. “È la mia strada.”
Il tedesco lo fissò negli occhi. Lo sguardo aveva una nota di solennità grave. “Se avete capito che è la vostra strada, fate bene a seguirla,” gli disse.
Il ragazzo annuì, poi abbassò fugacemente gli occhi. “Mio padre non ha neppure voluto salutarmi,” sospirò.
Capirà, juncherre. E comunque, se non capisce, è la vostra vita, non la sua.”
Tra i due calò il silenzio. Gwenel si girò ancora una volta verso il palazzo, poi tornò a rivolgere l'attenzione al maestro d'armi. “Vi ringrazio per tutto quello che mi avete insegnato, meister Wulf,” gli disse. Gli porse la mano.
L'altro gliela strinse con vigore.
Il ragazzo non abbandonò la presa, ma anzi si protese in avanti ad abbracciarlo. “Grazie di tutto,” ripeté.
L’altro dapprima si irrigidì vagamente imbarazzato, poi rispose all’abbraccio. Infine gli pose entrambe le mani sulle spalle, e fissandolo negli occhi disse: “Juncherre, nû var, und gebe dir got sîne krefte [1].”
Il ragazzo sbatté le palpebre e deglutì cercando di trattenere le lacrime.
Sî tapfer unde wîs [2].”
Gwenel annuì. Avrebbe voluto dire qualcosa, ma si sentiva un groppo in gola. Montò in sella e si allontanò senza voltarsi indietro.

Il fratello portinaio si apprestava a chiudere le porte quando il ragazzo arrivò a Vaux. “Che cosa fate qui?” gli domandò stupefatto.
Chiedo asilo,” rispose semplicemente Gwenel. Poi, visto che l’altro tentennava, aggiunse: “Fatemi parlare con il commendatario.”
Ma è quasi ora di cena, non posso disturbarlo.”
Fate come vi ho detto!” replicò il ragazzo, alzando leggermente la voce. “Devo parlare con lui.”
A che proposito?”
Devo parlare con lui.”
Prontamente chiamato, fratello Geoffroy si avvicinò al portone, e subito riconobbe il figlio del barone de Jussy. “Voi qui?” gli chiese stupito.
Il ragazzo smontò da cavallo, prese un gran respiro e infine disse: “Vi faccio formale richiesta di entrare nell’Ordine del Tempio, signore.”
Cosa? Adesso?”
Sì, signore. Ho abbandonato la mia famiglia e sono pronto a lasciarmi alle spalle anche tutto il resto. La mia vita è qui.”
Fratello Geoffroy si grattò perplesso la testa. Fissò il ragazzo, che gli rimandò uno sguardo di incrollabile entusiasmo, poi gli chiese: “Ci avete pensato bene? Sappiate che è una scelta irrevocabile.”
Il più giovane annuì, e quasi con vago compiacimento rispose: “Tutti hanno cercato di dissuadermi, signore, ma io sono deciso: voglio votarmi al Tempio.”
L’altro lo fissò, ancora poco convinto. “D’accordo,” gli disse, “allora tornate domani e vedremo quel che si può fare.”
Gwenel scosse la testa. “Non posso tornare domani. Non ho posto dove dormire, né altro a parte ciò che porto addosso.”
State scherzando?”
Affatto, signore. Ho lasciato la casa di mio padre senza la sua benedizione.”
I due si fissarono in silenzio per qualche secondo, infine il commendatario disse: “In tal caso, credo che non ci sia altro da fare che darvi ospitalità, almeno per questa notte. Poi domani vedremo.”
Voglio entrare nell’Ordine, signore. Sono deciso.”
Per ora venite con me, domani ne riparleremo.”

§

Fratello Roland spinse il destriero al piccolo trotto. “E così, volete proprio entrare nell’Ordine?” chiese.
Fece fare una conversione al cavallo, che girò sulle zampe posteriori e in un attimo partì al galoppo in senso opposto.
In sella a un destriero da guerra, che gli era stato fornito per l’occasione al posto del suo snello palafreno, Gwenel rispose: “Sono deciso. So che questa è la mia vita.”
Fratello Roland brandì la lancia spuntata da esercitazione. “E sentiamo, cosa vi aspettate da questa vita che avete scelto con tanto ardore?”
So che è la mia vita,” ripeté il ragazzo imperterrito. “Non lo so cosa mi aspetterà. Quello che decideranno i miei superiori, immagino.” Fece una pausa, durante la quale rivolse lo sguardo al cielo, poi proseguì: “Di una cosa però sono certo: voglio con tutto il mio cuore portare la croce di sangue sul petto.”
Può darsi che sul vostro petto ci sarà solo il sangue, senza nessuna croce,” ribatté brusco fratello Roland, quindi in tono duro gli ingiunse: “In guardia, vediamo cosa sapete fare.”
Abbassò la lancia in posizione di attacco. Fissò il ragazzo. L’avrebbe colpito, era deciso a farlo. Gli avrebbe fatto assaggiare la polvere un paio di volte, giusto per fargli capire che la vita dei cavalieri del Tempio non era neppure lontanamente quella esaltante e colma atti eroici che lui si aspettava.
Spronò il destriero, che partì sollevando zolle di terra con gli zoccoli.
Il ragazzo abbassò a sua volta la lancia e partì al galoppo.
Fratello Roland tese i muscoli, e puntò la lancia verso la spalla destra del ragazzo. Di solito lo faceva per trafiggere a morte l'avversario, in quel caso avrebbe solo sfruttato la propria forza per disarcionarlo. Lo vide mordersi il labbro inferiore e stringere la presa sulla propria lancia, con una commovente espressione di buona volontà. Spronò ancora.
L'esito dell'impatto lo colse alla sprovvista: con una torsione del busto eseguita all'ultimo momento, il ragazzo riuscì a schivare quasi completamente il colpo che avrebbe dovuto scaraventarlo al suolo. Perse la compostezza e per qualche istante lottò per raddrizzarsi sulla sella, ma un attimo dopo fece fare una conversione al cavallo e si mise di nuovo in posizione d'attacco.
Fratello Roland strinse i denti: evidentemente il ragazzino voleva fare sul serio.
Spronò di nuovo. Questa volta puntò direttamente al fianco del suo avversario: il colpo gli avrebbe mozzato il respiro e lo avrebbe fatto piegare in due per il dolore, ma soprattutto gli avrebbe insegnato che combattere contro i saraceni non era esattamente come esercitarsi nel cortile del castello paterno.
All'impatto, l'altro si lasciò sfuggire un gemito soffocato. Fu sbalzato all'indietro, ma all'ultimo riuscì ad aggrapparsi a un ciuffo di criniera, e pur senza la lancia ed evidentemente sofferente, si raddrizzò alla meglio sulla sella. “Mi concedete un altro assalto?” ansimò.
Il Templare annuì. Lasciò che il ragazzo si procurasse una seconda lancia, quindi mise il cavallo al piccolo trotto. Nel frattempo fissava di sottecchi il suo avversario: aveva le labbra pallide, probabilmente stava stringendo i denti per non lamentarsi, ma non voleva cedere. Te la sei voluta, pensò, e spinse il cavallo al galoppo.
Forse perché il dolore dei colpi precedenti gli rendeva difficile muoversi, il ragazzo non riuscì come le altre volte a schivare la maggior parte dell'impatto. Fu sbalzato all'indietro e cadde a terra, ma in un attimo era di nuovo dritto sulle gambe. Sfoderò la spada.
Fratello Roland tornò in posizione d'attacco. Notò che il volto del ragazzo aveva assunto un'espressione sorpresa, e in tono duro gli disse: “Pensate di essere in uno dei tornei che la nobiltà organizza per svagarsi? Questa è guerra, non aspettatevi cortesie cavalleresche.”
Spronò il cavallo.

La spada in pugno, ansante, Gwenel de Jussy fissò il cavaliere che gli si stava facendo incontro al galoppo. Cercò di mantenersi freddo e di pensare agli insegnamenti di meister Wulf, ma aveva troppa paura: non del dolore o di eventuali ferite, ma di essere considerato inetto nel combattimento e di essere allontanato dal Tempio prima ancora di riuscire a entrarci.
Strinse la presa sull'impugnatura dell'arma, i tonfi degli zoccoli in avvicinamento rimbombavano come un cupo tamburo di guerra. Vista dalla sua posizione, la mole del destriero lanciato alla massima velocità sembrava una montagna in procinto di crollargli addosso.
Tese i muscoli, si preparò a saltare di lato.
Il cavaliere aveva evidentemente previsto la sua mossa, perché la lancia lo intercettò a metà del balzo, e se fosse stava vera l'avrebbe infilzato come un tordo. Essendo spuntata lo sbatté invece semplicemente all'indietro, con il respiro mozzo per la violenza dell'impatto e farfalle bianche che gli danzavano davanti agli occhi.
Gwenel strinse i denti e si rialzò. Cercò con lo sguardo fratello Roland, preparandosi a fronteggiare l'ennesima carica, ma il Templare era fermo al limitare del campo e stava parlando con un confratello appiedato. I due si scambiarono qualche frase, poi il primo smontò di sella, e tenendo l'animale per le redini continuò a parlare con il nuovo arrivato. Il ragazzo notò che di tanto in tanto si voltavano verso di lui.
Nessuno gli aveva detto di non muoversi, per cui pian piano, un passo dopo l'altro, massaggiandosi il fianco indolenzito, prese ad avvicinarsi.
Il fratello con cui aveva combattuto stava dicendo: “Sì, si muove bene, ma...”
A me pare che sia sufficiente,” lo interruppe l'altro, alto e coi capelli chiari. “Le armi le sa usare.” Fece una breve pausa, quindi soggiunse: “E poi lo sai come stanno le cose, qui a Vaux.”
Il primo assunse un'espressione contrariata. “Noi siamo i difensori del Tempio,” replicò con voce dura, “combattere è la nostra principale attività, e nell'uso delle armi ci è richiesta l'eccellenza.”
Il biondo fece un movimento come per scacciare un insetto molesto. “Ne abbiamo già parlato,” disse con un sospiro, poi si voltò verso Gwenel, che lo stava fissando in silenzio. “Voi, venite qui.”
Il ragazzo lo raggiunse.
Sapete leggere e scrivere?” gli chiese quando si fu avvicinato.
Sì, signore.”
E fare di conto?”
Sì, signore.
L'altro annuì. “È quello che serve,” disse poi. “E ora, scusatemi.” Con un breve inchino del busto prese congedo e si allontanò a passo svelto.
Gwenel rimase a fissarlo in silenzio, poi si voltò verso il cavaliere in armi.
L'altro si strinse nelle spalle, come a fargli capire che non era in grado di dargli una spiegazione. “Vi ho fatto molto male?” chiese.
Istintivamente, Gwenel si portò la mano al fianco indolenzito. “No, non tanto, signore,” si affrettò a rispondere.
Bugiardo. Siete talmente bianco che sembrate sul punto di cascare per terra.”
Scusate, signore,” si giustificò il ragazzo, come se fosse tutta colpa sua.
Scusate voi, piuttosto. Ma non serbatemi rancore: l'ho fatto solo per farvi capire cosa vi aspetterà se mai scenderete davvero in battaglia contro i nemici della fede.”
Gwenel chinò appena la testa. “Vi ringrazio, signore.”
Presero a camminare lentamente fianco a fianco. Sotto il sole della tarda estate, le viti si piegavano verso terra, appesantite dai grappoli gonfi di succo. Le fronde dei faggi frusciavano piano nella brezza, uno stormo di oche cenerine attraversò il cielo.
Stanno già cominciando a migrare,” constatò fratello Roland.
Il ragazzo le seguì con lo sguardo e chiese: “Significa qualcosa?”
Che ci aspetta un inverno molto rigido.”
Gwenel non rispose, e per un po' continuarono semplicemente a camminare in silenzio.
Alla fine, fu il Templare a prendere la parola: “Presto saremo fratelli, a quanto pare.”
Lo spero.”
Ne siete contento?”
È ciò che sogno dalla prima volta che ho tenuto in mano una spada, signore.”
Non temete la durezza della nostra vita?”
Il ragazzo scosse la testa, e quando parlò le guance gli si riaccesero di colore: “Io anelo a essa, signore. Non chiedo altro che di essere messo alla prova.”

§

Fratello Olivier radunò i confratelli dopo il pasto serale. “Avete sentito?” chiese loro, “Pare che tra un po' ci sarà da fare un'inconvenientia.” Il tono era infastidito.
Odio quella roba,” brontolò fratello Philippe.
Fratello Séverin alzò le spalle. “È inutile recriminare, ci siamo passati tutti.” Poi, dopo una pausa: “A chi la dobbiamo fare?”
Fratello Olivier rispose: “Quel ragazzetto, il de Jussy. Il commendatario ha provato a dissuaderlo in tutti i modi, ma niente: vuole diventare cavaliere del Tempio.”
Quasi mi dispiace, poveraccio,” intervenne fratello Philippe, “Pensate quanto ci rimarrà male.” Guardò gli altri e pose la ferale domanda: “Chi la fa?”
Seguì un silenzio imbarazzato.
Dovete essere almeno in due,” intervenne fratello Olivier dopo un po'.
Come sarebbe a dire dovete?” chiese fratello Philippe. “Tu non ti conti?”
L'altro scosse la testa. “Odio quelle stupide pantomime volgari,” replicò infastidito.
Intervenne per la prima volta fratello Roland: “Fanno parte della tradizione. Sono necessarie.”
È roba da armigeri ubriachi. Se ci tenete tanto, fatele voi.”
È la regola, fratello Olivier,” gli ricordò l'altro.
In quel momento sopraggiunse Gwenel de Jussy. In attesa che arrivasse il Luogotenente del Gran Maestro per la cerimonia d'investitura, viveva presso la Commenda, non avendo altro posto dove stare, e spesso la sera si univa a quelli che presto sarebbero stati i suoi confratelli.
Buona sera, cavalieri,” li salutò.
Gli giunse in risposta qualche grugnito. Fratello Philippe divenne di colpo estremamente interessato al bordo del proprio mantello, fratello Séverin prese a fissare con attenzione i ciottoli del selciato.
Il ragazzo fece saettare lo sguardo dall'uno all'altro, e infine lo fissò su fratello Roland. “Qualcosa non va?” gli chiese.
Il Templare scosse la testa. “Non preoccuparti, niente di importante.”
Il più giovane fece girare un altro sguardo poco convinto sui cavalieri, quindi di nuovo fissò fratello Roland.
Stavamo solo decidendo chi deve andare domani con la mula bianca,” disse questi. Gli appoggiò una mano sulla spalla e propose: “Ti va di passeggiare un po'?”
Sì, volentieri.”
Si incamminarono verso le vigne, lungo quello che ormai era diventato il loro percorso favorito. Le sere si stavano accorciando, e il cielo era di un vivido color cobalto, contro il quale le strutture della commenda apparivano come sagome nere punteggiate qua e là di luci. L'aria era fresca, e vibrava del frinire degli ultimi insetti.
Domani possiamo fare un po' di esercizio?” chiese Gwenel.
Domani no, andrò a Metz con la mula bianca. E comunque non ti serve tutto questo esercizio.”
Sì, invece. Devo migliorare.”
Hai avuto un ottimo maestro, sai già combattere molto bene.” Fratello Roland fece scorrere lo sguardo tutt'intorno, poi soggiunse: “E comunque, che occasioni avrai di combattere, stando qui? Il più grande nemico, in questo posto, sono gli storni che beccano i chicchi d'uva.”
Diventerò un cavaliere del Tempio, devo saper usare la spada meglio di chiunque altro.”
Il maggiore non rispose. Ancora una volta gli parve di rivedere se stesso, alla vigilia della cerimonia d'investitura. Anche lui aveva aspettato quel momento con la stessa trepidazione, attanagliato dal terrore di non essere all'altezza del Tempio, e allo stesso tempo anelando con tutto se stesso a farne parte.
Ripensò all'inconvenientia, e pregò di non essere tra coloro che sarebbero stati scelti per portarla a termine.

§

Preceduto da un soldato con la croce nera sul petto, fratello Roland giunse a un ampio cortile. Lo spiazzo era delimitato da una parte da un alto muro merlato, e dall'altra dalla sponda del fiume. Trasversalmente correva uno steccato di legno, oltre il quale il fondo era di terra battuta, e segnato da innumerevoli impronte di zoccoli.
Il soldato disse qualcosa in tedesco, poi gli rivolse un breve inchino e si allontanò rapido.
Il Templare fece qualche passo avanti e si appoggiò con i gomiti sullo steccato. Al di là c'erano fratello Friedrich e fratello Adalbert. Il primo era fermo in piedi, l'altro invece era a cavallo e stava trottando in un circolo che aveva il confratello come centro.
Rimase a guardarli in silenzio. Fratello Friedrich disse qualcosa e l'altro mise il cavallo al piccolo galoppo, allargando man mano il cerchio. Il primo, dritto in piedi e con le mani sui fianchi, girava lentamente su se stesso per seguire le evoluzioni del compagno.
Poi fratello Adalbert fece rallentare il destriero, fece un altro giro al trotto, infine raggiunse il compagno, e senza smontare di sella gli disse qualcosa. Questi gli rispose, e per un po' i due rimasero a conversare, uno appoggiato sull'arcione con le due mani, l'altro con la testa piegata all'indietro per guardarlo in viso.
Poi fratello Adalbert smontò da cavallo. Per quanto più fluidi rispetto a quando l’aveva visto per la prima volta, i suoi movimenti non dovevano essere ancora del tutto sicuri, ed egli perse l'equilibrio. Subito fratello Friedrich scattò a sostenerlo, l'altro si schermì e i due inscenarono ridacchiando una finta colluttazione.
Alla fine il biondo scompigliò affettuosamente i capelli scuri del compagno, che scrollò la testa e disse qualcosa. Entrambi risero.
Come la volta precedente, fratello Roland fu attraversato da un’acuta fitta di nostalgia. Mosse un braccio per attirare la loro attenzione, e subito fratello Friedrich lo fissò attento. Aggrottò per un attimo le sopracciglia, poi i suoi lineamenti si distesero ed egli esclamò: “Fratello Roland!”
Gli si fece incontro.
Come state, fratello Roland?” gli chiese quando furono faccia a faccia.
Bene, grazie,” rispose il Templare, poi volse lo sguardo verso fratello Adalbert e disse: “Vedo che il vostro confratello sta migliorando.”
Fratello Friedrich annuì. “Sì, grazie a Dio.” Gli fece cenno di raggiungerli, e l’altro si avvicinò tenendo il cavallo per le redini.
Fratello Adalbert!” lo accolse fratello Roland, “Sono contento di vedere che state meglio.”
Il tedesco sorrise. Era meno pallido della prima volta che l’aveva visto, e gli occhi erano ancora più celesti di come li ricordava. “Sto molto meglio, grazie. Voi come state?”
Bene, grazie. Il vostro libro?”
Sta procedendo spedito. L’unico vantaggio di essere qui è che almeno ho tempo per scrivere.”
Fratello Roland sorrise, poi fissò lo sguardo sul destriero e disse: “Riuscite già a montare a cavallo, vedo.”
Il sorriso dell’altro prese una nota impertinente. “Non ditelo a nessuno: non avrei il permesso di farlo.”
Il Templare trasecolò. “Cosa? Non avreste il permesso?”
Se dessi retta al fratello infermiere, passerei le mie giornate a letto come un vecchio di cent’anni.”
Stupefatto da quella disinvolta insubordinazione, fratello Roland disse: “Ma forse… ecco, io penso che lo dica per il vostro bene.”
Ach, il bene di un cavaliere è combattere. Giusto, Fritz?”
L’altro si limitò ad annuire. I due si scambiarono un’occhiata, poi fratello Adalbert soggiunse: “Però adesso è meglio che vada a riportare il cavallo in scuderia, prima che mi scoprano. Con permesso.”
Si incamminò. Fratello Friedrich lo seguì per qualche istante con lo sguardo, poi tornò a dedicare la propria attenzione all’ospite. “Sono contento che siate tornato,” disse.
E io sono contento di essere qui,” rispose fratello Roland. Emise un sospiro, poi disse: “Sentivo il bisogno di parlarvi.”
L’altro si voltò a fissarlo. “Qualcosa vi turba?”
Sì. E mi struggo, perché ciò che sto per dirvi dovrebbe invece riempirmi di gioia.”
Fratello Friedrich lo prese gentilmente per una spalla. “Venite,” lo esortò, “Passeggiamo un po’ lungo il fiume.”
Il Templare annuì e si incamminarono fianco a fianco. L’acqua scorreva placida accanto a loro, gorgogliando di tanto in tanto fra le pietre muscose delle sponde; il sole traeva luccichii dorati dalla superficie mobile dell’acqua. Da qualche parte, lontano, una donna stava cantando, forse mentre lavava i panni.
Che cosa c’è ce non va?” chiese il tedesco dopo un po’.
Fratello Roland trasse un lungo respiro e disse: “A giorni ci sarà una cerimonia d’investitura presso la mia commenda.”
E non siete contento?”
L’altro esitò a lungo prima di rispondere. Infine mormorò: “Dovrei, so che dovrei.” Alzò gli occhi fino a incontrare quelli grigi e trasparenti del suo interlocutore. “Ma non riesco a provare gioia al pensiero di ciò che sta per accadere.”
Perché?”
Perché so che la vita nel Tempio non è nulla di ciò che lui si aspetta. Lui immagina battaglie, imprese eroiche, invece...” Si interruppe.
Invece?”
Una banale esistenza da contabile. Da cane da guardia per i guadagni della commenda, se sarà fortunato. Io non volevo crederci, ma ho dovuto rassegnarmi: l’Ordine non è più quello che era, non siamo più i difensori della fede, e sinceramente non so cosa diventeremo.”
Voi cavalieri del Tempio siete una leggenda,” replicò il tedesco, “e anche solo per questo motivo fare parte del vostro Ordine dovrebbe essere un onore di cui non tutti sono degni.” Di nuovo gli mise una mano sulla spalla. “Non crucciatevi, chi fa questa scelta sa a cosa va incontro.”
Fratello Roland annuì in silenzio. Lasciò passare qualche istante, poi chiese: “Voi vi siete mai pentito della vostra scelta, fratello Friedrich?”
No,” giunse lapidaria la risposta.
Mai una volta?”
Mai sinceramente. Ogni tanto, forse, ho desiderato di avere dei superiori diversi, o di essere assegnato ad altri castelli rispetto a quello in cui servivo.” Si interruppe brevemente, si sistemò il mantello bianco sulle spalle, quindi riprese: “Ma vedete, quando entriamo in un Ordine, noi cessiamo di essere individui per diventare parti di un tutto, e per ciò stesso, la grandezza dell’Ordine di cui facciamo parte è anche la nostra, e al medesimo tempo, ogni nostra azione, compiuta in seno all’Ordine, contribuisce a renderlo più forte.”
Fratello Roland annuì pensoso. Procedettero in silenzio per un po’, poi il tedesco riprese: “Svolgere il proprio dovere come se da esso dipendesse il destino del mondo, questa è l’essenza di tutto. Questo è ciò che rende la vita degna di essere vissuta.”
Eppure voi avete disobbedito, nel momento in cui avete ritenuto che eseguire gli ordini avrebbe portato un danno al castello in cui servivate.”
E lo rifarei. In quel momento, il mio dovere era salvare il castello, e io l’ho portato a termine, nella mia imperfezione, come meglio ho potuto.”
Ma i vostri superiori vi hanno punito.”
Fratello Friedrich annuì. “Non avrebbero potuto comportarsi in modo diverso, un Ordine deve privilegiare il tutto a scapito del singolo.”
Voi dite, fratello?”
Ne sono fermamente convinto. E se il singolo non è disposto ad accettare di essere subordinato al tutto, allora è meglio che non entri in un Ordine come i nostri.”
È proprio questo il problema,” sospirò fratello Roland. “Non so se il giovane che riceverà l’investitura ha capito tutto questo.”
Il tedesco gli rivolse uno sguardo che le sue iridi grige rendevano di ferro. In tono duro gli disse: “Prima lo capisce e meglio è, fratello. Non risparmiategli nulla, perché tutto quello che gli regalate adesso, lo pagherà cento volte più caro in futuro.”










[1] Juncherre, adesso va’, e che Dio ti dia la forza.
[2] Sii valoroso e saggio.



   
 
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