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Autore: Yellow Canadair    22/03/2018    3 recensioni
Non leggete questa storia, per favore. È piena zeppa di fluff, di agenti segreti che fanno a botte, di spiriti misteriosi che infestano le loro case. E poi parliamo del Cp9, ve li ricordate quei ragazzacci, a Enies Lobby? Qui sono passati due anni, ma le vecchie abitudini sono dure a morire.
Tra una missione e l'altra vivono in una grande torre al centro dell'Arcipelago di Catarina, e anche se ormai Spandam è il loro galoppino e l'hanno soprannominato "scendiletto", i guai non sono ancora finiti.
E poi c'è Stussy, l'agente del CP0. Davvero volete leggere di quando fece a Lucci una proposta indecente? Ma dai, ci sono storie molto più piccanti di questa.
C'è anche Gigi L'Unto, proprietario della peggior locanda della Rotta Maggiore: per leggere la sua storia dovete esser vaccinati pure contro la peste nera, ve l'assicuro. Però sua figlia è molto carina.
C'è anche Lili, una segretaria che è anche pilota, ma questo Rob Lucci non vuole che si sappia in giro, quindi in questa storia non piloterà un bel niente (forse).
Ancora non vi ho convinti a lasciar perdere? Beh, se amavate i completi eleganti del Cp9 passate oltre: qui vengono denudati spesso.
Genere: Fluff, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Cipher Pool 9, Jabura, Kaku, Kumadori, Rob Lucci
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Dal CP9 al CP0 - storie da agenti segreti'
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Il CP9 in: non sono gay, ma posso imparare! 

Atto I: nuovi coinquilini

 

Ormai erano quindici giorni che all’Arcipelago di Catarina pioveva senza sosta. Pioveva ovunque, sull’Isola della Primavera, su quella dal clima estivo, e naturalmente anche su quella dal clima autunnale. Sull’isola dal clima invernale, a Ovest, la temperatura gelida faceva sì che nevicasse, ma il nocciolo della questione non cambiava.

Era, Catarina, un arcipelago le cui isole erano disposte come i punti sulla faccia da cinque di un dado; ogni isola aveva un clima diverso, mentre quello dell’isola centrale era una banderuola che faceva quello che decideva quando si svegliava la mattina.

Mentre su ogni isola esterna c’era una diversa città, l’unico edificio sull’isola centrale era la grande torre dove operava il reparto del CP0 guidato da Rob Lucci.

In quel pigro e piovoso mattino gli agenti erano radunati a casa di Kumadori, al secondo piano della torre, favorita da tutti perché aveva tanti divani e tanti pouf sparsi in giro, e l’austerità dello stile orientale era mitigato dal colore che l’agente aveva scelto per la maggior parte dei tessuti: rosa confetto, come i suoi capelli.

Gli agenti si erano ritirati lì quella mattina, stanchi delle continue strilla di Spandam, che inveiva contro la squadra delle cuoche di Spilletta, contro le signore che erano venute a pulire i corridoi, contro la segretaria Lili, contro i fattorini e contro chiunque lumacofonasse agli uffici e contro tutto l’Universo.

Ogni tanto gli capitavano giornate così, in cui l’essere stato degradato da direttore del CP9 a zerbino del CP0 era più pesante del solito. Lucci non poteva ucciderlo, quindi preferiva abbandonare il campo, e tutti i suoi colleghi con lui.

Anche se non erano fisicamente negli uffici, gli agenti erano a tutti gli effetti in servizio; la segretaria aveva il permesso di venire lì a bussare, ma solo in caso di emergenza assoluta (e con “emergenza assoluta” si intendeva che fosse stato chiamato un Buster Call su Catarina, che ci fosse uno tsunami in vista, che Barbabianca fosse risorto e avesse deciso di attaccare la Torre o cose del genere). Spandam? Se la sbrigasse lei.

Loro, gli agenti, avevano voglia di rilassarsi e studiare per bene la loro prossima missione. Erano abbastanza nervosi per il clima lugubre in cui era sprofondato l’arcipelago: non si vedeva che grigio, a qualsiasi finestra ci si affacciasse. E, inoltre, erano tornati solo da una settimana da una missione molto pericolosa e il Governo Mondiale gliene aveva subito affidata un’altra: bisognava infiltrarsi in una competizione di ballo per dilettanti in cui ci sarebbero stati numerosi esponenti di alcuni reami e della criminalità organizzata.

Nulla di complicato, ma… due di loro dovevano infiltrarsi come partecipanti e gli altri sarebbero stati uno dei giudici, tre concierge e un addetto ai camerini.

Ovviamente senza una preparazione di base sui passi di danza, i due “ballerini” sarebbero stati scoperti in un attimo.

Tanto per cominciare, Lucci aveva relegato alla segretaria l’onere di cercare un buon maestro.

E adesso bisognava comunicare a tutti gli agenti i rispettivi ruoli della missione.

Lucci era comodamente seduto al tavolo della cucina di Kumadori con un bel caffè corretto davanti, Hattori sulla spalla, e addosso un completo di tuta grigio chiaro: quando non era negli uffici, o in missione, poteva permettersi di andare in giro vestito più comodamente.

Si legò i capelli che gli scendevano sugli occhi con un elastico e dichiarò: «Dov’è quell’animale di Jabura?»

«Chapapa, sta dormendo!» si scucì la bocca Fukuro. «Ieri ha fatto le ore piccole con…»

«Non credo che sia la sede adatta, Fukuro» lo bloccò Califa con severità.

«Tanto si è sentito su tutto il piano!»

«Per favore…» implorò Kaku, al quale le attività notturne di Jabura avevano impedito di dormire.

«È UN RITARDO ESTREMAMENTE IRRISPETTOSO!» declamò Kumadori. «FARÒ SEPPUKU PER LAVARE L’ONTA!» ma ormai nessuno si spaventava più, a quella minaccia.

«Cominceremo senza di lui» ovviò Lucci senza curarsi di quell’assenza. «Abbiamo una richiesta di intervento. Una settimana a Ruby Island, gara di ballo per dilettanti. Il nostro obiettivo è la principessa del sultanato di…»

Seguì una spiegazione dettagliata della missione, durante la quale tutti ascoltarono con attenzione, e Califa prese anche degli appunti.

A metà arrivò Jabura.

«La riunione era alle 10» lo stilettò Lucci.

«Fukuro aveva detto 11» rispose Jabura.

«Chapapa, ho sempre detto 10» si difese.

Jabura si sedette scomposto il più lontano possibile da Lucci, al capo opposto del tavolo, e sbirciò gli appunti di Califa.

«Una gara di ballo? E io che dovrei fare?»

Rob Lucci finalmente gustò la frase che avrebbe messo il lupastro in una posizione a lui del tutto sfavorevole. «Ballare»

«Ma non ne sono capace!»

«…con Califa»

«Questa è molestia sessuale!»

«No!» saltò su Kaku, prevedendo l’alternativa; si rivolse a Lucci: «Mi rifiuto di vestirmi un’altra volta da donna.»

«Non ti vestirai da donna.» promise il boss.

«E io? Dovrei essere molestata per… per la missione?» protestò Califa accavallando le gambe con un movimento sensuale e incrociando le braccia. Anche se era mattina, e aveva addosso un morbido golfino, sfoggiava in tutta naturalezza delle autoreggenti ricamate messe bene in mostra dalla minigonna.

«Ehi, ma chi ti vuole molestare!? Si tratta solo di ballare insieme!» che cavolo, Jabura era stronzo ma non avrebbe mai messo le mani addosso a una donna senza il suo consenso!

«E comunque, non sono in grado di ballare.» concluse Califa, credendosi al sicuro da ulteriori problemi.

«A questo ho già rimediato. Ho fatto chiamare un maestro di ballo.»

«E chi sarebbe?» domandò con astio Jabura.

«È in fase di scelta.» ammise il leader. «Ma ormai sarà questione di minuti.»

«Io ballerò, Califa ballerà, Fukuro sarà nei camerini… ah, ma nei camerini non potevo andarci io?» si lamentò Jabura, ma poi riprese a leggere gli appunti. «Blueno, Kumadori e Kaku faranno i… che c’è scritto? concierge? Ok… e tu?»

«Io sarò nella giuria» rispose Rob Lucci.

«Hai competenze tecniche per una gara di ballo?» si sorprese Kaku.

«Io no. Ma Hattori sì.»

Il colombo si impettì con aria di importanza.

Jabura radunò i fogli che gli spettavano e cominciò a scorrerne le righe. Uccidere gli piaceva e probabilmente quella gara di ballo si sarebbe risolta in un bagno di sangue, però gli scocciava sempre la parte della documentazione; ma era il suo dovere da agente e lo faceva, senza storie, e con tutta la sua professionalità.

Mentre sfogliava le pagine, gli venne in mente: «Sai che è saltato il concorso Miss Perizoma, all’Isola dell’Est, per via della pioggia?» disse rivolto a Blueno.

«Chapapa, però l’hanno sostituito con “Miss Maglietta Bagnata”» informò Fukuro.

«Sfacciati!» commentò seccata Califa.

«YOOOO YOOOOIIII!» Quando Kumadori roteava il proprio bastone mentre parlava, gli sguardi di tutti correvano automaticamente al lampadario, che rischiava di essere colpito, ma l’agente dai capelli rosa aveva padronanza assoluta del bastone e non toccava mai nulla. «Le lacrime del Cielo sono le lacrime di noi che abitiamo questa valle di cenere… piove su i nostri volti, silvani, piove su le nostre mani ignude, su i nostri vestimenti leggeri, su i freschi pensieri che l'anima sch-»

«E basta, ogni volta che piove è sempre la stessa lagna! Contegno!»

«Non è il momento di pensare a cosa ti stai perdendo all’Isola dell’Est» sottolineò Rob Lucci, alzandosi con eleganza e lasciando il tavolo da pranzo e spostandosi sul morbido divano rosa che c’era in un angolo della cucina di Kumadori. «Ti ricordo che hai dei documenti da leggere per la tua prossima missione sotto copertura, e che devi informarti a dovere su cosa prevedono i concorsi di ballo»

«Non ho mai saputo ballare» si ribellò Jabura «Non potresti farlo tu!? Quando eri nelle reclute partecipavi ai corsi di ballo, no?»

«No» negò Rob Lucci.

Hattori sorseggiava sakè da una tazzina che Kumadori conservava solo per lui e scuoteva il capino, critico, guardando Jabura.

«Devi esibirti al massimo per due o tre canzoni» disse Blueno, seduto alla tavola da pranzo a giocare a carte con Fukuro. «Segui la musica, prendi Califa, vai avanti»

«La stai facendo troppo facile!»

«Per favore! Questa è molestia sessuale!» insorse Califa.

Gli agenti se ne stavano tranquilli a commentare la missione, a ragionare sui passaggi che avrebbero dovuto affrontare e a osservare la pioggia che avvolgeva Catarina come un liscio e trasparente manto, quando all’improvviso si sentì (manco a dirlo, o non staremmo qua a raccontarlo) un insistente bussare alla porta.

« Avanti » risposero Lucci, Kumadori, Fukuro e Jabura, ognuno con un tono diverso.

Poi si ricordarono che non erano in ufficio, ma a casa di Kumadori, e fu Kaku ad alzarsi da tavola e ad andare ad aprire. Trovò la segretaria bagnata fradicia come se avesse passato l’ultima mezz’ora sotto la pioggia torrenziale.

«Lil-»

«Kaku, è un’emergenza!» invocò lei, incurante della pozzangherina che si stava formando ai suoi piedi, con tutta l’acqua che le sciorinava dalle vesti e dai capelli «Li ho fermati al porto, ma non posso rallentarli ancora per molto! Per favore, il boss deve-»

«Che sta succedendo?» sopraggiunse Rob Lucci, che aveva sentito la voce concitata della segretaria «Hai trovato un maestro di ballo?»

Ma non rivelò il nome di un esperto ballerino, bensì una realtà molto più scabrosa: «Boss, vogliono far trasferire qui un altro reparto!»

 

~

 

Il Comandante Fedora era una donna alta, dai modi gentili, e dal curriculum vitae lungo quanto l’elenco del lumacofono. Una famiglia da sempre nelle forze dell’ordine, la sua: forse solo un paio di lontani zii avevano preferito una vita da civili. Lei era stata Vice-ammiraglio in Marina fino a qualche anno prima, poi aveva deciso di passare ai piani alti del Cipher Pol.

Indossava un bellissimo completo bianco da uomo, anche se la giacca era aperta non su una camicia ma su una blusa di pizzo sangallo. In testa aveva un meraviglioso cappello in feltro, a tesa larga, bianco con la striscia di pizzo.

Anche suo fratello Kizaru era nelle forze armate, ma lui era rimasto dov’era cresciuto: in Marina. Aveva fatto una carriera niente male, tanto che era Ammiraglio.

 

 «Purtroppo un reparto ha avuto un problema con la propria sede: è stata rasa al suolo durante un bombardamento navale. La ricostruiranno, ma ci vorranno diversi mesi» spiegò Fedora a Lucci con serenità, mentre attorno a lei andavano e venivano gli operai che si affaccendavano a scaricare sacchi di cemento, mattoni, pale e picconi «Nel frattempo, quel reparto alloggerà qui con voi: la sede centrale del Cipher Pol ha deciso che questa Torre è sprecata per sole sette persone, e che siete i più adatti a ospitare i vostri colleghi, finchè non ricostruiranno la loro sede effettiva» dispose la donna, e poi terminò: «Per evitare problemi tra i due comandanti, io farò da superiore a entrambi»

«E perché non sono stato informato prima di questa decisione?» tuonò Rob Lucci, infastidito dal via vai di operai che volevano ristrutturare gli appartamenti in vista dell’imminente trasloco di un altro reparto «Non può esser stata presa da un giorno all’altro» era sceso dagli appartamenti in fretta e furia, vestendosi con il suo completo nero elegante, e Hattori gli aveva portato in volo la tuba quando lui già stava ridiscendendo le scale.

I due stavano parlando nell’atrio della Torre di Catarina, a poca distanza dal portone principale, ora spalancato, e con l’umido panorama del parco sott’acqua davanti a loro, oltre la porta.

«Ho lumacofonato personalmente un mese fa: ho passato la comunicazione al tuo galoppino, Spandam, con l’ordine tassativo di informartene, e tu non hai mai risposto» rivelò Fedora.

Spandam. Rob Lucci l’avrebbe ammazzato e poi avrebbe impalato il cadavere all’asta della bandiera della Torre, se l’avesse avuto sotto gli artigli in quel momento.

La rivelazione era stata sconcertante per tutti: la Torre di Catarina, che fino ad allora era appartenuta solo a loro (piano terra e primo piano per gli uffici, gli ultimi quattro per gli appartamenti personali) adesso sarebbe stata divisa con un altro reparto del Cipher Pol per circa sei mesi, forse di più.

«Che reparto è?» chiese Lucci. Era nel Governo Mondiale da una vita, almeno di nome poteva dire di conoscere tutti quanti: quale scocciantissimo reparto gli sarebbe toccato avere, come vicino della porta accanto? Sperava quanto meno in qualcuno poco invadente e rumoroso.

«Si tratta di-» ma Fedora venne interrotta.

«Boss, mi dispiace tantissimo» venne a pigolare vicino a Lucci la segretaria, Lili, ancora bagnata fino al midollo «Ho fatto il possibile per fermarli, ma…»

«Vatti ad asciugare, stupida. E poi torna immediatamente qua» la stilettò il capo, severo. La ragazza chinò il capo e sparì dalla circolazione.

In effetti quel poco che aveva fatto non era servito a niente, se non a bagnarla da capo a piedi. Circa un’ora prima stava nel suo ufficetto del pianterreno con Spandam, lui leggeva il giornale e beveva il caffè dalla sua tazzina di plastica col coperchio (a prova di rovesciamento), lei lumacofonava senza successo a tutte le scuole di danza del Nuovo Mondo. All’improvviso avevano sentito il rumore di una chiave che girava nella toppa del portone d’ingresso, e si erano guardati allarmati perché tutti gli agenti erano in sede, loro due erano lì, e quindi teoricamente nessuno doveva avere la chiave dell’edificio per entrare!

Siccome Lucci aveva dato ordine di non disturbare, Spandam e Lili erano andati all’ingresso a fronteggiare chiunque stesse cercando di forzare la porta. «Porta Funkfleed!» aveva detto la ragazza all’uomo, lei aveva sollevato la lunga gonna a ruota, aveva infilato una pistola nelle autoreggenti, ed erano andati all’arrembaggio.

Lili aveva preso la situazione di spalle, appoggiandosi con tutte le sue forze contro il portone e bloccando l’ingresso. «Qui sede del CP0, identificatevi!» aveva recitato con forza mentre da fuori spingevano il battente.

«Sono Lusky, del Governo Mondiale! Aprite immediatamente il portone»

«È un veterano! Del reparto di mio padre!» aveva sussurrato con deferenza Spandam, e aveva aperto la porta.

Lusky era un uomo sulla cinquantina, severo e rigoroso. Dopo pochi ed essenziali convenevoli, spiegò ai due galoppini la situazione: scortava un reparto del Cipher Pol che avrebbe dovuto insediarsi lì, alla Torre di Catarina. Aveva ordinato a Lili e Spandam di spalancare il portone, perché potessero entrare gli operai per la ristrutturazione e i nuovi inquilini, aveva detto indicando fuori, sotto la pioggia, dove già si vedeva un gruppo di uomini in divisa gialla che trasportavano mobili e materiale edile.

«Ma quelli sono operai!» aveva riconosciuto la ragazza «Cosa volete fare alla Torre?»

«Che domande! Fare qualche modifica! Vivranno qui altri sette agenti, da adesso!»

«Il signor Lucci non ha mai dato autorizzazione di ciò!» aveva protestato la segretaria.

«Noi abbiamo mandato un avviso a questa sede, se non l’avete letto sono affari vostri» aveva commentato Lusky.

«Dateci almeno qualche minuto…! Fatemi andare a chiamare gli agenti!» aveva implorato Lili.

«Non dipende da me, bimba. Va’ da Fedora» aveva detto Lusky, indicando una nave al molo, che quasi non si vedeva sotto la pioggia torrenziale e oltre le fronde del parco dell’Isola centrale.

Spandam non si sarebbe mosso di una virgola, così Lili, in fretta e senza nemmeno prendere l’ombrello, era corsa verso quella nave per parlare con la Fedora indicata da Lusky, ed era salita a bordo della nave della Marina che intanto continuava a sputare operai che non vedevano l’ora di metter le mani sulla Torre.

«E tu chi saresti?» l’aveva accolta Fedora, il Comandante Capo, che era intenta a fumare una pipa affacciata agli oblò della nave, sul ponte di comando.

«Sono la segretaria della Sede di Catarina! Signora, temo ci sia un increscioso equivoco…»

E invece l’equivoco non c’era, Fedora aveva ragione. Però fu molto cortese e concesse un’ora agli agenti per sgombrare la Torre, mentre lei e il nuovo reparto avrebbero aspettato nella nave.

Lili non aveva potuto fare altro che affrontare di nuovo la pioggia, salire le scale e bussare all’appartamento di Kumadori per avvisare Rob Lucci. Poi, si consolava, il suo compito sarebbe finito perché il boss certo avrebbe preso sulle proprie forti spalle tutta quella confusione.

Rob Lucci recuperò il filo del discorso interrotto dalla sua subordinata: «Di che reparto si tratta? Quanti sono?»

«Sono sette in tutto, come voi. Sei donne e un uomo. Il leader del reparto è Stussy, ti dice niente?»

«Stussy del Quartiere a Luci Rosse. Le hanno bombardato i bordelli?»

«Esatto, mio caro Rob Lucci» confermò una voce femminile.

Stussy fece la sua trionfale entrata in scena in quel piovoso giorno di fine aprile. Una visione in bianco sullo sfondo grigio e allagato di Catarina. Aveva dovuto sostituire le solite scarpine con il tacco per degli stivali di gomma bianchi, ma rimaneva comunque impeccabile nella sua eleganza d’altri tempi; indossava un vestitino bianco, corto, ed era riparata dalla pioggia da un impermeabile bianco lasciato aperto, e i capelli corti e biondi erano perfettamente acconciati, coperti da un’elegante cloche. Aveva in mano un ombrello del Governo Mondiale, bianco con il grande simbolo in nero e le scritte “CP0” sui quattro spicchi mediani. Un’apparenza angelica ed eterea per una delle assassine più spietate e tremende che il Governo avesse mai avuto nelle proprie file.

Rob Lucci la squadrò da capo a piedi con sommo fastidio, con l’aria di un felino sul piede di guerra che vede invadere il proprio territorio.

«Ahimè, durante una missione, il mese scorso, la nostra sede è stata rasa al suolo da un bombardamento navale… passerà del tempo prima che venga ricostruita. Quindi la sede centrale ha deciso di spostare momentaneamente qua me e le mie ragazze. Non è meraviglioso? Sarà come quando eravamo piccoli, agli addestramenti, dormiremo sotto lo stesso tetto» sorrise melliflua la donna.

«Non abbiamo mai dormito sotto lo stesso tetto» precisò Rob Lucci «I dormitori sono sempre stati separati»

Stussy sorrise, civettuola. «Come se tu fossi stato sempre nel tuo, di letto…»

Hattori sentiva già il vulcano ribollire sotto le proprie zampine, quando Fedora pensò bene di disinnescare le bombe (cosa che, temeva, avrebbe dovuto fare nei mesi a venire). «Stussy, perché non torni sulla nave? Gli agenti qui hanno bisogno di tempo per radunare i loro effetti e aiutarci nel trasferimento… Lucci, avrai bisogno anche tu di…»

«Rimango qui a controllare la situazione» dichiarò l’uomo. «Kaku è salito a casa sua a fare le valige; quando finirà, ci daremo il cambio»

Lasciare tutto nelle mani di Spandam un’altra volta? Non se ne parlava proprio.

 

Non si trattava di un semplice trasferimento: una delle rivelazioni più sconcertanti di quella giornata era che bisognava ridistribuire le abitazioni, e gli agenti avrebbero dovuto dire addio alla loro tranquilla esistenza: un appartamento per ciascuno di loro era stato definito “uno spreco” dal Governo Mondiale. Dei sette appartamenti che avevano, ne avrebbero persi quattro.

Anche il reparto di Stussy contava sette agenti: sei donne e un uomo. Per fortuna, però, il Cipher non avrebbe lasciato Lucci e Stussy a scannarsi per decidere chi avrebbe comandato a Catarina: a capo della sede ci sarebbe stata Fedora, mano santa, a vigilare sia sull’operato degli agenti, sia sull’andazzo delle questioni burocratiche perché non succedessero più casi di cattiva trasmissione delle informazioni, come quello che era successo con Spandam che non aveva avvisato Rob Lucci di una cosa così fondamentale!

La squadra di operai, una volta che gli agenti del reparto di Lucci tolsero dalle proprie case i propri averi (e dopo che Kumadori minacciò il suicidio, e dopo che la voce furente di Jabura fu sentita fino alle silenziose foreste innevate dell’Isola dell’Ovest), era rapidissima a montare, smontare, distruggere e ricostruire: in meno di dodici ore la Torre sarebbe stata completamente ristrutturata, e si sarebbe trasformata.

 

~

 

La camera da letto di Rob Lucci si trovava all’ultimo piano della torre, idealmente proprio sotto la grande bandiera con il simbolo del Governo Mondiale che sventolava gagliarda sul tetto.

Camera da letto che ora era in discussione, come ogni singola stanza dei sette appartamenti degli agenti. Il rifugio ultimo di Rob Lucci, il luogo più segreto della torre, la stanza dove uno degli assassini più pericolosi ed efferati del pianeta si abbandonava al sonno. Nemmeno le sue compagnie notturne, ammesso che ne fossero esistite, avevano mai avuto accesso al talamo di quell’uomo.

«Io da qui non mi muovo» dichiarò Lucci.

Gli operai avevano girato i tacchi e avevano lasciato che se la sbrigassero gli agenti: loro, con quelli là, non volevano discuterci! Alzavano le cazzuole solo se Fedora assicurava loro, per iscritto, che potevano lavorare senza timore di essere uccisi!

«Per favore, esci dalla mia camera da letto» chiosò Stussy, che affrontava polvere e calcinacci per la voglia di controllare se tutto sarebbe stato costruito come da programma, senza interferenze da parte dei vecchi coinquilini.

«Sono a casa mia, Stussy» incrociò le braccia Lucci.

«Benissimo» alzò le spalle la donna «Rimani pure nel tuo letto. Però ci entrerò anche io, stanotte»

 

~

 

«Dove vai con quel materasso?»

«Vaffanculo, Jabura. Non è giornata»

«La tua, non è giornata?!» si ribellò il Lupo «Hanno sgombrato casa mia! Mi dici dove dormirò, stanotte?» sbraitò.

«Da Blueno o da Kumadori, come tutti noi. Credi di essere l’unico sfrattato, qui?!» ringhiò Lucci.

«La fate facile, voi, che dormite nei letti!» gridò Jabura «HANNO RASO AL SUOLO IL MIO GIARDINO, DANNAZIONE!»

«QUESTO PERCHÉ SEI UN SELVAGGIO E DORMI A TERRA, COME UN CANE!»

Jabura mollò a terra lo scatolone che stava portando e si trasformò nella sua forma ibrida. «NON OSARE DARMI DEL CANE, MALEDETTO GATTO DA SALOTTO»

Anche Lucci si sbarazzò del materasso e della forma umana. «ABBASSA LA CRESTA, IDIOTA!»

Hattori spiccò il volo: non voleva essere coinvolto.

«Per favore, non ricominciate!» cercò di tirare le redini Califa, che passava di lì trascinando due trolley e, sentendo le voci alterate dei suoi colleghi, era accorsa ad evitare il peggio.

«Abbiamo già abbastanza problemi così. Non vi ci mettete anche voi due» disse Kaku.

«Non fare l’alzato di culo con me, ragazzino!» attaccò ancora Jabura.

«Ma sei scemo?» si girò l’agente più giovane, seriamente sorpreso che Jabura tentasse di attaccar briga per futili motivi anche in quel momento.

«Lascialo perdere, Kaku» si ricompose Lucci riaccogliendo il suo colombino in spalla «Ha il dente avvelenato»

«Come tutti, oggi» muggì Blueno imponendosi per stazza e tono della voce. «Venite a casa mia. Il secondo piano non vogliono toccarlo, potete rimanere da me quanto vi va»

 

~

 

Impacchettato tutto in fretta e furia in valige di fortuna, gli agenti fecero il nido a casa di Blueno, al secondo piano della torre. Era un appartamento tranquillo, e affacciandosi alle finestre sembrava di stare nel parco dell’isola perché non era molto in alto, e arrivava ancora il rumorio del via vai delle carrozze che transitavano da un’isola all’altra. Se non avesse piovuto così tanto, sicuramente sarebbero arrivate anche le risa e gli schiamazzi dei bambini che giocavano nel grande parco che circondava l’edificio.

Blueno aveva subito acceso i fornelli della sua cucina e aveva messo su qualcosa di caldo, perché nel trambusto generale la cuoca della mensa, Spilletta, aveva radunato la sua squadriglia di cuoche ed era migrata via, in attesa che quella babilonia si calmasse.

«Per adesso non ci possiamo fare niente» cercò di placare gli animi l’uomo, versando mestoli di “zuppa del carpentiere” in tante scodelle quanti erano i colleghi. «Però abbiamo il progetto della Torre… come sarà una volta ultimata. Possiamo decidere come sistemarci»

La segretaria era riuscita ad averne una copia dall’architetto e l’aveva data a Kaku, uno dei pochi che nonostante odiasse la situazione non se n’era fatto soverchiare e manteneva un’apparente calma. Anche Lucci, in realtà, manteneva un aspetto tranquillo, ma doveva fronteggiare direttamente gli invasori ed era troppo impegnato a difendere i territori del CP9.

«I primi due piani non cambieranno: archivi e mensa erano, e archivi e mensa rimarranno» cominciò ad elencare Califa aggiustandosi le lenti sul naso sottile. «L’unica aggiunta sarà una sala per le telecomunicazioni e la decriptazione dei messaggi in codice, per i quali sarà chiamato uno specialista» concluse accomodandosi la minigonna e sedendosi graziosamente sul tappeto blu scuro, accanto a Kumadori.

Il salotto di Blueno infatti non era molto grande, e aveva una sola grande poltrona sulla quale si era assiso Rob Lucci, con il fido Hattori alla sua destra. Gli altri agenti si erano accucciati sotto un bel kotatsu, un tavolino basso con annessa coperta riscaldata, per star comodi e caldi.

Califa si era chiamata fuori da quel trabiccolo: molestia sessuale, con le sue gambe così vicine a quelle dei colleghi maschi, mentre Kumadori si muoveva troppo, e rischiava sempre di ribaltare il tavolo.

«Califa, sei sicura che il tuo animo sia in pace?» si accertò l’agente dai lunghi capelli rosa, bocconi sul tappeto blu accanto a lei.

«Certo, perché?» domandò la donna.

«Yoooyoi… perché il tuo genitore, da te disperso da tempo, ha accompagnato qui le ospiti della nostra Torre… ma nessun segno di giubilo scorgo sul tuo viso dopo l’agognato ricongiungimento»

Califa fece spallucce e disse con voce forzatamente neutra: «Mio padre non è mai stato “disperso da tempo”. Io sapevo dove fosse, e lui sapeva dove fossi io. Non c’è stato nessun “agognato ricongiungimento”. Vogliamo continuare con la disposizione degli appartamenti?» ricordò.

«YOOOYOI!! EPPURE TU APPARI TURB-»

«Kumadori. Basta.» lo ammonì Jabura difendendo la privacy della collega mentre si lasciava andare anche lui sul tappeto, ma rimanendo con le gambe avvolte nella coperta termica del kotatsu. «Abbiamo questioni più urgenti da sbrigare» concluse guardando il lampadario appeso al soffitto e lasciando che una delle sue galline gli beccasse le briciole dei biscotti che aveva sul palmo.

Blueno guardò la scena rassegnato: non gli piaceva avere volatili in casa, ma non poteva far entrare Hattori e lasciare fuori le galline di Jabura, o avrebbe scatenato un Buster Call. Per le piume che i ruspanti lasciavano in giro, pazienza, avrebbe spazzato prima di andare a dormire.

Califa sospirò come per scacciare un pensiero sgradevole dalla sua testa e proseguì: «Abbiamo perso gli ultimi due piani e metà del terzo. Al terzo piano ci sarà la casa più grande, potremmo viverci in tre; al secondo piano invece rimarranno i due appartamenti più piccoli, quindi questo e quello di Kumadori.»

«Io vado da Kumadori» alzò subito la mano Jabura, il quale voleva evitare di avere a che fare con Lucci e Kaku, o non avrebbe retto senza ucciderli fino alla prima sera, e non voleva convivere con Fukuro, che era “silenzioso” solo con la zip chiusa, cosa che sfortunatamente succedeva di rado!

«YOOOYOIII! IL VALORE DELLE AMICIZIE SI RIVELA NEI MOMENTI PERIGLIOSI! METTO A DISPOSIZIONE DEL COMPAGNO LA MIA UMILE DIMORA!»

«Al terzo piano c’è l’appartamento più grande, potremmo abitarci in tre» considerò Kaku guardando le planimetrie e indicando verso l’alto con un dito «Mentre qui a casa di Blueno può abitare al massimo solo un altro di noi»

Finì che Lucci e Kaku, abituati a condividere le missioni, sarebbero andati al terzo piano, e Fukuro e Blueno sarebbero rimasti nell’appartamento di quest’ultimo. Rimaneva Califa.

«Dovresti venire con noi, è l’appartamento più grande» azzardò Kaku.

Una donna che viveva con due uomini? «È palesemente una molestia sessuale»

Lucci sapeva che sarebbe finita così, ma non aveva intenzione di preoccuparsene, non nell’immediato almeno.

Si sentivano, dal piano di sopra, i rumori di martelli pneumatici, trapani e motori elettrici degli operai, al lavoro per cambiare il volto della Torre di Catarina.

 

~

 

Su. Giù. Su. Giù. E di nuovo. Su. Giù.

La palestra era un’oasi di pace. Il parquet spazzato e lucidato era liscio, le venature color ambra erano un labirinto in cui perdersi durante le lunghe ore di allenamento.

Su. Giù.

Gli agenti del CP dovevano mantenere una forma fisica fenomenale, per poter eseguire le proprie tecniche. E, se c’era qualcuno come Kaku che amava fare jogging all’aria aperta nel parco dell’isola, altri come Rob Lucci preferivano consumare le assi della palestra interrata, e darci dentro per ore e ore con pesi ed esercizi.

Rob Lucci era giunto alla terza ora di allenamento, quel giorno. Gliene mancavano circa due. Abituato da anni a quel ritmo, non gli pesava più di tanto, anzi, lo aiutava a smorzare la tensione.

E di tensione in quei giorni ne aveva tanta, troppa, decisamente più di quanta volesse sopportarne quando si trovava alla base e non in missione. L’invasione del reparto di Stussy gli aveva urtato i nervi più di quanto potesse riuscire a esprimere a parole: li avrebbe volentieri massacrati tutti, e se pensava al suo sfratto (il suo meraviglioso appartamento. Il suo letto. La sua doccia con le piastrelle color ambra) andava quasi in forma ibrida dalla rabbia.

Meglio sfogarsi, meglio andare su e giù con quelle flessioni, meglio aggiungere pesi ai bilancieri, sudare, e cercare di non pensarci per qualche ora.

Capelli legati, tuta grigio fumo, maglietta del Governo, Hattori tranquillo su una mensolina che aveva montato solo per lui in un angolino, e poteva isolarsi dal mondo. Non c’era neanche la radio accesa, a lui piaceva allenarsi in silenzio. Quelli che la accendevano erano Jabura, Fukuro, oppure Califa, se era lì con il personal trainer che faceva venire dall’Isola dell’Estate. Kumadori era lui stesso la radio, e a Blueno di solito non importava di sentire o no la musica e gli speaker. Il lumacofonino sembrava impegnato in una muta conversazione con Hattori, lì vicino a lui, e non faceva rumore nemmeno quando sembrava esprimere con il volto una certa preoccupazione, per chissà che cosa.

Problemi da lumache, pensò Lucci. Chissà Hattori cosa gli stava rispondendo. C’erano momenti in cui quel piccione era un mistero anche per lui, quei momenti in cui era più profondo il solco tra umani e animali, e neppure l’amicizia ventennale che c’era tra loro riusciva a colmarlo.

Su. Giù.

La porta della palestra si aprì all’improvviso, ma Rob Lucci non interruppe le sue flessioni. Sapeva che era Califa, accompagnata da Kaku: li aveva percepiti con l’Ambizione. Che ci faceva Kaku lì? Ah, già… la pioggia. La doccia preferiva farla dopo gli allenamenti, non durante. E poi c’era Fukuro, che appena vide Lucci si chiuse la zip, ben ricordando le sue preferenze in materia di radio durante le sessioni di allenamento.

Tutti e tre in tuta sportiva, si misero nel loro posticino preferito (la palestra era davvero grande, però ognuno aveva il suo metro quadrato del cuore) e cominciarono i riscaldamenti.

Ogni tanto si scambiavano qualche parola tra loro.

Lucci preferiva il perfetto silenzio, però si trattava di Kaku, e di Califa. Erano abbastanza educati da non creare caciara e lui li sopportava volentieri, e qualche volta interveniva nel loro discorso.

«Chapapa, sono sei donne in tutto, ha detto Fedora» riportò Fukuro. «E poi c’è un ragazzo che dovrebbe avere circa la tua età, Califa, però non l’ho ancora visto»

Califa era nervosa per quell’intrusione. Ci aveva messo anni per abituarsi ai suoi colleghi maschi, anche forte del suo periodo alla Galley-La in cui era l’unica donna, e odiava vedersi spezzare quell’equilibrio che si era costruita.

«Non mi piace. È molesto, l’ho intravisto nel corridoio quando scaricava la sua roba» confidò la ragazza.

«Non ti devi preoccupare» tuonò Lucci mentre metteva una mano dietro la schiena e continuava le flessioni con un braccio solo. «Non si azzarderanno ad avvicinarsi al nostro reparto, qualsiasi cosa succeda. Fedora è stata chiara: siamo nello stesso edificio, ma siamo due gruppi diversi» terminò scandendo bene le ultime tre parole.

Poche frasi ancora, e anche Fukuro, Kaku e Califa piombarono nella concentrazione degli allenamenti. Califa s’impossessò del tapis roulant e si mise le cuffiette nelle orecchie dopo averle collegate al lumacofonino (strappato dalla conversazione con Hattori), chiudendo le comunicazioni.

 

La porta della palestra si spalancò.

«Oh! Buongiorno!» salutò una ragazza alta alta, e con due lunghi codini verdi.

Solo Kaku rispose freddamente al saluto, mentre Fukuro disse allegramente: «Chapapa, ciao!»

«Voi siete quelli di Catarina! Scusate se vi abbiamo interrotti…» si volse verso il corridoio fuori dalla sala ed esclamò: «Vieni Quero Vas! Dai!» e poi tornò a parlare a Lucci e ai suoi colleghi: «Scusatelo, è un tipo riservato…»

«Questa è decisamente una molestia sessuale!» si sentì dire con voce profonda.

Kaku, Lucci e Fukuro si voltarono istintivamente verso Califa: la donna però si tolse un auricolare dalle orecchie dicendo: «Che c’è? Perché mi guardate?»

E poi tornarono a rivolgersi all’ingresso: c’era un ragazzo pressappoco della loro età, dai tratti delicati e i capelli corti e biondi pettinati all’indietro. Era fasciato in una tuta tecnica nera con i dettagli rosa fluo, e il pantalone aderente gli evidenziava cose che a molte persone non interessava che fossero evidenziate.

«Smettila, Yue! Insomma» diceva protestando «Questa è decisamente una molestia sessuale!»

«Lui è Quero Vas! Il nostro gallo del pollaio! E io sono Yue! Abitiamo al quarto piano»

Quello che era stato di Jabura. Quello in cui era stato spazzato via il magnifico giardino zen. Lucci, Kaku e Califa assottigliarono lo sguardo, Fukuro sbattè gli occhietti porcini.

«Vi dispiace se ci alleniamo qui con voi? Non parleremo, non vi daremo fastidio! Ma stare nella nave è stato così noioso, vorremmo…»

«Non fate casino» la interruppe lapidario Lucci. Le stava permettendo di rimanere perché sì, ormai Catarina era anche casa loro e lui non voleva dichiarare guerra prima del previsto e nel bel mezzo dei suoi allenamenti, però la signorina doveva imparare da subito con chi avesse a che fare «Altrimenti vi ammazzo sul posto»

E trattandosi di Rob Lucci, quella non era una minaccia a vuoto.

Quero Vas si diresse altezzoso nel posto della palestra più lontano dai suoi occupanti, e cominciò anche lui ad allenarsi, con bilancieri che sarebbero stati impossibili da sollevare anche da un peso massimo sotto steroidi.

Yue preferì prendere una delle corde e mettersi a saltare, con evoluzioni incredibili a guardarsi (se Lucci, Kaku e Califa l’avessero degnata di uno sguardo, ovvio). A un certo punto si tolse le scarpette e tenne la corda con le dita dei piedi, saltando sulle mani. I codini verdi danzavano con lei, senza annodarsi mai con la fune.

Tutto procedeva tranquillamente, quando dopo qualche minuto Yue e Quero Vas cominciarono a bisbigliare tra di loro.

«Non mi piace parlare di lui, mi fa rivangare brutti ricordi» piagnucolò Quero Vas.

«Quero, sei stato tu a cominciare a lamentarti che fare questo genere di esercizi ti ricorda il tuo ex!» fece Yue.

Lucci e Kaku si scambiarono uno sguardo: verissimo, preferivano allenarsi in pace, ma ottenere informazioni da quei perfetti sconosciuti poteva rivelarsi tutto sommato utile, così decisero di aguzzare le orecchie e rimanere ad ascoltare quelle chiacchiere.

«Chapapa, sei stato mollato dal tuo ragazzo? Chi era?»

Fukuro, del resto, aveva già sciolto la lingua e dato fuoco alle polveri.

«Ci sono cascato un’altra volta: era un Marine» sospirò il Governativo.

Quero Vas lasciò andare il bilanciere, che cadde sul parquet con un sonoro “sdeng!”.

«Era bravissimo, ragazzi, mi dovete credere» si spalmò con voluttà sul pavimento. «Sapeva fare un sacco di giochetti carini»

«Chapapa, che giochet-»

«QUERO, NON LO DIRE!» lo pregò Yue.

«Quando eravamo in un locale…»

Yue era arrossita fino alla radice dei suoi capelli verdi «Non ascoltatelo! Scusatelo! È ancora sotto shock!»

«Prendeva il mio bicchiere e, sotto al tavolo…»

«QUERO SMETTILA!! NON TI CONOSCONO, PENSERANNO CHE SEI UN PERVERTITO!»

Califa era visibilmente turbata, Lucci e Kaku non sapevano nemmeno cosa dire, Fukuro continuava a insistere: «Chapapa, chi ha lasciato?»

Quero Vas sospirò. «Ho lasciato io» disse «Lui era sempre più… come dire…»

Yue lasciò la corda per saltare e prese la parola «Lui ha scoperto che in questo reparto si uccide con facilità, e che siamo al servizio dei Draghi Celesti. Stomaco delicato. Che palle. Hai fatto benissimo a lasciarlo, aveva cominciato a trattarti malissimo»

«Ma prometteva così bene!»

«Cerca nel Cipher Pol, così non hai questo problema!»

«A me non piacciono gli agenti del Cipher Pol!» protestò Quero Vas «Senza offesa: ma sono tutti intenti a pettinarsi, a curarsi, a vedere come stanno, a curarsi e a lisciarsi i capelli -io per primo-» precisò quando notò Lucci che si stava decisamente alterando.

Quero Vas esplose: «Io voglio un vero uomo! Sono stanco delle checche come me!! Uno che ti ribalti! Ispido, animale, con due pettorali così» allargò le mani per definire una larghezza spropositata «Un vero selvaggio! Uno che imprechi, che se ne fotta dell’etichetta e dei completi eleganti!»

La porta della palestra sbattè con prepotenza.

«Vaffanculo! Maledetta pioggia!»

Jabura.

Si tolse con un gesto nervoso la giacca, completamente bagnata, la gettò vicino all'uscio, e rimase a torso nudo.

Gli agenti ammutolirono.

«Mbè? Che cazzo avete da guardare?» sbraitò Jabura strizzandosi la treccia. 

 

 

 

 

Dietro le quinte...

Ciao a tutti!!! Sono tornata! :D Ecco di nuovo gli agenti del CP9 alle prese con una massiccia intrusione! Cosa succederà tra questi due reparti? Riusciranno a convivere pacificamente? (no)

Il Comandante Fedora: ringrazio MLegasy per avermela suggerita! È la sorella di Kizaru, anche lei sotto le armi, rilassata e pacifica come il fratello... almeno in contesti come questi! Sul campo di battaglia, chissà! Il suo nome, "Fedora", deriva dalla foggia del cappello che indossa, un Fedora appunto, così come il soprannome del fratello deriva dal tipico cappello "Borsalino"! Entrambi sono creazioni storiche della moda italiana, e sono contenta che Oda abbia inserito uno di essi tra i suoi personaggi!

Questa storia è stata scritta per la Settima Settimana del Cow-T, e il prompt era "rivelazione"... e di rivelazioni ce ne sono un bel po' in questo capitolo! Ma anche il prossimo non sarà da meno!

Ma soprattutto, Lucci riuscirà a trovare un maestro di ballo per Jabura e Califa? E Quero Vas riuscirà a riprendersi dall'amara delusione d'amore?

Rimanete sintonizzati e lo scoprirete!

Un bacione e grazie per aver letto,

Yellow Canadair

  
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