Storie originali > Fantasy
Segui la storia  |       
Autore: Ormhaxan    04/04/2018    2 recensioni
Gabrielle Nakovrar ha diciotto anni quando, seguendo le orme di suo padre e sua nonna prima di lei, entra a far parte della Bræthanir, la Fratellanza, gruppo di spietati e famigerati soldati al servizio dei sovrani di Yvjór, il regno della Primavera.
Ben presto, però, si renderà conto che dietro la gloriosa facciata fatta di palazzi maestosi, balli in maschera e sorrisi accondiscendenti si nasconde qualcosa di più profondo, oscuri segreti custoditi da secoli e la volontà di annientare coloro che dovrebbe essere protetti.
Nel regno a Nord di Ynjór, estremo baluardo che ancora resiste al dominio dei sovrani della Primavera, gli ultimi discendenti dei Sýrin, i mutaforma che un tempo popolavano ogni angolo dell'isola di Vøkandar, si stanno riunendo, insieme ad altri ribelli, sotto il comando di una combattente misteriosa che si fa chiamare Narmana.
E sarà proprio Narmana e il suo esercito che Gabrielle, adesso conosciuta con il nome di Nako, dovrà cercare di combattere quando la regina Lorhanna e il suo fratello bastardo, Lucien, ordineranno alla Fratellanza di marciare verso Nord in una missione che sembra essere un suicidio preannunciato.
Il vero nemico avrà realmente le sembianze di un lupo albino?
Genere: Angst, Fantasy, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Copertina_N



Licenza Creative Commons

NAKOVRAR  — Vermiglio è distribuito con Licenza Creative Commons Attribuzione 4.0 Internazionale
 





Fu il vento a tradirla e svelare la sua presenza.
Una leggera folata, nulla di più, così lieve da muovere appena le foglie degli alberi sempreverdi, abbastanza per Daya e i suoi sensi perennemente in allerta per percepire la presenza di un’altra persona poco lontano, il potere latente che il corpo dello sconosciuto emanava come una fiammella tremante.
L’aria era più calda del solito quella mattina, benché la neve ricoprisse con il suo manto candito la terra bruna il cielo era terso, privo di nuvole all’orizzonte.
Per questo motivo, oltre che per la necessità di allontanarsi per qualche ora dal palazzo e dalle voci che parlavano di tradimenti, di matrimoni tra consanguinei e imminenti guerre, aveva deciso di intraprendere una lunga e tranquilla passeggiata tra i boschi.
Era sempre stato un tipo solitario Daya, poco incline a stringere rapporti con gli sconosciuti, a fidarsi di coloro che non erano il suo equipaggio, i capitani delle navi con cui aveva solcato i mari in lungo e in largo; persino con loro il roshkar manteneva un atteggiamento distaccato, parlava poco e solo se strettamente necessario, preferendo dimostrare la propria fedeltà con i fatti piuttosto che con le parole — troppo spesso, nel corso della sua vita, quest’ultime si erano rivelate menzognere, un veleno nascosto da un suono dolce e affabile.
Come se tutto questo non fosse stato abbastanza, a Ynjór si era spesso sentito vulnerabile, un libro aperto per coloro che erano nati e vissuti in quel regno, che sapevano dominare le creature che giacevano sotto la loro pelle e, grazie a qualche antica magia, percepire la magia negli altri come poche altre persone al mondo.
Nell’Arcipelago di Ynéstnar, nella sua terra natia, solo i pochi eletti conoscevano e possedevano il dono di dominare gli elementi, padroneggiare una forza costudita dietro le mura di sacri templi che mai, se non per una causa giusta e al di sopra delle leggi degli uomini, andava utilizzata.
Questa e solo questa era stata la sua vita sin dalla tenera età di sette anni, sin da quando il suo nobile padre e signore lo aveva mandato, in quanto terzogenito, nel tempio situato sulla cima più alta della montagna più remota del suo regno: qui Daya aveva conosciuto la disciplina, il silenzio, la fame e la sete; qui aveva conosciuto le sue debolezze, ma anche le proprie forze, il suo coraggio e il potere situato nella parte più profonda e nascosta del suo animo.

Fu il calore percepito sulla sua pelle come una carezza e che saturò l’aria circostante, quella stessa aria che faceva parte di lui in quanto Ælésir, a svelare la sua presenza e condurla sulla sua strada.
All’inizio quasi non ci fece caso, ma poi i suoi passi lo condussero lontano dalla strada maestra, all’interno della foresta, verso un ruscello di limpida acqua sorgiva composto da un susseguirsi di piccole cascate: fu là che la vide per la prima volta, immersa al centro del ruscello, i lunghi capelli neri sparsi sul filo dell’acqua azzurra come un ventaglio, la pelle così diversa da quella di coloro che abitavano quelle terre — non pallida e fredda come la neve, ma dorata e calda come il deserto.
Senza fare rumore si fermò a pochi passi da lei, cercando di capire chi fosse, se la sua presenza fosse una minaccia per se stesso o per gli altri; la fanciulla se ne stava immobile, gli occhi chiusi e il viso privo di qualsiasi emozione, la mente persa in chissà quale pensiero, dominata da chissà quale magia.
Nonostante il freddo, nonostante la neve, nonostante l’acqua che si infrangeva sulla sua slanciata figura, il calore presente nel corpo della giovane era ancora vivo, potente come un fuoco che bruciava in un imponente camino, in un ampio braciere situato nella sala di un trono; all’inizio Daya non capì, ma poi tutto fu chiaro, come un’improvvisa rivelazione: quella poco distante non era una comune ragazza, non era una dei tanti Sýrin del Nord o una Ævàlin, una dominatrice dell’acqua — o perlomeno non era solo quello.

«Ævin.» si ritrovò a sussurrare senza accorgersene, rivelando così la sua presenza.
La sconosciuta aprì gli occhi, ritornando bruscamente alla realtà e, voltato di scatto il viso, incontrò per la prima volta il suo sguardo.
La terra sembrò tremare per un breve istante, muoversi sotto i piedi del moro e nel breve tempo di un battito di ciglia si ritrovò con le spalle contro un possente tronco d’albero, le radici tozze e possenti strette attorno al suo corpo come la morsa di un serpente.
Il respirò gli si mozzò, anche solo il minimo movimento era praticamente impossibile: Daya si sentì in trappola per la prima volta da tanto tempo e senza poter far nulla osservò la sconosciuta uscire dall’acqua e avvicinarsi a lui lentamente.
«Lavori per la regina del Sud?» chiese in un sibilo accusatorio «Sei una spia venuto per uccidermi?»
«Sono dalla vostra parte!» esclamò per quanto possibile Daya, chiudendo gli occhi quando una delle radici diventò se possibile ancor più stretta attorno al suo petto e al suo collo.
«Come faccio a fidarmi? Potresti essere chiunque…»
«Sono al servizio di Noranna, del vostro popolo e…» una smorfia di dolore comparve sul suo viso, costringendolo a fermarsi «Sono un roshkar dell’Est, giunto qui insieme a Lord Lucas Dviòr e il resto della sua flotta rimastagli fedele. Non sono un nemico, Ævin, ma un prezioso alleato. Se non vi fidate di me allora chiedete pure a Volk.»
La ragazza lo guardò con un cipiglio diffidente, ancora incerta se fidarsi di quelle parole che, per quanto ne sapeva, avrebbero potuto essere delle menzogne. Da tempo oramai non frequentava il palazzo, erano passati quasi due anni da quando aveva parlato per l’ultima volta faccia a faccia con Noranna, ma aveva sentito parlare dell’arrivo di Lord Lucas e dei suoi uomini.
«Sono una ragazza, ma non sono una sciocca,» avvertì mentre le radici dell’albero tornavano nelle profondità della terra e lo sconosciuto veniva rilasciato «Ogni albero in questa foresta ascolta la mia voce ed esegue i miei comandi, quindi badate bene prima di fare qualsiasi mossa.»
«Credevo che quelli della vostra razza fossero estinti, che la caduta dell’Ovest avesse segnato la vostra fine.»
«La mia gente è stata massacrata come una mandria di animali, ma non per questo estinta. Hanno cercato in ogni modo di spezzarci, ma le radici sono ancora forti sotto la terra bruciata.» titubante si avvicinò di qualche passo allo sconosciuto e, brandendo in una sottile mano una lama recuperata tra la pila del suo vestiti, decise di rivelare il suo nome «Sono Cassia.»
«Daya Kùzen, roshkar e capitano della Vèsthur.»  
«Questo lo vedremo. Ho intenzione di condurvi personalmente da dove dite di esser venuto e verificare le vostre parole.» con un cenno del capo intimò al giovane uomo di iniziare a camminare «Muovetevi, camminate!»
«Non dovreste rivestirvi?» chiese tranquillo gettando un occhio alla tunica e agli altri capi lasciati poco lontano dalla riva del ruscello.
«Ho imparato a sopportare il freddo sin da piccola e di certo non sarà una passeggiata tra questi boschi a piegare il mio corpo alle gelide temperature.» ancora una volta la sua risposta fu pronta e non lasciò spazio a ulteriori indugi «Camminate, Sir Roshkar!»


Arrivarono a palazzo un’ora dopo e vennero scortati immediatamente nella sala dove Narmana era impegnata con alcuni dei suoi uomini più fidati.
Erano passati più di due anni da quando Cassia aveva messo piede là dentro, ma nulla sembrava essere cambiato: le pareti vetrate filtravano sempre la stessa luce obliqua dai toni freddi e le varie stanze erano collegate tra loro da archi semicircolari attorno ai quali svettavano intricate decorazioni a stucco.
Se nella sua infanzia c’erano ricordi fatti di verde, rosso e giallo, nella sua giovinezza spiccavano memorie asettiche, un bianco talmente pallido e algido da sembrare senza vita.
Nei suoi ricordi di bambina c’erano risate, sorrisi, un ragazzino dai capelli neri, mentre adesso c’erano solo silenzi, volti corrucciati e un giovane uomo dagli occhi di ghiaccio — lo stesso giovane che adesso la stava guardando come si guarderebbe un fantasma.

«Cassia, quale sorpresa!» esclamò Narmana, la voce sinceramente sorpresa «Cosa ci fai qui a palazzo e con il nostro nuovo ospite per giunta.»
«Il vostro ospite stava vagando da solo nei boschi e dovevo accertarmi che fosse realmente chi sostiene di essere.»
«Il nostro capitano qui è nostro alleato, di questo posso garantire io stessa.» confermò ancora una volta con sicurezza «Non che io ti biasimi per la tua scelta, Cassia: ogni giorno il nemico tenta nuovi stratagemmi e non si è mai troppo sicuri.»
Narmana le sorrise lievemente e proseguì: «Perché adesso non ti concedi un bagno caldo e dei vestiti puliti. Non so dove siano finiti i tuoi, ma di certo non ti farò tornare al castello con solo una tunica mezza bagnata.»
«Due anni di assenza e siete già impazienti di sbarazzarvi di me.» un sorriso amaro si dipinse sul volto della giovane dalla pelle scura «Accetterò una pelliccia e nulla di più. Non voglio approfittare oltre della vostra ospitalità.»
«Sai bene che non sei un’ospite, che questa è casa tua oramai.» fu Volk a parlare, mostrando per la prima volta una velata emozione nel suo tono sempre distaccato.
«Davvero? Stupida me che pensavo di essere solo una balia e un’arma preziosa per la vostra guerra contro la Primavera.»
«Non sei mai stata una nostra prigioniera, Cassia. Sai meglio di me che volendo potresti andartene, anche se dubito che ci sia un luogo sicuro fuori dai nostri confini.»
Cassia strinse la mani a pugno e inspirò profondamente per non urlare: «Non sono un’ingrata, se è questo che pensate di me, ma di certo non vi ringrazierò per avermi…»
In quel momento la presenza di Daya poco distante divenne più che mai notata e la giovane fu costretta a mordersi la lingua per non continuare: non sapeva quanto dei loro segreti fossero stati confessati, quando la presenza di persone come lei nel regno fosse stata svelata, quanto Narmana si fidasse dei suoi nuovi alleati.
«È tempo per me di andare. Che tutti voi possiate essere sempre in salute e le nostre strade incrociarsi presto.» Cassia fece una frettolosa riverenza e guardò per un’ultima volta Daya «Le vostre parole si sono rivelate veritiere, ma non mi scuserò per aver fatto quello che ho fatto nel bosco.»
«Nessuna scusa necessaria, Lady Cassia. Un buon soldato non deve mai scusarsi per le sue azioni, non quando queste sono per il bene del proprio popolo e del proprio regno.»

Daya la osservò attentamente lasciare la grande sala circolare, domandandosi se l’avrebbe mai più rivista. Era una strana creatura quella giovane e, per la prima volta dopo tanti anni, aveva risvegliato la sua curiosità: dietro quella facciata fatta di ostilità e indifferenza si celava ben altro, emozioni molto più profonde come la rabbia e la vendetta. Le aveva viste, Daya, anche se solo per un attimo aveva visto il fuoco bruciare sotto la sua pelle e si era chiesto quali innominabili segreti custodisse quella ragazza dagli occhi di onice.
Forse, si disse, avrebbe fatto bene a parlare con Lucas di questo suo incontro, mentre un’altra parte di lui gli diceva saggiamente di conservare il segreto e di aspettare. Presto, in un modo o nell’altro, tutti i segreti sarebbero stati rivelati e il loro destino compiuto.


 


**





«Aspetta!»
La sua maledetta voce. Era quasi riuscita a scappare da quel palazzo dopo essersi vestita in tutta fretta con un vestito sgualcito e una pelliccia trovata in un vecchio armadio quando quella maledetta voce priva di emozioni l’aveva costretta a fermarsi nel cortile antistante l’entrata del castello.
«Volk, cosa posso fare per te?»
Cassia si girò lentamente e sorrise beffarda: quegli occhi le avevano sempre dato i brividi, ma era il suo viso spigoloso e impassibile e farla stare sempre in guardia.
All’inizio si era detta che quella sensazione sarebbe sparita, che era la sua età di bambina a farla intimorire, ma ora che era una donna fatta e finita quel timore non era scamato.
Per un istante ricordò la prima volta che lo aveva visto, spada insanguinata in mano e occhi dal colore pallido come le nebbie mentre si faceva strada tra i corpi senza vita di amici e nemici, di ciò che rimaneva della sua stirpe; ricordò il modo in cui l’aveva guardata, come se non fosse una bambina impaurita e tremante, ma un essere senza troppa importanza.
Quel giorno, Volk era stata la sua unica salvezza, ma da lui non aveva mai ricevuto alcuna parola gentile, nessun conforto per le sue perdite — solo Narmana aveva asciugato le sue lacrime, mostrato una qualche umanità così rara in quella terra.
«Voglio sapere se va tutto bene, se lei sta bene.»
«Il vostro prezioso tesoro è al sicuro, Hecate se ne prende cura personalmente e anche io non manco di starle vicina e non farla sentire sola.»
Volk annuì pensieroso e Cassia si domandò quali pensieri potessero mai riempire una mente tanto intricata quanto quella dell’albino. Volk sembrava incapace di provare qualsiasi sentimento, nessuna empatia, tantomeno affetto o amore verso il prossimo.
Il suo volto, quello stesso volto che non era invecchiato di un giorno in quei quasi diciotto anni che Cassia aveva trascorso là, era una maschera di cera dagli occhi di ghiaccio.
«Non dovresti vagare per i boschi in quel modo, non è saggio. Daya è un nostro alleato, ma il nemico è scaltro e avrebbe potuto…»
«Da quando ti preoccupi di me, Volk?»
L’albino sembrò infastidito da quell’affermazione, provare sincera vergogna: «Ho fatto una promessa a tuo padre, Cassia e nonostante quello che pensi ho fatto del mio meglio per tenerti al sicuro e darti la vita migliore a cui potessi aspirare.»
«Eppure non lo hai salvato, così come non hai salvato mia madre dalla follia o…» Cassia chiuse gli occhi, respirando lentamente quando una stretta al cuore e la memoria delle risate di due bambini si fecero strada dentro di lei «Non mi hai mai detto una parola gentile, Volk, non mi hai mai fatta sentire in salvo e per questo io non devo ringraziarti per avermi salvata da quella mattanza.»
«Per quel che vale, non sei la sola ad aver visto la tua intera famiglia massacrata…»
Cassia trattenne il fiato: era la prima volta che Volk parlava della sua famiglia, che accennava solo lontanamente a quello che era successo, al modo in cui avevano ucciso tutti coloro che gli erano più cari.
«Non tutta la tua famiglia è stata massacrata!» esclamò piccata, decisa a non cedere alla compassione.
«No, infatti ed è proprio per questo che voglio starne il più lontano possibile.» Volk abbassò lo sguardo e strinse a pugno la mano destra fino a farsi sbiancare le nocche «Cose tremende accadono a chi mi sta vicino ed è per questo che sarà meglio per tutti che nessuno venga immischiato con quello che sta accadendo in questo castello, con ciò che dovrò fare affinché giustizia sia fatta e lo stato delle cose ritorni com’era un tempo.»
Cassia annuì senza aggiungere altro; in cuor suo sapeva che Volk non era cattivo, non era una persona malvagia, ma questo non era abbastanza per placare la rabbia e il risentimento.
«Per quello che vale porterò i tuoi saluti e dirò che tutti voi state facendo del vostro meglio affinché questa guerra finisca al più presto; anche se non te lo meriti, dirò che nel tuo cuore c’è posto anche per l’affetto e che i tuoi pensieri sono rivolti anche a lei.»
«Ti ringrazio, Cassia.»
«Non ringraziarmi. Lo faccio per lei, perché è l’unica cosa simile ad una famiglia che mi rimane, l’unica che considero una sorella e per cui riesco ancora a provare puro amore.»

Senza dire altro, senza aspettare ancora, Cassia riprese il suo cammino verso Nord, tra i boschi e la neve fresca, impaziente di buttarsi alle spalle quella stramba avventura, dimenticare quella conversazione, quella giornata e tutto il dolore e i ricordi che questi avvenimenti avevano riportato a galla dopo tanto tempo.


 


*


Angolo Autrice: Hello, folks! Squillino le trombe, sono tornata. E' un periodo strano, questo e non ho molte scuse per questo ritardo se non quella che negli ultimi mesi io e la scrittura non stiamo proprio sulla stessa lunghezza d'onda. Ho lavorato a questo capitoli per mesi, l'ho tipo iniziato durante le vacanze di Natale per finirlo solo poco fa. Insomma, shame on me! ç.ç
Spero, in ogni caso, che vi sia piaciuto e che ci sia ancora qualcuno che legge questa mia storia. Se qualcuno vorrà anche lasciare due righe (magari con impressioni su Cassia e su tutta la questione Inverno con i suoi segreti segretissimi) mi farà molto contenta!

Alla prossima,
V.
  
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Fantasy / Vai alla pagina dell'autore: Ormhaxan