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Autore: Esch    08/04/2018    1 recensioni
5 capitoli.
Il primo e l'ultimo sono pezzi di diario: i puzzle di una donna di nome Nadia.
E' a pezzi, e si può scegliere di leggere qualsiasi capitolo a sé.
La storia può finire benissimo al primo capitolo, come al secondo, e così via.
Dipende da quanto possano essere interessanti delle sedute da una psicologa.
Nadia è una donna normale? O nasconde qualcosa dentro di sé? Perché decide di andare in terapia?
Genere: Drammatico, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Due Lunedì 3 Novembre 2014

"Oggi fa freddo".
"...come stai?".
"...fa molto freddo, ma per fortuna passa tutto".
"Mi dispiace Nadia, le mie condoglianze per tuo padre".
"La cosa che mi ha pesato di più, sai qual'è?".
"Dimmi, ti ascolto".
"Quando ci hanno chiamato dalla clinica, ha risposto mia madre, e come suo solito non ha perso occasione di prendersi tutto il palco scenico".
"???".
"Intendo dire che non mi ha lasciato possibilità alcuna di potermi lasciare andare e piangere".
"Non potevi, perché?".
"Perché quella stronza si è messa a piangere ed urlare come una fottuta sirena: talmente forte che le pareti avrebbero potuto crollarle addosso".
"Ma era suo marito, perché la descrivi in questo modo?".
Mi giro verso di lei, lasciando perdere per pochi secondi il vuoto che ormai mi accompagna da quando ho memoria: "Perché non lo ha mai amato".
"Come fai a dirlo?".
La mia espressione diventa ancora più vuota: "Lo ha sempre trattato con ferocia, cattiveria ed egoismo mal celato in rari gesti di finta gentilezza".
"Che intendi?".
"Ha sempre voluto qualcosa di materiale in cambio: da un vestito, alla stronzata del momento che irrimediabilmente sarebbe finita solo ad occupare spazio in casa, aumentando il numero di oggetti ricoperti di polvere; e mio padre l'accontentava sempre, prima per amore, poi per non sentirla più".
"Torna indietro un attimo, non potevi piangere, perché?".
Sbuffo cullata male dal vuoto: "Piangevo sempre da piccola sai? Piangevo per qualsiasi cosa; ho pianto talmente tanto che ad un certo punto ho deciso di smettere".
"Perché hai smesso? Piangere è un meccanismo naturale ed ottimo per la salute".
"Ho smesso perché o piangevo o mi facevo forza da sola: entrambe le cose non riuscivo a farle".
"In quel momento avevi bisogno di forza o di sfogarti?".
"In quell'attimo, quando ho realizzato cosa era successo, ho avuto bisogno di farmi forza all'istante, non potevo permettermi di perdermi in un bicchiere d'acqua: ho sviluppato la convinzione negli anni, che in famiglia, se uno dei due piange ed è debole, l'altra persona deve reagire per darle il tempo di riprendersi, e solo dopo piangere lasciandosi andare; un alternanza".
"Poi ti sei lasciata andare?".
"Sì, quando io e mia sorella siamo state le ore davanti il cadavere nella stanza della clinica".
"Hai pianto?".
"Sì, poco, ma l'ho fatto; sono anche riuscita a far ridere mia sorella tra le lacrime".
"La facevi ridere?".
"Per me non importa il momento: se hai bisogno di ridere per buttare fuori il marcio che hai dentro, io ti posso far ridere anche durante l'apocalisse, anche se sto morendo".
"Ma non ti importa del momento? Intendo, eravate davanti vostro padre appena deceduto".
"Se gli altri trovano questo mio comportamento, boh strano, irriverente e privo di maturità e qualsiasi altro epitaffio del cazzo... beh potete tutti andarvene a fanculo".
Sorride lievemente: "Addirittura?".
"Per me se non siete in grado di ridere in faccia alla morte, allora siete dei senza palle e delle senza ovaie, punto".
"Non credi di esagerare un pizzico?" Mi guarda perplessa.
"Non me ne importa: chi non piange davanti alla morte è debole? Bene, visto che io non sono quasi più capace di piangere, allora rido: ci si sfoga anche ridendo sai?".
"Non riesci quasi più a piangere?".
"Solo con i film romantici, sai quelli dove di solito uno dei due muore, allegri proprio, che poi non è vero che sono film per donne: sfatiamo questo mito maschilista stupido e a tratti misogino".
Sorride: "Perché dici questo?".
Alzo le mani sopra le spalle: "Facci caso! Spesso muore sempre la donna! E' chiaro che lo fanno per sottolineare il presunto ruolo da maschio che soffre, ma è talmente "uomo", e maturo, da vivere il resto della sua vita ricordandola ogni secondo, ogni minuto, in lutto ed in castità finché non morirà per raggiungerla in un ipotetico dopo morte... solo a me pare una stronzata intergalattica? Che poi, ho detto pure maturo! Tutto il mondo sa, ma non ammette ahimè, che l'uomo è la figura più immatura tra i due sessi! Diamine lo sanno anche i sassi! Ti rendi conto che la figura maschile, in quei film, ha come unico modo per farsi vedere matura, quello di usare come tramite la dipartita della figura femminile, centinaia di volte più matura dell'ometto sopravvissuto, che solo ora, dopo la vagonata di dolore che gli piomberà addosso, colpa una sceneggiatura scritta con una matita conficcata tra le chiappe, diventerà maturo".
"Sei sicura sia sempre così?".
Mi rilasso sulla sedia: "Ovvio che no, esistono sempre le eccezioni".
"E tu?".
"Io mi sento un immatura di merda, ma fidati, se avessi una compagna, di certo non la vorrei morta".
Ridiamo.

Passano circa quattro secondi, e la psicologa mi chiede di eseguire il solito esercizio:
"Ok Nadia, ora chiudi gli occhi e rimani in ascolto, svuota pian piano la mente, come una pellicola di un film, e non appena qualcosa ti colpisce, soffermati su di essa, sull'emozione che ti suscita".
Me ne rimango così, rilassata come posso sulla sedia, quando vengo colpita da un odore che non sento da moltissimi anni; un odore tempo fa colmo d'amore, ora pieno d'odio, rabbia e paura.
Apro gli occhi e guardo nel vuoto, alterno lo sguardo con la psicologa; per ricordare meglio guardo nel vuoto:
"Era inverno, era sera; siamo tutti e tre in cucina: io in pigiama con l'onnipresente robot trasformabile tra le mani, mai piaciute le bambole; mamma ai fornelli, dall'odore posso dire che sta cucinando il minestrone, ed io l'adoravo il minestrone...; poi c'è papà, ha un aria strana, non sembra il solito papà; la tv è accesa alle sue spalle, ma sembra non avere suoni".
Faccio una brevissima pausa, dove nessuna delle due dice nulla: la tensione nell'aria lascia presagire l'entità del ricordo ancor prima che io possa finirlo.
"Poi, non ricordo il motivo, mamma e papà incominciano a litigare, ma ai loro litigi ci avevo fatto l'abitudine, mi spaventavo un po' e poi tutto passava con me che gioco con un nuovo giocattolo preso da uno dei due, come una sorta di scusa per avermi spaventata a morte".
Mi fermo a fissare la dottoressa, per poi riprendere.
Papà allora disse, indicando il lampadario: "Ora vi appendo tutte e due al soffitto, e quando torna nostra figlia le dico quanto sono stato bravo!".
Le mostro tutto il dolore che ho negli occhi: "Ero una bambina... ed in quel momento sono morta di paura: allora la mamma ha ragione, pensai! Papà è davvero un mostro!".

Sono sull'orlo di un pianto, ma resisto abbassando la testa: "Mi ricordo ora, perché odio il minestrone... ed io l'adoravo quell'accozzaglia di verdure: l'unico modo per farmele mangiare.
Da quella sera, mi convinsi che mamma aveva ragione a parlare sempre male di papà, che era cattivo e bastardo davvero.
Quanto mi sbagliavo... quanto ho sbagliato".
"Non ti ricordavi nulla?".
"Me ne sono ricordata ora: evidentemente, prima lo avevo cancellato; non credevo fosse davvero possibile eliminare un ricordo".
"Cosa senti?".
"Niente, non sono nemmeno arrabbiata o spaventata: perdono mio padre, perché con il senno di ora, so perché ha reagito così quella volta, so che era la malattia che si manifestava per la prima volta, non era lui a parlare; lui era un uomo buono... ok un paraculo di prima categoria, un pirata della strada in bicicletta, ma pur sempre un pirata di terra ferma, ed i pirati hanno un codice d'onore.
Ok non lo sto idolatrando, stai tranquilla; aveva i suoi bei difetti quell'uomo, e se ora sono qui di mia spontanea volontà in terapia, di certo non è solo colpa mia, o solo di mia madre, ma anche sua: diciamo un terzo a testa".
"Qual'è secondo te la colpa più grande di tuo padre?".
"Se proprio non voleva ammettere d'aver sposato la donna sbagliata, almeno doveva ammettere che non farla lavorare è stato un grande errore".
"Perché?".
"Se mamma avesse lavorato, anche solo part-time, le cose in casa sarebbero state molto differenti, se non addirittura enormemente diverse".
"Ma?".
"Ma papà era un uomo vecchio stile in questo: l'uomo a lavorare come un mulo, e la donna a badare i figli e la casa".
"E tu non sei d'accordo con questa visione della famiglia?".
"Manco se mi pagano; se si lavora entrambi è meglio; anche se uno dei due fa part-time, è sempre comunque meglio di una sola persona che lavora, e così si possono anche suddividere le faccende in casa; non sto dicendo che stare a casa è fare nulla, non mi fraintendere: tenere a bada due figlie, ed in contemporanea mantenere in ordine e pulita una casa, oltre all'economia domestica, è un lavoro anch'esso, ma lo vedo molto meglio come un lavoro in comunione".
"Ed in cosa in casa, sarebbe stato diverso?".
Guardo ancora un punto imprecisato nel vuoto, ma stavolta un pizzico più in basso, rialzo lo sguardo e guardo con aria avvilita, la mia interlocutrice :
"Mamma avrebbe imparato il valore dei soldi; papà avrebbe lavorato un pizzico di meno e non sarebbe entrato in depressione, non si sarebbe nemmeno ammalato di quell'altra fottuta malattia invisibile; e se anche questo non fosse bastato, almeno avrebbe avuto affianco una compagna con un cervello in grado di convincerlo a curarsi".
"E per te? Non sarebbe cambiato niente?".
"Forse non sarei cresciuta con tutta questa paura e vuoto che ho dentro; per la paura ho delle certezze, per il vuoto un po' meno sai?" Ridacchio pacata con le mani conserte.

Sospiro, ed a malincuore, riprendo: "Poi si è ammalata anche mamma; e pensare che se l'è sempre menata per questo, convinta al cento per cento che la sua malattia fosse la peggiore tra lei e papà: povera ignorante stupida... trasformare il proprio stato di malata in uno status symbol... ma porca puttana!".
"Guarda che tua mamma è ancora viva, la odi così tanto?".
"Io non odio mia madre, odio il mostro che diventa".
"???".
"Solo ora capisco come mai mio padre l'amasse così tanto, nonostante i momenti no, fossero molti di più dei momenti sì".
La psicologa mi guarda in silenzio, tanto sa già cosa dico a grandi linee; è una psicologa no?
Interrompo la quiete: "Perché i momenti sì erano bellissimi, più di tutto quell'inferno".
"E ciò giustifica tutto il male che c'era tra di loro?".
"Certo che no!".
"Ti prego, continua".
"Il mio ricordo più forte che ho di loro come copia, è quello di una sera, quando papà si era seduto sul letto con mamma: lei in uno dei suoi pigiami coloratissimi e buffi; lui orribile in mutande e canotta, peggiore di un qualsiasi fantozzi; all'epoca già aveva perso i piedi, ma era incredibile quanto era bravo a camminare sui talloni, e per un uomo alto un metro ed ottantotto, non doveva essere per nulla semplice".
"E cosa facevano i tuoi seduti sul letto, quella sera?".
"Mio padre grattava un gratta e vinci, ed erano apparsi ben cinque numeri positivi!".
"Deve aver vinto molto".
"Cinquanta euro: ogni numero valeva dieci euro".
"Uhm, e cosa ti è rimasto nel cuore?".
"La loro espressione".
"Com'era?".
"Mio padre non guardava solo il gratta e vinci, guardava lei, e il suo sguardo cambiava quando la guardava: si riempiva d'amore.
E senza che lei se ne accorgesse, le sorrideva, talmente pieno d'amore, da poter far male al cuore".
"E lo sguardo di tua madre?".
"Quello si riempiva d'amore quando guardava il gratta e vinci... e quando guardava papà si riempiva solo di un tenue affetto".
"Tua madre non sorrideva?".
"Io e lei non siamo mai state come papà: noi non sorridiamo mai".
"Sicura?".
"Sicura quanto la mia certezza nell'invidiare quel fottuto pezzo di cartoncino, o di chissà quale materiale stratificato era composto... bah!".
"Invidiavi un gratta e vinci?".
"Lo invidiavo perché mi ha dato l'occasione di vedere degli sguardi innamorati: mio padre amava davvero mamma; ed un mostro, come lo descriveva lei, non poteva di certo provare un emozione così forte senza morirne! Ed ho visto papà provare affetto verso quel pezzo di cartoncino, perché gli ha permesso di vedere l'amore negli occhi di sua moglie... seppur mal riposto; ed ho visto mia madre amare quell'oggetto, e voler bene a papà... un malato triangolo".
"Sì in effetti non è proprio l'immagine di un felice amore".
"Spero nel profondo del mio cuore, che con quel pianto, mia madre abbia dato finalmente il giusto valore a quell'amore ormai perduto".
"Ma tu non dici sempre che sperare è inutile?".
"Non canzonarmi solo perché non me la prendo, uffa!".
"E tu quando pensi di trovarti una compagna?".
"Guardala che continua! Ma non sei la psicologa tu?".
"Lo sono, lo sono; non scappare e rispondi su".
"Mi troverò una compagna quando? Fanculo io sto bene così: sola mi sento dentro e sola morirò".
"Ma non sei stanca di tutta questa solitudine?".
"No, ci sono cresciuta, e posso sopportarla".
"Non è che hai paura di fare la fine di tuo padre?".
"E finire di amare la donna sbagliata? Sì! Ho paura! Ti ricordi di quando ti ho parlato di Melissa? E delle poche altre che ho incrociato dopo di lei?".
"Sì che me lo ricordo, ma questo non vuol dire che la tua compagna futura sarà come loro: se tu cambi, anche la persona che incontrerai sarà diversa".
"Ho più probabilità di vincere cinquanta euro con un gratta e vinci".
Ridiamo.
Il mio sguardo torna vuoto: "E poi, sinceramente, una schizoide, anche borderline, può davvero trovare una compagna normale?".
"Nadia, tu non sei delle tue caratteristiche, o disturbi; tu sei tu, e nonostante quelle grandi etichette, tu sei una persona normale: tu sei Nadia, non sei delle etichette".
"Ne pazza, ne sana, sono semplicemente Nadia... fa un po' ridere sai?".
"Perché?".
"Perché tanto lo so che quando finirò su un giornale, con la mia brutta faccia in prima pagina, dove racconteranno le mie malefatte; tu avrai il tuo piccolo spazietto con tanto di primo piano, e la tua frase profetica: io l'avevo detto che non era apposto, ma nessuno mi ha dato retta!".
"HAHAHAHAHAHA! Non la smetterai mai vero di fuggire? Però era bella come battuta".
"Hahahahaha! No!".
"Prima o poi troverai una persona dalla quale non potrai fuggire, anzi! Ogni tua battuta te la porterà più vicino".
"E' un tuo modo per dirmi che arrotondi come indovina?".
"Pff! Ci vediamo il prossimo lunedì alla stessa ora".


Lunedì 17 Novembre 2014

No... oggi non riesco neppure ad alzarmi dal letto... oggi salto sia il lavoro che la seduta... non mi sento... è come se fossi fatta di vuoto... le uniche cose percepibili, credo siano le righe di fuoco lasciate dalle lacrime, finite per bagnare il cuscino... vuoto e fuoco... e lacrime... voglio morire.
Caramella dove sei? Perché continuo a dimenticarti in giro per casa... come si può essere così stupide da perdersi sempre il proprio cuore con così tanta facilità?
Maledizione odio scrivere su dei fogli presi a casaccio!
Ieri mi ha persino scritto su what's up quell'idiota di Gabriele! Era preoccupato, perché Sabato mi ha vista strana! Ma fatti i cazzi tuoi, idiota! Tu non sei mio padre! Anche se... è così dannatamente dolce... li odio i pirati, li detesto, che possano marcire all'inferno! Onorevoli! Ma per piacere! Ti abbandonano nel momento del bisogno!
Io mi sono limitata a rispondergli con una faccina sorridente ed un "sto bene"... mi manca Messenger... perché lo hanno dovuto chiudere? Non mi  trovo proprio a mio agio con questo what's app, uffa!
A parte il mio modo di fare infantile ed irritante, Caramella, tu lo sai cosa c'è sotto tutto questo, lo sai come mi sento: morire! A volte mi trovo a pensare decisa all'idea della morte come il vuoto assoluto: non potrei mai sceglierla come opzione, visto tutto il vuoto che sento tutti i giorni; oltre il danno la beffa.
E poi ci sono giorni in cui non vedo altra soluzione: un tuffo nel vuoto, da un palazzo alto, preferibilmente un bel grattacielo, come quelli di Milano, la grande città.
   
 
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