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Autore: Atlantislux    16/04/2018    1 recensioni
Le avevano insegnato solo a combattere. Ad essere una brava ragazza e ad ammazzare i nemici della Terra.
Per questo Jun il Cigno non aveva saputo che fare, quando era andata in pezzi.
~
Io ho deciso di credergli. Perché altrimenti vorrebbe dire che dovrei sparire da questo mondo, ma non voglio più. Non ora che ho una prospettiva futura che non consiste solo di infinite battaglie contro innumerevoli orde di Galactor.
Genere: Drammatico, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: What if? | Avvertimenti: Violenza
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Epilogo - Ecate



And if I told you that I loved you
You'd maybe think there's something wrong
I'm not a man of too many faces
The mask I wear is one
 
Sting - "Shape Of My Heart"

 



Dal diario di Jun, 4 dicembre


       
Gli incubi sono cessati. Da quando mi sono risvegliata su quella spiaggia alle Azzorre, i lividi panorami del pianeta Spectra non hanno più turbato i miei sogni.
Potrei quasi dire di essere tornata la vecchia me; mi sento bene, senza più vertigini o nausee, senza le emicranie che mi hanno tormentata per mesi, e senza più sbalzi d'umore. Ora lo so: erano gli effetti collaterali delle terapie. Ora non assumo più nulla, e non sono mai stata così in forze. Meglio, anzi, più in forma e più lucida di quanto sia mai stata durante i miei primi vent’anni di vita. Significa che la mutazione si è completata?
Non so a che punto siano gli studi, in questo senso. I ricercatori qui sono molto più discreti di quelli dell'ISO, e sono a conoscenza che il team ha dei contatti con quello del dottor Nambu, ma non so i termini dell'accordo. A differenza del passato, qui nessuno mi nasconde nulla, ma ora sono io ad essere poco interessata. So già tutto di me, non mi piace, ma non sono nella posizione di poter cambiare le cose. È piuttosto l’ambiente che mi circonda che mi incuriosisce.  

Non avevo capito quanto benestanti fossero i genitori di Erlik, fino a quando non ho visto atterrare l'aereo privato di una delle loro società. Una delle tante. Una volta a bordo mi ha rivelato tutto. Benestanti non è nemmeno il termine corretto… Joe li avrebbe chiamati fottutamente ricchi.
Non ho fatto fatica ad abituarmi al lusso, agli ossequi, ai privilegi di una casta di persone di cui avevo letto solo sulle riviste. Più difficile, per quanto possa sembrare paradossale, è stato abituarmi a non dover più combattere.

La mia vita, prima, era una sola cosa: un’estenuante sequenza di addestramenti e battaglie simulate, con l’unico scopo di sconfiggere l'ennesimo malato piano di Berg Katze.
Quando ero nei Techno Ninja pensavo che mi sarei goduta il momento in cui i nostri nemici sarebbero stati sconfitti, e mi sarebbe stato concesso di tornare ad una vita da civile. Beh, era solo un pensiero sciocco.
L’addestramento è cominciato che avevo appena sei anni; io non ho mai avuto una vita, uno scopo al di là di essere un’eroina che salva il mondo. Così ho vissuto fino all’altro ieri. La mia mente e il mio corpo, costruiti, scolpiti per quel fine si ribellano ad un regime di quiete.
I miei giorni da ventenne “normale” sono durati quarantotto ore. Tanto ho resistito nell'ozio, prima di capire che non era quello che volevo. 
Mi sono iscritta all'università, studio biotecnologia medica, e molte delle ore libere le passo in palestra, a correre sulla spiaggia o ad addestrarmi insieme ad un paio di energumeni ex-SAS. Chiaramente, sono meglio di entrambi.

Le giovani cugine di Erlik, le mie nuove amiche in questo ambiente, mi osservano con curiosità e commentano con garbo i miei hobby. Sono due bamboline cortesi, educate e perfette.
Ogni tanto facciamo un giro insieme nei vari centri commerciali che ad Abu Dhabi abbondano. Da quando ci sono io escono senza guardia del corpo. Non sono come le amiche che avevo quando frequentavo lo Snack J, ma non sono male, e un po’ mi scoccia che non gli possa rivelare la verità sul mio passato. Di me sanno solo che sono orfana, e cresciuta in una base militare giapponese, cosa che non è tanto lontana dalla realtà.
Solo Dominique e Gustav, il padre e lo zio di Erlik, conoscono la mia vera identità.
Sono uomini d’affari, pragmatici e sempre molto impegnati. Dominique ha però qualcosa di ambiguo che mi ricorda un po’ il dottor Nambu. Come mi succedeva con il Direttore, trovo difficile riuscire a percepire le sue emozioni.
Considerati come sono tesi i rapporti tra lui ed Erlik -non fa mistero di reputare il figlio un cretino fuori di testa- non mi stupisco che, all’ISO, il mio amante detestasse così tanto Nambu. Doveva ricordargli casa sua costantemente.
Erlik. Il mio amante. Sorrido a pensare come tutte queste parole stiano bene nella stessa frase, quando qualche mese fa mi lamentavo di essere ancora vergine, e che l’unico partner che avrei mai potuto avere era un detestabile idiota.

Ammetto che non è un idiota. E non è nemmeno troppo detestabile, quando decide di non voler giocare a fare il polemico a tutti i costi. Immagino sia un atteggiamento costruito apposta negli anni, come reazione a questo ambiente dove sembra regnare il più zuccheroso bon-ton e dove una parola impropria, o un gesto sopra le righe, ti guadagnano occhiate stupefatte.
Lui è irrispettoso dell’etichetta e sicuramente non si fa problemi a dire in faccia alla gente quello che pensa, non importa quanto sbagliata o inappropriata sia. 
Deve aver trovato liberatorio l’ambiente del Sindacato Galactor, che è allo spettro opposto della civilizzazione rispetto al mondo in cui Erlik è cresciuto.
Se ripenso al suo modo di fare, e a quanto l’ho odiato per questo al nostro primo incontro, non mi capacito che i miei sentimenti per lui siano cambiati così tanto. Per Erlik non provo l’infatuazione adolescenziale che nutrivo per Ken, è un sentimento diverso, forse più adulto e non esente da dubbi. Sicuramente, l’attrazione fisica gioca una parte notevole nella nostra relazione. È un tipo di trasporto che per Ken non ho mai provato, per quanto fortemente avessi desiderato essere la sua compagna di vita, oltre che di team.

Ken. Mi manca. La sua rigidità virtuosa e battagliera mi ha fatto male, ma lui era anche il mio pilastro, il perno del nostro team e della mia esistenza. Sogno spesso di prendere il telefono in mano e di chiamarlo, ma ora è troppo presto. Ci saranno recriminazioni, e vorrà spiegazioni su cosa sono diventata, e su Erlik, che non ha mai sopportato. Non sono ancora pronta a dirgli in faccia che il suo odiato rivale per me sta diventando più importante dell'aria che respiro.
Mi mancano anche gli altri ragazzi. L'unico che sento frequentemente è Jinpei. Non potevo scomparire dalla sua vita. Mi ha portato i saluti di Ryu; Joe invece non si è fatto sentire. Chissà se mi odia...
Tra poco sarà Natale, e potrei invitare qui il mio fratellino. Questo posto gli piacerebbe, chissà se il dottor Nambu gli darà il permesso di venire. Non ho più sentito nemmeno lui, ma suppongo non sia molto felice della mia scelta.

E io, invece, sono felice? Me lo chiedo spesso.

Qui ho tutto quello che ho sempre desiderato: una vita agiata, la tranquillità di un futuro senza battaglie da combattere, un compagno che mi tratta come una principessa... soprattutto, ho una famiglia.
Avevo dubbi a riguardo, temevo che mi vedessero come un'avventuriera interessata solo ai soldi, eppure i Kahn mi accolta molto bene. Anzi, anche chi non sa la verità su di me mi tratta con una deferenza che trovo curiosa. Gustav mi ha messa a parte di molti dettagli operativi che riguardano le aziende di famiglia, ed è stato su suo consiglio che mi sono iscritta a quella particolare facoltà. Mi dice sempre che Erlik non poteva scegliere una compagna migliore. Le figlie di Gustav, l'ho già detto, sono le mie nuove migliori amiche.
Per dimostrarmi il piacere nell'avermi con loro i Kahn mi hanno fatto un regalo per il quale immagino abbiano speso un patrimonio.

È una statua antica, che raffigura la dea Ecate. Il marmo è venato d'oro puro, opera di un artista giapponese che ha ricomposto il corpo della scultura riempiendo le crepe con la tecnica del kintsugi. La statua è esposta nell'atrio della sede della Kahn-Kobashi qui ad Abu Dhabi.
Mi inquieta un po', perché non mi sfugge il suo significato, e il motivo del regalo.
Mi rappresenta. Ecate mi chiamavano i Galactor, e cosa sono io se non una bella scultura che il caso ha ridotto in pezzi, e che poi qualcuno ha rimesso insieme con un metallo prezioso? Almeno, questo è quello che Erlik crede, e che vorrebbe che io accettassi.
Io non sono ancora pronta. Mi sveglio, a volte, sentendo l'eco della voce di Sosai nelle orecchie, e con davanti agli occhi le immagini di Spectra. Ringrazio Erlik di essere lì al mio fianco, e di placare la mia angoscia con le sue carezze. Mi sussurra di non preoccuparmi, che non sono un mostro e, soprattutto, che sono troppo buona e troppo moralmente irreprensibile per trasformarmi in una genocida. La mutazione non mi ha cambiata così tanto e, alla fin fine, mi ha portato solo dei vantaggi.  
Io ho deciso di credergli. Perché altrimenti vorrebbe dire che dovrei sparire da questo mondo, ma non voglio più. Non ora che ho una prospettiva futura che non consiste solo di infinite battaglie contro innumerevoli orde di Galactor.
Ora voglio solo essere felice.
 


Abu Dhabi, Kahn-Kobashi HQ, 4 dicembre


Se qualcuno gli avesse chiesto quale era il panorama più bello del mondo, Erlik Kahn non avrebbe avuto dubbi, in quel momento ce l'aveva davanti: Jun, fasciata in un abito color ciclamino, stagliata contro la vetrata del settantesimo piano della Sky Tower. Al di là, il deserto faceva capolino tra i grattaceli di Abu Dhabi.
Erlik le aveva promesso che le avrebbe dato tutto, e l'aveva fatto. Non l'aveva mai sfiorato il pensiero che la sua famiglia avrebbe potuto accoglierla malamente: li conosceva troppo bene, e sapeva com'era lei.
La guardava muoversi tra di loro, ed era perfetta, come se fosse nata in quell'ambiente. Aveva tutti i pregi delle donne dell'alta società, e nessuno dei difetti. Educata ma non snob, curiosa ma non pettegola... la fine della sua guerra personale le aveva restituito l'amabilità. Persino le sue due noiose cugine la trovavano incantevole.
Quanto a suo padre e a suo zio, avevano intuito subito le potenzialità di Jun.
Erlik era consapevole che i due consideravano lui una nullità, e le sue cugine niente altro che mocciose viziate; suo padre gliel'aveva detto in faccia fin da ragazzino, e Gustav era d'accordo con il fratello, solo che lo nascondeva meglio.
Al contrario, erano affascinati da Jun, che Erlik sapeva essere molto più intelligente, tenace e volenterosa di tutti loro messi insieme. Era l'erede che i Kahn aspettavano.
Un'erede che, oltretutto, aveva portato in dote qualcosa di molto più prezioso di capitali o gioielli.

Erlik la osservò, mentre la ragazza prendeva da un tavolino un bicchiere colmo di un liquido chiaro e se lo portava alla bocca. I laboratori della Kahn-Kobashi avevano sintetizzato per loro dei prodotti emoderivati migliori di quelli che assumevano all'ISO.
Jun aveva apprezzato, ma cosa avrebbe pensato se avesse saputo che i ricercatori avevano anche sequenziato il genoma dei membri della famiglia Kahn, e cominciato a sviluppare un virus analogo come effetti a quello dei Galactor?
Forse sarebbe scappata, ma oramai era troppo tardi. Erlik non era ancora riuscito a convincerla che la sua mutazione non era dopotutto una cattiva cosa, ma a suo padre e a suo zio i vantaggi erano chiari.

Jun si girò e, sistemandosi con grazia una ciocca di capelli dietro l'orecchio, gli si avvicinò sorridendo.
Lei non sospettava niente, e ogni tanto ad Erlik veniva il dubbio di averla tolta da una gabbia per metterla in un'altra, solo con le sbarre d'oro; ma lo accantonava subito.
Non c'erano paragoni. Lei tra loro era una principessa, il gioiello più prezioso della corona, non una ragazzina costretta a combattere vestendo un costume idiota.
Jun gli mise le braccia attorno alla vita, e si strinse a lui. Abbracciandola, l'attenzione di Erlik si spostò sul panorama al di là della vetrata.

I sogni non erano mai cessati, ma ora avevano la consistenza della realtà. Davanti ai suoi occhi, le torri della città terrestre presero forme a spirale, e il deserto di sabbia si trasformò in uno di neve.
Anche la voce che aveva sentito sul mecha Galactor non aveva mai smesso di bisbigliare, ma gli era facile tacitarla. Non aveva bisogno di lui, per dare a Jun tutto quello che lei si meritava.
Meine Herrin...” le sussurrò all'orecchio.  
 
 
 
Fine 

 


N.d.A.: Finalmente ripubblicata tutta, questa mia vecchissima fic, in forma riveduta e corretta.
Grazie ancora a tutti i lettori e a chi, tra i lettori, ha lasciato o lascerà un cenno del suo passaggio.
Bird Go!
:)

Lux
  
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