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Autore: Manto    27/04/2018    3 recensioni
❤ Quarta classificata al contest “Giochi di carte” indetto da missredlights e Emanuela.Emy79 sul forum di EFP
Dal testo: «Nella prima discesa nelle tenebre, hai ucciso il mostro e salvato la sua vittima più grande; nella seconda discesa nelle tenebre, ho ucciso io il mostro e salvato l’eroe.
E sì, presto avremo tanto di cui parlare; ma non di come salvare una vita.
Quello lo sappiamo già fare, semplicemente vivendo.»
Genere: Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Metal Bat, Nuovo personaggio, Zenko
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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DISCLAIMER: A eccezione di Hana, i personaggi sotto presentati non mi appartengono.
La storia è stata scritta senza alcun scopo di lucro.


Partecipante al contest Giochi di carte
indetto da
missredlights e Emanuela.Emy79 sul forum di EFP ♦



How to Save a Life


My frozen dream can never be
In the Paradise you’ve seen

— “Cage”, Tielle




I Tra la Sera e l’Anima





Si svegliò nel mezzo del timore e con un sussurro nella mente, evanescente ed enigmatico come la visione di un sogno; e intorno a lui non c’era luce, non c’era giorno. La stanza e l’intera casa erano silenziose; sembrava che solamente lui fosse desto, e per uno sconosciuto motivo questo pensiero gli diede i brividi… cosa che non cessò neppure quando si alzò e scoprì che in realtà il sole già illuminava la città di un opaco chiarore. Era comunque presto per la sua quotidianità, così che quando la mente gli ordinò di ritornare alla pace del sonno obbedì senza obiezioni; tuttavia, una parte di lui si mostrò restia ad assopirsi, continuando a rimanere vigile — ciò che l’anima sente non è mai una menzogna: più di un semplice pensiero che non se ne voleva andare.
L’ultimo istante di lucidità prima dell’incoscienza, sospeso tra un inarrestabile oblio e una pungente sensazione che non aveva ancora nome, fu che il buio che continuava ad albergare nella camera sembrava palpitare, come cuore o corpo vivo; poi ritornò la quiete, e tutto ciò che l’aveva preceduta precipitò in essa fino ad apparire come semplice immaginazione.
Ci fu poi un momento in cui il nido oscuro che aveva avvolto il corpo venne mosso da una scossa; ma non ne venne incrinato e continuò a trattenere tutte le proprie energie per parecchi istanti, così che quando il secondo risveglio si affacciò alla mente, fu dolce e calmo…

O meglio, così avrebbe dovuto essere.
Ti prometto che questa sarà l’ultima volta che ti scriverò… Bad.”
Un istante, una frazione di respiro: inalare quanta più aria possibile, espellerla in un soffio, ricominciare da capo; convincersi che tutto fosse lontano, passato, accorgersi di una realtà diversa, e ritrovarsi a sedere nel letto, cercando una risposta priva di senso — come la domanda — nel muro opposto. Era stata una voce irreale; tuttavia,
lei sembrava così vicina, un’eco distante quanto un battito.
Quella volta, avrebbe quasi potuto allungare una mano per stringere la sua; quella volta, il buio avrebbe potuto essere più clemente.



Quando, dopo istanti della stessa sostanza delle ore, gli occhi dell’eroe incontrarono la cucina e lo schermo del televisore, che doveva avere acceso anche se la memoria non ne aveva trattenuto il ricordo, la notizia che dal primo mattino aveva spezzato la vita quotidiana di parecchie persone raggiunse anche la sua consapevolezza: il cuore della Città S non esisteva più dall’alba, in quanto collassato su sé stesso insieme a palazzi, strade e persone senza che nemmeno un boato avesse avvertito gli abitanti della distruzione incombente; sotto gli occhi confusi di chi era stato testimone dell’evento, la terra si era spalancata e aveva divorato la piazza centrale, portando una seconda notte di polvere nera e un unico, straziante pianto che ancora non aveva cessato di risuonare.
Come hai fatto a non sentirmi gridare?




●●●




{ Due anni prima: ormai lontani, sempre vicini. }




Spesso il mondo che lo circondava era movimento, tensione e caos; o almeno, lo era stato completamente prima dellarrivo di Hana.
Aveva incontrato i suoi occhi neri perché era stata lei ad avvicinarglisi; e la presa sul suo braccio era stata così delicata che quasi non l
aveva sentita.
«Io volevo dirti
volevo dirti che se ho ancora una cara amica è solo grazie a te. Solamente… grazie», gli aveva sussurrato quello scricciolo dopo lunghi istanti di esitazione e frasi spezzate, alzando il volto dal suolo e guardando il suo, di viso, solo quando aveva finito; e il sorriso che infine gli aveva rivolto era stato più luminoso del quieto pomeriggio estivo che aveva accarezzato la loro pelle, come era stato pieno di calore l’inatteso abbraccio che lo aveva immediatamente seguito.
Lui aveva tentato di replicare a quello che a tutti gli effetti era stato uno dei più sentiti ringraziamenti che avesse mai ricevuto, ma la giovane era fuggita dopo un accenno di scuse e saluti; e nonostante quella figura fosse rimasta impressa per ore nella mente dell
eroe, probabilmente di lei non sarebbe rimasto che un ricordo non perfettamente tracciato, una prova di sollievo e gratitudine simile a molte altre… se qualche tempo dopo non avesse assistito a uno dei saggi di pianoforte di Zenko, e a sfiorare tasti, a giocare con melodie e sogni avesse trovato anche quella ragazza dai lunghi capelli ebano, le cui dita — avrebbe scoperto — avevano sempre avuto una voce e un’anima propria.
E quella volta, quando l’esibizione era finita, a non trovare le parole adatte per saper ringraziare di
qualunque cosa era stato proprio lui.



«Davvero ti è piaciuto il pezzo?»
Quella nota ansiosa nella voce avrebbe potuto essere scambiata per mera insicurezza; ma gli occhi della pianista avevano lasciato trapelare di più, simile a una richiesta sofferta o una preghiera.
«Non devi essere molto sicura di te, se dubiti del tuo talento.»
«La musica è l’unico linguaggio con cui riesco a comunicare senza paura; per questo sono ossessionata dal fatto di sbagliare o dimenticare un passo, o, ancora peggio, che non riesca a emozionare nessuno; per me sarebbe come perdere completamente la voce.» Una replica pronunciata d’un fiato, il capo che si era istintivamente abbassato davanti all’eroe e al sole che stava tramontando davanti ai loro occhi; e Metal Bat aveva in qualche modo compreso che se non fossero rimasti solamente loro due a osservare la città —
qual era? — ai loro piedi, non l’avrebbe mai udita.
«Le parole possono essere ingannevoli, insicure, impure; ma la musica… lei è così diretta, universale, non potrebbe mai dividere, non mente mai né ferisce… e non abbandona, non lascia solo nessuno.
Quando suono, riesco a convincere di ciò ogni frammento di me stessa, anche quelli che mi vorrebbero diversa.»
Con una dolcezza mai udita prima, quelle parole si erano posate sulle mani di Bad come un soffio di vento e lo avevano spinto a desiderare che ne seguissero altre; ma Hana
«Come ti chiami? » «… Hana. » «È un nome perfetto per te [1]! » — aveva taciuto, lasciando che fossero le grida di un’esaltata Zenko in avvicinamento a riempire l’improvviso silenzio.
«Allora eravate qui fuori! Non vi trovavo
Hana, Hana, perché non suoni ancora qualcosa? Sei molto più brava di me, non mi stanco mai di ascoltarti! Ti prego, non hanno ancora tolto il pianoforte!»
Non c’era stato bisogno di altro per convincere la giovane — nemmeno di essere convinta, a dire il vero; appena ripreso posto davanti al pianoforte, le sue dita avevano infranto una seconda volta la parete che divideva il mondo dall’immaginazione, danzando sui tasti di pece e candore per tutto il tempo che le nuvole erano state tinte del viola della sera.
Quella era stata solamente la prima delle tante occasioni in cui Bad era riuscito a vedere un poco del mondo della mora
o almeno, della parte migliore di esso… tutto ciò che ancora non era caduto.




●●●




Gli orologi dell’intera Città S ticchettavano: ossessivamente, senza un istante di tregua, come se piangessero insieme ai loro proprietari. Doveva essere l’unico rumore che aveva la forza di sovrastare l’inaffrontabile babele di voci, il singhiozzo della pietra sconnessa e l’eco della scossa che rimbombava ancora nelle vie della periferia, ma il giovane eroe lo sentiva a malapena; la sua mente era occupata da un solo pensiero e non si curava d’altro, il corpo un’unica sensazione pronta a esplodere. Il terremoto aveva lasciato il suolo per penetrargli nelle vene, e lo stordiva così tanto da non lasciare spazio alcuno alla voce.
Avrebbe voluto liberarsi di tutto quel malessere che gli impediva le sue normali reazioni: urlare, maledire, agire, ma più si avvicinava al punto d’origine del disastro più le forze venivano meno, e lui non se ne stupiva; non per
quel motivo, non per la diversità che lei aveva rappresentato.
Ho la sensazione che solo tu riusciresti a calmarmi.
Ho paura di me, sai; sempre di più. E poi, tra i miei demoni, appari tu.
Ti arrabbi con me, mi scuoti, mi gridi di svegliarmi dal sonno velenoso in cui sono caduta; mi tieni stretta finché, in qualche modo, non lo faccio. Ma non ho bisogno di dolcezza; solamente di una mano che mi dia la forza di rialzarmi. Vorrei solo essere più coraggiosa verso di me… e riuscire a dirti tutto questo a viva voce, piangendo come sto facendo ora.
Quindi cercami, trovami nell’angolo più buio della mia mente, sollevami, stringimi; ti seguirò ovunque
[2]. Forse, con la saggezza e la misericordia del tempo, riprenderò anche a respirare.
Qualcosa iniziò a sbloccarsi solo quando Bad raggiunse il suo obiettivo e riuscì a farsi largo tra la folla; gli occhi che lo circondavano lo misero a fuoco lentamente, troppo colmi dell’orrore causato dall
’enorme voragine per reagire immediatamente alla sua presenza. Fortunatamente, notò immediatamente, questo non aveva impedito agli abitanti di prestare i primi soccorsi ai concittadini più sfortunati: dal grembo della terra provenivano richiami, non richieste d’aiuto ma echi di staffette disperate per recuperare corpi pronti a ricevere lacrime e chi, invece, ancora era vivo. «La situazione?», chiese il giovane, controllando l’impeto di gettarsi immediatamente nel cuore delle tenebre, ma perdendo la già poca calma con la stessa velocità con cui i secondi diventavano più pesanti.
Dopo tutto questo tempo sei ancora un problema, amica mia.
«Molte persone sono già state estratte… ma le strutture crollate ci hanno impedito di raggiungerne tanti altri. Non riusciamo a farci strada a mani nude, così come non abbiamo la possibilità di…»
«Allora tocca a me.» La voce che aveva risposto tacque davanti a quel tono reso intimidatorio dalla tensione, e sempre in silenzio qualcuno gli passò una torcia elettrica; in una manciata d’istanti l’eroe sembrò scomparire, solo per ricomparire parecchi metri più in basso, tra le braccia del nemico di asfalto, pietra e ferro che solo la natura o il Caso potevano aver creato. I rumori della città persero nuovamente il loro potere nel nero vellutato che conduceva la rete di vibrazioni e sussurri che scorrevano nel corpo del suolo, e in un primo momento quasi non sentì più nemmeno la voce di chi lo circondava, lì nel cuore dell’incubo; in un certo senso questo lo avrebbe aiutato nella ricerca…

Forse; forse, se la tua voce tacerà.
Nell’oscurità che aveva il
suo sguardo e calore… forse.




●●●




«Non riesco a dormire: ho troppo freddo.»
La pelle di Hana era ghiacciata, teso il volto e il corpo quasi piegato su sé stesso dai brividi; tanto che quando Bad l
aveva stretta tra le braccia, lei gli si era avvinghiata al petto e si era lasciata prendere in braccio, affondando il naso gelido nellincavo tra il collo e la spalla dellamico.
«Sembra che tu ti sia rotolata in un mucchio di neve! La tua camera è la più calda dell
intera casa, per quale dannato motivo sei così fredda?»
Un sorriso contratto dal battere dei denti, ma illuminato da tenerezza e curiosità. «
La mia camera
Difficile reprimere le parole che la lucidità non era riuscita a controllare; ma in fondo, a lei non aveva mai mentito
in fondo, era divenuta parte della famiglia, era anche lei una certezza. «Beh, Zenko ha anche spostato tutti i suoi pupazzi per fare posto ai tuoi quindi possiamo chiamarla camera tua
Quello che era giunto come fatto improvviso
— una cena che si era protratta fin oltre il cuore della notte, a cui avevano seguito le preghiere della bambina affinché Hana dormisse a casa loro; la prima volta, dopo anni d’immobilità e nostalgia, che la stanza dei loro genitori aveva visto brillare una luce — era divenuto ben presto un rito frequente; ma non era dispiaciuto a nessuno, né agli ospitanti né alla giovane.
Quindi sì, nessuno avrebbe avuto da stupirsi.
«Posso rimanere qui? Solo per stanotte.» La voce della ragazza era risultata ancora più flebile del solito, e Bad si era chiesto se avesse percepito veramente quell’ombra di timidezza.
«Perché no? Se per te è meglio, ti lascio il letto e
»
«Bad, ti sto chiedendo se posso dormire
con te
Si era bloccato, anche se solo per un momento; poi aveva riniziato a strofinare dolcemente la pelle dell
altra per scaldarla almeno un poco, e aveva sorriso. «Guarda che mi muovo spesso.»
«Non m
importa. Non ci voglio tornare di là se mi tieni vicina, posso riaddormentarmi.»
Per qualche motivo, con la ragazza non era mai riuscito a parlare senza mantenere la calma con estrema facilità; la sua impulsività aveva sempre trovato un freno, come con Zenko… per questo aveva fatto scendere un lungo istante di silenzio e l’aveva riposata al suolo, prima di riprendere a parlare. «Perché hai paura di dirmi che hai avuto un incubo?»
Istantaneamente, quasi per istinto, la giovane aveva aumentato la presa su di lui, così che le sue unghie gli si erano conficcate nella schiena. «Non ho avuto nessun incubo», aveva mormorato, rilassandosi subito; ma la sua reazione era stata così spontanea da gridare il contrario. «Non avresti dovuto saperlo!», era capitolata dopo una manciata di istanti, svelata dallo sguardo che lui le aveva lanciato, «volevo evitare di far preoccupare anche te. Zenko mi ha sentito urlare, l’ultima volta che ho dormito qui… l’ho pregata di non dirti nulla. Perché non mi ha ascoltato?»
«Sono solo incubi: immagini che fanno paura, ma che non sono realtà.
L’ho scoperto per caso, non è colpa sua… ma la prossima volta dimmelo tu, intesi?»
La ragazza aveva annuito lentamente, senza molta convinzione, prima di lasciarsi avvolgere in una coperta e stendersi nel lato del letto che Bad aveva occupato fino a pochi minuti prima. Aveva atteso qualche secondo, come per prendere coraggio; poi aveva sospirato, rannicchiandosi contro il fianco dell
eroe quando questi laveva raggiunta e abbracciata.
«Su, vieni qui. Stai bene ora?»
Lei era rimasta a guardare la luce della lampada svanire dalla stanza; e non era più riuscita a tacere. «Non mi ricordo molto
se non che né te né Zenko eravate con me. Forse non vi avevo ancora conosciuto o non lavrei fatto mai.»
«E la tua famiglia?»
«La cercavo. Non so se mi mancavano più i miei genitori, o voi… so solo che a farmi compagnia c
era la sensazione che tutti, ovunque si trovassero, non si sarebbero ricordati di me né avrebbero notato la mia assenza. Quindi perché continuavo a chiamarvi?»
«
Perché, in qualche modo, prima o poi avremmo risposto.»
«Ma
»
«Non pensare neanche per un secondo al contrario.»
La stretta intorno alla sua vita si era fatta più forte, fino a quando la mora non aveva sentito il cuore dell
altro bussare al proprio petto.
Per pochi attimi, una mano aveva messo una seppur minima distanza tra i loro corpi quando si era posata su quello di Bad, come per stringere tra le dita il battito; e lei aveva sorriso. «A volte vorrei che tu usassi con me la stessa energia che usi con tutti gli altri. Non credere che non abbia notato il tuo coraggio, la tua forza
che cosa ti può fermare?»
Non c
era stata risposta, perché il sonno si era preso la mente di entrambi dopo un ultimo sguardo a una tenebra che non sembrava più così spaventosa; ma dal giorno successivo, Hana aveva iniziato a provare sia nostalgia che bisogno del suono cadenzato che aveva cullato quella lunga notte, come se già avesse compreso che presto lo avrebbe rimpianto.





{ Due settimane dopo: l’inaspettato, il temuto, l’ingiusto. }




Il cellulare di Bad aveva suonato in un tardo pomeriggio ricco di aspettative, a meno di unora dal momento in cui il saggio di Zenko e Hana avrebbe dovuto avere luogo.
La suoneria era risultata stridula nella pace che aveva inaspettatamente invaso le strade della città, l
ora ancora calda che avrebbe dovuto resistere a quel richiamo ininterrotto e invece ne era stata turbata.
«Hey Zenko, sei già nel teatro? Sto per arrivare anche io
.»
La prima a rispondere non era stata la voce della sorella, ma un
esitazione con la paura nel cuore. “N-No… io… io non so come dirtelo, fratellone.
«Che cos
è che non sai come dire? Sei agitata? Hana non è con te?»
“… È di lei che ti dovrei parlare.
Per qualche motivo, si era fermato; e la voce si era abbassata, fino a diventare un sussurro. «Zenko, che cosa sta succedendo?»
Silenzio: per uno, due, tre secondi, per attimi pesanti come maledizioni. “
Mi dispiace non puoi più fare niente”, aveva singhiozzato poi la bambina, senza più riuscire a trattenere il pianto.




Non doveva succedere.
Così la gente aveva mormorato, sporcando le mura distrutte dell
istituto con giudizi e pietà.
Cos
è successo, quindi? Sembrava che fosse tutto sotto controllo, perché gli eroi hanno permesso che quellEssere Misterioso giungesse a tanto?
Ma non hai sentito? Il mostro ha causato tutto questo morendo: ha cercato una via di fuga nella scuola, era così ferito che l
istinto deve aver avuto il sopravvento sulla lucidità; le aule sono state distrutte completamente, e per chi si è salvato si deve parlare solo di sfortuna e fortuna.
Sfortuna, e fortuna. A questo si riduceva ogni vita?
Da questo era stata piegata la
sua sorte?
E poi
poi cosè successo?
La scuola è sprofondata sulle proprie fondamenta. Lo puoi vedere da te.

Quanti sopravvissuti?
Fortuna o sfortuna.

Fortuna, o sfortuna: fortuna, per chi in quei momenti aveva fissato le finestre storte dalla violenza del crollo, esplose e piene di lacrime di vetro;
la sfortuna, invece, era stata tutta per quelle mani tremanti che si erano fatte largo tra i resti di zaini, porte e pareti
fin dove era stato possibile, e da macerie e polvere avevano estratto una borsa colma di spartiti, di piccoli portafortuna e di un cellulare dallo schermo spezzato, con il registro delle chiamate fermato per sempre su un unico numero — « Lo sai che sei il primo con cui parlo tanto a lungo? E… e mi fa piacere, perché tu non mi spingi a fingere, mai. »
Sfortuna; un altro nome della sconfitta
o della colpa?






NOTE





[1] In giapponese, Hana vuol dire “fiore”.

[2] Frase ripresa da una poesia di Saffo.

   
 
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