DISCLAIMER:
A eccezione di Hana, i personaggi sotto presentati non mi
appartengono.
La
storia è stata scritta senza alcun scopo di lucro.
♦ Partecipante
al contest Giochi
di carte
indetto
da missredlights
e Emanuela.Emy79
sul forum di EFP ♦
How to Save a Life
My
frozen dream can never be
In
the Paradise you’ve seen
— “Cage”,
Tielle —
I ♦ Tra la Sera e l’Anima
Si
svegliò nel mezzo del timore e con un sussurro nella mente,
evanescente ed enigmatico come la visione di un sogno; e intorno a
lui non c’era luce, non c’era giorno. La stanza e
l’intera casa
erano silenziose; sembrava che solamente lui fosse desto, e per uno
sconosciuto motivo questo pensiero gli diede i brividi… cosa
che
non cessò neppure quando si alzò e
scoprì che in realtà il sole
già illuminava la città di un opaco chiarore. Era
comunque presto
per la sua quotidianità, così che quando la mente
gli ordinò di
ritornare alla pace del sonno obbedì senza obiezioni;
tuttavia, una
parte di lui si mostrò restia ad assopirsi, continuando a
rimanere
vigile — ciò
che l’anima sente non è mai una menzogna:
più di un semplice pensiero che non se ne voleva andare.
L’ultimo
istante di lucidità prima dell’incoscienza,
sospeso tra un
inarrestabile oblio e una pungente sensazione che non aveva ancora
nome, fu che il buio che continuava ad albergare nella camera
sembrava palpitare, come cuore o corpo vivo; poi ritornò la
quiete,
e tutto ciò che l’aveva preceduta
precipitò in essa fino ad
apparire come semplice immaginazione.
Ci
fu poi un momento in cui il nido oscuro che aveva avvolto il corpo
venne mosso da una scossa; ma non ne venne incrinato e
continuò a
trattenere tutte le proprie energie per parecchi istanti,
così che
quando il secondo risveglio si affacciò alla mente, fu dolce
e
calmo…
… O
meglio, così avrebbe dovuto essere.
“Ti
prometto che questa sarà l’ultima volta che ti
scriverò… Bad.”
Un
istante, una frazione di respiro: inalare quanta più aria
possibile,
espellerla in un soffio, ricominciare da capo; convincersi che tutto
fosse lontano, passato, accorgersi di una realtà diversa, e
ritrovarsi a sedere nel letto, cercando una risposta priva di senso
—
come la domanda — nel muro opposto. Era stata una voce
irreale;
tuttavia,
lei sembrava così vicina,
un’eco distante quanto un battito.
Quella
volta, avrebbe quasi potuto allungare una mano per stringere la sua;
quella volta, il buio avrebbe potuto essere più clemente.
Quando,
dopo istanti della stessa sostanza delle ore, gli occhi
dell’eroe
incontrarono la cucina e lo schermo del televisore, che doveva avere
acceso anche se la memoria non ne aveva trattenuto il ricordo, la
notizia che dal primo mattino aveva spezzato la vita quotidiana di
parecchie persone raggiunse anche la sua consapevolezza: il cuore
della Città S non esisteva più
dall’alba, in quanto collassato su
sé stesso insieme a palazzi, strade e persone senza che
nemmeno un
boato avesse avvertito gli abitanti della distruzione incombente;
sotto gli occhi confusi di chi era stato testimone
dell’evento, la
terra si era spalancata e aveva divorato la piazza centrale, portando
una seconda notte di polvere nera e un unico, straziante pianto che
ancora non aveva cessato di risuonare.
Come
hai fatto a non sentirmi gridare?
●●●
{ Due anni prima: ormai lontani, sempre vicini. }
Spesso
il mondo che lo circondava era movimento, tensione e caos; o almeno,
lo era
stato completamente
prima dell’arrivo
di Hana.
Aveva
incontrato i suoi occhi neri perché era stata lei ad
avvicinarglisi;
e la presa sul suo braccio era stata così delicata che quasi
non
l’aveva
sentita.
«Io
volevo dirti…
volevo dirti che se ho ancora una cara amica è solo grazie a
te.
Solamente… grazie», gli aveva sussurrato quello
scricciolo dopo
lunghi istanti di esitazione e frasi spezzate, alzando il volto dal
suolo e guardando il suo, di viso, solo quando aveva finito; e il
sorriso che infine gli aveva rivolto era stato più luminoso
del
quieto pomeriggio estivo che aveva accarezzato la loro pelle, come
era stato pieno di calore l’inatteso
abbraccio
che lo aveva immediatamente seguito.
Lui
aveva tentato di replicare a quello che a tutti gli effetti era stato
uno dei più sentiti ringraziamenti che avesse mai ricevuto,
ma la
giovane era fuggita dopo un accenno di scuse e saluti; e nonostante
quella figura fosse rimasta impressa per ore nella mente dell’eroe,
probabilmente di lei non sarebbe rimasto che un ricordo non
perfettamente tracciato, una
prova di sollievo e gratitudine simile a molte altre… se
qualche
tempo dopo non avesse assistito a uno dei saggi di pianoforte di
Zenko, e a sfiorare tasti, a giocare con melodie e sogni avesse
trovato anche quella ragazza dai lunghi capelli ebano, le cui dita
—
avrebbe scoperto — avevano sempre avuto una voce e
un’anima
propria.
E
quella volta, quando l’esibizione era finita, a non trovare
le
parole adatte per saper ringraziare di qualunque
cosa
era stato proprio lui.
«Davvero
ti è piaciuto il pezzo?»
Quella
nota ansiosa nella voce avrebbe potuto essere scambiata per mera
insicurezza; ma gli occhi della pianista avevano lasciato trapelare
di più, simile a una richiesta sofferta o una preghiera.
«Non
devi essere molto sicura di te, se dubiti del tuo talento.»
«La
musica è l’unico linguaggio con cui riesco a
comunicare senza
paura; per questo sono ossessionata dal fatto di sbagliare o
dimenticare un passo, o, ancora peggio, che non riesca a emozionare
nessuno; per me sarebbe come perdere completamente la voce.»
Una
replica pronunciata d’un fiato, il capo che si era
istintivamente
abbassato davanti all’eroe e al sole che stava tramontando
davanti
ai loro occhi; e Metal Bat aveva in qualche modo compreso che se non
fossero rimasti solamente loro due a osservare la città
— qual
era?
— ai loro piedi, non l’avrebbe mai udita.
«Le
parole possono essere ingannevoli, insicure, impure; ma la
musica…
lei è così diretta, universale, non potrebbe mai
dividere, non
mente mai né ferisce… e non abbandona, non lascia
solo nessuno.
Quando
suono, riesco a convincere di ciò ogni frammento di me
stessa, anche
quelli che mi vorrebbero diversa.»
Con
una dolcezza mai udita prima, quelle parole si erano posate sulle
mani di Bad come un soffio di vento e lo avevano spinto a desiderare
che ne seguissero altre; ma Hana —
«Come
ti chiami? »
«…
Hana. »
«È
un nome perfetto per te [1]!
»
— aveva taciuto, lasciando che fossero le grida di
un’esaltata
Zenko in avvicinamento a riempire l’improvviso silenzio.
«Allora
eravate qui fuori! Non vi trovavo…
Hana, Hana, perché non suoni ancora qualcosa? Sei molto
più brava
di me, non mi stanco mai di ascoltarti! Ti prego, non hanno ancora
tolto il pianoforte!»
Non
c’era stato bisogno di altro per convincere la giovane
— nemmeno
di essere convinta, a dire il vero; appena ripreso posto davanti al
pianoforte, le sue dita avevano infranto una seconda volta la parete
che divideva il mondo dall’immaginazione, danzando sui tasti
di
pece e candore per tutto il tempo che le nuvole erano state tinte del
viola della sera.
Quella
era stata solamente la prima delle tante occasioni in cui Bad era
riuscito a vedere un poco del mondo della mora —
o
almeno, della parte migliore di esso…
tutto
ciò che ancora
non era caduto.
●●●
Gli
orologi dell’intera Città S ticchettavano:
ossessivamente, senza
un istante di tregua, come se piangessero insieme ai loro
proprietari. Doveva essere l’unico rumore che aveva la forza
di
sovrastare l’inaffrontabile babele di voci, il singhiozzo
della
pietra sconnessa e l’eco della scossa che rimbombava ancora
nelle
vie della periferia, ma il giovane eroe lo sentiva a malapena; la sua
mente era occupata da un solo pensiero e non si curava
d’altro, il
corpo un’unica sensazione pronta a esplodere. Il terremoto
aveva
lasciato il suolo per penetrargli nelle vene, e lo stordiva
così
tanto da non lasciare spazio alcuno alla voce.
Avrebbe
voluto liberarsi di tutto quel malessere che gli impediva le sue
normali reazioni: urlare, maledire, agire, ma più si
avvicinava al
punto d’origine del disastro più le forze venivano
meno, e lui non
se ne stupiva; non per quel
motivo, non per la diversità che lei aveva rappresentato.
Ho
la sensazione che solo tu riusciresti a calmarmi.
Ho
paura di me, sai; sempre di più. E poi, tra i miei demoni,
appari
tu.
Ti
arrabbi con me, mi scuoti, mi gridi di svegliarmi dal sonno velenoso
in cui sono caduta; mi tieni stretta finché, in qualche
modo, non lo
faccio. Ma non ho bisogno di dolcezza; solamente di una mano che mi
dia la forza di rialzarmi. Vorrei solo essere più coraggiosa
verso
di me… e riuscire a dirti tutto questo a viva voce,
piangendo come
sto facendo ora.
Quindi
cercami, trovami nell’angolo più buio della mia
mente, sollevami,
stringimi; ti seguirò ovunque[2].
Forse, con la saggezza e la misericordia del tempo,
riprenderò anche
a respirare.
Qualcosa
iniziò a sbloccarsi solo quando Bad raggiunse il suo
obiettivo e
riuscì a farsi largo tra la folla; gli occhi che lo
circondavano lo
misero a fuoco lentamente, troppo colmi dell’orrore causato
dall’enorme
voragine per reagire immediatamente alla sua presenza.
Fortunatamente, notò immediatamente, questo non aveva
impedito agli
abitanti di prestare i primi soccorsi ai concittadini più
sfortunati: dal grembo della terra provenivano richiami, non
richieste d’aiuto ma echi di staffette disperate per
recuperare
corpi pronti a ricevere lacrime e chi, invece, ancora era vivo. «La
situazione?», chiese il giovane, controllando
l’impeto di gettarsi
immediatamente nel cuore delle tenebre, ma perdendo la già
poca
calma con la stessa velocità con cui i secondi diventavano
più
pesanti.
Dopo
tutto questo tempo sei ancora un problema, amica mia.
«Molte
persone sono già state estratte… ma le strutture
crollate ci hanno
impedito di raggiungerne tanti altri. Non riusciamo a farci strada a
mani nude, così come non abbiamo la possibilità
di…»
«Allora
tocca a me.» La voce che aveva risposto tacque davanti a quel
tono
reso intimidatorio dalla tensione, e sempre in silenzio qualcuno gli
passò una torcia elettrica; in una manciata
d’istanti l’eroe
sembrò scomparire, solo per ricomparire parecchi metri
più in
basso, tra le braccia del nemico di asfalto, pietra e ferro che solo
la natura o il Caso potevano aver creato. I rumori della
città
persero nuovamente il loro potere nel nero vellutato che conduceva la
rete di vibrazioni e sussurri che scorrevano nel corpo del suolo, e
in un primo momento quasi non sentì più nemmeno
la voce di chi lo
circondava, lì nel cuore dell’incubo; in un certo
senso questo lo
avrebbe aiutato nella ricerca…
… Forse;
forse, se la tua voce tacerà.
Nell’oscurità
che aveva il suo
sguardo e calore… forse.
●●●
«Non
riesco a dormire: ho troppo freddo.»
La
pelle di Hana era ghiacciata, teso il volto e il corpo quasi piegato
su sé stesso dai brividi; tanto che quando Bad l’aveva
stretta tra le braccia, lei gli si era avvinghiata al petto e si era
lasciata prendere in braccio, affondando il naso gelido nell’incavo
tra il collo e la spalla dell’amico.
«Sembra
che tu ti sia rotolata in un mucchio di neve! La tua camera
è la più
calda dell’intera
casa,
per quale dannato motivo sei così fredda?»
Un
sorriso contratto dal battere dei denti, ma illuminato da tenerezza e
curiosità. «La
mia camera?»
Difficile
reprimere le parole che la lucidità non era riuscita a
controllare;
ma in fondo, a lei non aveva mai mentito…
in fondo, era divenuta parte della famiglia, era anche lei una
certezza. «Beh,
Zenko ha anche spostato tutti i suoi pupazzi per fare posto ai tuoi…
quindi possiamo chiamarla camera
tua.»
Quello
che era giunto come fatto improvviso —
una cena che si era protratta fin oltre il cuore della notte, a cui
avevano seguito le preghiere della bambina affinché Hana
dormisse a
casa loro; la prima volta, dopo anni d’immobilità
e nostalgia, che
la stanza dei loro genitori aveva visto brillare una luce —
era
divenuto ben presto un rito frequente; ma non era dispiaciuto a
nessuno, né agli ospitanti né alla giovane.
Quindi
sì, nessuno avrebbe avuto da stupirsi.
«Posso
rimanere qui? Solo per stanotte.» La voce della ragazza era
risultata ancora più flebile del solito, e Bad si era
chiesto se
avesse percepito veramente quell’ombra di timidezza.
«Perché
no? Se per te è meglio, ti lascio il letto e…»
«Bad,
ti sto chiedendo se posso dormire con
te.»
Si
era bloccato, anche se solo per un momento; poi aveva riniziato a
strofinare dolcemente la pelle dell’altra
per scaldarla almeno un poco, e aveva sorriso. «Guarda che mi
muovo
spesso.»
«Non
m’importa.
Non ci voglio tornare di là…
se mi tieni vicina, posso riaddormentarmi.»
Per
qualche motivo, con la ragazza non era mai riuscito a parlare senza
mantenere la calma con estrema facilità; la sua
impulsività aveva
sempre trovato un freno, come con Zenko… per questo aveva
fatto
scendere un lungo istante di silenzio e l’aveva riposata al
suolo,
prima di riprendere a parlare. «Perché hai paura
di dirmi che hai
avuto un incubo?»
Istantaneamente,
quasi per istinto, la giovane aveva aumentato la presa su di lui,
così che le sue unghie gli si erano conficcate nella
schiena. «Non
ho avuto nessun incubo», aveva mormorato, rilassandosi
subito; ma la
sua reazione era stata così spontanea da gridare il
contrario. «Non
avresti dovuto saperlo!», era capitolata dopo una manciata di
istanti, svelata dallo sguardo che lui le aveva lanciato,
«volevo
evitare di far preoccupare anche te. Zenko mi ha sentito urlare,
l’ultima volta che ho dormito qui… l’ho
pregata di non dirti
nulla. Perché non mi ha ascoltato?»
«Sono
solo incubi: immagini che fanno paura, ma che non sono
realtà.
L’ho
scoperto per caso, non è colpa sua… ma la
prossima volta dimmelo
tu, intesi?»
La
ragazza aveva annuito lentamente, senza molta convinzione, prima di
lasciarsi avvolgere in una coperta e stendersi nel lato del letto che
Bad aveva occupato fino a pochi minuti prima. Aveva atteso qualche
secondo, come per prendere coraggio; poi aveva sospirato,
rannicchiandosi contro il fianco dell’eroe
quando questi l’aveva
raggiunta e abbracciata.
«Su,
vieni qui. Stai bene ora?»
Lei
era rimasta a guardare la luce della lampada svanire dalla stanza; e
non era più riuscita a tacere. «Non mi ricordo
molto…
se non che né te né Zenko eravate con me. Forse
non vi avevo ancora
conosciuto…
o non l’avrei
fatto mai.»
«E
la tua famiglia?»
«La
cercavo. Non so se mi mancavano più i miei genitori, o
voi… so
solo che a farmi compagnia c’era
la sensazione che tutti, ovunque si trovassero, non si sarebbero
ricordati di me né avrebbero notato la mia assenza. Quindi…
perché continuavo a chiamarvi?»
«Perché,
in qualche modo, prima o poi avremmo risposto.»
«Ma…»
«Non
pensare neanche per un secondo al contrario.»
La
stretta intorno alla sua vita si era fatta più forte, fino a
quando
la mora non aveva sentito il cuore dell’altro
bussare al proprio petto.
Per
pochi attimi, una mano aveva messo una seppur minima distanza tra i
loro corpi quando si era posata su quello di Bad, come per stringere
tra le dita il battito; e lei aveva sorriso. «A volte vorrei
che tu
usassi con me la stessa energia che usi con tutti gli altri. Non
credere che non abbia notato il tuo coraggio, la tua forza…
che cosa ti può fermare?»
Non
c’era
stata risposta, perché il sonno si era preso la mente di
entrambi
dopo un ultimo sguardo a una tenebra che non sembrava più
così
spaventosa; ma dal giorno successivo, Hana aveva iniziato a provare
sia nostalgia che bisogno del suono cadenzato che aveva cullato
quella lunga notte, come
se già avesse compreso che presto lo avrebbe rimpianto.
{ Due settimane dopo: l’inaspettato, il temuto, l’ingiusto. }
Il
cellulare di Bad aveva suonato in un tardo pomeriggio ricco di
aspettative, a meno di un’ora
dal momento in cui il saggio di Zenko e Hana avrebbe dovuto avere
luogo.
La
suoneria era risultata stridula nella pace che aveva inaspettatamente
invaso le strade della città, l’ora
ancora calda che avrebbe dovuto resistere a quel richiamo
ininterrotto —
e invece ne era stata turbata.
«Hey
Zenko, sei già nel teatro? Sto per arrivare anche io.»
La
prima a rispondere non era stata la voce della sorella, ma
un’esitazione
con la paura nel cuore. “N-No…
io… io non so come dirtelo, fratellone.”
«Che
cos’è
che non sai come dire? Sei agitata? Hana non è con
te?»
“… È
di lei che ti dovrei parlare.”
Per
qualche motivo, si era fermato; e la voce si era abbassata, fino a
diventare un sussurro. «Zenko, che cosa sta
succedendo?»
Silenzio:
per uno, due, tre secondi, per attimi pesanti come maledizioni.
“Mi
dispiace…
non puoi più fare niente”,
aveva singhiozzato poi la bambina, senza più riuscire a
trattenere
il pianto.
Non
doveva succedere.
Così
la gente aveva mormorato, sporcando le mura distrutte dell’istituto
con giudizi e pietà.
Cos’è
successo, quindi? Sembrava che fosse tutto sotto controllo,
perché
gli eroi hanno permesso che quell’Essere
Misterioso giungesse a tanto?
Ma
non hai sentito? Il mostro ha causato tutto questo morendo: ha
cercato una via di fuga nella scuola, era così ferito che l’istinto
deve aver avuto il sopravvento sulla lucidità; le aule sono
state
distrutte completamente, e per chi si è salvato…
si deve parlare solo di sfortuna e fortuna.
Sfortuna,
e fortuna. A questo si riduceva ogni vita?
Da
questo era stata piegata la sua
sorte?
E
poi…
poi cos’è
successo?
La
scuola è sprofondata sulle proprie fondamenta. Lo puoi
vedere da te.
… Quanti
sopravvissuti?
Fortuna
o sfortuna.
Fortuna,
o sfortuna: fortuna, per chi in quei momenti aveva fissato le
finestre storte dalla violenza del crollo, esplose e piene di lacrime
di vetro;
la
sfortuna, invece, era stata tutta per quelle mani tremanti che si
erano fatte largo tra i resti di zaini, porte e pareti —
fin dove era stato possibile, e da macerie e polvere avevano estratto
una borsa colma di spartiti, di piccoli portafortuna e di un
cellulare dallo schermo spezzato, con il registro delle chiamate
fermato per sempre su un unico numero —
« Lo
sai che sei il primo con cui parlo tanto a lungo? E… e mi fa
piacere, perché tu non mi spingi a fingere, mai. »
Sfortuna;
un altro nome della sconfitta…
o della colpa?
NOTE
[1] In giapponese, Hana vuol dire “fiore”.
[2] Frase ripresa da una poesia di Saffo.