Film > Le 5 Leggende
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Autore: Roiben    29/04/2018    1 recensioni
Di nuovo guai in vista per i Guardiani. Questa volta, tuttavia, non sono unicamente i bambini a fare da bersaglio.
Manny ha un’idea, ma non tutti ne sono entusiasti, in particolare l’Uomo Nero, reduce dalla recente e ancora molto sentita disfatta.
Genere: Avventura, Fantasy, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: I Cinque Guardiani, Nightmares, Nuovo personaggio, Pitch
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo Trentuno


Le stelle, o qualunque cosa sia ad agire da fonte di luce per quel mondo, pare stiano declinando verso un tramonto che rende tutto un po’ azzurrognolo. Non ha incontrato altre creature poco amichevoli, e di questo è immensamente grato; per contro avverte un principio di infiacchimento e teme che dipenda da quel posto e dal fatto che lì perfino le basilari emozioni siano aliene tanto quanto le creature che vi risiedono, e non possano dunque contribuire a risanare la sua fame. Non ha idea di quanto a lungo sarà costretto a rimanere confinato lì dentro, e inizia a comprendere fin troppo chiaramente il motivo per il quale pochi fra i demoni che vi sono stati sigillati siano riusciti a sopravvivere, considerando che le alternative sono solo due: languire d’inedia e noia, oppure trovarsi a dover sfidare l’ignoto e rischiare in ogni momento di finire in pasto a uno qualunque dei mostriciattoli famelici che si aggirano lì attorno. Nemmeno a dirlo, nessuna delle due opzioni gli pare allettante. Chissà se riuscirà ad adattarsi alle novità del luogo abbastanza velocemente da poter tornare in forze oppure finirà sbranato ben prima, si interroga acidamente. Sbuffa. Non è trascorso neppure un giorno (se di giorni ancora si può parlare, dopo tutto) e già si sta piangendo addosso come una povera, sfortunata donzella. “Se questo non è patetico” riflette, osservando il cielo virare all’indaco. Forse dovrebbe prendere in considerazione la possibilità di iniziare a cercarsi un rifugio per la notte; non ha idea se sia vivibile come lo è sulla Terra, una volta calata l’oscurità. Tuttavia la prospettiva di esplorare anfratti e caverne alla mezza luce di un imbrunire ormai alle porte non lo alletta particolarmente; quasi quasi preferirebbe surgelarsi all’aperto ma con una buona visuale su potenziali minacce. Poi riflette che, in effetti, non è detto che quel cielo estraneo disponga di un qualche genere di illuminazione notturna, e di certo lui non è solito portarsi appresso fonti di luce tascabili. Arriccia il naso in una smorfia contrariata al solo pensiero: “Figurarsi, l’Uomo Nero che se ne va a passeggio con una lampada. Quando mai?”.


È proprio mentre riflette sul da farsi che i suoi occhi intercettano un movimento inatteso all’orizzonte; osserva con maggior attenzione e ciò che individua non gli va per nulla a genio: un intero stormo di animaletti dalle intenzioni palesemente poco amichevoli si sta rapidamente dirigendo incontro al punto in cui si trova lui. Sperava di avere un po’ di tranquillità, ma la pausa fra uno spiacevole incontro e l’altro è purtroppo durata un’inezia, o per lo meno tale è ciò che ha percepito. Si rimette dunque in piedi, osserva ancora per un momento l’ultima novità che si sta velocemente appressando, si guarda intorno individuando presto la via più breve per abbandonare il suo momentaneo rifugio e, dopo un fugace sospiro rassegnato, si allontana addentrandosi in un folto intrico di concrezioni rocciose alla ricerca di un nuovo posto tranquillo e augurandosi che le ramificazioni attorno a lui possano rendere difficoltoso un eventuale tentativo di attacco diretto. Ciò che però non si aspettava è di trovarsi poco dopo di fronte a una figura imponente, sbucata apparentemente dal nulla, dall’aspetto di un enorme leone, azzurro e con gli occhi fiammeggianti.


«Questo posto diventa sempre più assurdo» bercia a bassa voce, studiando cautamente l’animale, o quello che appare come tale.


«Cosa sei?» chiede improvvisamente una voce profonda che proviene da quello che Pitch non è più troppo sicuro di poter ritenere un semplice animale, seppur di taglia extra-large.


«Uno spirito» replica guardingo, senza mai staccare gli occhi da quelli della creatura.


Creatura che alle sue parole di spiegazione assottiglia lo sguardo e snuda zanne lunghe quanto un suo braccio. Pitch deglutisce a disagio ma non azzarda a fare una mossa, non senza conoscere le intenzioni né le potenzialità di ciò che gli si para di fronte.


«Non dovresti trovarti qui» lo ammonisce la creatura con tono duro.


Con una smorfia amareggiata serra le labbra e tacita un ringhio esasperato. «Ne sono piuttosto consapevole. Non mi trovo qui per mia scelta, tuttavia» fa notare, asciutto.


La cosa avanza di un passo e Pitch, ancora immobile, ha un fremito che sa molto di disperazione. Che fare? Se ora tentasse di fuggire potrebbe ritrovarsi diritto nelle poco accoglienti fauci di quel gatto troppo cresciuto. Mentre pondera sulle proprie possibilità e sul proprio incerto destino, maledicendo la sua sorte avversa, il suo sgradito interlocutore solleva repentinamente uno sguardo affatto lieto al cielo ormai livido ed emette un sordo brontolio minaccioso.


«Arpie» ringhia, e i suoi muscoli si gonfiano.


Pitch trattiene il fiato e indietreggia lievemente. Un fruscio distrae per un attimo la sua attenzione e un attimo dopo piume piovono dal cielo mentre le zampe del leone fanno a fette gli sfortunati volatili che si erano avvicinati troppo alla fiera.


«Odio le arpie» brontola il leone.


«Mh» soffia Pitch in un ansito appena udibile, ora tremando visibilmente perché non è affatto riuscito a scorgere i movimenti del leone quando ha fatto a pezzi i visitatori piumati. Chissà, forse non avrà la fortuna di vedere una nuova alba, questa volta.


*


Sono così vicini l’uno all’altro che, nell’oscurità, sembrano un unico grumo fuligginoso e vibrante. Ba’al si muove irrequieto sul posto, facendo vagare in continuazione lo sguardo tra Phanês e il fratello; Mot invece respira a stento e fissa senza quasi batter ciglio la scintillante figura ferma al fianco dello specchio. Nessuno dei due osa aprire bocca, uno troppo nervoso per trovare parole sensate da dire, l’altro troppo sorpreso, incredulo di trovarsi davvero di fronte a quel dio.


Phanês, dal canto suo, osserva entrambi con una punta di curiosità e il resto dell’ambiente con malcelata disapprovazione.


«Orbene, temo di non avere il piacere di conoscere i vostri nomi» prova allora ad attaccare bottone, stanco di quell’atteggiamento cupo che gli provoca spiacevoli sentimenti cui non è per nulla avvezzo.


Mot sgrana gli occhi e smette del tutto di respirare, Ba’al invece si schiaffa il palmo di una mano sul viso e scuote il capo, poi dà una leggera spinta al fratello perché si decida a dire qualcosa. Così Mot riprende a respirare, scocca un’occhiata risentita al fratello e incrocia le braccia, sbuffando.


«Credevo dovessi sapere tutto di tutti, tu» recrimina, un po’ deluso.


Phanês lo fissa con aperta sorpresa e, contro ogni buon senso, ridacchia.


«Mi hai forse scambiato per una comare pettegola? Non sono è mia abitudine farmi gli affari degli altri, tutt’altro direi. Conosco il mondo, questo sì; so come funziona, come farlo funzionare, perfino come fare in modo che smetta di funzionare. So come creare la vita e come toglierla».


Mot sussulta, colto alla sprovvista da una constatazione avanzata con una candida semplicità che stona decisamente con il significato delle parole appena udite.


«È possibile ch’io sia male informato, ciò nonostante avevo avuto l’impressione tu fossi latore di luce e vita, piuttosto che dispensatore di morte» replica incerto.


E Phanês sorride di un sorriso un po’ particolare, quasi paterno. «Così dicono, amico mio. Ma la vita e la morte fanno parte di un unico ciclo. Inoltre dimentichi che questo» fa presente, picchiettando lievemente una mano sulla cornice dello specchio «l’ho creato io, e non certamente per regalare un giardino di piaceri a chi vi ho sigillato all’interno».


Il custode dell’oltretomba deglutisce, ora decisamente a disagio per la piega spiacevole presa dalla conversazione. «Temo allora di essere stato male informato, in questo caso» soffia contrito.


«Forse. O più semplicemente sono stati omessi particolari non graditi» ammette Phanês con tono leggero. «Ora, torniamo a noi: sapete chi sono, evidentemente, o comunque ne avete un’idea di base. Al contrario, io ancora non ho idea di chi siate voi, seppur inizio a sospettare qualcosa, in effetti».


*


Il posto non è certamente di quelli dove organizzerebbe volentieri una festicciola: è deprimente, alienante e ospita specie viventi di cui non sospettava minimamente l’esistenza e per le quali avrebbe più che volentieri desiderato continuare a ignorare la presenza. Peccato non poterselo permettere, a meno di non puntare a ritrovarsi mutilata a marcire in qualche canalone.


«Non mi piace quello che vedo» lamenta in tono stizzito e preoccupato insieme. «Per non menzionare ciò che non vedo» aggiunge in un sospiro. Dà un leggero colpetto con la mano al collo di Epiales, qualcosa che a suo modo appare perfino amichevole, continuando a guardarsi intorno senza sosta. «Tu riesci a sentire qualcosa?» chiede all’incubo, nella speranza che almeno uno di loro sia un grado di ritrovarlo in fretta, così da abbandonare quel posto che le mette un’inspiegabile ansia addosso.


Purtroppo per i loro progetti, Epiales scuote il capo desolato e continua a trottare nell’aria e ad aguzzare la vista per non rischiare di perdersi alcun movimento, sia esso di possibili nemici oppure (e sarebbe di gran lunga preferibile) di amici.


«Dobbiamo sbrigarci, o questo posto finirà col distruggerci» lo mette in guardia Nyx, inutilmente, dato che anche Epiales riesce ad avvertire le insidie di quel luogo, che non si limitano a creature pericolose e potenzialmente mortali come immaginavano inizialmente. Sembra infatti essere l’ambiente stesso causa di problemi; entrambi l’avvertono: un mondo che pare in grado di assorbire la vita, prosciugando l’ospite. “Ottimo lavoro, padre” riflette amaramente, non potendo fare a meno di chiedersi come il demone abbia potuto sopravvivere millenni rinchiuso lì dentro, quando a loro sono bastate poche ore per avvertire lo sfilacciarsi delle loro esistenze.


Stanno ancora cavalcando, mentre la volta celeste schiarisce fin quasi al candore, quando senza alcun preavviso vengono circondati da piume e artigli fino a oscurare il cielo stesso, ed Epiales lancia un acuto nitrito di orrore, prima di precipitare al suolo con il suo carico. L’impatto non è dei più morbidi, ma il peggio ancora deve arrivare, e se ne rende conto quando sottili unghie acuminate aprono profonde slabbrature nel suo lucido manto sabbioso, permettendo a quella dimensione di alterarne la sostanza e renderlo pesante e rigido. Grida ancora, disperato, e cerca la donna nella speranza che da essa provenga aiuto e sostegno, ma Nyx è a sua volta nei guai e non sembra, tutto sommato, che troverà il tempo per salvare l’esistenza di entrambi. E allora, affatto disposto a cedere tanto in fretta, si scrolla di dosso con violenza un paio di quei corpi piumati e affilati e sferra un calcio risoluto a un terzo, e poi a un quarto, e non è importante quanti siano dopo tutto, ma lo è piuttosto il fatto che finiranno con il pentirsi amaramente di essersi messi sulla sua strada.


Ha le fauci profondamente piantate nell’ala di uno di quei mostri, e scrolla convulsamente il capo nella sadica speranza di strappargliela dal dorso, quando avverte un cambiamento nell’aria pesante, l’improvviso innalzarsi della temperatura circostante e poi una grossa macchia celeste saettare in un angolo del suo campo visivo, frantumando aria, artigli e ali in un caotico gracchiare tumultuoso. Un potente ruggito fa tremare le rocce circostanti, poi intorno solo corpi straziati e piume bruciate.




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L’Angolino Buio e Polveroso dell’Uomo Nero (e dell’autrice a cui piace maltrattarlo)




Un paio di considerazioni da spendere sul mio leone.

Lui è quello che è spuntato senza permesso e senza essere doverosamente annunciato. Azzurro, peloso, ardente e con il nome compreso nel prezzo. Al che io ho alzato le mani e ho detto: “Fai quel che ti pare, basta che non mi allontani troppo dal finale”.

È un parente alla lontana di un altro leone, un pochetto più famoso: Graógramán, la Morte Multicolore di Michael Ende, presente nella Storia Infinita. Il mio non cambia colore ed è più grosso.

Per ulteriori dettagli, rimando ai prossimi capitoli.

Un saluto,


Roiben

  
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