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Autore: Nanas    02/05/2018    3 recensioni
“[…] Perché Gotham è, prima di tutto, i suoi cittadini.
Cittadini che continuano a portarla sull’orlo del baratro solo per tirarla all’ultimo nuovamente via, desiderosi di combattere per l’anima di quella città che si ritrova ad essere ancora una volta appagata del caos che la compone, soddisfatta della consapevolezza che il vivere le sue ombre comporta.
Poiché tutti sono parte della sua esistenza, tutti sono sangue che scorre caldo nelle sue vene e che rende possibile la sopravvivenza al freddo della notte:
Tutti sono criminali, a loro modo. E finché vivono, così vive la città.
E poiché la città vive, così vive Batman.”
_________________________________
Hint: [KuroKen] [BokuAka] [DaiSuga] [IwaOi]
[Batman AU] [WARNING: Slow Build Fanfiction!]
Genere: Azione, Dark, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Daichi Sawamura, Hajime Iwaizumi, Morisuke Yaku, Tetsurou Kuroo
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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Consiglio: In questo capitolo vi è la presenza marginale di un testo piuttosto famoso appartenente all’opera lirica “Aida”. Consiglio quindi prima della lettura di aprire il seguente link: https://www.youtube.com/watch?v=lhxxpYTT81k. Non c’è bisogno di vederlo tanto, è solo l’audio che serve! Sapete, per fare atmosfera. (??)
Ps. Ho aperto una pagina FB! https://www.facebook.com/NanasEFP/ ma prima di caricarla di roba aspetto di vedere se può interessare. (...)


 

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15. La comicità sta nei tempi
(Bene. Come dico sempre…)


 

Joker, Batman R.I.P.


 


 


 

GOTHAM CITY Manicomio di Arkham (Arkham City)

22/12/1976 – Pomeriggio


 

«Non lasciateli uscire dalle celle, non–!»

«Paziente H601, si fermi e porti le mani in alto, ripeto, si fermi e porti le mani in alto!»


 

Le sirene della struttura lamentano la loro nenia alta e cadenzata, fendendo l’aria satura di grida e di rumori metallici. Il suono si ripropone a distesa mentre le guardie avanzano tra le celle spalancate, urlando ai prigionieri di arretrare e di non oltrepassare il virtuale limite offerto dalle cornici delle porte blindate spalancate.

«Piano meno tre sotto attacco, ci servono rinforzi!»

Una guardia urla qualcosa alla piccola radio che porta poco sopra il pettorale destro mentre gli spari illuminano come schegge strillanti il corridoio tetro, ma non riesce a premere una terza volta il grilletto che uno dei prigionieri gli si avventa addosso, ululando eccitato mentre le mani ossute si stringono attorno al suo collo; il poliziotto si dimena, la pistola ormai lontana e le dita che artigliano disperate lo sterno dell’altro nel folle tentativo di allontanarlo, ed un grido gli muore in gola quando un secondo paziente si getta sulla metà inferiore del corpo, aprendo la bocca e calandola febbrile ad azzannargli il polpaccio, i denti neri come la pece che premono famelici contro la spessa protezione offerta dai pantaloni della divisa altrui.

Un fragore si unisce così a quello dei tanti altri accumulati di quel delirio di corpi e di polvere da sparo, e una terza, quarta guardia escono dagli ascensori in fondo, piccole mitragliatrici alle mani ed il giubbotto antiproiettile saldato al petto, le braccia tese a prendere la mira. È un tripudio di risate isteriche, grida di terrore e sangue, che schizza sulle pareti putrefatte coprendo i numeri delle celle dalle porte spalancate o distrutte nel panico del momento. Le guardie tentano inutilmente di creare un fronte comune per prendere nuovamente controllo della zona, minori in numero ma in maggioranza nelle armi, e mentre qualcuno viene trascinato via altri vengono tirati dai carcerati dalla parte opposta, le unghie che raschiano il pavimento sporco nel tentativo di opporsi a quella discesa verso gli inferi.

«Tornate nelle vostre celle e nessuno si farà male, ripeto–!»

«Dio, aiutat–!»


 


 


 


 

«Ah, quanta confusione.»

Serpe allontana il braccio dagli occhi, andando a schiudere le palpebre in maniera svogliata e ritrovandosi a fissare pigramente il soffitto della sua cella, piccole ragnatele a occuparne gli angoli più bui e fili di muffa unico arredo di quelli più alti ed umidi.

Dovrebbero davvero lavorare sulla mobilia di quel luogo. Suguru non sa sinceramente quale sia stato il motivo che abbia spinto la famiglia Arkham ad affidare la costruzione di quella struttura ad un architetto piuttosto che ad un altro, ma una cosa è certa: qualunque sia stata la motivazione che li ha portati a preferirne uno in particolare, è stata quella sbagliata. Persino riuscire a trovare quel mangiacassette è stata un’ardua impresa, e questo nonostante le volte in cui sia finito ad Arkham ed abbia fatto amicizia con le guardie al suo interno ammontino ormai ad un numero che, in ogni caso, continua a non rendergli sinceramente giustizia.

Il volto va a spostarsi di lato, un’espressione di leggero sconcerto che si crea sul viso liscio e pallido nel vedere la porta della cella socchiudersi dinanzi ai suoi occhi, ma non si alza dalla brandina sulla quale è steso, rimanendo invece a fissare le piccole forme che ora vede muoversi in lontananza, la luce degli spari che si alterna a quella rossa delle sirene, occupate a suonare il loro avvertimento riguardo la situazione di pericolo all’esterno della cella.

Gli occhi rimangono a fissare un paio di uomini occupati a prendere a calci un uomo steso a terra, prima che un sospiro fluisca via dalle sue labbra, il corpo che va a sedersi e poi portarsi in piedi. Ah, che tristezza. E pensare che ci ha messo più di un giorno a lavorarsi la guardia a protezione della sua cella e convincerla a fargli recapitare una cassetta che avesse sopra registrate le liriche dell’Aida.


 

Il sacro suolo dell'Egitto è invaso dai barbari Etiopi ♪


 

Le braccia di Serpe si piegano a metà altezza, i palmi delle mani che vengono portati verso l’alto mentre le palpebre si abbassano a nascondere le iridi strette, le labbra tirate in un accenno di sorriso affilato mentre il collo si piega all’indietro, esponendo il pomo d’Adamo sporgente e portando il viso di Suguru verso l’alto.

Ah, finalmente la sua parte preferita.

I lamenti di qualcuno sito fuori nel corridoio vengono spenti da una serie di colpi di pistola, e mentre le sirene urlano per l’ennesima volta il loro grido disperato qualcuno ringhia un’imprecazione tra i denti, il suono sordo di corpi che cadono a terra e che vengono sbattuti contro le pareti rigide che crea turpi collegamenti con l’odore ferreo del sangue che inizia a ristagnare nell’aria.


 

Baldi della facil vittoria, i predatori già marciano su Tebe ♪


 

Il messaggero del Re canta con tonalità tonante e calda quelle arie d’opera filtrate dagli altoparlanti deboli del piccolo registratore, e Serpe pensa sia davvero un peccato non sia riuscito ad andare nuovamente a vedere l’Opera la scorsa stagione.

Chissà, magari riuscirà a prendere i biglietti per la prossima. Dovrà chiederlo ad uno dei suoi contatti quando uscirà di lì.


 

Già Tebe è in armi, e dalle cento porte sul barbaro invasore proromperà ♪


 

Le urla ed i colpi di pistola si fanno sempre più vicini, e mentre il messaggero continua il suo canto lirico Radamès, il Re, Ramfis, sacerdoti, ministri e capitani ne fanno il coro di risposta, alzando il tono e gravando sulla solennità del momento. Suguru spera davvero che chiunque stia arrivando non lo privi del momento più ricco di pathos di tutte le arie dell’Aida: i passi stanno infatti diventando sempre più insistenti, facendosi largo tra le guardie o con le guardie – non che abbia davvero importanza a questo punto, contando come molti tra i poliziotti siano più propensi a prestare giuramento ai suoi soldi piuttosto che all’onore del piccolo commissario.

In ogni caso, spera che gli inattesi ospiti possano almeno avere l’accortezza e la sensibilità di lasciarlo in quell’acme di piacere uditivo, se proprio sono intenzionati ad entrare nella sua cella.

Le mani vanno ad alzarsi di livello, ondeggiando nell’aria mentre voci si aggiungono a quelle del messaggero, creando un crescendo di lirismo che Serpe sente arrampicarsi sulla sua pelle e insinuarsi nelle sue ossa, le labbra che si schiudono in un sorriso stretto mentre la lingua biforcuta saetta fuori per un istante, assaporando l’aria ricca di ormoni. Il terrore, l’eccitazione, l’ebbrezza ed il panico sono tutti ingredienti di uno dei suoi piatti preferiti; ed in questo momento sono nell’aria che lo circonda, amalgamati gli uni con gli altri, eppure stretti in un equilibrio che gli permetta di poterne differenziare i singoli sapori.


 

Guerra recando e morte! ♪


 

«Capo?»

Serpe si volta lentamente, le mani ancora in alto mentre una serie di cori si destano a massimo volume dagli altoparlanti del piccolo lettore, grattando disturbanti quando raggiungono il massimo di hertz disponibili dalla fascia di onde supportate dallo strumento. Il sorriso è ormai già presente da tempo su quel viso, le palpebre abbassate a mezz’aria mentre le iridi si posano con sguardo sagace sui tre uomini alle porte della sua cella, tutti vestiti con completi eleganti verdi e bianchi che stonano in maniera stridente con quel luogo di abbandono, le teste dai capelli laccati all’indietro e una leggera sfumatura verde acqua rassomigliante a delle squame di serpente dipinta sulle tempie di tutti loro.


 

Sì: guerra e morte il nostro grido sia!


 

«Ah, eravate voi ragazzi. È per caso già l’ora delle visite?»

Ride mentre si avvicina ai suoi sottoposti, e quando uno di questi gli passa silenziosamente una lettera, chiusa da una manciata di fredde gocce di cera rosse e verdi, Suguru la fissa silenziosamente, prendendola e rigirandola un paio di volte fra le dita lunghe ed affusolate.

Oltre la soglia della cella ormai spalancata, grida e schiamazzi continuano a rincorrersi in maniera malsana per tutto il piano e forse anche in quelli più alti, e gli spari di pistole e mitragliatrici sono come sottofondo musicale di quelle urla umane e meta-umane che neppure la lontananza del suo settore isolato riescono ad ammortizzare. Serpe riporta il pezzo di carta orizzontale, notando distintamente lo stemma “MrK comprimere la parte centrale della cera ormai solidificata. Lo sguardo si scurisce appena, mentre una delle lunghe unghie si insinua sotto alla carta libera al lato, forzandone l’apertura e liberando dalla sua stretta gabbia un piccolo cartoncino macchiato di rosso. Suguru lo tira lentamente fuori, alzandolo il sufficiente per rendere visibile le poche frasi dal carattere stretto ed appuntito che vi sono trascritte sopra, e quando riesce finalmente a leggerlo il sorriso si trasforma in una risata sguaiata, la lingua biforcuta che saetta fuori rendendosi visibile persino nella penombra della cella.


 

Dura più un serpente sotto terra o un pagliaccio ad un funerale?
Amici come prima? AH AH AH AH AH AH!
Mr.
K


 

«… È proprio completamente matto!»

Commenta infine, la risata che inizia lentamente a morirgli in gola mentre uno dei suoi seguaci non perde tempo ad offrirgli nel frattempo una maschera antigas, tirata fuori da un borsone nero con l’icona nitida di un serpente stampata su entrambi i lati.

Ma Suguru non ha fretta e aspetta, l’ilarità che ancora piega i lati delle sue labbra strette per una buona manciata di secondi. Solo quando decide di calmare le risa alza la mano snella e pallida per prendere ciò che è suo, posizionandolo sul volto e facendo segno ai suoi sottoposti di fargli strada attraverso i corridoi avvolti dall’aria stantia.

La morte ed il sangue non hanno mai smesso di esibirsi al di fuori di quella cella, neppure quando il Serpente si fa infine strada dalla sua prigione di cemento e acciaio, strisciando in direzione della agognata superficie terrosa e umida; lo sguardo cade sui prigionieri, autentici vincitori di questa battaglia tra ragione e sentimento, e sorride nel vederli intorpidirsi nella coccola di quell’euforia dovuta alla vittoria. Alcuni sono ancora avviluppati ai corpi caldi di guardie prive di gambe o dalle interiora completamente esposte, altri oscillano silenziosi agli angoli delle celle mugugnando una cantilena sconosciuta, mentre altri ancora cavalcano la loro frenesia saccheggiando i posti di blocco e urlando istericamente le loro verità incomprensibili.


 


 

Guerra! Guerra! Guerra Guerra Guerra! ♪


 


 

È stato un bel pernottamento, in fin dei conti.


 

Guerra! Guerra! Guerra Guerra Guerra!♪


 


 


 

°°°°


 


 


 

GOTHAM CITY – Sionis Industries (Industrial District)

22/12/1976 – Tardo pomeriggio


 

Le industrie Sionis erano state in passato proprietà di un noto imprenditore di Gotham, conosciuto a molti con il nome di Roman Sionis e a Daichi con quello di Black Mask.

Situate all’interno del distretto industriale della città, erano nel totale un insieme di strutture larghe e divise in più costruzioni, ognuna con il proprio ingresso indipendente ed ognuna divisa dalle altre da larghe vie dotate di rotaie per il trasporto di motori da costruzione ad elevata potenza e peso. Mattoni smussati dal tempo e dalla tossicità degli agenti chimici usati dalla fabbrica negli anni passati vivevano in alternanza con lunghe colonne di acciaio che dividevano in parti uguali le larghe pareti degli edifici, mentre all’interno lunghe vetrate frantumate e tubi di lungo diametro ne arredavano le porzioni più alte degli edifici, alcuni di essi uscendo fuori dagli stabili prima di rituffarsi in casse in metallo posate sul cemento di pavimentazione esterno. I grandi stabili erano inoltre affiancati da alte ciminiere che servivano alla dispersione dei fumi provenienti dalle fornaci di raffinazione di zolfo e derivati, ed anch’esse erano in mattoni e pietra lavica, materiali che donavano al complesso un aspetto decadente ed allo stesso tempo privo d’età; era tuttavia un dualismo che si amalgamava bene con l’atmosfera di Gotham, almeno in qualche modo, e che era stato sufficiente, sia in epoca di attività che di inattività, a porre i cittadini in uno stato di sfiducia verso l’idea del sindaco riguardo una possibile messa in sicurezza degli edifici in questione.


 


 


 

Nel presente l’acciaieria risulta essere ancora in disuso, ma Daichi ha scoperto mesi prima come le industrie siano da tempo sotto gli artigli di Joker. Non che abbia più la libertà di pensarla diversamente, in fin dei conti: se pure avesse voluto essere scettico in passato, infatti, quello che sta vivendo ora sarebbe l’istante in cui si renderebbe conto dell’errore commesso nell’esserlo stato.

La scritta ‘Sionis Industriesè ai lati fiancheggiata da due giganteschi soldatini in acciaio, dalla tinta ormai scrostata e mangiata da una ruggine che ha reso cavi e scuri gli spazi una volta probabilmente dedicati agli occhi delle sculture. Le braccia e le gambe, appena abbozzate, hanno invece lacrime e rivoli purpurei di vernice scolorita che scivolano sul metallo che li compongono, in triste caduta verso terra o cicatrizzati come fossero graffi di gatto su giganteschi corpi mutilati. Sui loro visi un’espressione di forzata felicità è stata dipinta con una bomboletta spray dal colore fosforescente, e oltre l’alto cancello le principali aperture ai vari edifici sembrano aver subito la stessa sorte, quasi totalmente coperte da giganteschi visi di pagliacci dipinti su travi di legno affiancate fra di loro, tutte dotate di bocche costantemente spalancate e tutte a mostrare, oltre i denti aguzzi e le labbra rosse a definirne i contorni, una serie di varchi necessari per avventurarsi all’interno delle dismesse strutture che il complesso ospita.

Il cancello non sembra essere controllato, ma Batman può chiaramente sentire voci di uomini originarsi da oltre la recinzione, confermandogli l’importanza che il luogo continua effettivamente ad avere come tana del pagliaccio. Sarebbe un’ipotesi dubbia se si trovasse in un’altra situazione, forse, ma Daichi si lascia convincere dal fatto che le parole dei sospettati sembrino prove di menti ancora lucide, per quanto la lontananza non gli permetta di sentire nel totale le conversazioni in cui esse sono inserite: se davvero non fossero tirapiedi di Joker, infatti, dubita la contaminazione avrebbe permesso loro di poter continuare a intavolare qualsiasi tipo di discussione. Inoltre le voci gli arrivano senza variazioni fonetiche o altro, il ché rende anche abbastanza certo essi non indossino neppure una maschera antigas, necessaria a chiunque non sia tirapiede di Joker per non perdere la ragione.

Daichi si piega su se stesso, portandosi davanti uno dei due giganteschi soldatini di piombo e dando sguardo veloce oltre il cancello, dove può contare chiaramente almeno cinque persone camminare avanti e indietro di fronte una delle enormi bocche che coprono le originali vie di accesso alle fabbriche. Alza lo sguardo, ed ecco saltare all’occhio un altro gruppo: tre uomini per la precisione, tutti occupati a parlare sul balcone dalle enormi vetrate collocato al piano superiore; ancora più in alto due cecchini fanno la loro comparsa, i fucili dal laser rosso che puntano punti vari del cortile interno, controllando la presenza di eventuali intrusi. Daichi torna a porre la schiena contro una delle lunghe gambe del soldatino alle sue spalle, mentre una mano va a posarsi sulla pistola che ha al lato, un artiglio a tre dita che viene tirato fuori dalla cintura e portato verso l’alto, in attesa dell’occasione giusta.

Capisce che quel momento è arrivato quando le voci iniziano ad affievolirsi: lancia uno sguardo dietro di sé, notando le guardie iniziare a muoversi per fare il loro classico giro di perlustrazione attorno all’edificio, proprio mentre le guardie sulla balconata decidono infine di rientrare all’interno, le cicche delle sigarette che vengono buttate impietosamente sul pavimento mattonato. Daichi si piega verso il cancello arrugginito, e dopo aver puntato il Bat-artiglio in direzione di uno dei cornicioni principali della struttura preme il grilletto, il proiettile dentato che va a conficcarsi tra i mattoni che ne decorano le rifiniture. Indietreggia, prendendo bene le misure per passare il cancello senza sfiorarlo, e non appena richiama a sé il lungo filo metallico viene sbalzato in avanti, atterrando silenziosamente sulla stessa balconata appena liberata.

Non appena entrato all’interno viene accolto da un locale scuro e freddo. Daichi sente le voci di alcuni scagnozzi di Joker riempire l’aria di imprecazioni e lamentele in lontananza, silenziandosi a vicenda quando uno di loro alza troppo la voce rendendo troppo palese il suo disaccordo verso le azioni attuate dal loro capo negli ultimi tempi. Batman non fatica a immaginarne il motivo: se già parlare male di un datore di lavoro potrebbe essere di suo controproducente, il fatto questo capo sia un criminale pazzo e pluriomicida non deve aiutare a rendere la situazione più gestibile. Approfitta invece della confusione per tirare via una grata da un condotto d’aria, inserendosi poi come un’ombra al suo interno e svanendo velocemente dalla vista di chiunque sia sul piano, appena prima che un piccolo gruppo di uomini decida di passare proprio nel corridoio ai suoi piedi.

«… – Rimane io non ne possa davvero più. Ho capito che è incazzato con Batman ma–»

«Shh– non dire altro idiota! Vuoi farti tagliare la lingua dalle pantere di Joker per caso?!»

«A proposito di questo, ma voi lo avete saputo di Adam?!»

«Adam? Cosa c’entra Adam con le pantere adesso?!»

Daichi sente le voci degli uomini di Joker echeggiare sorde oltre le piccole pareti del cunicolo che sta seguendo, e rallenta impercettibilmente quando si rende conto di essere probabilmente sopra le loro teste in questo momento, nascosto alla loro vista ma non alle loro orecchie. Il condotto di aerazione è stretto, ed arrivato a questo punto ogni passo può essere fondamentale a non farsi scoprire.

«L’altro giorno stavo parlando con Drake e mi ha detto che lo ha visto!»

«Ma chi?!»

«Adam, chi sennò?!»

«Ma non era morto?!»

Le grate sulla pavimentazione del condotto rendono possibile a Batman la vista ai suoi piedi, e il Cavaliere Oscuro rimane in silenzio a guardare quelle teste muoversi sotto di lui, mitragliatrici in mano e il malandato trucco da clown a pitturargli inverosimilmente il volto.

«Gli piacerebbe, a quel diavolo! No, ha detto che lo ha visto giù e– Cristo Iddio, solo pensarci mi fa venire il voltastomaco

«Cosa?»

« Mi ha detto che sembrava tutto il suo corpo stesse vomitando sangue, da quanto ne cacciava!»

«E ti credo! Già trovo assurdo lo abbia visto vivo… Nessuno è mai uscito sulle proprie gambe da sotto

«È quello che ho detto anche io! Infatti pare Joker avesse chiamato Drake a… Pulire.»

«Merda.»

Daichi rimane in silenzio, le informazioni involontariamente fornite dai tre uomini che vanno ad accalcarsi ordinatamente nella sua mente. “Là sotto”, hanno detto. Si riferiranno ad una stanza sotto terra, o con quell’avverbio vogliono intendere un vero e proprio secondo piano sottostante il primo?

«Ma perché era lì? Non è tipo uno dei più tirapiedi fidati del Joker!?»

«Ed è qui che arriva la parte assurda. Sembra fosse stato chiamato a fare da– non lo so, forse cameriere durante un incontro tra Joker e Due Facce, e che nel mentre abbia sentito loro due parlare.»

«Beh cazzo, stando tutti nella stessa stanza mi pare anche ovvio. Poi quel luogo è un buco!»

«Mica tanto ovvio, Joker lo ha accusato di essere una spia

«Una spia?!»

«Gli ha tagliato le fottute orecchie, Jonas!»

«Dio!»

Batman fa qualche altro passo all’interno della grata, lo sguardo che rimane puntato verso il basso nel tentativo di captare qualsiasi tipo di sospetto manifestarsi nelle espressioni e nei modi degli uomini posti più in basso; ma sembra che nessuno di loro si sia accorto di nulla, troppo presi dalle notizie di tale Adam per fare caso al grattare dei suoi stivali all’interno del passaggio in acciaio nel quale è nascosto, quindi dopo un istante di silenzio torna a camminare lentamente, i guanti in pelle che tastano i lati del condotto d’aria.

«Pensi che ci lascerà andare dopo stasera? Mia moglie mi aspetta a casa da una settimana–»

«Ah, non lo so. E non ti propongo manco di chiederglielo, se non vuoi finire tra le maAspetta, hai sentito anche tu?!»

Accidenti.

Una lastra lamenta un suono sinistro mentre il peso di Batman la incurva leggermente, e le labbra di Daichi si vanno a stringere impercettibilmente, l’espressione celata dalla maschera che si indurisce mentre lui rimane immobile, la mano posata sui batarang e il ginocchio piegato in avanti.

«Sentito cosa?»

«Si è mosso qualcosa qui sopra, proveniva da una di quelle gigantesche tubature

«Certo che si è mosso qualcosa idiota, siamo in una fabbrica abbandonata da anni. Che ti aspettavi di trovare qua dentro, il covo di una ditta di pulizie

«… E se fosse–»

«No che non lo è, vedi di stare zitto piuttosto!»

«Non mi hai nemmeno fatto finire di parlare!»

«Questo perché non voglio tu lo faccia, idiota. La mia vita è già abbastanza appesa ad un filo da quando Joker mi ha beccato a guardare di sfuggita Harlee. Non ho bisogno di avere un altro matto in costume che attenti alla mia pelle.»

«Ma dovremmo dirglielo in caso–»

«Fallo tu, se proprio ci tieni; io preparo il tuo funerale intanto.»

«Che vuoi dire?»

«Svegliati Mark, dico che qui i topi convogliano a nozze. Vuoi davvero dire a Joker pensi sia arrivato Batman senza nemmeno averlo visto? Sai dove finirà la tua testa se non dovesse essere lui?!»

L’altro sembra pensarci su, il silenzio che rende chiaro a Batman il dubbio che questo deve star vivendo. Alla fine, però, sembra decidere come vita e testa attaccata al corpo siano effettivamente punti di forza abbastanza validi nell’obiezione dell’altro, e Daichi lo sente ammettere con un sospiro come in fondo gli altri due abbiano ragione e di come il rumore potrebbe effettivamente essere stato causato da qualsiasi cosa.

È proprio vero: una persona da sola è intelligente, ma un gruppo di persone lo è di meno. Aspetta altri cinque minuti, e quando alla fine le voci iniziano ad affievolirsi e gli uomini cambiano stanza, andando a perlustrare con tutta probabilità il resto del piano, Batman prosegue all’interno dello stretto corridoio, un passo alla volta, passando da una stanza all’altra nel più assoluto silenzio.


 


 

Una volta arrivato alla sala telecamere non si sorprende di trovarla occupata da altri due scagnozzi di Joker.

Mazze chiodate posate accanto alle sedie imbottite e numerosi piccoli schermi dalle immagini sgranate e a filtro verde che si susseguono alla parete: queste sono le prime cose visibili a Batman dalla grata dalla quale può guardare la stanza, posta alla destra della porta e puntata sul lato più scuro del piccolo stanzino. Può vedere due uomini seduti alla scrivania, i vestiti stracciati e scuriti dall’usura, le maschere tenute strette a metà volto da un elastico che va a circondare il loro cranio pitturato. Aspetta qualche minuto prima di fare il passo successivo, studiando le azioni svogliate e pigre della coppia mentre tenta di captare possibili rumori provenire dalla porta chiusa alla sua sinistra.

«Aggiornamento dalla sala controllo, qui tutto a posto. Passo.»

Sente uno dei due dire, e nel mentre lo vede premere un pulsante rosso posto alla base di un antiquato microfono da tavolo che ha dinanzi, il corpo sporto in avanti e il petto che sfiora l’acciaio della larga scrivania. Daichi può chiaramente sentire la svogliatezza e la noia imprimersi in ogni lettera che l’altro pronuncia a voce irrimediabilmente seccata, e non passa molto prima che lo veda tuffarsi nuovamente contro lo schienale della sedia, infossandovisi malamente e tornando a parlare a voce roca e bassa con il suo collega, il bip acuto delle macchine davanti a lui che cadenzano i secondi in maniera netta ed automatica.

È il suo momento.

Porta la gamba destra, ancora piegata a causa del volume ridotto del condotto nel quale è nascosto, davanti la grata dalla quale ha visto tutta la scena, e con la suola dello stivale va ad imprimere una forza continua ma non esagerata contro i supporti in ferro, spingendo il necessario per allentare i chiodi che la tendono ancorata al restante metallo che compone la conduttura. Non appena sente che sta per cedere si ferma, ripiegando l’arto inferiore e continuando con le mani, chiudendo le dita attorno ai piccoli cilindri e sentendo il leggero scricchiolio dei chiodi che faticano ad uscire fuori, liberandosi dalla posizione a cui sono stati costretti anni.

Uno, due, tre.

Ne manca solo uno: spinge con appena più forza, la grata ormai staccata dalla conduttura, e…

Il rumore del piccolo chiodo che cade sul pavimento liscio e scuro della stanza si propaga all’interno di quelle quattro pareti quasi in maniera innaturale, rimbalzandovi contro e tornando in maniera più ovattata a ripetersi nel tempo; lo immagina rotolare attorno alla sua testina, il disco alla base che si inclina a destra e a sinistra mentre perde l’energia acquisita nella caduta. Rimane immobile intanto che i due uomini sotto di lui si fermano sul posto, guardandosi scettici ed interrompendo qualsiasi conversazione stessero avendo precedentemente.

«… Hai sentito anche tu, vero?»

«Sì. Cosa accidenti è stato

Ah, accidenti. E pensare che ha rimbeccato Robin nemmeno un paio di giorni prima per la sua incapacità di smontare grate senza fare il minimo rumore. Al ritorno dovrà parlare a Nishinoya dell’importanza della modestia e della sua concezione abietta di karma vendicativo.

Daichi porta gli stivali verso il confine ora scoperto della conduttura proprio nell’istante in cui vede i due sconosciuti voltarsi e guardare confusi prima per terra, poi l’oscurità ove è situato Daichi. I muscoli delle sue gambe si contraggono mentre prende la mira verso di loro, e quando salta fuori dall’ombra – la grata che cade a fare compagnia al chiodo traditore che lo ha smascherato – può vedere gli occhi dell’unico uomo che si è reso conto della sua presenza strabuzzarsi, il panico che affiora dalla sua espressione mentre le mani vanno ad arpionarsi al collega ed ai braccioli della sedia, in una istintiva ricerca di un sostegno da una parte, di attenzione dall’altra.

«Èè lui! Cazzo! Jonas, dai l’allarm–»

Ma l’altro non fa nemmeno in tempo ad alzare lo sguardo.

Batman cala su di loro come le tenebre calano sul giorno, scivolando a terra e lasciando che il lungo mantello li abbracci nella loro fredda incoscienza mentre allarga le braccia, chiudendole attorno al collo di entrambi e premendo il sufficiente per stimolare una momentanea asfissia.

Li vede cadere a terra, privi di sensi, e rimane in ascolto per assicurarsi l’azione non abbia attirato nessun altro scagnozzo di pattuglia nelle vicinanze. Sembra però ciò non sia accaduto, quindi si prende la libertà di dare le spalle alla porta, alzando lo sguardo sugli schermi posizionati sulle mensole alla parete per andalizzare velocemente le loro immagini irregolari, alla ricerca di un indizio che lo aiuti a capire dove si trovi Joker.

Non che debba cercare a lungo.


 

BAT-ti un colpo quando arrivi,

MAN-chi solo tu alla festa!


 

Una scritta su un muro, gocce dense che scivolano lungo la parete creando lacrime di vernice che calano verso la pavimentazione sporca di una stanza registrata dalla telecamera collegata al piccolo televisore centrale. Daichi rimane immobile, fissando l’unica immagine statica in quel mare di riprese che variano focalizzazione ad alternanza, e socchiude appena le palpebre per mettere a fuoco il codice collegato alla stanza che sta guardando, andandolo poi a ricercare sulla cartina aperta sul tavolo.

Area B-04: Settore B, piano meno uno, ‘Magazzini e Movimentazioni’.

Nessun dubbio sia una trappola, naturalmente.


 


 

°°°°


 


 

L’area B-04, definita dall’etichetta al lato della grande porta in acciaio rinforzato come Magazzino Centrale dell’impresa Sionis, era un vasto ambiente originariamente costruito per accogliere quasi sicuramente sia i materiali ricevuti sia quelli destinati a divenire merci e prodotti finiti per la vendita. In quanto magazzino principale dell’azienda esso era probabilmente nato per avere un funzionamento efficiente e razionale, e per tale motivo luci di emergenza e pannelli di controllo erano ancora perfettamente in funzione, magari impolverati a causa del disuso ma ancora disponibili semmai qualcuno avesse deciso di continuare la distribuzione della merce per soddisfare le esigenze dei clienti.

Quando ancora la struttura era in funzione non doveva essere stato difficile vedere scorte di cancelleria, materiali di manutenzione dell’attrezzatura produttiva e diversi tipi di manufatti a lavorazione ultimata sparsi in quella grande sala. Ma da quando Joker ne aveva preso possesso tutto ciò era ovviamente diventato un ricordo, e gli alti scaffali metallici a ripiani multipli erano stati addossati da un lato, piegati e privati delle loro mensole ormai accatastate disordinatamente ai lati della stanza, sostituendo alla visione passata di quei colossi rampicanti ordinatamente sparsi per la stanza un unico spazio privo di macchine da smistamento o dipendenti di azienda.


 


 


 

I passi di Batman nell’ambiente semi oscuro echeggiano sordi e lontani attraverso il silenzio della sala, e il mantello scivola sul pavimento sporco e disseminato di chiodi e bulloni, stimolando i piccoli oggetti che al suo passaggio tintinnano debolmente, acuti rumori che si alternano a quello più basso e ottuso della gomma degli stivali che tocca il pavimento in resina. Mano a mano che avanza Daichi si lascia dietro molti metri percorsi nella totale assenza di luce, ed è solo quando è ormai quasi al centro dell’enorme stanza che inizia a notare una incerta presenza stagliarsi nel buio dinanzi a lui, le braccia allargate come a voler abbracciare l’aria satura che li circonda ed un immenso sorriso ferino incomprensibilmente illuminato e scolpito nel rosso tagliente di quelle labbra strette.

«Ohya ohya~ Sorpresa!»

Daichi porta un braccio davanti agli occhi e piega appena il viso di lato quando una tempesta di luci si accende davanti ai suoi occhi, le palpebre che si stringono appena mentre neon verdi, rossi e gialli si accendono di colpo, macchiando le pareti unte di grasso e umidità dei loro colori e calando dal cielo come pipistrelli dalle scure rocce. Filamenti di led si piegano a festoni in un ambiente cromaticamente spento, e a spazi alterni piccole luminarie creano macchie chiare sulle pareti, pitturando di lacrime colorate l’aria pesante che dimora all’interno della sala.

«Chi abbiamo qui, se non il nostro vigilante volante?!»

La voce che esce da quei petali sanguinanti ha una tonalità febbricitante, e regala a Batman la fastidiosa sensazione che il proprietario stia come tentando di trattenere un entusiasmo che traspira palpabile dai respiri accelerati e dalla curvatura arcuata delle sopracciglia fini e nere. Approfitta della luce ancora vibrante per abbassare gli occhi, e nota solo allora ai suoi piedi una moltitudine di simboli pitturare tutta la pavimentazione: una serie di cerchi concentrici e sanguinanti dividono le aree a terra, uniti a disegni di pipistrelli con grosse croci pitturate sopra a loro volta surclassate dalla scrittura di risate sguaiate, vocalità trascritte a diverse grandezze e colori che invadono intere porzioni di pavimento. Solo allora alza nuovamente lo sguardo, rimanendo immobile mentre vede il Joker fare un largo inchino davanti a sé, la musica partita nel frattempo che gracchia una vecchia base da circo.

Tutto quello che c’entra con quel criminale è assurdamente teatrale e incomprensibile, eppure allo stesso tempo dall’esteticità sempre caratteristica. Daichi trova positivo, tuttavia, che nemmeno l’abitudine riesca ad educarlo a tutta quell’assurdità: né ai palloncini colorati agli angoli della grande stanza, né le carte da poker attaccate disordinatamente sulle pareti o sparse per terra, né agli altoparlanti disposti per la sala a suonare un sottofondo circense disturbato e raccapricciante. Né, tanto meno, l’assurdità di quella serie di scimmiette meccaniche che compaiono sulle grosse scatole impolverate distribuite tutto attorno, vestite del loro tradizionale completo rosso con bottoni e passamaneria dorata, le braccia corte che vanno a far scontrare in maniera scoordinata i piatti che tengono fra le piccole zampe.

A volte si domanda quando abbia il tempo materiale di organizzare certe cose, Joker.

«In cerca di materiali per decorare il giardino, scommetto?! Ah, gli ultimi acquisti per il Natale, si trova sempre qualcosa che manca in casa!»

La mano del criminale viene portata in avanti, l’indice lungo e snello che si inclina a destra e a sinistra, mimando una negazione che va a seguire anche quella del volto. Gli occhi si chiudono una manciata di secondi prima che la mano libera vada a passarsi su quel capelli neri pece dalle punte decolorate, tirando indietro la frangia destra lunga e asimmetrica – che finisce però col tornare nuovamente in posizione davanti l’occhio non appena il palmo viene riabbassato sul fianco coperto.

«Mi spiace informarti che siamo chiusi durante le vacanze invernali. Ci tengo ai miei dipendenti, sai? E poi i sindacati sono così suscettibili in questo periodo~!»

La risata dell’altro è esagerata, come sempre del resto, così Daichi non se ne sorprende più del dovuto mentre lo scruta in silenzio, aspettando che la bocca del pagliaccio vada nuovamente a chiudersi e quel verso agghiacciante a spegnersi tra i suoni che già li circondano e appestano la sala.

«Tu sai perché sono qui.»

Si limita invece a dire, la voce che esce stabile e risoluta oltre la maschera che ancora ha indosso.

«Mhm~?»

«La tua pazzia finisce qui. È ora di firmare la tua resa, adesso.»

Joker lo fissa per qualche secondo, l’ombra di un sorriso ancora presente sul volto lungo e ferino. Poi, prima che Batman possa aggiungere altro, quello stesso riso torna a spadroneggiare su tutti gli altri suoni che si accalcano nella sala, salendo di gradazione ancora una volta mentre la testa di Joker viene lanciata indietro, il viso puntato verso il soffitto e il pomo d’Adamo esposto nella sua vibrante ilarità. Le mani del criminale vanno a premere con tenacia lo stomaco nel tentativo di fargli riprendere aria, mentre una goccia di trucco nero cala dal lato esterno dell’occhio, scivolando pigramente sulla guancia pallida prima di venire trascinata via a forza dal palmo del suo proprietario, lasciando solo una macchia sfumata sulla gote del villano.

«Ohya, ohya! La mia resa!? Sei venuto a chiedere a me di firmare una resa?!»

«Non c’è vittoria per i nemici di questa città, Joker. Ormai dovresti saperlo.»

«Batman. Batman! E tu da quando saresti suo amico, invece?!»

E nel dirlo Joker deve coprirsi nuovamente lo stomaco con entrambe le mani mentre si piega leggermente in avanti, tirandosi poi indietro per esprimere nuovamente una risata.

«Ah, mi ucciderai se continui così, Bat-musone. E sappiamo entrambi che non puoi né vuoi farlo: come potresti vivere senza avere qualcuno a cui addossare il ruolo di cattivo?»

«Non ho bisogno di addossarti nessun ruolo. Sono le tue azioni a renderti tale.»

«Mhm? Ah, ma questo è ancora sbagliato– Vedi, lo sai che non devi mentire con me.»

Lo vede iniziare a camminare lentamente verso un lato della sala, avvicinandosi agli scaffali e fermandosi proprio davanti uno di loro, a prendere una piccola scimmia che ha appena smesso di battere i piatti dorati che tiene tra le zampe.

«Dopo tutto, se io morissi saresti obbligato a scontrarti con tutte quelle scomode consapevolezze che non vuoi tirare fuori dall’armadio. Oh, Dio, cosa ne sarebbe della tua mente allora?!»

Le lunghe unghie laccate di nero si infossano all’interno del peluche, sino a quando un rumore secco non manifesta la rottura della stoffa che racchiude l’ovatta al suo interno. Joker sorride, un insano entusiasmo che va a dipingersi su quegli occhi strabuzzati dalla pazzia nel vedere il pupazzo accasciarsi innaturalmente mentre un grumo di bianche interiora scivolano fuori dalla ferita di cotone; Daichi rimane invece semplicemente in silenzio, la mano posata sulla cintura e la maschera d’acciaio che cela il modo in cui le sue labbra si stringono al sentire quelle parole.

«Rischieresti la pazzia, o peggio, la sanità! Sarebbe una tragedia!»

«Joker.»

«Sai, me lo sono sempre chiesto: tu cosa preferisci, Batman? La pazzia, o la sanità?»

E nel mentre lo dice Daichi lo vede abbassarsi in un secondo inchino, il pupazzo di pezza ormai smembrato e dimenticato a terra. Si alza solo per fare un rapido giro su se stesso, portando le braccia al cielo e urlando verso la sua platea di scimmie e marionette sparse per la stanza, il corpo alto e slanciato che delinea sul pavimento sporco e pitturato una serie di ombre nette che lo circondano a raggiera.

«Ohya ohya~ Ti consiglio la pazzia, sai? Offre meno resistenza. Anzi, si potrebbe dire che è come la gravità stessa: basta solo una piccola spinta!»

Ed un’altra risata ancora scoppia fragorosa dalle sue labbra a quelle parole, la voce che rimbomba tra le pareti ampie mentre le scimmiette ai lati della stanza iniziano a battere i loro piatti dorati a velocità diverse, perdendo anche l’ultima traccia di uniformità rimasta e creando una illogica sequenza di acuti fuori tempo.

«Ah, peccato però che non ci sia il pubblico per questo nostro incontro. Sarebbe stato delizioso avere una grande folla di spettatori–»

La musica del circo è ormai assordante. Qualcuno deve aver alzato il volume, o più probabilmente deve essere stato lo stesso Joker ad aver registrato la musica in questo modo, probabilmente su un disco in vinile che ora un grammofono nascosto chissà dove sta riproducendo accanto a un microfono collegato agli altoparlanti che li circondano. Ma non ha modo di pensarci al momento, sia perché la situazione attuale richiede la sua attenzione sia perché l’argomento in generale non lo interessa sinceramente molto: quello che invece ha tutta la sua attenzione è l’espressione di Joker quando si volta nuovamente verso di lui, il sorriso ancora fiorente sulla bocca schiusa, gli occhi stretti e lunghi e le iridi ferine che lo fissano con strafottenza, canzonandolo con lo sguardo.

«– Dopo tutto lo sai, adoro gli omicidi di massa.»

«Finirai nuovamente ad Arkham per tutto quello che hai fatto, Joker.»

«Ah, ma ormai non è più importante se mi catturi e mi rimandi nel manicomio. Ho dimostrato la mia tesi, Batman: ho dimostrato che non c'è differenza tra me e chiunque altro! Lo hai visto anche tu, no?»

Le braccia vanno ad allargarsi in maniera plateale, abbracciando virtualmente quella stanza così perfettamente ed orrendamente adattata alla sua pazzia.

«Basta una giornata storta per trasformare il migliore degli uomini in un folle!»

«Non è così.»

«È esattamente così, Batman. Lo hai notato anche tu, vero? Li hai visti, sono lì fuori!»

La mano del criminale va ad indicare un punto casuale nel dirlo, probabilmente lì dove ipotizza ci sia il resto di Gotham. Daichi lo osserva in silenzio mentre la seconda mano va invece a porsi avanti a mezz’aria, l’indice ed il pollice che vanno ad avvicinarsi sino a rendere la distanza tra i due polpastrelli infinitesima.

«Ecco quanto dista il mondo da me. Una misera giornata storta. Ohya ohya, anche tu hai avuto una giornata storta, dico bene?»

Batman non risponde a quella provocazione, ed anzi cerca di fare un passo in avanti, gli occhi che rimangono fissi su quelli del Joker mentre il rumore assordante da circo inizia a piegarsi leggermente in una nenia distorta e senza melodia, per poi riprendersi a singhiozzi qualche secondo dopo.

«Oh sì, credi io non possa studiarti come tu fai con me, Bat-musone? Una giornata storta e tutto è cambiato, non è così? Altrimenti andiamo, perché ti vestiresti come un patetico topo volante?!»

«I cittadini di Gotham non sono come te. E non lo sarebbero se non li avessi resi tu tali. Dammi la formula Joker, ed eviterò di darti alla GCPD con qualche osso di meno.»

«Ohya ohya, siamo passati alla violenza? È decisamente un mio kink, ma non immaginavo che tu– Ma aspetta, la formula..? Ah– Intendi quella per essere immuni dal gas?»

Joker sembra illuminarsi nel dirlo, come se la domanda posta da Batman non fosse stata abbastanza chiara da renderne la comprensione scontata dall’inizio.

«Ma bastava chiederlo, senza girarci attorno come tuo solito. È proprio vero che pur di parlarmi saresti pronto a fare di tutto! Vediamo, allora–»

E nel mentre sta ancora terminando di parlare porta le mani in tasca, corrucciando le sopracciglia scure e dritte mentre sembra iniziare a cercavi qualcosa al suo interno.

«La formula, la formula… Ah, ecco!»

È un istante.

Uno sparo, e Batman che si abbassa fulmineamente mentre un proiettile rosso fuoco sfiora appena la sua spalla, scaldando il materiale che ne ricopre la pelle ed andandosi a conficcare nel muro di mattoni che ha alle sue spalle. Riporta lo sguardo verso Joker, e stringe appena le labbra al vedere la canna ancora fumante di una pistola rossa, dorata e bianca occupare parzialmente la visione della mancina del pagliaccio, la bocca truccata di un rosso fuoco schiusa in un sorriso tagliente ed insano.

«Vieni a prendertela.»


 


 

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Ed anche questa è finita! Come al solito taglio i combattimenti perché sono troppo lunghi e loro parlano un sacco. (…) Sono tutti un po’ troppo chiacchieroni qui dentro. Comunque oddio, nuovo capitolo! Sono super emozionata!!! (??????) Ma cercherò di parlare poco e di dire subito un paio di cose per chiudere in bellezza il capitolo:
Prima cosa: avete visto il Cavaliere Oscuro questi lunedì passati?! Hanno fatto entrambi i film su italia1, e nel primo ci stava Joker che dice molte delle frasi che ho citato qui!
Seconda cosa: ringraziamenti! Ringrazio infinitamente
unamoresolitario, come sempre, perché senza di te non sono sicura sarei arrivata qui. Ringrazio Fisico92, il cui interesse per la mia storia mi lascia sempre un’emozione calda in petto (??). Ringrazio ValeC04, new entry inaspettata che non mi aspettavo di trovare ma che sono felicissima mi abbia scritto! Ed infine ringrazio PokerAlice97, che si sta leggendo e recensendo ora la storia e credo non sia ancora arrivata qui ma io la ringrazio lo stesso, a tradimento. (?!) Alla prossima!

  
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