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Autore: Yellow Canadair    07/05/2018    3 recensioni
Non leggete questa storia, per favore. È piena zeppa di fluff, di agenti segreti che fanno a botte, di spiriti misteriosi che infestano le loro case. E poi parliamo del Cp9, ve li ricordate quei ragazzacci, a Enies Lobby? Qui sono passati due anni, ma le vecchie abitudini sono dure a morire.
Tra una missione e l'altra vivono in una grande torre al centro dell'Arcipelago di Catarina, e anche se ormai Spandam è il loro galoppino e l'hanno soprannominato "scendiletto", i guai non sono ancora finiti.
E poi c'è Stussy, l'agente del CP0. Davvero volete leggere di quando fece a Lucci una proposta indecente? Ma dai, ci sono storie molto più piccanti di questa.
C'è anche Gigi L'Unto, proprietario della peggior locanda della Rotta Maggiore: per leggere la sua storia dovete esser vaccinati pure contro la peste nera, ve l'assicuro. Però sua figlia è molto carina.
C'è anche Lili, una segretaria che è anche pilota, ma questo Rob Lucci non vuole che si sappia in giro, quindi in questa storia non piloterà un bel niente (forse).
Ancora non vi ho convinti a lasciar perdere? Beh, se amavate i completi eleganti del Cp9 passate oltre: qui vengono denudati spesso.
Genere: Fluff, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Cipher Pool 9, Jabura, Kaku, Kumadori, Rob Lucci
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Dal CP9 al CP0 - storie da agenti segreti'
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Per una volta, invece dell’assassino, fammi fare l’eroe

parte prima

 

Lili in quei mesi era stanca e inquieta.

A fatica scendeva dal suo letto bianco, al mattino, e controvoglia infilava i vestiti, anche se di solito per lei andare a lavoro era motivo di felicità e scusa per sfoggiare abiti nuovi. Guardinga scendeva le scale di casa sua, attraversava l’androne deserto, e poi correva in scarpette di tela per la città, con i tacchi in mano, fino ad arrivare al piccolo edificio della filovia che portava all’isola centrale dell’arcipelago, sospirando di sollievo quando, in lontananza, vedeva finalmente l’omino che si occupava del gabbiotto rosso che andava su e giù tra le due isole.

Scappava per disperazione dall’Isola dell’Est e arrivava alla Torre di Catarina come un profugo che tocca finalmente una spiaggia. Ma alla Torre, invece di stare tranquilla, si dimenava ansiosa alla scrivania, e a volte era così distratta che lasciava appeso persino il cartellino del negozio ai vestiti nuovi. Se era fortunata, intervenivano Fukuro o Jabura a tagliarglielo, se invece era sfortunata era Lucci a farle notare che una distrazione così plateale, a loro Governativi, non era permessa. Se la giornata cominciava male dal principio, invece, era Spandam a notare il cartellino, a prenderla in giro e a fare la paternale su quanto fosse costato quel capo e quanto dovesse essere grata a lui se poteva permetterselo.

Erano giorni e giorni che le cose andavano peggiorando: non vedeva l’ora di uscire di casa, ma poi voleva solo che le ore di lavoro passassero in fretta per andarsi a rimettere a letto, tirarsi le coperte sopra la testa, e dormire fino al mattino; ma questo non succedeva mai: poggiava la testa sul cuscino, ascoltava i rumori della casa silenziosa, si alzava, prendeva le pistole dal loro nascondiglio, andava avanti e indietro per l’appartamento vuoto in una ronda che durava tutta la notte.

Era nervosa e triste, arrabbiata col mondo intero, anche se continuava a caracollare sui tacchi, a passare telefonate, ad organizzare l’agenda del reparto del CP, a prenotare le visite mediche di routine e le terme sull’Isola dell’Inverno per gli agenti, e a volte lasciava semplicemente che gli impegni la sommergessero, e non la facessero pensare.

Anelava un letto che non le dava riposo, scappava a lavoro ma non trovava pace, e nelle sue giornate libere vagava per le città delle isole, di vicolo in vicolo, cambiando rapidamente percorso, camminando a ritroso, e poi tornando la solita segretaria gentile quando entrava nella Torre di Catarina.

Proprio in quel periodo, doveva capitare un momento di ferma alla base! Avrebbe voluto decollare con il suo amato Canadair, sentire quella sensazione di staccarsi dal suolo mentre la spinta dei motori l’affossava nel sedile, e non pensarci più.

Era rabbiosa, avrebbe voluto avere la licenza di uccidere che avevano gli agenti per fare una strage di civili, distruggere le case, prosciugare il mare, cuocere i cadaveri su una griglia e infine dare fuoco a tutto, di nuovo. E poi mettere tutta la poltiglia bruciata in un frullatore, e il frullatore acceso in un altro frullatore, e poi i due frullatori in un frullatore più grande, finché…

« Ehi »

Una mano le si era posata sulla spalla e la stava scuotendo.

A lei sembrava di essere con la testa dentro al frullatore nel frullatore…

« Lili »

La ragazza aprì gli occhi di scatto e si alzò a sedere; si guardò attorno: la stanza era quasi buia, filtrava dalla finestra la luce dei lampioni del parco, il sole era tramontato da un pezzo, e lì con lei c’era Jabura.

« Merda… » biascicò la ragazza, con la lingua impastata « mi sono addormentata »

Jabura ghignò « Me ne sono accorto! » disse.

« Che ore sono? È tardissimo » pigolò la ragazza, alzandosi dalla scrivania e barcollando verso la porta. Era infreddolita, si strinse nell’impermeabile chiaro e cercò di accomodarsi con le mani l’abitino nero tutto stropicciato.

« Mezzanotte passata da un pezzo. » le rispose il Lupo offrendole una mano per appoggiarsi, visto che era sbilenca sui tacchi.

Jabura non fece fatica a ricostruire cosa dovesse esserle successo: doveva esser pronta per andare via, aveva il suo impermeabile addosso e la scrivania era in ordine, poi però doveva essersi risieduta a controllare quel faldone che c’era sul tavolo, forse aveva paura di aver trascritto male qualcosa, forse voleva accertarsi di qualche documento, ed era crollata addormentata lì.

Lui tornava a quell’ora dal suo giro serale per i locali dell’Isola del Sud, quella dal clima autunnale: un posticino fresco e profumato dove, ogni sera, nei locali, si davano appuntamento i suonatori di jazz, e tutta la cittadina diventava quasi elettrica per il ritmo e per i tacchi delle donne sul selciato, impegnate a ballare fino a quell’ora tarda.

Poi, passata mezzanotte, nell’Isola del Sud tutto si spegneva, i clarini e i sassofoni venivano riposti nelle loro custodie e le signore scendevano dai tacchi: la notte era fredda persino per gli amanti del caldo jazz, e poi il giorno dopo bisognava lavorare; avrebbero riaperto le danze la sera successiva, come al solito.

A Jabura piaceva un sacco l’Isola del Sud: trovava sempre ottimi alcolici, e gli piaceva l’anima festosa del posto, e poi c’erano sempre belle ragazze da far ballare. Lui non era molto bravo, però doveva ammettere che, preso il ritmo, non era così complicato improvvisare, e poi era il modo migliore per conoscere le signorine.

Anche quella sera il jazz era andato a nanna, e Jabura stava giusto tornando al suo appartamento, al quarto piano della Torre di Catarina, quando aveva notato una luce accesa al pianterreno. Andato a vedere, aveva trovato la luce della scrivania di Lilian accesa, e la ragazza profondamente addormentata con la testa sul tavolo.

« Devo tornare a casa! » spasimò la ragazza ricomponendosi. « È tardissimo! Grazie per avermi svegliata! » ed era già pronta a rimettersi in moto e correre verso la filovia che portava alla sua isola, sperando di fare in tempo per l’ultima corsa.

« Fermati un attimo, tu » Jabura la prese per le spalle e la costrinse a guardarlo in faccia. « Si può sapere che ti prende, da qualche giorno? »

« In che senso? »

« Non fare la commedia con me! » Jabura la lasciò andare e le bloccò la strada mettendosi davanti a lei, che già stava attraversando il patio e veleggiava verso il portone d’ingresso. « Sono tre giorni che vai in giro a fare guai: mi sono trovato sulla scrivania un rapporto destinato a Kumadori, e lui si è trovato in agenda un appuntamento dall’estetista di Califa. E hai fissato la prenotazione alle terme per noi agenti nel giorno di chiusura. »

Lili spalancò gli occhi e divenne bianca come un lenzuolo.

« Sono… non può essere »

« E ringrazia che ce ne siamo accorti io e Kumadori, e non Lucci » le fece notare il Lupo « Abbiamo messo a posto le cose e non abbiamo detto niente a nessuno… »

« Sono mortificata » mormorò la ragazza, spaventata all’idea di commettere errori simili con Rob Lucci.

« E sono tre giorni che non parli con nessuno, non giochi con Kumadori e non litighi con Spandam! Ah, e stavi per portare a Lucci un caffè macchiato, ti ricordi? Ti ha fermata Kaku! C’ero anche io! » elencò sulle dita.

Una svista banale: Lucci prendeva sempre il caffè espresso e senza zucchero, tanto che negli ultimi mesi l’uomo non lo specificava nemmeno più: bastava che ordinasse un caffè, e Lili glielo portava già esattamente come voleva.

L’assistente sospirò, abbassò lo sguardo.

Sperava di essere riuscita a dissimulare bene, ma andiamo, quello era un agente segreto!

« Sono un po’ giù in questi giorni » ammise evasiva, sperando di convincerlo. « Sono solo stanca, ma è tutto ok, davvero. » sorriso falso, di quelli che faceva quando prendeva in giro Spandam « Adesso vado a casa e mi riposo un po’. »

« Sei sicura? » Jabura la squadrò critico da capo a piedi: non era la solita Lili; c’era qualcosa che non andava.

« Sì, sono sicura… grazie per… » mormorò congedandosi « Beh, per l’interessamento » Anche se aveva fatto di tutto per non darlo a vedere, era davvero felice che qualcuno invece avesse notato che non stava bene. Ma non voleva dare preoccupazioni a nessuno, raccolse la grande borsa e si chiuse i bottoni del soprabito.

Che le stava succedendo? L’uomo la guardò mentre lei apriva il pesante battente del portone della Torre, spingendolo con tutte le sue forze; era spaventata, aveva paura, e lo stress l’aveva resa più debole.

Varcarono insieme l’ingresso monumentale della Torre, rimanendo in cima ai tre gradoni di pietra grigia. L’aria della sera li investì, facendo ondeggiare la lunga treccia dell’uomo e i suoi baffi, mentre fece aderire il lungo impermeabile alle gambe della ragazza.

Lilian osservava guardinga i dintorni della Torre, soffermandosi sul viottolo del parco che avrebbe dovuto percorrere, sulle ombre tra i cespugli, sulle panchine di legno. Aveva l’aria sconvolta che, di solito, Jabura vedeva nelle sue prede, negli occhi delle persone che terrorizzava a morte e che poi uccideva senza pietà.

Non aveva bisogno dell’Ambizione per sentirle il cuore martellarle più forte ogni volta che una folata scuoteva le fronde.

« Ti accompagno a casa » decise senza chiederle un parere.

Lili sollevò il volto e si affrettò a rispondere con un: « No, no, non ti preoccupare! Sto benissimo, e poi non abito così lontano! Dai, ci vediamo domani! » lo salutò.

« Come vuoi » Jabura fece spallucce e bevve un sorso dalla sua fiasca.

Lili si mise in marcia in fretta, sperando di trovare la filovia ancora aperta, altrimenti avrebbe dovuto lumacofonare a qualcuno sull’Isola dell’Est e farsi venire a prendere in barca… già, ma per lumacofonare sarebbe dovuta tornare alla Torre e…

Un rumore la fece sobbalzare; si voltò di scatto e spianò la pistola che aveva nella tasca dell’impermeabile.

« Siamo nervosi » ghignò Jabura alzando le mani al cielo.

Lili sospirò di sollievo e abbassò l’arma. « Che ci fai qui? »

« Ho finito l’alcol, ne voglio altro. Sulla tua isola non vendono quel liquore, la cassaca, casciasa, o come diavolo si chiama…? » rispose brusco l’uomo.

« La cachaça…? » lo corresse la ragazza, incredula. « Ma… avevi la fiaschetta mezza piena, due minuti fa! »

Jabura grugnì contrariato, tirò il collo alla fiasca e versò sul ghiaino il liquore, che con un rumore di cascatella si sparse sui sassolini bianchi, rilucendo alla luce dei lampioni.

« Adesso è finito » disse l’uomo rimettendo il tappo di sughero alla fiasca « Andiamo »

E tutti e due, Lilian riluttante, Jabura con malcelata soddisfazione, andarono verso la filovia che portava sull’Isola dell’Est.

Chiusa.

« Merda » pigolò la ragazza guardando il gabbiotto del custode vuoto, l’impianto spento, e la cabina ben fissata nel suo box « Hanno già chiuso tutto! »

Jabura non era per niente preoccupato. « Ti porto con il Soru. Facciamo in un attimo. » le promise.

« Davvero, non è necessario, non vorrei- »

Jabura non le diede il tempo di protestare, la sollevò fra le sue braccia e la guardò arrossire all’improvviso. « Per una volta, invece dell’assassino, fammi fare l’eroe »

Lilian sorrise imbarazzata, gli occhi le scintillarono. « Ho proprio bisogno, di un eroe » confessò faticosamente, con un sussurro. Cinse le spalle al gentile accompagnatore e si mise la borsa a tracolla, che non cadesse durante il salto.

Jabura ghignò trionfante « Reggiti forte » tuonò.

E spiccò un salto nella notte buia.

Godette nel sentire la ragazza, dapprima esitante, stringergli le spalle per la paura di cadere. Era ancora più leggera di quanto si aspettasse, e inaspettatamente lei si imbarazzò quando si rese conto di aver posato una mano sul suo petto, lasciato come al solito scoperto dalla giacca aperta.

Saltarono sul tetto del gabbiotto della filovia, e da lì l’agente fece un lungo, interminabile balzo sul mare nero, durante il quale a entrambi parve di trattenere il fiato, mentre le luci dorate dell’Isola dell’Est si facevano sempre più vivide e vicine, e cominciava a sentirsi l’odore dei fiori.

 

~

 

« Ecco, la signorina è servita! » scherzò Jabura sulla porta della palazzina di Lili, rimettendola a terra.

« Non dovevi… » rise emozionata la ragazza « Però grazie, davvero… mi hai salvata! »

« Non potevo certo lasciare la nostra pilota a dormire nel parco, con tutti i brutti ceffi che ci sono in giro! »

« …perché? Hai notato qualcuno attorno alla Torre? » sussurrò in fretta Lilian, cercando le chiavi nella borsa. Barcollò leggermente, il Lupo fu pronto a reggerla.

All’improvviso si sentirono dei passi sul marciapiede: nulla di strano, per Jabura: erano in una cittadina dalla vita notturna piuttosto vivace, ma fu abbastanza per far tornare Lili sull’immediato chi vive, e questo il Governativo lo capì subito.

La ragazza guardò in alto, verso il secondo o terzo piano della casa d’angolo della via. Le tremarono le mani, le chiavi tintinnarono di più. L’allegria dell’abbraccio, del volo stretti l’uno all’altra, sparì, e tornò la segretaria triste di quegli ultimi giorni.

« Vuoi che ti accompagni fin sopra? » propose l’uomo, serio.

« Sì. » lei non fece storie stavolta, neanche di circostanza « Sì, ti prego. »

 

~

 

La porta di casa venne chiusa in fretta, le stanze vennero ispezionate appena messo piede in casa, le tende rimasero chiuse e le imposte aperte quanto bastava per far entrare un filo d’aria nella sera calda dell’isola.

Infine i due si sedettero al vecchio tavolo di legno azzurro della cucina, sulle sedie dalla vernice scrostata color del cielo.

« Chi ti sta braccando? » Jabura era un professionista, non gli ci era voluto molto per arrivare alla conclusione più logica.

Lili si afflosciò sulla sedia della piccola cucina e chinò la testa sul tavolo. Rimase immobile, salvo per i piedi che si tolsero le scarpe alte e le mandarono a ruzzolare da un lato.

Non sapeva da dove cominciare.

Si sciolse lo chignon, che le tormentava la testa, e un nugolo di capelli neri le si sparsero sulle spalle disseminando forcine sul pavimento, che caddero con un impercettibile tintinnio.

Sospirò. « Forse avrei dovuto parlartene prima… » mormorò. « Ma pensavo di riuscire a gestire la situazione… però… »

« Che cazzo hai combinato? » chiese Jabura appoggiandosi al tavolo e protendendosi verso di lei.

« Un uomo mi perseguita. »

« Chi diavolo è?! » domandò calmissimo. Un lieve istinto territoriale gli tirò una gomitata nello stomaco, reclamando attenzioni.

« L’ho conosciuto tre mesi fa » confessò la ragazza stringendosi fra le proprie braccia. « Ero sola al Roxanne, il bar che c’è qui, alla fine della discesa… e questo tizio mi si è avvicinato. Ha cercato di attaccare bottone con me, e… »

Jabura già aveva voglia di strangolare lui e i suoi parenti fino alla sesta generazione, ma non diede spazio ai propri progetti in materia. « Come si chiama? » domandò invece.

La ragazza, abbassando la voce, rivelò il suo nome e poi continuò a raccontare: « All’inizio l’ho lasciato fare. Non sembrava minaccioso, sembrava solo… uno che voleva scambiare due chiacchiere. Non mi aveva fatto nulla di male, e andarmene mi pareva scortese, e non avevo voglia di uscire prima dal bar » disse « Non siamo andati da nessuna parte, sono rimasta al bancone… figurati se vado col primo che capita! » sottolineò.

Jabura non aveva dubbi: Lili non era la tipa da esporsi inutilmente al pericolo, ed era ben cosciente che una donna sola, per certi avanzi di galera, fosse un bottino molto prezioso.

« Siamo rimasti a chiacchierare per un po’, poi mi ha offerto da bere, e ha cominciato a farmi domande un po’ invadenti… cioè, erano innocenti, però mi sembravano troppo personali. Dove lavorassi, con chi vivessi, se avessi il ragazzo… a quel punto ho fiutato qualcosa di strano e ho declinato l’offerta del drink. Siamo rimasti a parlare per qualche altro minuto, poi me ne sono andata. Non mi fidavo, avevo una brutta sensazione. Sono tornata qui a casa »

Ecco il primo errore, pensò Jabura: correre direttamente a casa, senza fare qualche giro che facesse perdere le proprie tracce. Il Roxanne per di più era vicinissimo alla palazzina della ragazza.

E infatti Lilian continuò: « Ma lui… deve avermi pedinata, perché ha scoperto dove abito… all’inizio pensavo che fosse un caso continuare a trovarmelo sotto casa, lui faceva finta di passeggiare… ma poi ho capito che si stava appostando, ha cominciato a seguirmi quando uscivo… e allora ho deciso che la storia doveva finire, e l’ho affrontato. » affermò sollevando la testa e fissando con fierezza il suo interlocutore.

« Ho approfittato di un sabato mattina, mentre ero in giro qui per l’isola, e guardavo i negozi. Mi sono accorta di essere seguita, lo vedevo nei riflessi delle vetrine, però rimanevo tranquilla: volevo vedere fino a che punto avesse intenzione di pedinarmi. »

Il riflesso degli inseguitori nel vetro dei negozi! Un trucchetto da vecchia scuola, considerò il Lupo.

« Solo che dopo un’ora di questo gioco mi sono scocciata » sospirò Lilian « e siccome era pieno giorno, e c’era tanta gente, sono andata direttamente da lui a chiedergli cosa diavolo volesse »

« E lui? »

« Ha negato, ovviamente. Ha detto che ero pazza, che era lì per caso, che mi inventavo le cose. Le persone intanto si sono fermate a guardare, e la cosa lo mandava in bestia »

« A te invece non ha fatto né caldo né freddo »

« No, anzi, ero ben felice che la gente si fermasse a vedere la sceneggiata: meno rischio che quel pazzo mi trascinasse via, capisci… »

Lili sospirò e interruppe per qualche secondo il racconto per tendere le orecchie.

« Gli ho ordinato di non farsi vedere mai più e di lasciarmi in pace. L’ho minacciato apertamente e lui ha cominciato a frignare qualcosa sui suoi diritti, e a quel punto gli ho sparato un colpo d’avvertimento ai piedi. »

Ma che bella scena da Far West, pensò Jabura. Non si stupiva della reazione della ragazza: era molto tranquilla e aveva una pazienza enorme, ma quando si esauriva lei metteva mano alle armi, sempre. E aveva una mira eccezionale.

« E non l’ho più visto per giorni e giorni, ho cominciato a rilassarmi. Poi però sono cominciate queste… »

La ragazza si alzò e andò a prendere una scatola che stava sul frigo. Si allungò sulle punte per raggiungerla, alla fine la agguantò e la portò sulla tavola. Non ne toccò il contenuto, la passò direttamente all’uomo.

Jabura vide che conteneva lettere, senza mittente e senza destinatario.

« Le trovo sullo zerbino, almeno due o tre a settimana. A volte infilate sotto la porta » spiegò la ragazza « La prima che ho ricevuto è in basso, l’ultima è in cima alla pila »

Il Governativo aprì la prima lettera che gli capitò sotto mano, cioè l’ultima ricevuta dalla ragazza. La tirò fuori dalla busta e cominciò a leggere, diventando sempre più rosso d’imbarazzo e sempre più furibondo a mano a mano che procedeva.

« DOVE CAZZO ABITA QUESTO STRONZO!? » gridò saltando in piedi.

« NON LO SO! » gridò disperata la ragazza « DA QUANDO L’HO MINACCIATO NON SI FA PIÙ VEDERE! HA FATTO ANCHE DELLE FOTO QUI! »

Le dita di Lili andarono a ripescare, nel fondo della scatola, alcune fotografie: lei che si cambiava, nella camera da letto, che cucinava in mutande e canotta, che dormiva. E poi alcune in strada, mentre andava a lavoro o aspettava il turno alla filovia. Una addirittura era nel camerino di un negozio.

Jabura arrossì guardando quelle foto così intime, ma poi si sentì morire quando si accorse che Lili stava piangendo.

« Sono state prese da uno dei palazzi di fronte » disse tra le lacrime « Da quel palazzo, capisci? » pianse indicando un punto fuori dalla finestra della cucina. « A volte, di notte, sento qualcuno che cerca di forzare la finestra… e non riesco più a mangiare, non riesco più a dormire… » si sfogò. « Una volta, quando tornavo la sera, l’ho trovato nell’androne del palazzo, qui giù… per fortuna in quel momento stava salendo anche il figlio della mia padrona di casa, quello che gioca a rugby, te lo ricordi? »

No, Jabura non se lo ricordava, ricordava solo la padrona, la brava Estela Monica De Sosa, dalla pelle nera e dagli occhi truccatissimi a tutte le ore del giorno, che odorava sempre di cucina.

Lilian continuò: « …l’ha mandato via e per fortuna non è successo niente… » poi abbassò la voce finché non diventò un sussurro: « Da quando è cominciata questa storia mi è saltato il ciclo, e mi è tornato con gli interessi due giorni fa… anche per questo sono così stanca, a lavoro… scusami, questo non volevo dirlo, però… » si alzò in piedi per prendere un fazzoletto dalla borsa che giaceva abbandonata per terra.

Si ritrovò a piangere disperata, stretta al petto dell’uomo.

Jabura la tenne stretta a sé per un po’, mentre tendeva i sensi da lupo per controllare che nessuno si stesse avvicinando alla casa. Maledizione, doveva arrivare fino al punto di scoppiare, per dirgli che c’era un problema?!

Piano piano si calmò. « Grazie… » mormorò finalmente Lili, sorridendo e allontanandosi imbarazzata dall’abbraccio del Lupo.

Jabura le accarezzò la testa.

Dovere, tesoro, ghignò tra sé e sé.

« Adesso fuori di qui. » disse spiccio indicando la porta d’ingresso.

« In che senso?! »

« Non ti faccio dormire qui stanotte, vieni da me. » esplicitò il Governativo.

« Ma sei scemo? » cercò di ricomporsi la ragazza asciugandosi le lacrime con un tovagliolo « Dove mi metti a dormire, che vivi in un giardino, tu? »

« Dove dormo io, no? » abbaiò l’uomo. « Senti… »

Prese la ragazza per le spalle. « Forse tu non ti sei resa conto della situazione… hai un pazzo che ti insegue, ti minaccia, ti ha scritto lettere oscene, e che sta cercando di entrare dentro casa tua. Hai veramente rischiato di venire uccisa, riesci a capirlo? E hai rischiato di essere violentata in mezzo a una strada! Andiamocene, muoviti » tagliò corto.

« Devo andare in bagno » sussurrò Lili.

« Va’ in bagno, metti in uno zaino le tue cose, e andiamo via » concesse Jabura.

« Tu non entrare » sottolineò.

« Non entro, però prima controllo che sia tutto a posto. E non chiudere a chiave. »

Attraversarono il corridoio insieme, con la stessa angoscia di due viandanti in un bosco infestato da fantasmi. Lili accese tutte le luci di casa, e arrivata al bagno aprì la porta e lasciò che Jabura controllasse dietro l’accappatoio appeso, nei cassetti, negli stipi, persino dietro i sanitari bianchi; aprì la finestra e si affacciò, chiudendola poi con cura.

Quando lui si ritirò per lasciarle il suo spazio, la ragazza sussurrò, prima di chiudere la porta: « Grazie di tutto… mi dispiace disturbare così tanto » singhiozzò cercando di asciugarsi le lacrime con le dita per non far sbavare il trucco, anche se era del tutto inutile perché aveva pianto così tanto da essere ormai quasi struccata « Non volevo dare tutti questi pro-

« Ehi. » la interruppe il Lupo ghignando, appoggiato alla parete con un braccio e divertendosi a notare quanto fosse più grosso rispetto alla ragazza, con quella solita aria da bastardo che non si sforzava nemmeno di nascondere « Se ti lasciassi a quel maniaco, come faremmo a gestire Spandam? Muoviti, cinque minuti e usciamo »

« Quindici! » contrattò la ragazza.

« Dieci, non un attimo in più »

 

~

 

La Stanza del Lupo aveva le finestre più grandi di tutta la torre. Era difficile capire come fosse possibile: dall’esterno, la costruzione era simmetrica e tutte le finestre erano della stessa grandezza. Eppure, quando si entrava in casa di Jabura, sembrava di stare all’aperto, c’era luce, c’erano piante, c’erano le galline che ruspavano sull’erba e c’era un bellissimo ruscello che scorreva tra l’erba, sgorgava da due massi e finiva in un buchetto sotterraneo nascosto tra due sassi e delle cannette. E c’era il cartello, “Stanza del Lupo”, ben visibile appena dopo l’uscio.

Non era un ambiente selvaggio, non era un bosco: era un giardino. Il vento zufolava tra i cespugli ben potati, l’erba era tosata, le gallinelle andavano a dormire nel loro pollaio, una casetta di legno in un angolo con una rampetta per entrarvi.

C’erano dei finestroni enormi, lasciati sempre aperti, che facevano entrare tutto il sole dorato dei giorni estivi. Oppure la luce bianca e morbida della luna, quando splendeva piena e illuminava il mare del porto militare, e sembrava che sulla scia bianca lasciata sulle onde ci si potesse camminare, fino a perdersi in un sognante cielo notturno.

Jabura amava bere acquavite steso per terra, sull’erba, ascoltando il ruscello che scorreva tra le piante. Le galline erano abituate e non lo temevano (e facevano male, perché lui quando aveva fame ne afferrava una per il collo, glielo torceva e si faceva un bell’arrosto).

In un angolo protetto, fra gli alberi e le rocce muscose, c’era il letto del padrone di casa: una sorta di tenda di stoffa e bambù, sospesa da terra, attaccata al soffitto da corde di canapa (dal cuore di acciaio), e che dondolava lievemente a circa mezzo metro da terra. Quando Jabura aveva sonno, si rintanava lì dentro, dove si stava molto caldi e dove c'erano mille coperte a far da nido, e non c'era per nessuno. Era come una stanza nella stanza, buia, intima e calda. Vista dall'esterno poteva sembrare piccola, ma ci sarebbero entrate tre persone senza sforzo.

Per cucinare c’era un piccolo fuocherello che ardeva tra pietre bianche e ordinate, su cui era stata messa una griglia per far reggere le pentole sopra la fiamma viva; davanti c’era un tavolino basso e i cuscini tutt’attorno. Sembrava che in quella casa non si potesse star seduti normalmente, come su di una sedia: o sdraiati, o stravaccati, o in piedi.

Appena arrivati a casa, nel cuore della notte, Jabura mise sul fornello del brodo di gallina e del riso; aveva fame, e la sua ospite non toccava cibo probabilmente dall’ora di pranzo, e questo per lui era inconcepibile. Il brodo di gallina era buono e delicato, e l’acquavite l’accompagnava benissimo. Mangiare il riso con le bacchette era stato insolito, per Lili, ma Jabura le insegnò subito la presa migliore, ed ebbe la scusa per sederle accanto invece che di fronte.

Quando finirono di mangiare, andarono a sedersi davanti alla finestra che dava sull’isola dell’inverno, che quella sera non aveva nuvole e si vedevano, da lontano, le lucine delle case, mentre la Luna piena disegnava i contorni degli alberi della grande foresta imbiancata dalla neve.

Una grande coperta avvolse la ragazza, quando l’aria della notte si fece più fredda.

« Grazie per… beh, per tutto » mormorò Lili « Mi sono cacciata in un brutto guaio, vero? »

« Ma no… la soluzione c’è. » ed è l’obitorio, completò mentalmente l’uomo, sedendosi accanto a lei dopo averle dato la coperta. « Sei stata stupida a non dirlo a nessuno » concluse però con severità.

Lili scosse la testa, guardò a terra, sospirò tesa. « Mi vergognavo » disse finalmente.

« Hai posato per un calendario sexy e ti vergognavi di questo?! »

« E poi c’è anche un’altra ragione » disse la ragazza tornando a guardare l’uomo « Non voglio che il boss lo sappia. »

« …Lucci? Che c’entra quel bastardo? »

« Avrei dovuto gestire meglio l’intera situazione, e invece guarda in che guaio mi trovo. Lucci uccide i suoi subordinati che non riescono ad essere all’altezza del reparto, no? L’ho sentita anche io, la storia di Nero… »

Jabura scosse la testa, poco convinto « Nero era un idiota » asserì « Era stato preso come agente operativo senza che nemmeno sapesse fare uno Shigan. Tu sei un’assistente che è stata presa di mira da uno psicopatico. Sono due situazioni completamente diverse »

Lili si abbracciò le ginocchia e rimase pensierosa. Non era convinta.

« Jabura… » mormorò, alzando lo sguardo sull’uomo. « E se viene anche qui? Se succede qualcosa di grave qui alla Torre? »

« Tu devi sperare, che venga qui. » sottolineò Jabura leccandosi le fauci. « Perché se mette davvero piede in questo posto, non ne esce vivo. »

La ragazza sorrise e si strinse di più nella coperta. Cominciava ad avere sonno; Jabura si era preso sulle sue spalle quel macigno di paure che non la lasciavano dormire, e adesso che finalmente poteva riposare tranquilla con il Lupo a proteggerla, la stanchezza le era crollata addosso a tradimento.

« In realtà, per quanto non mi piaccia dirlo » riprese il discorso il Lupo « Penso proprio che dovresti riferirlo, a Lucci. Se quel maniaco decide di attaccarti qui alla Torre, e quello scopre che noi eravamo a conoscenza di questa possibilità e lui no, allora sì che ti ammazza. »

 

~

 

« Questi sono gli ultimi. Puoi andare. » concesse infine Rob Lucci mettendo in braccio alla segretaria due scatoloni contenenti armi sperimentali recuperate nell’ultima missione, che dovevano essere inoltrati ai laboratori di Caro Vegapunk ad Alexandra Bay.

« Boss, posso parlarle un momento? Per favore? » chiese educatamente la ragazza. Lucci sollevò lo sguardo su di lei e la guardò interrogativo, ma senza tradire nessuna particolare aspettativa: freddo e controllato, come al solito, mortalmente elegante nel suo completo bianco da boss del CP0.

Ogni tanto vestiva il nero, come ai bei vecchi tempi del CP9 ma, evidentemente, dopo l’ultima strage per recuperare quelle armi, l’uomo aveva mandato tutto il guardaroba scuro in lavanderia.

Lilian lo lesse come un segno positivo e continuò: « Le vorrei chiedere un parere… ecco… professionale. Ho un problema, e credo riguardi la legge, se lei potesse suggerirmi come muovermi… »

Aveva deciso di mettergliela così, come un consiglio. Come una civile che si stava appellando al più valoroso difensore della Giustizia Oscura.

« I problemi dei singoli civili sono competenza della Marina, non del CP0. Sai benissimo che lavoriamo per i Nobili Mondiali. Puoi andare. » ripetè lentamente Lucci.

« Oh, non glielo chiedo in qualità di boss del reparto. Glielo chiedo in qualità di agente molto esperto che conosce bene il suo campo, e di grande esperienza. »

Che Lucci non sarebbe stato disposto ad aiutarla subito, come Jabura, Lili l’aveva ampiamente messo in conto, e infatti stava attentissima alle parole che usava:  la ragazza sapeva che l’uomo era vanitoso come un gatto, e gli faceva più piacere di quanto avesse voluto ricevere complimenti e apprezzamenti.

« Basta arruffianarmi » disse sprezzante Lucci. « Vai al sodo. » le ordinò.

Ecco, ora era il momento di vuotare il sacco anche con lui.

« C’è una persona che mi pedina. » disse subito, senza girarci intorno. « Mi segue per strada, mi scrive lettere… schifose » disse sdegnata « Mi fa le foto dentro casa e mentre sono fuori, e me le manda. E ho ragione di credere che stia anche tentando di forzare le mie finestre. »

Rob Lucci ascoltava con attenzione, e anche Hattori si era disposto tranquillamente ad seguire il racconto della ragazza: era accovacciato sulla scrivania, fra le mani del suo amico, seduto su una rubrica telefonica dalla copertina di tela blu.

« Idee sull’identità? »

Lilian gli raccontò brevemente di come aveva conosciuto l’uomo al bar.

« Errore molto grossolano, quello di andare subito a casa tua dopo averlo conosciuto » considerò infine con durezza.

« Purtroppo l’ho capito troppo tardi » ammise la ragazza chinando il capo e sudando freddo « Non pensavo che la situazione sarebbe diventata così pericolosa »

« Hai con te le lettere? »

« Le due più recenti, e le foto che c’erano assieme » disse l’assistente prendendo della corrispondenza da una tasca interna della giacca. Le mise sulla scrivania di Lucci e l’uomo sguainò con noncuranza un artiglio per ripescare i fogli dalle buste.

« Sono… sono scritte cose molto volgari, e tengo a precisare che ne sono del tutto estranea. » sottolineò la ragazza.

Lucci non ritenne neanche necessario replicare, e scorreva in rassegna con Hattori le lettere. Lui rimaneva impassibile e freddo, il piccione aggrottava gli occhietti e scuoteva il capino con disapprovazione. Le fotografie allegate per fortuna erano abbastanza sobrie: una scattata al gabbiotto della filovia sull’Isola Centrale, mentre Lili scendeva dalla cabina, e un’altra presa attraverso le finestre della cucina, mentre cucinava in copricostume.

Hattori decollò dalla scrivania, descrisse un ampio cerchio sopra di essa e si posò sulla spalla dell’uomo. Infine, lui fece scivolare le lettere che aveva letto verso la ragazza: riprenditele.

« Sono affari della Marina, non del Governo. » decise infine. « Puoi andare » ripetè per la terza volta.

Lili, intuendo che non l’avrebbe ripetuto di nuovo, chinò la testa. L’aveva messo in conto, Lucci non si sarebbe certo scomodato per lei. Ma era già soddisfatta così: il suo obiettivo era dirglielo, e l’aveva raggiunto. Ed era riuscita anche a non farsi uccidere.

Salutò Lucci con un rispettoso cenno del capo e si affrettò a uscire dalla stanza con gli scatoloni in mano.

« Rimani all’interno della Torre e non uscire senza una scorta » aggiunse a sorpresa l’uomo mentre lei usciva dall’ufficio.

 

 

 

 

 

Dietro le quinte...

Alla fine ho preso coraggio e mi sono decisa a pubblicare una storia (divisa in due capitoli) con Lilian protagonista! Spero vi piaccia! È progettata per essere una ragazza forte, per difendersi e per essere piuttosto indipendente, però a volte deve rendersi conto anche lei che, in certe occasioni, è necessario chiedere aiuto. Ovviamente il tema della violenza sulle donne qui è mediato dall'universo di One Piece: credo che poche persone, stalkerate brutalmente, reagiscano minacciando a mano armata l'aggressore; ma qui è One Piece, Lilian lavora in fin dei conti per la Giustizia Oscura, e come personaggio non può essere completamente indifeso. 

Tuttavia la situazione è degenerata, e credo sia fortunata ad avere Jabura vicino, visto il guaio in cui è incappata. Ormai sapete che il loro rapporto è una di quelle cose che adoro scrivere, e farlo in maniera così plateale, come in questo capitolo, mi ha emozionata! Spero vi siano piaciuti, ho cercato di mantenere inalterato il carattere di entrambi, ma anche di adattarlo alla situazione molto delicata.

Per favore, ditemi se è tutto ok con l'IC di Jabura e di Rob Lucci! Sono più abituati a uccidere che a difendere, ma spero li troviate convincenti! Il carattere di Jabura è più aperto e istintivo, si è subito sentito coinvolto nella vicenda (e dalle miniavventure, lo sapete, è emerso anche un insospettabile altruismo -a modo suo-). Lucci ovviamente è stato più controllato, ma non ce lo vedevo a non dire assolutamente NIENTE per un problema che, in fin dei conti, riguarda comunque la Giustizia Oscura. Comunque, come ha ribadito Jabura, l'essenziale era dirgli dell'esistenza di questo galantuomo che importuna le pilote indifese.

Il molestatore di Lili per ora è rimasto nell'ombra, ma ovviamente "dirà la sua" nel prossimo capitolo, così come anche i restanti membri del CP0... ve lo immaginate, Kumadori che sta zitto? Io no.

Grazie per aver letto ♥ se ci sono refusi o errori non esitate a farmeli notare in recensione! Un grande bacione,

Yellow Canadair

  
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