Anime & Manga > One Piece/All'arrembaggio!
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Autore: ___Page    08/05/2018    4 recensioni
«Allora, cosa mi raccontate?!» tiene un braccio sulle mie spalle mentre ci avviciniamo al tavolo. «Il lavoro? Il trasloco?».
«Abbiamo una piccola divergenza di opinioni sul citofono» racconta Ace con un sorrisone.
«Al lavoro tutto bene. Un po’ presi da un nuovo progetto. I Cloth Tattoo vanno alla grande».
«E al Castello?»
Law ghigna, come sempre orgoglioso del suo ospedale pediatrico.
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Ora al posto dello sterrato c’è una gittata di asfalto, per agevolare il transito di macchine e della linea di autobus che il comune di Raftel ha attivato apposta per collegare l’ospedale al centro città, ma, come quasi mai accade, non è una brutta visione. Questa strada è il preludio di qualcosa di così bello da rendere i miei ricordi su questa collina ancora più preziosi.
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«Oh santo…»
«Non t’azzardare» lo ammonisce la voce da dentro la maschera. «Pesa quanto me e caccia un caldo allucinante»
«E dire che sembra così confortevole» commenta bastardo Law.
«Grazie al cielo il resto del costume non mi va. Ma non si poteva dire ai bambini che il Dugongo Kung Fu si è slogato una caviglia. No. Perché avrebbero perso fiducia nelle arti marziali. Capisci, Law?! S’è slogato il cervello, altro che la caviglia!»
Genere: Commedia, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Altro Personaggio, Izou, Koala, Sabo, Sanji | Coppie: Nami/Zoro
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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«Okay, Ace, ho capito. Arriva al dunque» lo ammonisce parlando piano nel ricevitore, il tono piatto che non lascia trapelare nulla. Gli lancio un’occhiata da sopra la spalla, mentre travaso il caffè nella sua tazza termica. Scatta immediatamente quando si accorge che rischio di scottarmi la mano e aggiusta la posizione della tazza sotto la cascata di liquido caldo e scuro, per poi restare alle mie spalle e spostare la mano sulla mia pancia. «Sì, sì mi è chiaro… Ace» lo richiama, più spazientito  e io porto la mano ora libera sulla sua. Immediatamente si rilassa e io mi appoggio al suo torace. Piega appena il capo per soffiare al mio orecchio: «Come va?»
E chiariamo, lo troverei molto dolce, se solo non me lo avesse chiesto quando ci siamo svegliati, mezz’ora fa, quando ci siamo alzati dal letto, un quarto d’ora fa, dieci minuti fa quando mi ha incrociata in camera e cinque minuti fa in bagno. Gli lancio un’occhiata da sotto in su. «Credo sia estremamente precoce. Prima mi ha tirato un calcio» lo prendo in giro. Cos’altro mai potrei rispondere?  
Law mi lancia un’occhiata di mezzo rimprovero, in parte per la battuta scema, in parte perché è al telefono con Ace. Non che ci farebbe comunque caso, impegnato com’è a blaterare non è dato sapere cosa dall’altra parte del filo, ma è comunque un piccolo rischio che mi sono presa.
Abbiamo concordato di aspettare a dirlo, almeno fino a metà del secondo trimestre. E le intenzioni ci sono tutte. il problema è riuscire a evitare che lo scoprano da soli.
Qualcuno vuole fare a cambio con la mia situazione?
Mi libero di malavoglia dal suo abbraccio e mi avvicino al frigo, per recuperare uno yogurt e qualsiasi altra cosa che, messa insieme, possa costituire un pasto vagamente decente e complessivamente sano.
«Non è un po’ poco?» mi domanda, studiando attento le cibarie tra le mie mani. E io gli scocco un’occhiata di avvertimento.
«Prenderò anche qualcosa al bar» gli concedo e intanto gli faccio un cenno che significa che dovrebbe concentrarsi sulla telefonata anziché su di me. Così magari riesco a tirare il fiato un attimo, visto che negli ultimi due giorni non ho praticamente potuto fare un passo da sola.
Ma qualsiasi cosa Ace gli stia raccontando dev’essere, per mia sfortuna, davvero irrilevante. Per dire se possa essere anche poco interessante o meno non ho abbastanza indizi, dato che poche cose, per Law, sono più interessanti di me e del tenermi d’occhio.
Fatto sta che Law minimizza con una scrollata di spalle e si avvicina di nuovo. «Allora domani mattina a che ore?»
Chiudo il frigo e ci rimango puntellata con la mano una manciata di secondi. Dopotutto, non potevo rimandare all’infinito. «Ah già!» fingo di essermene appena ricordata. «Pen mi ha chiamato, ha dovuto spostarmi l’appuntamento a martedì» mi stringo nelle spalle, tornando poi a fare ciò che stavo facendo, come se niente fosse.
Ma il problema è che invece è qualcosa. Qualcosa che a Law non piace e che lo rende molto nervoso. Qualcosa che evolverà in un ulteriore peggioramento della sua mania di controllo.
Un fuori programma.
E indovinate chi dovrà trovare il modo di gestirlo se ci tiene ad avere ancora un padre per suo figlio entro la fine della gravidanza? Io, ovviamente.
«Come scusa?»
«Lui non può esserci domani, così abbiamo rimandato a martedì. Gliel’ho chiesto io, non voglio cambiare cardiologo!» metto in chiaro, prima che possa prendersela con lui. Non è necessario raccontargli anche che il motivo per cui dobbiamo rimandare è che si era dimenticato del suo weekend lungo con Lamy e che, se fosse saltato, probabilmente lei lo avrebbe evirato nel sonno.
So che ho fatto la cosa giusta, so che non era necessario né cambiare cardiologo né fare la gestante isterica e apprensiva che pretende l’esame quando dice lei ma quando vedo qualunque forma di gioia e relax vi abbia mai dimorato abbandonare il volto di Law, un po’ mi pento di aver fatto la persona ragionevole.
Improvvisamente è teso , agitato, pronto a farsi carico del peso del mondo se necessario. C’è solo un particolare. Non è affatto necessario. E non mi piace vederlo così.
«Amore…» sospiro e mi avvicino a lui. «…ti prego, stai tranquillo» gli circondo il volto con le mani «Per te è già un periodo abbastanza stressante al lavoro, sei agitato che oggi torna Sabo, non ti serve preoccuparti anche di questo. È tutto sotto controllo. Gerth ha detto che va tutto bene, io sono comunque sotto terapia e tuo fratello adesso ti sta chiamando a ripetizione da circa dieci secondi» concludo, indicando il telefonino con un cenno del capo.
Law si riscuote bruscamente e torna a concentrarsi sull’apparecchio da cui gli incessanti richiami di Ace escono a intervalli brevi e regolari. Potrei anche sbagliarmi ma, se ho sentito bene, Perona gli ha appena urlato di smetterla se non vuole che gli trapani il cervello e non figurativamente.
«Ace. Ace!» ringhia e la cantilena dall’altro capo del cellulare finalmente cessa. «Ti ascolto…» vibra minaccioso.
Sorrido divertita e torno a preparare la mia sportina e contemporaneamente aggiornare la lista della spesa ma il momento di calma è destinato a durare poco.
«Che? Ace ne avevamo parlato!»
Mi giro a indagare che succede e a Law basta un’occhiata per interpretare la mia muta domanda e mettere in vivavoce.
«…fratello, ragione al cento per cento! Ma ho fatto casino con i giorni e Perona ha preso ferie apposta per andare avanti con il trasloco e non penso mi lascerà uscire di casa finché almeno la camera da letto non sarà montata e finita, tranne che per venire a cena da voi! Mi dispiace, giuro!»
«Okay» Law preme per un attimo il ponte del naso tra le dita, il cellulare a mezz’aria come fosse una bomba pronta a esplodere. «Quindi insomma, tu non puoi andare all’aeroporto» constata e io inarco le sopracciglia.
Tutto questo mi suona vagamente famigliare.
«Oh no! Posso! Se riesco a capire come leggere queste istruzioni in finlandese e metterle in pratica entro le sei e mezza, posso andarci eccome»
«Magari se non le guardi sotto sopra è più facile, amore»
«Oh. Grazie Voodoo!» esclama Ace e io non riesco più a trattenere una risata. «Ehi Koala! Sei tu?»
«No, sono l’amante di Law!» mi avvicino appena al ricevitore, sghignazzante.  
«Piacere di conoscerti! Non è che riusciresti ad andare tu all’aeroporto?! Venerdì lavori solo mezza giornata, giusto?»
«Beh…» comincio, vagliando la possibilità.
«No, lei non può andarci» interviene Law, il tono che non ammette repliche. «All’aeroporto. Da sola» aggiunge, parlando con me ora.
Socchiudo gli occhi e ci sfidiamo silenziosamente qualche istante.
Okay, mi costa ammetterlo ma stavolta ha ragione lui. La mia medicina per il cuore non è l’ideale in gravidanza e anche se Pen me ne ha prescritta e procurata subito una alternativa, non abbiamo ancora nessuna prova provata che sia efficace come la precedente. E dal momento che mi sono resa disponibile a rimandare gli esami pur sapendo cos’avrebbe significato, ora devo far buon viso a cattiva sorte fino a martedì e accettare che Law si preoccupi più del necessario. Che, nel suo caso, è più o meno lo stesso grado di preoccupazione di un sismologo in grado di prevedere un terremoto che frantumerà il nucleo terrestre ma senza alcuna soluzione per impedirlo.
In realtà, con buon senso parlando, dovrei essere preoccupata anche io ma, non essendo nella mia indole sbattere il cranio contro problemi la cui risoluzione non dipende da me – a volte non lo faccio nemmeno per problemi la cui risoluzione dipende eccome da me –, mi limito a essere prudente.
E devo anche finire di preparare la cena.
«Ora proviamo a sentire Robin. Tu stai attento a non inchiodarti la mano a qualche giuntura del letto» lo schernisce Law, con un ghigno più rilassato, mentre il mio cellulare comincia a suonare.
Lancio una rapida occhiata al mittente della telefonata, con una punta di stupore. Parli del diavolo…
«Ci provo ma non posso prometterti niente, fratello. Ci vediamo stasera!»
«A stasera Ace»
«Ehi Robin!» accetto la chiamata nell’esatto momento in cui Law chiude la comunicazione con Ace. «Stavamo giusto parlando di te»
«Cose belle, spero» mi risponde, criptica come sempre.
«Ovviamente. E anche sapere se per caso saresti libera per andare a prendere tu Sabo all’aeroporto» vado dritta al sodo, così da fare subito fuori la questione ed evitare che l’uomo della mia vita perda del tutto il lume della ragione. Lo preferisco in pieno possesso delle proprie facoltà mentali, sapete com’è.
«Nessun problema. Solo posso portarti Eris in anticipo?»
«Certo» mi acciglio, un po’ perplessa. «Franky finisce più tardi del solito?»
«Oh no, affatto. Ma Franky non avrà il permesso di stare da solo con mia figlia per un po’, temo»
Volto le spalle a Law, il più impassibile che riesco.
«Capisco…» mi limito a mormorare, nella speranza che aggiunga altri dettagli senza esplicite richieste. Il problema è che ho sentito distintamente la nota omicida nella sua voce e questo significa che Robin è arrabbiata e, anche se di norma tra di noi non ci sono segreti, Robin non è il tipo che si sfoga, men che meno quando sfogarsi rischia di farle perdere il controllo, cosa molto facile quando è, appunto, arrabbiata.
Perciò, in poche parole, la mia speranza è utopistica.
«Ma comunque, come mai mi chiamavi?» cambio al volo argomento. Chiederle come sta è un rischio al momento e comunque non può avermi certo telefonato per telepatia.
«Ah giusto. Volevo sapere se tuo papà ha ancora quell’appartamento a Sun Bay e se è disponibile o se per caso l’ha affittato a qualcuno»
Aggrotto ancora di più la fronte. Okay, Robin è sempre molto enigmatica ma questa richiesta è davvero molto strana. «Sì ce l’ha ancora»
«È una splendida notizia. Pensi che potremmo andare a starci per un po’? Tutti e tre» aggiunge poi. Perché Robin è Robin ed è sempre un passo avanti a tutti e sa benissimo che il suo intero discorso, più gli altri indizi per me facili da cogliere, mi stavano portando all’inevitabile conclusione che volesse mollare Franky e vuole farmi sapere che il punto non è affatto questo. Il che, ammettiamolo, è un bel sollievo.
«Beh dovrei sentirlo prima di darti una risposta definitiva ma penso che non ci siano problemi solo che… sei sicura? È un po’ piccolino come posto. Cioè, in tre con un bambino ci si sta ma tutta l’attrezzatura di Franky…»
«Oh non ti preoccupare. Non credo sarà un problema. Anzi, direi che Franky starà lontano per un po’ dalla propria attrezzatura, se non vuole che io stia lontana dalla sua»
Ed eccolo di nuovo, il tono lievemente avvelenato con classe, che non posso più fingere di ignorare.
«Robin ma che succede? Mi devo preoccupare?»
«Oh no, Koala, ti prego no. Non è necessario. Dopotutto, quando stai con un aspirante inventore metti in conto che potrebbe saltarti in aria mezza casa, prima o poi» torna al suo tono dolce e rilassato.
Rimango in silenzio. Sbatto le palpebre interdetta. Il mio cervello metabolizza più a rilento del solito.
Ha detto proprio…
«Che cosa?!?!?»
 

 
§

 
«Sono già arrivati» noto con stupore, mettendo la freccia per accostare alla solita piazzola di sosta.
Zoro, occhi chiusi e braccia al petto, ben lungi dall’essere addormentato come sempre cerca di farmi credere, piega le labbra in un ghigno e allunga una mano verso la mia gamba, scartando tra il mio braccio e la leva del cambio. «Mi sa che siamo noi che abbiamo fatto tardi» mi fa notare, solleticando a fior di polpastrelli il mio interno coscia, fastidiosamente reattivo quando si tratta di lui.
Freno dolcemente e intanto mi giro a guardarlo, inclinando appena il capo di lato, gli occhi che brillano, il labbro inferiore incastrato sotto i denti superiori in un’espressione di voglia e ingordigia. Poso la mano sulla sua guancia, accarezzandogli la basetta verde con il pollice.
«Zoro, amore mio…» miagolo mentre porto il mio volto sempre più vicino al suo. «Non credere sia tutto a posto» lo metto in guardia, la voce arrochita nel disperato tentativo di non lasciargli intendere l’effetto che il suo tocco mi provoca e quanto vorrei che salisse più su con quella dannata mano.
Come se non lo sapesse poi.
«Oh ma io non lo credo» mormora, gli occhi puntati sulle mie labbra che un attimo dopo sono intrappolate tra le sue.
Sia maledetto il suo sapore, che non cambierei per niente al mondo. Mi aggrappo al suo collo anche con l’altra mano e poco mi ci manca a scavalcare il freno a mano per sedermi sopra di lui e giocare con la sua, di leva del cambio.
Come stamattina. Mi ha fregato nello stesso identico modo e anni fa mi avrebbe dato fastidio. Anni fa tutto questo non sarebbe che stata una delle nostre insostenibili sfide, per decretare chi dei due sia il più furbo o il più forte. Ma le cose sono cambiate, rispetto ad anni fa. Perché provateci voi, ad ottenere una seconda occasione con l’amore della vostra vita, che credevate perduto per sempre, e non svegliarvi ogni singola mattina al suo fianco senza provare gratitudine.
Vi posso garantire che la voglia di trasformare sempre tutto in una gara passa e la voglia di stare sempre insieme, invece, non scema mai. Nemmeno dopo tre anni di matrimonio e nemmeno dopo dieci o cinquanta, sospetto.
Mi rendo vagamente conto che la macchina forse ha iniziato ad ondeggiare, riportandomi in me per una scarsa frazione di secondo, quando la mia voce interiore mi ricorda che l’ultima revisione delle sospensioni mi è costata non poco ma il ringhio soddisfatto di Zoro la sovrasta e fa tacere.
A differenza invece del picchiettare improvviso contro il vetro, che riecheggia fin troppo intensamente nell’abitacolo e ci costringe e interrompere. Mi giro verso Usopp, quasi stupita – sì mi ero momentaneamente dimenticata che loro fossero già qui –, e socchiudo gli occhi minacciosa mentre Zoro si ributta indietro sul sedile, mugugnando un “guastafeste”.
Abbasso il finestrino, lo sguardo che lancia saette e che Usopp ricambia quasi con altrettanto astio.
«Scusatemi, signori Roronoa, ma noi si dovrebbe andare al lavoro»
«Usopp, anche se per una volta arriviamo con cinque minuti di ritardo, non finisce il mondo»
«Non finirà per te!» ribatte, indignato, tradendo l’agitazione.
«Sei un illuso se pensi che Iva non sia in grado di trovare un’altra scusa per convocarti nel suo ufficio» sollevo un sopracciglio, scettica, ma subito il più che fondato terrore del mio migliore amico nei confronti del nostro capo e dei suoi incessanti tentativi di seduzione a sue spese, passa in secondo piano quando mi accorgo che qualcosa non va.
E badate, non perché stia succedendo qualcosa. È perché non sta succedendo.
«Che fine ha fatto Sanji-kun?» mi acciglio quando realizzo che ormai io e Usopp parliamo da mezzo minuto e non c’è alcuna traccia di urletti entusiastici o sangue sull’asfalto così come vi è totale assenza di minacce rivolte a Zoro per aver osato violarmi così pubblicamente, attentando al mio pudore e alla mia reputazione.
«L’ho chiuso in macchina» si stringe nelle spalle Usopp. Ora che ci faccio caso, questi tonfi ovattati accompagnati da un urlo incomprensibile, che improvvisamente somiglia molto a “Nami-swan” e “Usopp, fammi uscire”, vanno avanti da un po’.
Zoro prova a trattenersi senza successo e sbuffa una risata a labbra stretta. «Sei grande, Usopp. È un vero peccato che non possa fare carpooling con te al posto di quel cuoco da strap… OUCH! Nami! Fa male!» protesta rabbioso quando, senza nemmeno girarmi, afferro i tre orecchini che penzolano dal suo lobo e tiro.
«Sanji è il solo motivo per cui non ti perdi quando vai al lavoro, quindi dovresti solo ringraziarlo!»
Anche perché altrimenti non avrei alternative – a parte giocarmi la sanità mentale a furia di macerarmi nella preoccupazione di non vederlo tornare a casa – se non accompagnarlo io e questo mi costerebbe parecchio tempo in più e, soprattutto, benzina.
«Come se gli costasse tanto! Andiamo dalla stessa parte! E lasciami!»
Mi affretto a mollare la presa visto che il suo lobo sta diventando color amarena, ostentando false alterigia e indifferenza verso la menomazione che io stessa gli ho procurato. E, di nuovo, vengo distratta dalle urla ovattate di Sanji, che ora suonano molto simili a un’implorante richiesta d’aiuto.
«Usopp, credo che dovresti…» faccio per dirgli ma quando mi giro nuovamente verso di lui scopro che non è necessario. Deve essersi accorto anche lui del tono sempre più terrorizzato di Sanji e si sta affannando a ripescare le chiavi della macchina dalla tasca per aprire finalmente le portiere della Kabuto, da cui Sanji si fionda fuori come un fulmine, per nascondersi alle spalle di Usopp .
Tremante, solleva un braccio a indicare il veicolo mentre con l’altra mano stringe la t-shirt di Usopp sulla schiena. «Un… u-un… c’è un… una t-tarantola!» boccheggia, fuori di sé.
Sgrano gli occhi schifata e pigio decisa il tasto per rialzare il finestrino ma Zoro allunga rapido la mano e mi blocca, invitandomi con un cenno del capo ad aspettare. Usopp, dal canto suo, ha assunto la sua solita posa da supereroe mancato, con l’unica differenza che questa è realmente l’unica situazione in cui il più coraggioso di tutti è proprio lui.         
Se si tratta di difendere il suo Sanji poi…  
Senza il minimo tentennamento o tremore – oserei dire che mi sembra anche un po’ eccitato – si infila in macchina con il busto, ravana per un po’, agitando il sedere con Sanji che si muove in simultanea con lui per ostruirci la visuale sullo spettacolino che sta dando – benedetta irrazionale gelosia –, e torna poi fuori con un’espressione che definire atona è un eufemismo.
Sanji si spalma sul cofano della mia macchina, pallido e tremante, quando Usopp avanza, tenendo la mano ben aperta a palmo rivolto verso l’alto.
«Una tarantola?» domanda, il tono piatto.
«N-non, non ti avvicinare con q-quel c-coso!» Sanji gli punta contro un dito.
«Sarà grande quanto l’unghia del mio mignolo Sanji» gli fa presente, prima di superarlo a grandi passi e avvicinarsi al praticello che costeggia l’ex isola ecologica dove ci troviamo ogni mattina, e liberare il ragnetto tra l’erba. «Ecco, amico, vai. Sei libero»
Scuoto il capo, divertita e intenerita, mentre Sanji si rimette dritto e schiarisce la gola, aggiustandosi i baveri della giacca con malcelato imbarazzo. «Dunque Marimo» chiama, strappando un grugnito a Zoro. «Ci diamo una mossa o stiamo qui tutta la mattina a non fare niente delle nostre vite?»
«Guarda che non sono io quello che ha fatto una scenata per un insetto grande quanto il proprio cervello. E comunque io cercavo di avere un po’ di intimità con mia moglie, Epistassi-kun, che è l’esatto contrario di non fare niente»
Sanji si porta davanti al finestrino aperto, inspirando a pieni polmoni. Mi fa ancora strano non vederlo più con la sigaretta in bocca e giuro che non ho ancora capito come Usopp sia riuscito a farlo smettere. Si riavvia il ciuffo biondo, scoprendo per un attimo l’occhio destro e poi, senza preavviso, si butta in avanti, infilando con fluidità il torace dentro l’abitacolo, le braccia tese e dirette al collo di Zoro.
Per sua sfortuna, i riflessi di mio marito sono fin troppo sviluppati e Sanji si ritrova bloccato da una mano di Zoro spalmata in faccia, che oltre a tenerlo a distanza di sicurezza non tanto da lui quanto da me, soffoca anche le sue proteste – e spero soltanto quelle –.
Sospiro, rassegnata. Tutto questo non avrà mai fine, lo so.
Con nonchalance, Usopp torna indietro, battendo insieme le mani in un gesto soddisfatto per aver liberato il ragno, e si avvicina a Sanji, lo afferra per la cintura e lo tira via dalla macchina, avendo cura di prenderlo tra le braccia per ammortizzare il colpo. È rarissimo vedere Sanji così poco padrone di se stesso. L’ultima volta è stato all’Oro Jackson Day di cinque anni fa, al KamaBakka, quando, per essersi dichiarato – mentendo spudoratamente – cento per cento etero si è ritrovato legato mani e piedi, con un gruppo di okama impazziti a svestirlo per mettergli addosso un costume da danzatrice del ventre, nella speranza di fargli cambiare idea sulla propria sessualità – che in realtà era piuttosto di ampie vedute già all’epoca –. Non credo abbia ancora superato il trauma.
Per fortuna, oggi come allora, c’è Usopp, pronto a sfoderare un insospettabile autocontrollo quando si tratta di proteggerlo. È bello vedere come ci sono l’uno per l’altro. È bello sapere che l’uno è pronto a fare tutto ciò che l’altro non riesce.
Sanji soffia dal naso, furente più per la figura appena fatta che non per gli insulti di Zoro, ma si impone subito la calma. «Dai su, andiamo. Abbiamo già perso fin troppo tempo» mastica tra i denti, prima di cambiare totalmente tono ed espressione e voltarsi verso Usopp. Gli circonda la mandibola con entrambe le mani. «Ci vediamo dopo Uso-chan» mormora prima di baciarlo. Alla luce del sole, davanti a chiunque voglia prendersi la briga di guardare.
Sono così fiera di lui. Ma qualunque considerazione di orgoglio io stia facendo sui miei ragazzi viene cancellata dal respiro di Zoro sul mio collo. «Devo andare» mi avvisa e la mia mano è già tra i suoi capelli prima ancora che abbia finito di girarmi verso di lui. Dopo l’exploit di stamattina, oggi mi sarei data volentieri malata per passare l’intera giornata a casa con lui e mi costa lasciarlo andare. Lo bacio avida, mi lascio stringere dalle sue braccia.
«Ci vediamo stasera» soffio, prima di lasciarlo con malcelata reticenza. «Salutami Johnny»
«Sarà fatto» ghigna felice, accarezzandomi una guancia. «A stasera mocciosa» e un attimo dopo e fuori dall’auto, già sotto a discutere con Sanji, non voglio nemmeno sapere di cosa.
Usopp sguscia in macchina e chiude delicato la portiera, lasciata aperta da Zoro appositamente per lui. «Buongiorno!» mi sorride, più rilassato nonostante l’ormai palese ritardo. Mi sa che oggi una convocazione da Iva non gliela toglie proprio nessuno.
«Buongiorno» gli scocco un bacio sulla punta del naso, primo passo del nostro piccolo rituale mattutino. Agganciamo le cinture, io scocco un’occhiata all’anello rosso sangue che brilla la suo anulare sinistro.
È un semplice anello di vetro sfaccettato, identico al mio verde smeraldo in tutto e per tutto tranne che nel significato.
«Bell’anello» ammicco, come tutte le mattine.
Come tutte le mattine, Usopp lancia uno sguardo al suo, poi al mio, poi si accomoda meglio sul sedile, occhi avanti, mentre io metto in moto, alla volta della Ivankov&Co.
«Grazie. Anche il tuo non è niente male»

 
§
 

«E non si sono fatti niente?»
«L’esplosione si è proiettata tutta verso l’esterno, Robin e Eris erano al piano di sopra e la casa è rimasta in piedi» spiego la miracolosa dinamica dell’incidente con una stretta di spalle, mentre Law chiude a tripla mandata la porta di casa nostra.
«Per fortuna» commenta, celando come può il sollievo. «A Franky perdere due dita non avrebbe fatto così male»  
«O tutto il braccio» aggiungo io.
«Quello me lo riservo per Eustass-ya» ribatte e io lo guardo con rimprovero.
Insomma, in fondo Kidd non ha fatto niente, no?  
«L’importante è che stanno tutti bene» decido di sorvolare «E non dirlo a Sabo. Non sarebbe la migliore delle accoglienze, provocargli un attacco isterico da mamma chioccia» aggiungo, posando le mani sui suoi pettorali mentre lui mi circonda la vita.
«Come se potessimo tenerglielo nascosto» commenta scettico. «Adesso mi dispiace ancora di più che Bibi non riesca a venire»
Ridacchiante, scuoto il capo e mi tiro sulle punte. «Andrà bene» mormoro con le labbra già praticamente sulle sue, ma mi esce a metà tra un’affermazione e una domanda.
Law si piega un altro po’ e mi bacia, stringendo le braccia alla base della mia schiena. «Certo che andrà bene» sussurra poi, quasi una promessa. «Andrà tutto bene» si riabbassa per un altro bacio ma il rombo di un motore ormai famigliare e una leggera sgommata sulla strada fuori casa si intromette nel nostro idilliaco momento.
«Ehi, playboy!»
Lancio gli occhi al cielo ma fatico a trattenere una risata mentre Law, con un respiro profondo, si volta lento e omicida.
«Guarda che te la riportiamo entro sera, puoi stare tranquillo»
«Chi mai sarebbe tranquillo a lasciare qualcosa in mano tua, Izou?» domanda asciutto Law.
Izou abbassa appena gli occhiali da sole per guardarlo da sopra le lenti. «È della mia finta ex che stiamo parlando» gli fa notare e sento Law irrigidirsi sotto le mie mani. E non nel senso piacevole.
«Hai deciso di morire oggi?»
«Credo proprio di sì» risponde Marco, piegandosi verso il volante per farsi vedere.
Gli scocco un bacio sul collo e struscio la punta del naso contro la linea della sua mascella. «Devo andare. Ci vediamo stasera» lo avviso ma non rifiuto un ultimo bacio e non ho nemmeno tutta questa fretta di liberarmi dalla sua presa.
«Marco-chan, lunedì mattina ricordami di portarmi un secchiello di pop-corn»
Le pupille di Law si restringono fino a sembrare due capocchie di spillo. «È meglio se vai»
«Sì è meglio» gli do ragione, dandogli una leggera pacca sul pettorale.
È meglio se vado, prima che commetta un omicidio.
Raggiungo rapida la macchina e salgo dietro. «Buongiorno» mi sporgo verso l’abitacolo per salutare con un bacio sulla guancia sia Marco che Izou prima di posizionarmi dietro a Izou e agganciare la cintura, mentre Marco rimette in moto.
 

 
§

 
«Buongiorno a lei» rispondo con un cenno del capo e un sorriso.
La giovane hostess ricambia e ci mette una frazione di secondo in più, rispetto ai passeggeri prima di me, ad allungare la mano, per ottenere la mia carta d’imbarco e quella d’identità. Le studia un attimo mentre io studio lei.
Labbra carnose, tratti delicati, occhi miele e soffici capelli mori raccolti in uno chignon. Qualche ciocca sfugge dal cappellino della divisa, portato un po’ sulle ventitré. È bella e, quando risolleva gli occhi su di me, il suo sorriso è qualcosa di più di semplicemente cordiale. Così come ho i miei buoni motivi per credere che il suo sfiorarmi la mano nel restituirmi i documenti non sia poi così accidentale.
«Buon viaggio, signor Monkey»
«Grazie…» sbircio curioso il nome sul suo badge identificativo «…Viola»
Trolley ben adeso a me, borsone sull’altra spalla, mi avvio lungo il corridoio dell’aereo, alla ricerca del mio posto. Per fortuna sono tra i primi e, quando lo individuo, la zona è ancora abbastanza sgombra da lasciarmi tutto il tempo per sistemare i bagagli con calma. Mi lascio cadere al mio posto e sollevo la tendina per curiosare fuori dal finestrino. Non che ci sia molto da guardare, solo la pista e una bella fila di gente che aspetta di salire.
Sospiro, la mente libera di vagare così come il mio sguardo, senza nessuna distrazione a tenerla impegnata. Viola in cima al corridoio ha ricominciato a controllare i biglietti e dare indicazioni con maggior velocità ed efficienza e questo conferma la mia ipotesi. È bella ed ha anche un bel nome e fino a qualche tempo fa mi sarei sentito non solo lusingato dalle sua attenzioni, ma anche ben propenso ad approfittarne. Le cose però sono cambiate e io non sono più lo stesso di qualche tempo fa. Non mi interessano più i rapporti occasionali, con una hostess o con una ragazza incontrata in un bar, nel bagno di un aereo o a casa della suddetta ragazza.
Ebbene sì, anche se faccio fatica a crederci, io, Monkey D. Sabo, sto deliberatamente e intenzionalmente ignorando le avances di una bellissima ragazza. E la cosa più pazzesca è che va bene così.
Prima di rendermene conto, l’aereo si è riempito e il comandante ci sta dando il benvenuto sul suo volo mentre la spia delle cinture allacciate si accende. Eseguo meccanicamente e torno a guardare fuori dal finestrino, ascoltando il rombo dell’aereo che si lancia sempre più velocemente sulla pista di decollo, fino a staccarsi da terra e proiettarsi deciso verso il cielo terso, direzione Raftel.
Appoggio la nuca al sedile e chiudo gli occhi per rilassarmi.
Si torna a casa.








Angolo dell'autrice: 
Ed eccomi di nuovo! 
Ebbene sì, l'ho scritto davvero. 
Per chi non lo sapesse, questa storia è il seguito di Cloth Tattoo e non è semplice da seguire se non si è letto il prequel per alcune implicazioni collegate appunto alla prima storia. 
Spero che chi ha amato Cloth possa apprezzare anche questa e ringrazio tutti quelli che sono arrivati fin qui. Cercherò di non essere troppo lenta con gli aggiornamenti ma, vi prego, siate magnanimi! 
Un bacione grande a tutti e grazie ancora. 
Page. 

 
  
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