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Autore: Nina Ninetta    15/05/2018    10 recensioni
Viola è una ragazza disposta a tutto pur di conquistare il cuore della persona che ama, anche fare qualcosa di stupido come fraternizzare con il "nemico", ma talvolta ciò che noi detestiamo può rivelarsi un'autentica benedizione. La giovane si ritroverà a fare i conti con i problemi tipici degli adolescenti, un amore a due facce, un'amicizia persa e una madre emotivamente scompensata.
Genere: Generale, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 3
Tre prime volte

 
 
Il giorno seguente feci la stessa trafila: sveglia alle sei, autobus semi vuoto senza Christian a bordo, chiacchierata con la bidella Tina.
Entrai in classe quando ancora era deserta. Osservai i banchi sbiaditi dagli anni e dalle scritte marchiate e indelebili sulla superficie, promesse di amori e di amicizie non mantenute, la lavagna pulita, le ampie finestre dalle quali filtrava la luce del sole e s’intravedeva, attraverso i raggi, il pulviscolo librarsi nell’aria.
Mi sedetti al mio banco, seconda fila vicino al muro, e attesi, con l’ansia di dover dare spiegazioni a Jenny sul mio (ipotetico) fidanzato.
Se la sarebbe presa? Sicuramente.
L’avevo tenuta all’oscuro di quella relazione – secondo il suo punto di vista – e questo sarebbe bastato a farla incollerire nei miei confronti.
Sentivo che se avessi continuato su quella rotta avrei perso sia lei che Christian, ma in fondo non li avevo perduti già?
I miei compagni di classe iniziarono a fare capolino oltre la porta dopo qualche minuto. Saluti di rito, poi chini sui libri, ognuno preso dai fatti propri.
Stavo rileggendo il paragrafo di storia (avevo la sensazione che il professore mi avesse interrogato quel giorno, ma il mio istinto fallì miseramente), quando udii il rumore di una sedia trascinata sul pavimento. Alzai gli occhi nel momento in cui Willy vi si accomodava cavalcioni davanti a me, le braccia poggiate sullo schienale, un sorriso ebete sul volto.
«Buongiorno “Anna dai capelli rossi”. Siamo diventati mattutini ora?!»
«Che vuoi?» Gli chiesi, sforzandomi di usare un tono pacato e incurante, senza però alzare gli occhi dal libro.
«Non posso neanche passare a dare il buongiorno alla mia fidanzata?» Rispose, alzando volutamente la voce così che i presenti nell’aula potessero sentirlo, ovviamente il suo piano riuscì alla grande, poiché gli altri si girarono a fissarci.
Chiusi le oltre mille pagine di guerre e rivoluzioni con un tonfo e lo guardai male: il fatto che non si scomponeva mai mi irritava, era come attraversare a gambe nude un campo di ortica. Mi porse un bigliettino ripiegato:
«Cos’è?» Chiesi mentre lo scartavo, poi lessi una serie di numeri scritti con l’inchiostro nero, accompagnati da un cuore ben calcato.
«Il mio numero. Ieri non mi hai dato il tempo di dartelo.»
Avvampai. Ma stava scherzando?
Ripiegai il foglietto e lo feci scivolare sul banco, verso di lui.
«Tu stai fuori! Non so che…»
Jenny arrivò sbattendo il suo zaino sul banco. Entrambi ci voltammo a guardarla e io, di fronte ai suoi occhi castani che lanciavano scintille diventai piccola piccola.
Mi avrebbe ammazzato.
Come il giorno prima, Willy mi lasciò un bacio sulla guancia, chiudendo la mano su quella in cui tenevo il biglietto.
«Tienilo, stammi a sentire, potrebbe servirti» era diventato improvvisamente serio, quel sorrisino sfacciato era sparito, lo sguardo si era addolcito - di sicuro recitava la sua parte meglio della sottoscritta - poi si alzò, salutò Jenny che in tutta risposta lo fulminò con gli occhi, e uscì dalla classe.
La mia amica batté entrambi i palmi sul banco, iniziando a sussurrare in quel modo che sembra ci si stia trattenendo per non urlare a squarciagola. Jenny non amava dare nell’occhio, era sempre molto attenta a comportarsi in modo impeccabile, senza alzare mai la voce, neanche quando litigava. Tuttavia quella mattina sembrava davvero molto arrabbiata.
«Ti sei bevuta il cervello?» Iniziò.
«Ieri stavo per dirtelo, poi tu avevi così tanto da raccontare sulla tua nuova storia d’amore che…»
«Il problema non è il fatto che non tu mi abbia detto niente, Viola!» Si sedette, ora aveva il classico tono compassionevole e io avrei voluto tirarle il librone di storia in faccia. «Capisco che provavi vergogna nel confessarmi i tuoi sentimenti. Anche io non sapevo come dirti che ero innamorata di Cri-Cri» troppe cose insieme, mi sarebbe scoppiata la testa.
E il cuore. E lo stomaco per la rabbia.
Per me il problema era proprio quello invece: i sentimenti che provavamo tutte e due verso Christian e magari se una si fosse aperta con l’altra le cose sarebbero andate diversamente.
Forse.
E poi ancora con quel Cri-Cri! Cos’era? Un grillo?
«Viola, ascolta, sei sicura di quello che stai facendo?» Certo che non lo ero, che domande! «Quello lì …» fece un cenno con la testa verso la porta per indicare “quello che era appena andato via” «… non ha una bella reputazione. Vuole solo una cosa dalle ragazze.»
E io a quel punto non sapevo se sentirmi offesa o tirare un sospiro di sollievo, dal momento che a me quella cosa non l’aveva chiesta.
 
Trascorsi la settimana più brutta della mia vita.
La mia compagna di banco non faceva che ripetermi in quale mastodontico guaio – Jenny sapeva essere molto teatrale quando voleva inculcarti in testa una sua idea – mi ero andata a ficcare diventando la fidanzata di quello lì. Dopo due giorni avevo la lingua tutta dolorante per quante volte avevo dovuto morsicarmela ed evitare di sputargli in faccia la verità. Per non confessarle che l’unico guaio che mi era capitato in quell’ultimo periodo era la storia d’amore che lei stava vivendo con Christian. La mia non era una vera storia d’amore. La mia era una farsa, uno spettacolo messo su da due buffoni di corte.
Il ragazzo che amavo era invece diventato un’ombra nella mia misera esistenza, un fantasma che ogni tanto appariva per baciare la sua bella in pubblico, corrodendo un po’ alla volta il mio cuore, come un male che divora piano.
Era maledettamente doloroso.
La sceneggiata con Willy si era trasformata in una specie di routine. Passava a salutarmi in classe ogni mattina, accertandosi che Jenny fosse presente ed assistesse alla scena, a volte compariva dal nulla quando era certo che Christian potesse vederci mentre ci scambiavamo un bacio ingenuo sulla guancia, una carezza sul viso, un occhiolino di complicità. Il più delle volte, quando ci scontravamo da soli, lo prendevo a male parole e lui mi rimproverava di essere una pessima attrice, che si vedeva che non ero coinvolta, che dovevo fare uno sforzo maggiore se volevo che Chris si ingelosisse a tal punto da capire che mi desiderava.
Pura fantascienza. Più passavano i giorni e più mi convincevo che era tutto quanto così stupido!
 
Come se non bastassero le pene d’amore a mettermi di cattivo umore, era anche il periodo in cui mio padre aveva scoperto di essere un emerito cornuto.
Da giorni mia madre minacciava di andarsene di casa, di fuggire in piena notte con la sua nuova fiamma di dieci anni più giovane. Papà le intimava che prima o poi l’avrebbe soffocata con un cuscino mentre dormiva. A quel punto iniziavano a volare piatti e bestemmie, come in un film di telecinesi. I rancori di vent’anni di matrimonio stavano venendo a galla simili a relitti di una barca dopo la tempesta, mostrando i suoi cadaveri, i tesori che erano sembrati d’oro ma che altro non erano che di bronzo.
Ricordo che quella sera ero appena rientrata, dopo la mia consueta nuotata per distendere i nervi, e rimasi sullo zerbino, con le chiavi ancora in mano e la porta d’ingresso mezzo aperta. Non mi accorsi nemmeno di abbandonare il borsone di nuoto sul pavimento intanto che mi affacciavo in cucina, dove vidi mio padre e mia madre discutere animatamente, accusandosi a vicenda per la loro infelicità. Tornai sui miei passi e uscii di casa.
Il tramonto disegnava pennellate rossastre nel cielo e sulle facciate dei palazzi; camminai senza una meta, forse per chilometri, perché d’improvviso mi ritrovai davanti scuola. Avevo fatto trenta e pensai di fare trentuno, così raggiunsi la costruzione bianca della piscina che distava solo qualche centinaio di metri.
Tuttavia, quando mi accorsi che non avevo nient’altro con me, se non me stessa, mi accovacciai contro la parete laterale, illuminata dall’ultimo barlume di sole che filtrava attraverso il fogliame degli alberi.
Non avevo il costume per fare il bagno, non avevo il cellulare per telefonare a qualcuno (a chi poi?), non avevo soldi per prendere un autobus e tornare a casa. Rimasi così, con le ginocchia tirate al petto e la testa fra le braccia. Forse mi appisolai perché quando riaprii gli occhi il sole era del tutto calato a ovest e i lampioni erano accesi.
«Non dovrò darti un bacio per svegliarti, vero?» La faccia divertita di Willy era ad una spanna dalla mia.  «Tu non sei “La bella addormenta nel bosco”, tu sei Cappuccetto Rosso e Cappuccetto Rosso non si addormenta.»
«’Fanculo, non è aria. Smamma!» Tornai a nascondere il viso, ma lui non si mosse di una virgola, restando piegato sulle ginocchia.
«Cos’è successo Giallina? Ti manca il tuo amato?»
«Ti ho detto di andartene a ‘fanculo!» L’eleganza non era il mio forte, soprattutto quando mi trovavo lui come interlocutore.
«Dov’è la tua roba per il nuoto, Rosa?» Non gli risposi, lo sentii muoversi, forse cercava il borsone che non avrebbe mai trovato. «Dai vieni» lo guardai alzarsi e incamminarsi verso sinistra, poi si voltò di nuovo verso di me e mi invitò a seguirlo con un cenno della mano. Non so per quale motivo lo feci, ma gli trottai dietro come un cagnolino seguirebbe il suo padrone.
 
Entrammo nel campo da calcio attraverso una fessura della rete di protezione. L’erbetta era umida e nell’aria c’era l’odore della terra bagnata. Le luci che si proiettavano tutto intorno erano belle forti e se le fissavi ti accecavano. Non ero mai stata su un campo da calcio. Avevo assistito a tante partite solo per veder Christian giocare, ma ero rimasta rigorosamente sugli spalti o oltre la recinzione.
Willy corse verso un pallone abbandonato a qualche metro dalla porta di destra e lo calciò con forza, spedendolo direttamente in rete. Poi lo ammaestrò con i piedi e lo posizionò su un cerchio bianco dipinto sull’erba, spiegandomi che quello si chiamava “dischetto di rigore”.
«Lo so!» Esclamai facendogli una smorfia. Amavo Christian da così tanto tempo che pur di avere argomenti in comune con lui avevo imparato ogni virgola del regolamento del gioco del calcio.
«Provaci tu adesso» mi disse, facendo un passo indietro e indicando il pallone. Non ero proprio sicura e inizialmente rifiutai, alla fine però riuscì a convincermi, mettendola come sempre sul piano della sfida.
Calciai e la palla rotolò piano al lato del palo. Lui prese a ridere e io mi adirai. Tornai a posizionare la palla sul dischetto e questa volta tirai con maggior decisione, ma il risultato fu anche peggio, poiché la palla balzò contro la recinzione e tornò indietro, recuperata da un intervento di petto da parte sua.
«Prenditela se ci riesci» disse, sfidandomi a duello, mentre si toglieva il giubbotto e restava in T-Shirt verde militare, con un teschio stilizzato sul davanti.
«Io me ne vado» fu la mia risposta, ma quando sentii il pallone rimbalzarmi sul sedere mi girai a fissarlo male, mentre lui teneva un sorrisetto di scherno sul viso e la palla fra i piedi.
Mi ci gettai contro, iniziando a menare calci a destra e a manca, senza tuttavia riuscire a sfiorare mezza volta il pallone, che sembrava scomparire a riapparire fra i suoi piedi.
«Forza Bianca, prenditela!» Diceva e io mi arrabbiavo sempre più. «Forza Rossa, fatti sotto!» Lo tiravo per la maglia, provavo a mettergli lo sgambetto, ma niente. «Avanti Pel di carota!»
Alla fine mi accartocciai nei miei stessi piedi e lo trascinai sull’erba con me, finendogli addosso. Puntellandomi sul suo petto lo vidi scoppiare in una risata fragorosa, mi affrettai a togliermi da lui e a mettermi seduta, cercando di ricacciare indietro il rossore. Un po’perché ero affaticata, un po’ perché avevo toccato un ragazzo per la prima volta.
Lui in ogni caso sembrò non essersi accorto della mia vergogna o del fatto che i nostri copri erano praticamente appiccicati l’uno all’altro.
«Un giorno…» iniziò quando l’attacco d’ilarità passò «… diventerò un calciatore famoso in tutto il Mondo.»
Mi voltai e lo vidi ancora sdraiato, le mani sotto la testa, gli occhi puntati ai primi puntini luccicanti nel cielo brillavano. Mi sdraiai al suo fianco e dissi:
«Io vincerò l’oro alle Olimpiadi negli 800 metri stile libero.»
Restammo così per qualche altro minuto, senza parlare, senza punzecchiarci, semplicemente osservando il cielo, nella frescura dell’erba appena annaffiata e con l’odore di terra bagnata che mi aveva oramai invaso le narici.
 
Percorremmo insieme il tragitto che avevamo in comune per tornare a casa. I negozi in centro stavano chiudendo, le strade iniziavano a svuotarsi, le pizzerie a riempirsi. Avevamo proferito solo qualche parola, lui era tornato il solito di sempre, chiamandomi in tutti i modi possibili, io gli imponevo puntualmente di smetterla. Poi incontrammo Christian e il malumore tornò in un lampo.
In mano teneva la busta della gioielleria dalla quale era appena uscito, contenente un pacco regalo con una grande coccarda rosa e mi venne in mente che da lì a qualche giorno sarebbe stato il compleanno di Jenny.
«Viola posso parlarti un attimo?» Mi disse, come se Willy non fosse presente.
Ero pietrificata.
«L’accompagni tu a casa?» Gli chiese il mio finto fidanzato e Christian non poté che annuire. Ero pronta a ricevere l’oramai classico bacio sulla guancia, anzi questa volta sarei stata io a darglielo, Willy però mi sollevò il mento con le dita e posò la sua bocca sulla mia.
Era il mio primo bacio ed era successo con l’idiota che detestavo, davanti agli occhi del ragazzo che invece adoravo e con cui sognavo di scambiarlo.
Soprattutto, era il mio primo bacio e non era stato per niente come l’avevo immaginato.
  
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