CAPITOLO DIECI
“Non è che la serie dei
pontefici romani seguita a Gregorio Magno si distinguesse
per levatura
particolare(…).
Ma proprio questa
relativa mediocrità vale a confermare la forza e la qualità,
in sostanza il livello
accreditato alla Chiesa dall’impulso gregoriano.
La Chiesa
post-gregoriana continuava comunque
la via tracciata dal
grande pontefice,(…)”.
Maurilio Adriani,
L’opera di Gregorio Magno.
Adalberto accompagnò il ristretto gruppo di Romani fin alla
sua stessa curtis, la medesima che era stata di suo padre. Non aveva mai accettato
di trasferirsi a Mutina e dar sfoggio del suo potere.
I Winnili della sua fara si erano radunati tutti, donne
comprese, e ciò era cosa rara.
L’atmosfera era di festa, molto accogliente. Tutti
osservavano i soldati Greci, che ormai non badavano più alle armi ma studiavano
le persone che li circondavano, così simili a loro non solo nell’atteggiarsi,
bensì anche nel vestirsi. Molte donne indossavano gioielli raffinati(1) e
portavano croci al collo, simbolo della loro cristianità, ed erano molto più
pudiche degli uomini, sempre pronti a scherzare tra loro.
Con quell’atmosfera informale Adalberto aveva scelto di
accogliere gli emissari di Roma e Ravenna, che erano giunti alla loro
destinazione finale.
Il grande guerriero fece accomodare gli ospiti nella sala
della sua curtis, e lasciò che attorno a lui restassero solo il gastaldo e due
dei suoi più fidati arimanni, in abiti così belli e curati da far invidia a
gran parte dei nobili Romani. Tutti portavano almeno il simbolo della croce sui
loro vestiti.
Era giunto il momento tanto atteso da Rufillo, quello che
l’aveva spinto a compiere un viaggio lunghissimo, quasi proibitivo per un uomo
anziano e corroso dall’età come lui. Quando dopo alcuni gentili preamboli il
Vescovo si fece avanti e finalmente si fece consegnare dai suoi uomini il
ridotto forziere riccamente decorato che aveva portato con sé fin da Roma, si
commosse e gli venne da piangere.
“Maestro, aprilo tu al posto mio”, disse Adalberto, con il
suo portamento regale e placidamente seduto su un grande scranno intarsiato. A
Rufillo brillarono gli occhi, non aspettandosi così tanta magnanimità dal suo
signore.
Il monaco quindi si avvicinò al piccolo forziere, il cui contenuto
gli era stato giustamente precluso per tutta la durata del viaggio, e l’aprì
leggermente, con il cuore che gli batteva forte nel petto per l’emozione. Infine,
poté mettere le mani sulla magnifica opera che conteneva.
Si trattava di una bibbia degnamente rilegata, la cui pergamena
era stata scritta dal pontefice in persona. Un’opera curata dalle stesse mani
di papa Gregorio, colui che era già in odore di santità e che veniva onorato dai
fedeli con l’appellativo di Magno(2).
Se dapprima egli era stato cauto con i Longobardi, evitando
anche la conquista e il sacco di Roma, ora li omaggiava con quel fastoso dono.
La Chiesa era aperta a tutti, ormai, e abbattere ogni eresia era ciò che il
pontefice voleva, cercando l’unità del Credo.
Rufillo quindi poté toccare con le proprie mani il corposo
libro, quel volume che conteneva per filo e per segno ogni opera ritenuta sacra
agli occhi della cristianità cattolica. Teodolinda avrebbe ricevuto tale fonte
di sapere grazie alle mani del suo Duca più fidato, per il quale stravedeva; e
non era l’unica ad apprezzarlo.
Adalberto ormai aveva ai suoi piedi gran parte delle sue
suddite, per via del suo bell’aspetto, ed aveva generato con loro una
moltitudine di figli. Non avrebbero mai potuto succedere al padre ed essere a
tutti gli effetti degli uomini liberi, però avrebbero potuto vantare di avere
sangue nobile nelle vene, seppur barbaro(3). Barbaro fin quanto, poi?
Il monaco si rendeva conto che, con quel volume che stava per
consegnare a colui che anni prima era stato il suo protetto, lo stesso
pontefice di Roma donava il sapere anche ai Longobardi e li equiparava a quel
punto anche a tutto il resto della popolazione italica. Finalmente anche i
Winnili stavano venendo abbracciati dalla Vera Fede, al di là del paganesimo e
dell’arianesimo, e questo era da sempre stato il sogno del buon Rufillo, che
dal principio aveva rivisto in quegli uomini lo stesso spirito di Mosè e del
Popolo Eletto.
Quella che il pontefice aveva concesso era una sorta di
battesimo, coronato con quel grosso volume contenente tutti i testi sacri.
Flavio Massimo gliene aveva parlato, ma il monaco non aveva mai creduto che la
mole complessiva dello scritto fosse tale. E non c’era altro regalo più
prezioso di un libro sacro e scritto da mani così vicine a Dio.
“Grazie, Signore, per avermi concesso tale onore”, sussurrò
l’emozionatissimo Rufillo, con le dita impegnate nello sfiorare la superficie
irregolare dell’opera scritta.
Adalberto dovette fraintendere, poiché quelle parole erano
rivolte a Dio, eppure si lasciò sfuggire un sorriso che passò totalmente inosservato
all’emozionatissimo monaco, che riuscì solo a dedicare uno sguardo profondo
all’amico Vescovo.
Flavio Massimo lo osservava con un po’ di stupore, ma gli era
concesso, giacché per lui vedere un libro sacro e poterlo toccare era una cosa
quotidiana; non capiva che l’amico di infanzia erano anni che non riusciva a
scorgere parola che non fosse scritta da lui, al fine di aiutare il suo Duca a
imparare a comunicare anche attraverso la scrittura. Ma il longobardo era un
guerriero, certe cose sembrava che proprio non volesse apprenderle.
Infine, si rese conto con terrore che le sue lacrime piene di
commozione avrebbero potuto insozzare o rovinare il grande tomo, quindi
strofinò il suo viso sulla tela grezza che fungeva da veste per il suo misero
corpo rattrappito, e stando attento a non lasciarsene sfuggire altre, provò a
raccogliere il volume per porgerlo al Duca in persona.
Era così tanto scosso che non ci riuscì, e si ritrovò ad
alzare il capo con un’espressione sconvolta che si faceva spazio sul suo volto
provato dall’età.
“Duca, io non sono degno di riuscire a raccogliere il peso
della Parola di Dio. Tu sei uno dei suoi prescelti, assieme alla Regina, che
essa sia sempre santificata e che nelle chiese risuoni sempre il suo nome,
durante ogni benedizione. Siano le tue mani ad accogliere tale importante
raccolta di scritti”, affermò, discostandosi dal prezioso tomo e dal forziere,
ancora adagiato a terra.
Allora il Duca in persona si alzò, imponente, e si recò egli
stesso ad accogliere il libro tra le mani.
Si chinò e lo afferrò, alzandosi con un profondo sospiro.
“Questo libro è pieno di saggezza; sicuramente è per questo
che è così pesante”, sancì a sua volta, con un tono di voce molto serio, “suggerirò
alla Regina di custodirlo tra l’oro e le gemme, poiché esso è di valore inestimabile
e va conservato a dovere(4)”.
Tornò a volgersi verso il silenziosissimo Vescovo, uomo
timido che parlava davvero pochissimo di fronte a chi non conosceva bene, e che
sembrava non riuscire a relazionarsi con coloro che aveva ritenuto barbari fino
al giorno prima.
“Vi ringraziamo per ciò che ci avete consegnato. La mia Regina
è fiera di essere una fedele sostenitrice dei cattolici, ed io lo sono assieme
a lei”, ringraziò poi Flavio Massimo, che accolse il ringraziamento con una
leggera flessione del capo.
Adalberto, dopo aver rinnovato l’invito a restare alla sua
curtis almeno tutta quella notte, se ne andò baldanzoso con il libro tra le
braccia, seguito dal gastaldo(5) e dalle sue guardie fidate. Rufillo sapeva che
si comportava così da duro solo per far impressione al romano, tuttavia era
stato comunque molto cordiale e il Vescovo non poteva aver molto da
criticargli.
NOTE
(1)l’abbigliamento dei Longobardi è tutt’oggi stato
ricostruito grazie ai reperti ritrovati nelle tombe.
Al loro arrivo in Italia, entrambi i sessi vestivano in modo
semplice e pratico; vesti adeguate alle lunghe migrazioni, al nomadismo e ai
periodi di guerra. Ebbene, dopo mezzo secolo di permanenza nella penisola pare
proprio che il modo di vestire avesse iniziato a cambiare radicalmente,
influenzato dalla civiltà bizantina e romanica(io, nel testo, ho sempre
utilizzato il termine Romani per identificare la popolazione preesistente. Al
giorno d’oggi gli studiosi invece utilizzano il termine Romanici, poiché la
popolazione della nostra penisola stava già mutando cultura, lingua, usanze… ecc.
per via delle influenze barbariche. Al tempo i nostri antenati tra loro si
identificavano ancora come Romani, quindi ho scelto di mantenere nel mio
racconto un linguaggio fedele a quello dell’epoca dei fatti narrati).
I Longobardi inoltre erano espertissimi orafi, sapevano
costruire gioielli magnifici e già in quest’epoca pare stesse diventando molto diffusa
la produzione di croci(come molti corredi funerari dimostrano).
(2)stiamo parlando di papa Gregorio Magno, un pontefice che
cambiò la Storia della cristianità. Dapprima si preoccupò molto di organizzare
al meglio la Chiesa e i suoi possedimenti(gettò le basi per il potere temporale
che andrà a formare lo Stato Pontificio, realtà che resisterà fino all’Unità
d’Italia) e diede forte impulso al monachesimo.
Inizialmente, ebbe grosse difficoltà coi Longobardi e ne fu
nemico; riuscì tuttavia a sventare ogni offensiva longobarda verso l’odierno
Lazio organizzando difese presso Roma e proteggendone la popolazione. I bizantini
infatti non avevano fondi né mezzi per poterlo fare, nonostante queste terre
fossero formalmente loro.
Poi, in seguito, si avvicinò a loro; e proprio grazie alla
cattolicissima Teodolinda, che aprì finalmente le proprie porte al pontefice e
permise un’estesa permeazione del cattolicesimo tra i Winnili. Gradualmente
infatti si formò anche un clero longobardo, anche se, alla fine del dominio di
questo popolo, l’arianesimo e il paganesimo ancora presentavano numerose sacche
di resistenza sparse a macchia di leopardo.
(3)i Longobardi ebbero tantissimi figli concepiti con la
popolazione locale. I bambini nati da una unione tra un/a longobardo/a e un
romano/a non avevano alcun diritto, ed erano trattati alla stregua dei
sottomessi. Questo solo inizialmente; in seguito, il famosissimo Editto di Rotari
sancì che i figli nati da unioni miste dovessero avere i medesimi diritti dei
figli nati da coppie longobarde.
Questo però accadde solo quando il graduale impoverimento
genetico mise a serio repentaglio l’esistenza dello stesso popolo longobardo;
col passare del tempo, infatti, a seguito dello stanziamento in Italia e del
miglioramento dello stile di vita, i Winnili iniziarono ad avere sempre meno
figli, e lo stesso esercito infine si assottigliò così tanto che, per forza di
cose, cominciarono ad essere sottoposti a leva anche tutti i Romani sottomessi.
(4)Ehm, qui forse ho voluto un po’ strafare. Chiunque, tra
voi carissimi lettori, abbia a cuore la Storia longobarda, ben ricorderà la
vicenda riguardante la magnifica coperta dell’Evangelario di Teodolinda; si
tratta di una delle opere longobarde più importanti giunte fino a noi, oggi
conservata a Monza, nel Tesoro della basilica di San Giovanni Battista. Esso fu
infatti assemblato e preparato appositamente(in questo stesso anno) dai
migliori orafi Longobardi al fine di contenere e custodire i testi sacri della
Regina. Testi sacri che io ho fatto giungere grazie ai nostri personaggi.
Teodolinda in questo stesso anno farà anche battezzare suo
figlio, Adaloaldo(passato alla Storia come il Re Pazzo), con rito cattolico. Purtroppo,
come potrete intendere dal soprannome che gli fu attribuito, non fu un sovrano
fortunato.
(5)il gastaldo era l’amministratore del Re. In questo caso,
la sua presenza rappresenta simbolicamente la coppia reale longobarda(da
ricordare che in questi anni Teodolinda era sposata con Agilulfo, suo secondo
marito, dopo l’avvelenamento del primo. Eppure, la Regina aveva così tanto
conquistato i Duchi che non compiansero il defunto sovrano e le permisero di
scegliere ella stessa il suo nuovo sposo, e la sua scelta ricadde proprio sul
Duca di Torino. E’ una vicenda molto interessante perché conosciamo bene la
mentalità longobarda a riguardo delle donne; ma Teodolinda sapeva farsi amare
da tutti, e soprattutto apparteneva ad una delle famiglie ritenute più nobili
dell’intero popolo longobardo), giacché un viaggio verso Pavia(capitale dei
Longobardi) sarebbe stato pericolosissimo(se non impossibile) per i nostri. Per
cui, il fidatissimo Duca Adalberto(che essendo a capo di un Ducato di frontiera
ricopriva un ruolo importante), assieme al gastaldo, hanno preso sotto la loro
custodia l’opera e la faranno giungere in tutta sicurezza tra le mani della
sovrana.
Teodolinda ricevette molti doni dal pontefice, tra cui anche
una croce per suo figlio, a seguito del battesimo.
NOTA DELL’AUTORE
Ci stiamo avvicinando al finale. Spero che finora la vicenda
sia stata di vostro gradimento.