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Autore: queenjane    28/05/2018    3 recensioni
Era stato l'erede di un impero, suo padre una divinità. Avrebbe dovuto regnare su circa un sesto del mondo, l'abdicazione di suo padre lo ridusse in prigionia, lui e i suoi, madre e sorelle e amici. Era Aleksey Nicolaevic Romanov, un eroe. Un omaggio, Il diario di Alessio, quaderni e annotazioni. Go my Hero! Always and for always.Dal testo " Once upon a time, an Empress gave birth to a little prince, he was delicate, with sapphire eyes, a precious little one. His name’s Aleksey.. "
Genere: Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Periodo Zarista
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- Questa storia fa parte della serie 'The Dragon, the Phoenix and the Rose'
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Un assaggio da subito, che le condizioni sarebbero peggiorate. Al peggio non vi è mai fine, pensava Alessio, nel loro caso era una cauta perifrasi.
Che situazione.
Doveva venire un sacerdote, per la messa, non venne concesso “il privilegio”.
Scrollava le spalle dinanzi agli stolti, alla stupidità degli scemi, se lo imponeva.
Ahora y por siempre, ora e per sempre, il motto dei Fuentes, antico di secoli rotolava nella mente.
I tuoi antenati spagnoli lo avevano urlato nei decenni, nelle battaglie, come il tuo avo Felipe, che visse nel 1700, forgiato dai combattimenti, eroe e pirata, adoravo le sue gesta, l’illegittimo che diventò un principe. E quel motto scandito in un dorato settembre, te sottobraccio a Andres che passavate sotto una galleria di spade tese, riso e petali di rose.
Ridevi, eri bellissima,  le zagare tra le mani e i capelli, sorridevi ed eri una tortora che prendeva il volo ..“Fino alla fine del mondo” Ti sposavi.
Il nostro m0ondo  è ormai finito Cat.
Cat.

Alle mie sorelle è stato proibito di chiudere a chiave la loro stanza, io e il mio  marinaio infermiere siamo stati serrati.
Che idiozia. Se ero malato, avevo bisogno del medico, mica di una porta chiusa.
Ed era primavera,  i fiori incorniciavano i rami e i prati, desideravo cavalcare, correre senza freni,  avrei avuto 14 anni ad agosto, me lo meritavo, forse. Tranne che ero il figlio dell’ex zar, Nicola l’ultimo, e della sua cagna tedesca. Le colpe dei padri ricadevano su noi figli, in questo caso anche della madri. Mio padre aveva abdicato per sé e per me, una lesione senza ritorno dei miei diritti, mi aveva detto che non voleva separarsi da me e che non dovevo riscontare i suoi peccati “Come se non lo facessi ora, come se non lo facessimo ora” gli avevo urlato contro a Carskoe Selo, salvo calmarmi, era più mortificato lui  di me e tanto ne resto sempre convinto. Ha sbagliato.
In treno, poi, in battello prima, il lento corteo verso gli Urali più profondi.
Che ne sarebbe stato di noi?

Pierre Gilliard raccontò nelle sue memorie l’ultima volta che vide i principi imperiali a Yekaterinburg, nel Maggio 1918, dopo che erano giunti su un treno speciale, lo avevano separato dai suoi pupilli: " Il Marinaio Nagorny, che aveva cura di Alexei Nikolaevitch, passò sotto  il mio finestrino del treno, portando il ragazzo malato tra le sue braccia, dietro di lui venivano le Granduchesse portando le valigie e i loro piccoli averi personali. Cercai di uscire per aiutarle, ma venni trattenuto bruscamente dentro la carrozza.. Tornai al finestrino,  Tatiana Nikolayevna veniva ultima e cercava di tenere in braccio il suo cagnolino e lottava contro una pesante valigia scura. Pioveva e a ogni passo affondava nel fango.”
Dai quaderni di Olga Romanov alla principessa Catherine”..ti ho già scritto che i miei genitori e Marie ci hanno preceduto a Ekaterinemburg, mentre noi siamo rimasti, che Alessio ha avuto un attacco gravissimo di emofilia, forse il peggiore dopo Spala, qui metto quello che ho omesso, non per caricarti di un peso, ma renderti partecipe. Sembrava tentare il fato di proposito,  usava scivolare per le scale di casa su una tavola di legno, come una slitta e rimase ferito, una volata, all’inguine. Sapeva che poteva morire, e non ne aveva timore, la sua paura riguardava quello che potevano fargli e farci in prigionia. . Ha avuto la febbre altissima, dolori lancinanti, delirava e  parlava di essere stato a galoppo a cavallo, di avere sparato e che non era successo nulla, di un bosco, una valle incantata piena di luce e fiori, di un cavaliere che andava incontro all’orizzonte, suo unico limite il mondo e non altro. Ha invocato per ore il tuo nome, Catherine, Cat, fino allo spasimo, ti voleva, diceva che lo avevi sempre tenuto al sicuro, che eri come la fortezza di Ahumada, che proteggeva tutto e tutti..

La nuova prigione era circondata da un alto muro, le finestre sprangate e verniciate di bianco, tranne una, le guardie e il loro comandante li insultavano in modo costante, entravano nelle stanze in ogni momento,giorno e notte, senza differenze, sempre, di sottofondo barzellette e canzoni oscene, frugando tra gli oggetti, portando via quelli che ritenevano più interessanti e di pregio. 
 Andare in bagno era un incubo, le pareti scrostate erano ornate di disegni pornografici che rappresentavano Alessandra e Rasputin, il monaco siberiano che sancivano essere stato suo amante nelle più sconce posizioni.
La colazione era dopo le preghiere, pane nero e tè, il pranzo una minestra e poco più, i guardiani non si peritavano a togliere il piatto allo zar o prendere con le mani luride dei bocconi.
A casa Ipatiev, Olga e le sue sorelle dovevano provvedere da sole a lavare la propria biancheria e impararono a fare il pane.
A turno, le ragazze facevano compagnia alla madre e al fratello, che era sempre confinato a letto e soffriva per il suo ultimo incidente, non si alzava e non camminava.
 Appena giunto nella nuova prigione si era fatto male ad un ginocchio, cadendo dal letto..come se lo avesse fatto di proposito, annotò lo zar nel suo diario, una nuova crisi che si sommava alla precedente. Quella notte non aveva dormito per il male e nemmeno i suoi, straziati dai suoi lamenti.
Per i testimoni, Olga appariva depressa e smagrita, pallida e sottile, come ebbe a dire una delle guardie, Alexander Strekotin, nelle sue memorie, e trascorreva molto tempo con il fratello, uscendo poche volte nel giardino, circondato da una alta palizzata.
Un’altra guardia annotava che quando camminava fuori, spesso il suo sguardo era tristemente fissato sulla distanza, in un passato che non poteva più tornare. Il marinaio Nagorny, che era rimasto sempre con loro, devoto ad Alessio in ogni battito e respiro, venne allontanato e messo nella locale prigione, ove fu poi fucilato, dopo che aveva protestato per il trattamento inflitto ai prigionieri e la ennesima ruberia, volevano sottrarre a un ragazzino malato una catena d'oro che reggeva  delle sacre immagini.. ( è facile essere smargiassi verso un inerme...e Alessio si era difeso sferrando calci e pugni, tre contro di lui, attaccava per difesa)
“Chi ti ha insegnato?” chiese Anastasia, allibita, ammirata “Lo sapevi fare.. i pugni, i colpi..”gli aveva fatto un occhio nero e.. bravo, Aleksey”
Mi devo difendere, devo fare da solo .. Non è giusto ..
“ E gli stavi rompendo la mascella” “Andrej.. lui era amico mio, lo sai, mi ha insegnato” guardandosi le nocche.
Era ancora amico suo, pensò, forse. Sentendo che le guardie arrestavano Nagarny, che aveva appena avuto il tempo di mormorare un “Arrivederci, Zarevic”gli era venuto voglia di piangere e non lo aveva fatto..
Era diventato paziente. Seduto, si massaggiava la gamba. “Alexei .. ti fa male?”
“No”
“Invece sì..”
“Vedete sempre il dolore, ma mica c’è” Non lo voleva dire, voleva stare bene e contro ogni logica ci sperava, in modo remoto, si confermava lui per primo che era un illuso “Pensi che ce la farò?” Una volta a sua sorella Tatiana“Certo” “Bugiarda.. allora mi aspetto di vedere Cat”Una cosa impossibile, se non improbabile,  visto che lei era in Spagna. E peraltro aveva fatto bene. Tatiana tacque, quella era una opzione irrealizzabile.
L’inappetenza continuava, mangiare era una tortura e non era un capriccio, come quando era piccolo .. Ma se non assumeva cibo si indeboliva ancora di più, lo sapeva, ci provava ma quel piatto proprio non riusciva a ingollarlo. Il cuoco propose una altra opzione, più delicata, per il prossimo pasto, pagando il tutto di tasca sua, ma Alexei non volle, non dovevano spendere per lui. Cercava di non mollare ed il compito era arduo.
Sempre in quel giugno, a padre Sergei Storozhev venne chiesto di celebrare una messa a casa Ipatiev.  Rimase allibito nel vedere Alexei, che stava sdraiato su un lettino da campo. Era pallido fino  a parere trasparente, magro, e  si intuiva che era molto alto per la sua età, la coperta che lo ricopriva dalla vita in giù non celava la  sua statura. Solo gli occhi erano vivaci e brillanti, fissarono il prelato con curiosità. Una persona nuova. Vicino a lui sua madre, seduta su una sedia, vestita di blu scuro, senza gioielli. Il sacerdote annotò che la sua postura era “maestosa”, salvo poi riferire che pareva inferma, appena in grado di gestire le sue emozioni durante la funzione. 

Ti aspetto, so che ti rivedrò, almeno una ultima volta. 
O in questa vita o in paradiso
   
 
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