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Autore: Calia_Venustas    28/05/2018    1 recensioni
Si dice che gli Dei siano tutti morti nella grande battaglia del Ragnarǫk, ma Loki, Padre delle Menzogne e di figli mostruosi è sopravvissuto e ancora si aggira, invecchiato e stanco, per il nostro mondo. Per generosità o forse per sfuggire alla noia, decide di privarsi dell'ultima mela di Iðunn, l'unico modo di allungare ulteriormente la sua esistenza millenaria, per salvare una perfetta sconosciuta da un terribile incidente che lui stesso ha causato.
Genere: Drammatico, Fantasy, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Mpreg, Tematiche delicate
Capitoli:
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Leandra aprì gli occhi.

Le sembrava di aver dormito per mille anni e si sentiva completamente intorpidita. Sollevò a fatica la mano destra per portarsela alla fronte bruciante di febbre. La testa le girava e sulla lingua sentiva un disgustoso sapore dolciastro, come di frutta così matura da essere quasi marcia.

I suoi pensieri erano confusi, un vortice di ombre e luci, Steven che la chiamava, i fari accesi nella notte, gli alberi, la foresta, il sangue.

Schizzò a sedere, tastandosi il ventre con incredulità. Sotto la maglia azzurra e sporca vi era soltanto un addome liscio screziato di smagliature. Il peso che per sette mesi l’aveva accompagnata era sparito, la nausea era sparita, così come il dolore.

Aveva partorito sotto anestesia? Era svenuta? Non ricordava niente… si guardò intorno con circospezione, il nome di Steven sulla punta delle labbra, pronto a sfuggirle in un richiamo inquieto. Ma tacque, rendendosi conto di non essere in una camera d’ospedale nè in nessun altro posto a lei familiare.

La stanza era interamente costruita in legno grigio e levigato, come quello ricavato dagli alberi che sono andati alla deriva in mare per troppo tempo. Non vi erano finestre e il letto su cui era adagiata odorava di paglia e salsedine. Alle pareti, ampi arazzi scoloriti e sfilacciati davano all’ambiente un’atmosfera antica ed inquietante, così come faceva la lampada ad olio posata su una sedia a fianco del letto. Sembrava una stanza rimasta a lungo in disuso ma che qualcuno s’era frettolosamente premurato di ripulire.

Non aveva la minima idea di dove si trovasse.

Né di dove fossero Steven e… i bambini.

Vacillando sulle ginocchia, Leandra si alzò in piedi combattendo l’attacco di panico che stava per assalirla. I suoi piedi nudi fecero scricchiolare le assi del pavimento mentre con passi incerti raggiungeva la porta, serrando le mani pallidissime sulla maniglia d’ottone.

“Steven?”

La porta era aperta e la donna si trovò di fronte un lungo corridoio punteggiato da porte e stanze identiche a quella in cui si era risvegliata.

Avanzò esitante, guardandosi alle spalle con circospezione temendo che qualcosa potesse aggredirla ma nei paraggi non sembrava esserci anima viva. Il corridoio fievolmente illuminato era vuoto e silenzioso, soltanto lo sciabordare delle onde sembrava penetrare le spesse pareti di legno slavato.

Leandra abbandonò lo schiena contro la parete per combattere le vertigini improvvise. Erano l’avvisaglia di un altro svenimento oppure il pavimento si stava davvero muovendo? Le pareva che oscillasse impercettibilmente, come il ponte di una nave.

Ovviamente era assurdo. Come diamine ci era arrivata sulla costa? Per quanto tempo era rimasta incosciente? Chi l’aveva portata lì? Le domande si accavallavano l’una sull’altra nella sua testa, impedendole di pensare lucidamente. Doveva esserci una spiegazione razionale. Eppure, più camminava, oltrepassando una stanzetta dopo l’altra più si convinceva di trovarsi realmente nella stiva di un’antica nave. Tendendo l’orecchio, le sembrava persino di sentire il grido dei gabbiani.

Cominciò a correre, diretta verso le scale che aveva scorto all’estremità opposta del corridoio “Steven! Steven dove sei?! Cosa sta succedendo?!” chiamò, sempre più angosciata, incerspicando sui ripidi gradini finché non sbucò all’aria aperta e il pallore del sole della mattina l’accecò, costringendola a sollevare un braccio per proteggere gli occhi dal riverbero.

Il vento carico di salsedine le riempì i polmoni, gonfiandole i capelli neri. Col fiato corto e gli occhi sgranati, Leandra si guardò intorno, girando su sè stessa per razionalizzare il panorama sconcertante che le si era appena parato davanti. Il Mar Celtico s’increspava in lunghe onde grigie davanti a lei mentre alle sue spalle s’ergeva un’immensa formazione rocciosa ricoperta di erba ingiallita dal sole. Alghe morte e ricci di mare ricoprivano gli scogli tra cui la nave su cui si trovava era incagliata e le sue vele stracciate garrivano al vento come stendardi sulle torri di un castello.

Un alto corrimano scolpito separava il ponte dalle fiancate spioventi e a poppa, seduta sulla polena a picco sull’oceano come se niente fosse, stava una figura solitaria vestita di nero.

Le spalle larghe lasciavano intuire che si trattasse di un uomo, ma i lunghi capelli fulvi che sfuggivano dal cappuccio calato sugli occhi suggerivano il contrario. Chiunque fosse, non sembrava essersi accorto della sua presenza, intento com’era a contemplare qualcosa che teneva stretto tra le braccia.

“H-hey…” esordì la donna facendo un passo in direzione dello sconosciuto “Vi prego, ho bisogno d’aiuto. Non so dove mi trovo e-”

“Shh. Sta dormendo.” la zittì lui voltantosi lentamente, un dito lungo e pallido premuto sulle labbra.

Fu soltanto allora che Leandra realizzò che il fagotto che l’uomo (perché sì, di un uomo si trattava) teneva in braccio era un bambino in fasce.

“E’ una bellissima bambina. Congratulazioni, Leandra.”

Leandra sentì un brivido correrle lungo la schiena “Chi… chi è lei? Come sa-?” farneticò, ancora troppo scossa per formulare frasi coerenti.

“Mi sono permesso di frugare nelle vostre cose, ho letto il nome sul passaporto. Ho già contattato l’ospedale, un’ambulanza sarà qui nel giro di venti minuti.” rispose placidamente lui, rimettendosi in piedi senza però abbandonare il suo posto all’estremità della nave. “Anche se vedo che vi siete completamente ripresa. E’ un vero sollievo. E, come vedete, anche la piccolina sta bene.”

Leandra fece rimbalzare lo sguardo tra lo strano volto dell’uomo e quello seraficamente addormentato del neonato. “Piccolina…?”

“Oh sì, è una signorina. Una vera combattente, se posso permettermi. Non ha fatto altro che tirare calci da quando è venuta al mondo. Sorprendente, considerando quanto è piccola.”

La donna scosse il capo come per schiarirsi le idee, la testa che ancora le dava fitte dolorose. “E’... mia?”

“Non la vuole?”

Quella risposta velata di sarcasmo la riportò coi piedi per terra “Risponda alla mia domanda!” sbottò, coi nervi a fior di pelle.

L’uomo sorrise e Leandra provò un’istintiva repulsione per quel ghigno troppo largo impresso su labbra ricoperte di cicatrici.

“Sì, è sua figlia. Mi sono preso cura di lei mentre era incosciente, ma dovrebbe allattarla al più presto, appena si sveglierà, è molto debole. La poverina stava morendo di fame.” Così detto, lo sconosciuto coprì la distanza che lo separava dalla donna dai capelli corvini, scavalcando il corrimano senza alcuno sforzo.

Leandra lo guardò avvicinarsi senza dire niente, ma dovette combattere l’istinto di indietreggiare. Qualcosa nella sua figura le incuteva un timore che andava ben oltre la diffidenza che chiunque con un briciolo di buon senso proverebbe per un perfetto sconosciuto in una situazione così surreale.

Era alto e magro, probabilmente sopra il metro e novanta. La sua postura curva e il naso aquilino ricordavano a Leandra le fattezze di un uccello, forse un corvo, forse uno sgraziato avvoltoio. Aveva mani grandi e nodose, indurite dai calli, ma la cosa che più di ogni altra catturò l’attenzione della donna furono le vistose cicatrici che gli sfregiavano le guance e le labbra. Le prime sembravano bruciature, forse causate da uno schizzo d’acido. Le seconde erano strani fori ormai cicatrizzati tutt’intorno alla sua bocca, equidistanti, decisamente troppo simmetrici per essere causati da una qualche malattia della pelle.

Era come se qualcuno gli avesse cucito le labbra per impedirgli di parlare.

A quel pensiero, Leandra rabbrividì.

Lo sfregiato le mise la bambina tra le braccia, scostando un lembo della copertina di lana per scoprire il visino roseo e paffuto. Per essere prematura di due mesi, era tutto sommato piuttosto pesante e nel sentire il suo cuoricino batterle contro la mano, per un solo istante, Leandra dimenticò la situazione assurda in cui si trovava e rimase imbambolata a fissare la piccola. L'istinto materno che combatteva ferocemente con la sua razionalità e il bisogno di comprendere cosa fosse succeso. Alzò gli occhi di scatto “Dov’è sua sorella?”

L’uomo chiuse gli occhi, sospirando con fare rassegnato. “Fratello. Era un fratello. E non ce l’ha fatta, mi dispiace.”

Leandra si aggrappò al braccio dello sconosciuto come se quel contatto l’aiutasse ad incassare meglio il colpo. “Dov’è?”

“Ai cancelli di Hel, immagino.” (“At Hel’s gates, I suppose.”*)

“Cosa…?” balbettò lei tirandolo ancor di più a sè, stavolta con forza, costringendolo a guardarla.

“E’ nato morto, Leandra. L’ho seppellito. Credetemi, non avreste voluto vederlo.” Mentì lui. In realtà aveva bruciato il corpicino come si confaceva ad un innocente. Meritava un funerale degno, meritava di incamminarsi senza peso verso Helheim, non di marcire in una cassa di legno dopo un vacuo funerale cattolico. Loki non era mai stato molto presente come padre, ma amava molto i suoi figli e Hel, la Signora dell’Oltretomba, era senza alcun dubbio la sua figlia preferita. Mentre bruciava il corpo del neonato sulla battigia sassosa aveva rivolto una muta richiesta proprio a lei, che non vedeva da così tante lune, pregandola di accogliere quel piccolino che non aveva conosciuto altro che il ventre materno.

“Come- perchè?! Ho il diritto di sapere cos’è successo al mio bambino! Chi mi ha fatta partorire? Come sono finita qui!?” gridò Leandra continuando a scrollarlo. La bambina che teneva in braccio si svegliò e iniziò a piangere a squarciagola, costringendo Leandra a lasciar andare il Dio dell’Inganno per accostarsi la bambina al petto. “Rispondimi!”

“So che siete sconvolta.” disse lui in un sibilo. “Ma non m’importa. Tra poco andrete per la vostra strada e io per la mia. Non c’incontreremo mai più, perciò non perdete tempo con domande come queste. Anche se vi rispondessi, non mi credereste.”

“E allora dovrei credere che un’ambulanza verrà a prendermi in questo posto sperduto? Per quanto ne so, potresti avermi rapita! Potresti aver preso mio figlio e-!”

Lui s’abbassò il cappuccio, ravviandosi i foltissimi capelli rossi striati di grigio. Doveva avere all’incirca quarant’anni, forse cinquanta, difficile dirlo visto che il suo viso era così deturpato, ma i suoi occhi brillavano di una vivacità sorprendente. E c’era qualcosa di oscuro nel blu oceano delle sue iridi. Qualcosa che a Leandra non piaceva affatto.

“Verranno. Non vi ho rapita, vi ho salvata. Non ho preso vostro figlio, l’ho solo indirizzato verso l’altro mondo. Queste sono domande a cui posso rispondere. Adesso però dovreste riposare e prendervi cura della bambina. Ha molta fame e i vostri seni sembrano colmi di latte.” Così detto, Loki fece per voltarle le spalle ed allontanarsi, ma lei lo prese in contropiede “Voglio un cellulare.”

“Temo che il vostro si trovi ancora nell’auto.”

Leandra si morse le labbra, la bambina che ancora s’agitava tra le sue braccia.

Giusto, l’auto!

La pioggia, gli alberi... l’incidente!

“Dov’è mio marito?” le parole le uscivano a fatica, un’ombra le gravava sul cuore, le ginocchia si fecero improvvisamente deboli. Temeva di conoscere la risposta. Se lo sentiva nelle viscere ed era sul punto di svenire, o vomitare. Forse entrambe le cose. Una goccia di sudore freddo le scese lungo la tempia.

L’espressione sul volto dello sfregiato restò immutata. “E’ morto.”

Tornò a darle le spalle “Non ha sofferto. Non credo ne abbia avuto il tempo.”

“C-come lo sai…? Rispondimi maledizione!” strillò lei cadendo in ginocchio, lacrime calde e pesanti che le rotolavano giù dagli occhi mentre la bimba strillava e si dimenava sempre più forte, spaventata e confusa.

“E’ me che avete investito.”



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NOTA DELL'AUTRICE: Grazie per aver letto fin qui! Certo, in questo secondo capitolo Leandra non brilla di certo ma si trova in una situazione alquanto surreale e non voglio ignorare quanto scossa si senta in questo momento. Loki già inizia a farsi vedere per il bastardo che è, ma al tempo stesso spero di essere riuscita a comunicare che sotto sotto non ha cattive intenzioni. Semplicemente non vuole avere a che fare con la povera umana più del necessario ma, capriccioso com'è, ha imposto al gemello della piccolina appena nata un servizio funebre in stile vichingo con i controfiocchi. Approfondirò successivamente il perchè di questa scelta apparentemente un pò campata per aria ma per adesso vi basti sapere che ha a che fare con Hel.
Ci vediamo nel prossimo capitolo!

- Calia
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