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Autore: swimmila    29/05/2018    7 recensioni
Quel vestito che Oscar si è rifiutata di indossare per difendere la principessa austriaca in arrivo sulle sponde del Reno. Ora non ha scelta. Dopo tanti anni quella Francia non è più la stessa....Manga, anime, tutto mischiato insieme. Anche le carte della cronologia degli eventi
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: André Grandier, Axel von Fersen, Generale Jarjayes, Oscar François de Jarjayes
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Maledizione a te, Jeanne

“Ahi, non stringere più! Così mi impedisci di respirare”
“Sta dritta! So io come vanno certe cose”
“Che cosa stai facendo ai miei capelli?”
“Sta zitta! E’ così che dovresti pettinarli tutti i giorni.”
Lascio che Nanny mi torturi con i suoi strumenti da aguzzina. Dopotutto sono abituata ai sacrifici. A compiere sempre il mio dovere. Anche quando non vorrei.
Dopo lo scandalo della collana e le famigerate memorie di Jeanne De La Motte i libellisti hanno trovato un nuovo, succoso argomento da spremere con la loro triviale fantasia: la bisessualità della Regina. E così, stasera, per colpa di quella donna irriducibile, non ho scelta. Mi presenterò al ballo a corte vestita da donna.
Un ricordo lontano mi strappa un sorriso sarcastico. A quando mio padre tentò, senza riuscirci, di mandarmi alla mia prima missione vestita da principessa. Chi l’avrebbe mai detto che dopo tanti anni quei merletti e quei pizzi sarebbero stati più opportuni di una uniforme, per compiere il mio dovere?
Maledizione a te, Jeanne De La Motte!
 
“André, vieni a vedere la nostra Oscar vestita da donna”
La voce stridula di mia nonna si intromette nel mio nervosismo.
Oscar vestita da donna. Non posso crederci. Eppure, mentre l’idea prendeva corpo, oggi pomeriggio, nelle scuderie, è apparso subito chiaro ad entrambi che non c’era alternativa. Hai provato a ribellarti. Eri già pronta a sfogare il tuo disappunto nel modo in cui hai sempre fatto, sin da bambini. Ma poi, i pugni già a mezz’aria, ti sei fermata. Mi hai guardato. E la cupezza, nei tuoi occhi, si è dissolta in un sorriso appena accennato. Che mi ha sconvolto. In quel sorriso composto c’era tutta la nostra eterna complicità. La nostra profonda amicizia. La nostra silenziosa capacità di comprenderci. Il nostro legame indissolubile. Il tuo modo di darmi ragione. In quel sorriso c’era il tuo amore per me. E la tua paura a riconoscerlo.
Ho sentito le lacrime lambirmi gli occhi. Ho ringraziato l’incedere dell’oscurità che te le ha nascoste. Ti sei voltata e sei sparita insieme al sole, oltre l’orizzonte. Avrei voluto urlare la mia gioia e il mio dolore. Invece sono rimasto muto. Ho stretto la spugna dimenticata in mano, con cui stavo strigliando Alexander. Grondava inquietudine  e tristezza.
“Si, si, nonna. Arrivo”.
 
Sono senza fiato. Letteralmente.
Sei in cima alle scale. Io in fondo. Il tuo sguardo cerca il mio, prima di iniziare a scendere cauta i gradini. Il mio si incastra nel tuo, a guidarti fino a me. Temo seriamente di morire. Può la bellezza essere così immensa da far scoppiare un cuore umano, incapace di contenerla tutta?
Un velo di imbarazzo ti scalda le gote che non hai permesso a mia nonna di imbrattare col belletto. Stai maledicendo gli eventi che ti hanno portata a doverti vestire in questo modo per te ridicolo, ne sono certo. Io, invece, li benedico, consapevole che non avrò altra occasione, in tutta la mia vita, di vederti indossare un abito come questo. Vivrò per sempre del ricordo di questa visione.
Sei lì, in fondo alle scale. Trovo il tuo sguardo e ci rimango dentro. Perché mi sento così agitata? E’ questo ingombrante vestito che mi innervosisce così? Il disappunto per non aver potuto, per una volta, contare sulla mia divisa per fare il mio dovere? Non sono sicura di non ruzzolare giù per le scale, con queste scarpe ridicole. Vorrei che mi tenessi per mano, André. Ma che sto vaneggiando? Ho affrontato ben altri pericoli che una scala e un paio di tacchi!
Arrivi ad un gradino da me. Attorno a me, un silenzio obnubilato dalla mia mente in panne. Se qualcuno parlasse, in questo momento, non me ne renderei conto. Non sono consapevole di aver alzato una mano e di avertela porta, ma sento le tue dita sfiorare il mio palmo e capisco che ho perso il contatto con la realtà. Apro la bocca per provare a dirti quanto sei bella. Ma non è mia la voce che risuona.
“André, che cosa fai lì imbambolato. Accompagna la nostra splendida Oscar al ballo.”
L’ordine del Generale Jarjayes s’infrange su di me come una secchiata d’acqua gelida. Mi scuoto dal mio stato di torpore. Stringo dolcemente la tua mano nella mia. Mi sorridi. Poi il senso del dovere taglia di traverso il tuo sguardo.
Finalmente sono alla fine di questa dannata scala. La tua mano è lì ad attendermi e la mia è già allungata a mezz’aria che brama quel porto sicuro. Porto sicuro. Ma è questo vestito che mi fa blaterare? Mi scuoto.
“Forza, André, andiamo. Sai che non posso fare tardi quando sono in servizio.”  Finalmente una frase sensata.
 
Sono già in carrozza. André sta per salire a cassetta ma ad un tratto lo sento fermarsi. Senza affacciarmi dal finestrino odo parlare a bassa voce. E’ mio padre. Mi sporgo, nell’istintivo tentivo di cogliere quella conversazione. Qualcosa, nell’atteggiamento di mio padre, mi incuriosisce. La mia curiosità diventa stupore quando lo vedo posare entrambe le mani sulle spalle di André, in un gesto troppo confidenziale per contenere la solita raccomandazione alla mia incolumità. Che mai come questa sera sarebbe fuori luogo. L’unico pericolo che corro, stasera, è di slogarmi una caviglia.
Nel mutismo di André percepisco la sua sorpresa per quel gesto inusuale di mio padre. Ma lui, al contrario di me, sa cosa significa.
 
La contessa Oscar François de Jarjayes.
Quello stupido del primo valletto di sala mi annuncia col titolo nobiliare, invece che col grado militare. Ma cosa crede, che sia qui per divertirmi? Questa sera il Comandante Oscar François de Jarjayes è in servizio e sta compiendo il suo compito di proteggere i sovrani.
Ignoro il coro di esclamazioni degli uomini; i sussurri isterici delle donne. Cerco con gli occhi il solo uomo per cui sono qui. Lo vedo, in fondo alla sala. Mi sta fissando. Il suo proverbiale contegno lotta contro uno sguardo che vorrebbe sgranarsi nella meraviglia, nell’ammirazione. Ricambio quel lungo sguardo. Ma il mio non è quello di una dama che sta per tuffarsi nel vortice delle danze. Lo fisso con occhi militari, con espressione impassibile. Sono in servizio, e non mi è permesso mostrare alcuna emozione. Non me lo hai detto tu, André, quando hai fermato la mia mano che voleva vendicare il tuo occhio?
Le loro maestà, il re e la regina.
Maria Antonietta avanza verso di me con il suo incedere meraviglioso. Sembra che voli, sfiorandolo appena, sul pavimento lucido del salone delle feste. Nessun’altra donna, qui a Versailles, è mai riuscita ad eguagliare tanta leggiadria.
Mi inchino. Per un attimo sto per fare un passo indietro e flettere un ginocchio in avanti, come d’abitudine. Ma mi ricordo appena in tempo che stasera devo muovermi come una donna.
Maledetta Jeanne!
“Oscar. Ma che sorpresa! Siete meravigliosa in abiti femminili.” Le parole della sovrana sono sincere come l’affetto che le brilla negli occhi. Poi, da deliziosa donna qual è non sa nascondere un sorriso civettuolo, dietro il ventaglio “Credo che tutti gli uomini qui presenti stiano morendo dalla voglia di danzare con voi.” E la sua risata, appena accennata, diventa cristallina.
Alzo lo sguardo sulla sua bellezza. Sento l’invidia dei presenti trafiggermi come spade. La regina non ha ancora rivolto la parola ad altri che a me.
“Siete troppo buona, con me, Maestà.”
“E ditemi, Oscar, con quale fortunato cavaliere avete intenzione di danzare, questa sera?” Il suo animo birichino non può fare a meno di giocare con la novità di vedermi in abiti femminili. La guardo e mi sento invadere da un moto di affetto e di disperazione. Perché la Francia non sa di avere un angelo sul suo trono? Perché siamo arrivati a questo punto?
I miei occhi si volgono verso la figura pingue del sovrano, accanto alla mia regina. Solo ora mi ricordo di non avergli ancora rivolto il mio rispetto. E’ un errore. Vedo l’espressione spenta del re allarmarsi di un fremito improvviso. Intuisco i suoi pensieri e non sono sicura di riuscire a spegnere completamente la risata che mi sale in gola.
Mi affretto a rispondere, prima che Sua Maestà Luigi XVI sia colto da malore.
“Maestà, con il vostro permesso non vorrei fare attendere il mio cavaliere.”
 
“Conte di Fersen, devo ballare con voi tutta la sera, e spero capiate il perché”.
Le mie parole, sussurrate a bassa voce, hanno il suono minaccioso di un ordine.
Il mio fortunato cavaliere mi guarda dapprima con divertimento. Poi nel grigio dei suoi occhi si fa spazio la gratitudine. Gli angoli delle sue labbra si alzano in un sorriso. Sembra un brindisi. Ha capito. Non ne dubitavo.
“Vi ringrazio Oscar.” Mi sussurra, sottovoce. Poi, alzando il tono “Sarà un onore per me danzare con voi, Contessa de Jarjayes.”
 
Sono ore che Oscar è nelle braccia di Fersen. La donna più bella di Francia. L’uomo più bello del Nord Europa. Volteggiano leggeri, allacciati in una danza solitaria, circondati dagli sguardi invidiosi di tutti gli invitati. La regina non smette di osservarli. I suoi occhi, quando si posano su Oscar, sono colmi di riconoscenza. Ma sfiorano appena la figura di Fersen, senza indugiarvi troppo per paura di tradirsi. Qui a Versailles gli sguardi sono più pericolosi delle parole.
Io, invece, ti guardo grondando amore.
Mi chiedo cosa stai provando nelle braccia dell’uomo di cui per anni sei stata innamorata. E che forse ami ancora. Forse. So che sei al corrente delle voci che circolano su di lui. Sulle sue numerose relazioni. In patria, come qui in Francia. Sono tutte vere. Ma io non mi sento di biasimarlo. So cosa vuol dire bruciare di un amore impossibile. Ho pensato anch’io più di una volta di stordirmi dell’appagamento di donne consezienti. Ma alla fine ho preferito sempre l’alcol. Tu, invece, ti mostri infastidita quando fai finta di non imbatterti in quei pettegolezzi. All’inizio ne soffrivo. Ma col tempo ho cominciato ad accarezzare la speranza che da quel fastidio trarrai la forza per tirarti fuori da questo amore. A volte, durante le nostre bevute nei locali dove mi chiedi di portarti, o dove mi segui, ti ho vista aggrottare le sopracciglia, arricciare la bocca al solo sentire pronunciare il suo nome. E io non so se è il tuo amore ferito o in guarigione a farti reagire così.
Ti guardo, amore mio. E mi dico che le tue braccia esili e delicate sulle sue spalle fanno parte del tuo dovere di Comandante delle Guardie Reali. Mi dico che se non fossi stata costretta dagli eventi, mai avresti cercato quelle spalle sotto le tue mani. Quelle mani forti sulla tua schiena.
Passa un cameriere con un vassoio di bicchieri colmi di vino. Ne afferro uno al volo. Lo tracanno in un sorso unico. Alla fine, preferisco sempre l’acol.
 
Fersen mi sta stringendo fra le braccia. I suoi sguardi mi stanno accarezzando. Le sue labbra stanno parlando di me, con me, per me. Mi impongo di mantenere un atteggiamento impassibile. Ma ogni tanto cedo. Cedo alla gradevolezza della sua conversazione. Alla prontezza delle sue battute di spirito. Alla vivacità della sua mente. E arrivo a ridere. Apertamente. Come non dovrei mai fare, in servizio. Ma stasera il mio dovere si compie in modo tanto peregrino da autorizzarmi ad eccezioni comportamentali.
“Oscar, se fosse per me dopo questa sera vi nominerei comandante supremo. Nessuno come voi ha mai dimostrato tanta devozione nei confronti dei sovrani di Francia.”
Colgo al volo l’occasione per sdrammatizzare. “Conte di Fersen, state dicendo che è tanto penoso danzare con voi?”
Scoppia a ridere. E mi ritrovo ad adorare la sua risata. Chiara. Limpida. Schietta. Sobria. Eppure, avverto un senso di incompletezza in questa forma di adorazione.
“Spero di no, Oscar. Sto facendo di tutto per essere di vostro gradimento”. Ride di nuovo. Io, invece, mi sento infastidita. Vuoi dire che stai sforzandoti di rendere il mio dovere meno gravoso? Ma chi credi di essere? E poi pensi di essere il solo a desiderare che questo lunghissimo ballo arrivi al termine? Da qualche parte della mia onestà mi giunge l’eco di un pensiero a cui non faccio in tempo ad impedire l’accesso alla mia mente. Cosa sto dicendo? Dunque è proprio vero, questo orribile  vestito sta stravolgendo i miei pensieri, le mie emozioni. È da quando l’ho indossato che non mi riconosco più. E non solo fisicamente.
Maledetta Jeanne!
“Non occorre che vi sforziare, conte di Fersen. In fondo, sono stata a lungo innamorata di voi. Non sarà così spiacevole, stasera, arrivare fino all’alba fra le vostre braccia.”
Stavolta la sua compostezza si frantuma sotto il colpo della mia rivelazione. I suoi occhi grigi sono un unico, gigantesco punto esclamativo. Perde il ritmo, inciampa nei suoi passi. Per poco non perde l’quilibrio. Reagisco prontamente, afferrandolo per un braccio e impedendogli di cadere. Si ferma.
Vorrei esplodere in una risata, ma mi ricordo che sono in servizio. Comunque, temo seriamente di essere impazzita. O rinsavita. È stato così facile confessare questo amore.  E invece di sentirmi imbarazzata sento solo un gran sollievo. Ritorno con la mente alle parole che ho appena pronunciato, e mi rendo conto di aver usato il passato.
“In ogni caso, dovete prendervela con André, conte di Fersen. La mia idea era di indossare l’alta uniforme e danzare con la regina per tutta la sera. Ma André mi ha saggiamente fatto notare che in questo delicatissimo momento in cui la popolarità della sovrana è pericolosamente minacciata, non era il caso di rendere facile la vita ai libellisti.  Cosa avrebbero potuto scrivere, domani, quando avessero saputo che la Regina ha danzato con una donna vestita da uomo?”
Rido con soavità. Riprendo a muovermi a suon di musica, trascinando a poco a poco nel vortice di questa follia il mio ammutolito seduttore.
   
 
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