Film > Le 5 Leggende
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Autore: Roiben    10/06/2018    1 recensioni
Di nuovo guai in vista per i Guardiani. Questa volta, tuttavia, non sono unicamente i bambini a fare da bersaglio.
Manny ha un’idea, ma non tutti ne sono entusiasti, in particolare l’Uomo Nero, reduce dalla recente e ancora molto sentita disfatta.
Genere: Avventura, Fantasy, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: I Cinque Guardiani, Nightmares, Nuovo personaggio, Pitch
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo Trentasette


Caldo, brillante, puro: questo è il sole. Una sensazione quasi dimenticata durante tutti quei secoli spesi a trovare una via d’uscita che non sembrava esistere. Ma eccola di nuovo, ora, più intensa che mai, tanto da tramutare il solito ghigno sprezzante in un vero sorriso di puro piacere. Gli esseri umani sembravano convinti che i demoni fossero creature oscure e prediligessero pertanto le profondità umide e buie del sottosuolo; Liùsaidh~dorcha, inutile dirlo, ama il cielo azzurro, il vento pungente, le nuvole sfilacciate e veloci, il sole abbacinante e le vette più immacolate. Luce, questo è l’elemento che nutre il suo spirito, questo il suo reale potere. Stolti esseri umani, e altrettanto inette divinità; sono convinti di sapere ogni cosa, ma ignorano la vera natura di ciò contro cui hanno l’arroganza di combattere. Sospira, le orecchie fremono, negli occhi il riflesso dorato del sole, le labbra non perdono ancora la loro morbida curva verso il cielo. Tempo per ritrovare ciò che è quasi andato perduto e goderne la riscoperta, cullarsi nel ritrovato piacere; tempo per sé stesso e per i bisogni del suo corpo, del suo spirito; tempo per ritrovare il giusto equilibrio e non rischiare di cadere ancora. Dopo, solo in un secondo momento penserà a ottenere il cuore di quell’abbietta creatura di luce che lo ha sprofondato in un limbo oscuro senza ritorno, e sarà doloroso. Piccole zanne perlacee scintillano al riverbero dei raggi del sole mentre ringhia di soddisfazione.


«Attendere, ancora per poco» mormora, sollevando il mento e tendendo il capo per farsi ancora più vicino al sole.


Le sottili pupille si restringono ulteriormente, gli occhi brillano e un sospiro vibra roco nella sua gola.


*


Le sue labbra si schiudono lievemente, obbedendo alla sua costernazione, mentre ode Aileliath brontolare con un ringhio sordo e prolungato. Il grande salone è stato sgombrato di tutti i mobili e le suppellettili di dubbia utilità; sul lucido parquet di legno scuro è stato tracciato un disegno bianco che ricopre almeno la metà della superficie a disposizione. “Un maledettissimo pentacolo” sbotta mentalmente, allucinato. I suoi passi sono lenti e nervosi mentre si muove in circolo attorno a quell’orrendo scarabocchio. Storce il naso e anche nel suo petto vibra un piccolo ringhio contrariato.


«Da dove arriva questa pagliacciata pacchiana?» sibila, scrutando gli occhi dei presenti.


Ci sono un po’ tutti, nota, radunati evidentemente per non farsi sfuggire nemmeno un battito di ciglia del grande momento.


«In effetti da me» commenta monocorde Phanês, osservandolo con fastidiosa attenzione.


Accenna un ghigno sfrontato al suo indirizzo. «Non hai decisamente la stoffa dell’artista» lo deride, avvertendo alle sue spalle lo sbuffo divertito di Aileliath.


Ora il cipiglio di Phanês sembra perfino seccato. Gongola, trattenendo il sorrisetto di soddisfazione che preme per mostrarsi.


«È geometria essenziale. Non servono abilità nel disegno» protesta prevedibilmente. «Era necessario per officiare il rito» spiega.


Solleva un sopracciglio. «Ti sei portato avanti senza neppure avere la certezza che sarebbe servito?» insinua.


Può addirittura scorgere della sorpresa nei suoi occhi, ora. Stanno facendo grandi passi in avanti. Con un po’ di tempo in più a sua disposizione Pitch ha ormai la quasi certezza di poter persino giungere a vederlo adirato. Drammaticamente, il suo tempo così come quello della Terra scarseggia. Sospira debolmente e tenta di allentare la propria ansia, poi torna a muoversi per la sala, percorrendo la lignea superficie con passi calmi ma decisi, fino ad arrestarsi nel centro esatto del pentagono schizzato con poca cura da quel borioso dio senz’anima.


«Quando siete comodi» bercia, lottando con sé stesso per non perdere lucidità e ragione.


Il primo a muoversi, raggiungendo uno dei cinque vertici è Aileliath, il quale si ferma proprio di fronte ai suoi occhi e si siede con garbo, scoccandogli un’occhiata d’intesa e offrendogli un sorriso tranquillo. Sospira di nuovo, ingoia aria e saliva e fissa i propri pensieri nello sguardo di fuoco del leone, recuperando un po’ della calma perduta tanto velocemente quanto sgradevolmente.


Alle sue spalle scorge muoversi, con la coda dell’occhio, Nyx e suo figlio Ouranós; entrambi si fermano in corrispondenza della sua spalla destra, mentre dietro quella sinistra si posizionano i cinque guardiani che portano con loro espressioni un po’ spaesate e insicure. Sapessero quanto ci si sente lui, in quel momento.


Al suo fianco destro si accostano Mot e Ba’al con certe facce che, in altri contesti, potrebbero significare tempeste in arrivo, ma non è quello il caso (o forse sì?). I suoi incubi si raggruppano alla sua sinistra e vengono velocemente raggiunti dalle pixies in compagnia di altri spiriti dei boschi, da alcuni yeti di St. North e da un fastidioso nugolo di rumorose fatine dei denti.


Osserva con apprensione Phanês aggirarsi per la sala, percorrendo un circolo attorno al pentacolo. Lo studia mentre questi sembra intento a recitare versi incomprensibili e agitare in aria le mani, il tutto a occhi chiusi, fatto che porta Pitch a chiedersi come mai non sia ancora andato a scontrarsi con una parete o uno dei molti spiriti presenti. Stiracchia un pallido ghigno nell’immaginare la possibile scena e Aileliath gli risponde prontamente con uno scintillio divertito negli occhi.


Infine Phanês si ferma fra Mot e Nyx, le sue dita fremono velocemente e i contorni del disegno sfumano, poi brillano argentei e quando il bagliore sta per divenire accecante, obbligando molti dei presenti a socchiudere gli occhi, il pentacolo svanisce dal pavimento riflettendosi invece sul soffitto ed emanando oscurità in luogo della luce precedente.


Se solo il nervosismo e la preoccupazione non lo stessero corrodendo dolorosamente, Pitch potrebbe perfino ammettere di essere impressionato, almeno un poco. La verità è che spera vivamente di concludere in fretta quell’insulso rito, in un qualunque modo, purché smetta una volta per tutte di torturare le sue percezioni fin troppo sollecitate. Ma forse, chissà, deve aver sperato con troppa intensità, perché improvvisamente il bagliore argenteo e la luce oscura si fondono nel mezzo ed è uno spasmo d’agonia, e vorrebbe chiudere gli occhi per non dover anche vedere, ma non è in grado di muovere neppure un muscolo mentre tutto diventa luce cangiante e ghiaccio rovente. Un unico vacuo pensiero sosta qualche momento nella sua mente persa: “I fearlings erano più compassionevoli”.


*


Livore, incredulità, paura. Doveva andare così? Questa era la vera meta? No, voleva servirsi di lui per liberarsi di una minaccia, forse la sola ancora esistente. Ma ora, che cosa faranno ora? In che modo potranno impedire il peggio, se lui non è più? Il custode è di nuovo in piedi, lo osserva chino sul fagotto color fuliggine aggrovigliato a terra. Quando suo padre gli si fa incontro ringhia minaccioso e fa scattare all’esterno gli artigli affilati. Scuote la testa, pensieri ovattati si frantumano e ricompongono senza dargli tregua. Avrebbe dovuto saperlo, avrebbe dovuto fermarli, avrebbe dovuto impedirglielo; avrebbe dovuto, ma non lo ha fatto, e ora non le resta che una misera manciata di se confusi e nessuna reale speranza, unicamente un futuro incerto al quale ha timore di guardare.


*


Lo ha avvertito con chiarezza, defluire dalla propria oscura essenza per accumularsi in un unico punto, al centro di tutto, assieme a quello del resto dei presenti. Ha dovuto trattenere il respiro, colto da un momento di panico e insieme di sorpresa. Si è reso conto che, anche volendolo, non sarebbe stato in grado di trattenere a sé il proprio potere, non nel momento in cui il rito è stato attivato e ha prepotentemente preteso il conto. Si è sentito perfino spossato per lunghi, interminabili istanti, e ha temuto il peggio; ma quando i bagliori si sono fusi insieme è tornato a respirare e, suo malgrado, a trarre un sospiro di sollievo. Poi tutto è precipitato e il suo sospiro gli si è incastrato in gola.


*


Le possenti zampe sono saldamente piantate al centro del salone, gli artigli scintillano sinistri conficcati nel parquet. Nonostante il rito abbia prosciugato parte delle sue energie, il fuoco è scaturito prepotentemente al suo comando tracciando uno stretto circolo ardente attorno a lui, a loro. Digrigna i denti, trattenendo a stento la sua furia se non altro per evitare di distruggere buona parte dell’edificio che li ospita, ma è faticoso e in un attimo di distrazione quasi azzanna alcuni degli incubi che si erano imprudentemente avvicinati per soccorrere il loro padrone. Prova profondo dispiacere per le loro espressioni allarmate e per la loro evidente confusione, ciò nonostante non dispone della lucidità sufficiente per preoccuparsene. Il suo corpo trema di ansia e sgomento. Reclina il capo e sfiora con il naso il fagotto stropicciato ai suoi piedi, cercando di sentire, pregando di sentire. Struscia piano sulla pelle sottile del suo collo, poi preme gentilmente sulla spalla e lo sospinge appena, con cautela, e trema ancora, di paura questa volta.


«Svegliati, avanti» sussurra. «Se non ti svegli ti lecco di nuovo» minaccia, provando un sorriso che muore prima di nascere.


*


Si scambiano un’occhiata, lui e Jack. Il giovane guardiano sembra sconvolto, ma come dargli torto? Lo è anche Sanderson. Nessuno di loro si aspettava quello e ora non sanno fare altro che rimanere a guardare, senza alcuna idea che possa risolvere la situazione. Non che sia una novità, in effetti: negli ultimi tempi non hanno mai risolto molto, nonostante abbiano fatto sempre il possibile per offrire il loro contributo. Ciò che hanno davanti al momento, tuttavia, è molto oltre le loro normali mansioni e decisamente al di fuori delle loro attuali possibilità. E, beh, non è che quelli più capaci di loro abbiano mostrato di avere molta più fortuna in effetti, figuriamoci buonsenso. Da parecchio, ormai, il buon senso non è più di casa.


Solleva gli occhi di scatto e un piccolo punto esclamativo esplode sopra il suo capo mentre fissa con sorpresa e sbigottimento l’enorme sagoma di Aileliath al centro del salone. Il fagotto si è mosso, e non per essere stato gentilmente sospinto dal leone, ma dopo che questi ha sfiorato il suo viso accartocciato con la punta della lingua. Ora spalanca la bocca, Sanderson, perché il fagotto accartocciato ha appena borbottato un irripetibile insulto al povero Aileliath.


*


Si lascia sgraziatamente ricadere a terra con uno sbuffo rumoroso, incurante di potersi procurare l’ennesimo livido di quella lunga, infinita disavventura. Osserva con incerto sollievo una mano dello spirito oscuro sventolare con fastidio e scacciare una coppia di fatine entusiaste e cinguettanti, mentre si risolleva finalmente da terra con qualche scricchiolio di troppo. Non sa se essere grato che quel pallone gonfiato di Phanês abbia avuto ragione, oppure irritato per il medesimo motivo. La verità è che, segretamente, sperava in un fallimento su tutta la linea, uno teatrale possibilmente, magari perché no, uno che lasciasse tutti un po’ delusi ma nessuna vittima al seguito, e a quel paese anche la delusione a quel punto. Invece il piano di Phanês sembra aver dato i suoi frutti e Ba’al non è per nulla certo di cosa aspettarsi, ora; perché, d’accordo, hanno un’arma potenzialmente letale a disposizione, ma ciò non significa che resterà salda nelle loro mani. L’assurdità di tutto è che suo fratello non sembra aver preso in dovuta considerazione quella possibilità, o forse lo ha fatto ma non ne appare per nulla impensierito, la quale opzione è perfino peggiore della precedente. Scuote il capo, afflitto, e si augura che non crolli tutto ancora una volta addosso a loro, distruggendo nuovamente quel poco che rimane della loro famiglia.


*


Le sue mani tremano, la nausea che avverte a picchi irregolari lo costringe a respirare profondamente, a concentrarsi davvero nel farlo, a meno che non intenda vomitare lì, sul bel parquet di St. North. Non che gli importi un accidente del parquet, neppure delle espressioni ansiose dipinte sulle facce raccolte attorno a loro. Il suo unico interesse è riuscire a trattenere tutto insieme, perché la testa gli scoppia e ha l’impressione che se allentasse anche solo per un secondo il controllo finirebbe con il cadere a pezzi, e nessuno lì dentro avrebbe l’improbabile fegato né tantomeno le carte in regola per raccattarli tutti e rimetterli insieme, seppur rattoppati alla belle meglio. Ha sibilato un paio di improperi molto fantasiosi a quella montagna di pelo che ha lo spiacevole vizio di ricoprirlo di bava, ma non ha nessuna intenzione di lasciare che si allontani, neppure di un solo passo, perché senza la sua vicinanza finirebbe sommerso dalle poco gradevoli e molto ingombranti attenzioni di ogni maledetto spirito o divinità presente, e questa è assolutamente l’ultima eventualità che desidera. Allora rantola alla disperata ricerca d’aria ed equilibrio e serra inestricabilmente le dita nella pelliccia di Aileliath, intimandogli silenziosamente di restare dov’è.


Il custode accosta il muso e lo studia con attenzione. «Dimmi come ti senti» esige con decisione.


Lo spirito solleva il volto e nel suo sguardo guizza un bagliore d’oro e tenebra. Arriccia le labbra in un orrido sogghigno. «Non vuoi saperlo» soffia in un sibilo sfiatato.


Con le sopracciglia aggrottate in un cruccio contrariato, Aileliath sembra perfino buffo.


«Desidero conoscere la verità. Il fatto che potrebbe non piacermi non mi farà certo desistere» lo sfida senza timore.


Scrolla il capo, Pitch, ma non per la contrarietà (non solo, almeno). A momenti ciò che vede non è lì, e ciò che si trova lì non può invece vederlo.


«Infastidito» borbotta finalmente. «Una sensazione sgradevole, poi un’altra più spiacevole le si sovrappone, e un’altra ancora, e di nuovo, e… non sembra avere fine» ammette con sconforto.


«Chiedo scusa» li sorprende impreparati una voce tranquilla da poco distante. «Potrei avvicinarmi un momento per…».


La proposta di Phanês viene fermamente bocciata da un ruggito di Aileliath che fa tremare le vetrate. A eccezione di Phanês, ogni singola creatura presente fa almeno un paio di prudenti passi indietro.


«Se preferisci farti strappare il cuore dal sottoscritto anziché attendere che lo faccia Liùsaidh~dorcha, prego, avvicinati pure» offre il leone con affettata cortesia.


Le labbra strette di Phanês sono sintomo di fastidio, non certo di timore, ma Pitch può senz’altro farselo bastare, per il momento.


  
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