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Autore: Old Fashioned    17/06/2018    14 recensioni
Alla fine del XIV secolo le navi della Lega Anseatica subivano la costante minaccia dei pirati, tanto che per scacciarli dal Baltico dovette intervenire persino l'Ordine Teutonico. Il più famoso e temuto di essi era Klaus Störtebeker, il cui motto dà il titolo a questa storia.
Attraverso gli occhi di un giovane prigioniero, seguiremo l'ultima avventura del leggendario pirata.
Prima classificata al contest "In Medio Stat Virtus" indetto da mystery_koopa sul forum di Efp, premio speciale "Quo vadis?" per la migliore ambientazione storico/geografica.
Genere: Avventura, Azione, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Medioevo
Capitoli:
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Salve a tutti, ecco la seconda parte del mappazzone sui pirati del Mare del Nord. Ringrazio chi mi ha letto e seguito fin qui, e in particolare chi mi ha lasciato un commento, ovvero Saelde_und_Ehre, John Spangler, Syila, alessandroago_94, innominetuo, Yonoi, Rose Ardes, TheWalkingNerd e queenjane.







Parte seconda


Avevo vent’anni quando mio padre mi portò per mare per la prima volta. Ricordo che al pensiero di quel viaggio non ero per nulla contento: non ero ansioso di solcare le onde a bordo di una Kogge, né avevo voglia di aggirarmi per mercati chiassosi a contrattare legna e barili di aringhe.
Avrei preferito starmene nella tranquillità della nostra casa di Lubecca a studiare le sette arti liberali, o magari avrei voluto viaggiare, sì, ma lo stretto necessario per raggiungere Parigi e la sua Università, e poi da là non mi sarei più mosso.
Ma a mio padre l’Università non piaceva. La considerava roba da nobilastri sfaccendati, e non aveva la minima intenzione di permettere a uno dei suoi due figli di infognarsi in quel truogolo di teorie strampalate e gente dalla dubbia moralità.
Per me aveva gettato le basi di una fiorente carriera nella Lega Anseatica, e si aspettava che io la seguissi esattamente come stava facendo mio fratello maggiore.

Quando vi giunsi, il porto non mi parve per nulla diverso da come l’avevo immaginato: il cielo era coperto, l’acqua grigia e sporca. Non appena scesi dalla carrozza, i più diversi odori mi assalirono le nari, e nessuno di essi mi risultò piacevole: ovunque stagnava il puzzo del pesce marcio, ma vi erano anche quello del catrame, del legno fradicio, della lana grezza e tanti altri che allora nemmeno riuscii a identificare. Certi gabbiani enormi, col becco che sembrava fatto di ferro, si contendevano stridendo i rifiuti.
Veicoli carichi di mercanzie si incrociavano, si sorpassavano a vicenda, si urtavano tra le maledizioni dei conducenti e della gente che li attorniava. Un carro trainato da un paio di buoi, colmo all’inverosimile di grosse balle biancastre, finì con la ruota in una buca del selciato. Si udì lo schianto dell’assale che si spezzava ed esso si inclinò pericolosamente. La folla che gli stava sciamando intorno si disperse urlando e imprecando.
Una donna dai capelli color stoppa, vestita di colori sgargianti, mi tirò per una manica e chiese: “Vuoi farti un giro, signorino?”
Mentre io saltavo indietro spaventato, intervenne mio fratello dicendo: “Lascia stare, Antje. Un’altra volta, magari.”
Hai una moneta?”
Vattene.”
Una moneta,” ripeté la donna. Lasciò andare la mia manica e si aggrappò a una falda della sua veste bordata di pelliccia. “Una moneta sola.”
Lascia…” cominciò Albrecht. Si fece indietro per sottrarsi alla presa della donna, ma così facendo urtò un giovanotto che stava passando con un rotolo di reti da pesca sottobraccio.
Ehi, che fai, specie di idiota?” urlò questi, per nulla impressionato dalle ricche vesti di mio fratello.
Avanzarono gli uomini d’arme che mio padre aveva ingaggiato per il viaggio, e subito, ansiosi di dimostrare che avevano preso molto sul serio il loro compito, cominciarono a spintonare e a malmenare il robusto pescatore, che imprecando si difendeva vigorosamente.
Io cercai stranito lo sguardo di mio fratello, ma Albrecht si sfilò dalla cintura uno scudiscio, lo brandì, lo levò alto sulla testa e balzò nella mia direzione. Istintivamente mi coprii il volto con le braccia, ma il colpo non si abbatté su di me. Udii il sibilo della frusta, poi uno schiocco e un grido. Vidi un ragazzetto coperto di stracci allontanarsi con tutta la velocità che le sue gambe ossute gli consentivano.
Fissai stupefatto mio fratello.
Ti stava rubando la scarsella,” disse questi a mo’ di spiegazione.
Ma…”
Devi stare più attento. Non sei più nella tua stanza piena di libri.”
Io mi limitai ad alzare le spalle. “Purtroppo,” sospirai. Da qualche parte, qualcuno aveva cominciato a suonare una ghironda, da una taverna usciva un canto stonato da ubriachi. Una zaffata di fumo di torba mi investì in pieno, facendomi tossire.
Albrecht mi scompigliò affettuosamente i capelli, poi disse: “Vedrai che tra un po’ ci farai l’abitudine.”
In quel momento passò un uomo senza gambe che si trascinava su una specie di carrello e intanto cantava con voce stridula un inno sacro. Dietro di lui, un paio di cani randagi si contendevano ringhiando un pezzo di pesce secco.
Ne dubito,” dissi con voce cupa.
È capitato anche a me: all’inizio mi sembrava un girone dell’inferno, ma poi pian piano ho cominciato a vedere un ordine dietro a questo apparente caos.”
Mi guardai intorno smarrito, quindi replicai: “E che ordine ci sarebbe? Nemmeno al carnevale si vedono tanti pazzi tutti insieme.”
Mio fratello mi indicò dei carri che procedevano uno dietro l’altro. “Li vedi quelli? Sono carichi di balle di stoffa. Direi tela di Fiandra, così a occhio. E vedi quegli uomini che li circondano e non li perdono d’occhio un attimo? Sono i guardiani ingaggiati per far sì che nessuno ne porti via una.”
Seguii con lo sguardo la fila di veicoli e non risposi. Fu di nuovo Albrecht a parlare: “Un po’ diverso dai tuoi libri di filosofia, vero?”
Decisamente.”
Ricordati però una cosa,” replicò lui. “La filosofia non riempie la pancia, le aringhe sì.”
A quel punto si avvicinò nostro padre. Si guardò intorno compiaciuto, pose i pugni sui fianchi e disse: “Ebbene, Eike, che te ne pare?”
Frastornato da tutta quella confusione, non riuscii a trovare una risposta adeguata e mi limitai a chinare la testa.
Echeggiò uno strillo femminile, poi rumore di vetri infranti. Qualcuno gridò: “Al ladro!”
Un paio di robuste guardie cominciarono a correre per raggiungere il furfante, spintonando chi non era lesto a scansarsi.
Mio padre dedicò appena uno sguardo annoiato alla scena, poi di nuovo si rivolse a me: “Ora ti spiego come si svolgerà il nostro viaggio. Presta attenzione, figlio mio, perché queste saranno le rotte che poi dovrai percorrere da solo, quando avrai la tua Kogge e seguirai i tuoi affari.” Mi diede una pacca sulla spalla e soggiunse: “O magari i miei, quando io sarò troppo vecchio per certe cose.”
Gli rivolsi uno sguardo afflitto, al quale egli non fece minimamente caso. Continuando a tenermi una mano sulla spalla, mi indicò le navi alla fonda e disse: “Vedi quella Kogge scura, con gli stemmi di Amburgo sul castello? Dovrai stare attento a quella: è la nave di Stubbe, quello che commercia aringhe, ambra, cera d'api e legname, e non ce n’è una così veloce in tutto il Baltico. È più veloce persino della Bunte Kuh[1]. Gli ho chiesto mille volte se me la vendeva, ma quel vecchio furbastro non ne vuole sapere.”
La nostra non è veloce, padre?” gli chiesi.
Le nostre, vorrai dire. Benedetto figlio con il naso sempre nei libri, non sai nemmeno quante navi abbiamo? Ce ne sono due per le merci, belle robuste, e una Vredekogge carica di uomini armati, che ci difenderà dai pirati.”
A quelle parole mi sentii gelare e gli rivolsi uno sguardo smarrito. Avevo sentito parlare dei pirati, ma li avevo sempre considerati una minaccia vaga, più che altro una specie di leggenda. Una storia per spaventare i bambini, come quella del Krampus.
C’è pericolo?” gli chiesi.
Mio padre scosse la testa. “Non per noi. A parte che dopo la batosta di due anni fa a Gotland[2], i pirati hanno capito che non c’è tanto da scherzare. Inoltre partiremo con i nostri validi uomini d’arme, che ci accompagneranno e ci difenderanno. Certo, ci costano parecchio, ma il capitano, qui, è stato in mezzo ai Vitalienbrüder per un po’, quindi sa bene come affrontarli.”
A quelle parole si fece avanti un tanghero alto almeno un palmo più di me, con la faccia coperta di cicatrici. Vestiva una cotta di maglia e bracciali d’acciaio, e oltre alla spada, dalla cintura gli penzolava una balestra leggera.
Io lo fissai stupefatto, lui si limitò a chiarire: “Ero con loro ai tempi della guerra contro la Danimarca.”
Deglutii. “Conoscete Störtebeker?” gli chiesi.
Egli alzò le spalle. “E chi non lo conosce? È l’amico di Dio e il nemico di tutto il mondo.” Fece una brave risata, poi soggiunse: “O almeno, è ciò che dice di sé.”
È davvero così terribile come si racconta?”
Anche di più,” confermò l’uomo d’arme. “I marinai tremano al solo udire il suo nome. Egli…”
Basta così,” lo interruppe mio padre. “Portate a bordo i vostri, non abbiamo tempo da perdere in chiacchiere.”
L’altro aprì la bocca per replicare, ma poi si limitò a un lieve inchino e si allontanò.
Voleva farsi alzare la paga,” mi spiegò disinvolto mio padre. “Questi qua si inventerebbero qualsiasi cosa per spillare qualche marco in più, ma quando un soldato si mette a contrattare con un mercante non può che uscirne sconfitto. Non ti pare, figlio?”
Sì, padre,” risposi obbediente.
Molto bene. Ti stavo parlando della rotta che seguiremo, non è vero?” Mi prese di nuovo familiarmente per una spalla, e sospingendomi in avanti cominciò a narrare quello che avremmo fatto. A ogni tappa, io diventavo più avvilito: la prospettiva era quella di salpare per Göteborg con un carico di pelli conciate e lana, venderle là, acquistare con i proventi pesce secco e barili di aringhe e salpare di nuovo alla volta del fondaco di Londra. Là avremmo venduto il pesce e comprato stoffe da portare ad Amburgo.
Mentre mio padre mi spiegava soddisfatto quanto ci avrebbero fruttato tutti quei commerci, io calcolavo smarrito quanto tempo sarebbe passato prima che potessi rivedere la mia biblioteca. “Padre, devo proprio accompagnarvi?” chiesi implorante.
Ti piacerà,” fu l’unica risposta che egli si degnò di fornirmi. “Hai bisogno di guardarti intorno e vedere come va il mondo. Hai bisogno di diventare uomo. Tra un po’ io sarò troppo vecchio per queste cose, e allora chi se ne occuperà?”
Pensavo che l’avrebbe fatto Albrecht, padre.”
Sciocchezze, gli Hoelscher devono stare uniti. Che cosa vuoi fare, rintanarti in un monastero a far niente per il resto della vita mentre tuo fratello si spacca la schiena per tutti e due?”
Senza darmi il tempo di rispondere, mi condusse lungo il molo fino a una nave collegata a terra da una passerella. Sotto lo sguardo vigile di gabbiani, mendicanti e ladruncoli, l’equipaggio stava portando a bordo mercanzie e provviste.
Mio padre la fissò compiaciuto e disse: “Porta novanta Last[3], non uno di meno!”
È vostra, padre?”
Ma si capisce! È la Mädchen von Lübeck[4], puoi anche chiamarla solo Mädchen. Poi ci sono la Zäh[5] e la Löwin[6].” Me le indicò.
Sono belle,” mi sentii in dovere di dirgli.
Sono le più belle. Mi sono costate una fortuna, ma sono state fatte dai migliori carpentieri.”

§

A dispetto dell'entusiasmo di mio padre, trascorsi la prima tappa del nostro viaggio sdraiato nella mia cuccetta in preda a un terribile malessere. Le poche volte che riuscivo ad alzarmi, correvo per prima cosa a piegarmi sull'impavesata e rigettavo fino a che non rimanevo prostrato e ansante, con gli occhi che lacrimavano e il volto rosso per lo sforzo. Poi, sfinito dai conati e dal digiuno obbligato, non potevo fare altro che tornare a sdraiarmi.
Quando le forze non erano sufficienti, mi limitavo a giacere in uno stato di penoso dormiveglia, e affidavo le mie necessità a un secchio che qualcuno mi aveva posto accanto.
Della navigazione fino a Göteborg in pratica non vidi nulla. Mi ritrovai in quella città di guglie e case dalle alte facciate come se qualcuno mi ci avesse trasportato per magia, e per qualche giorno non riuscii a fare altro che giacere in un letto finalmente fermo, ringraziando Dio e tutti i santi che quel supplizio fosse finito.
Non sapevo come sarei riuscito a proseguire il viaggio, perché la sola idea di trovarmi di nuovo a bordo della Mädchen, nell'aria al tempo stesso gelida e viziata della stiva, puzzolente di cordame di canapa e pesce secco, era sufficiente a darmi il voltastomaco.

Ripartimmo alla volta dell'Inghilterra. Ci lasciammo alle spalle il Kattegat, doppiammo rapidamente la punta di Skagen, percorremmo lo Skagerrak e da lì entrammo nelle ferree immensità del Mare del Nord.
Nonostante la mia ferma convinzione che non sarebbe mai accaduto, cominciavo ad abituarmi al moto della Kogge. Trascorrevo più tempo in coperta, e non solo piegato a vomitare fuori bordo. A volte mi sorprendevo a contemplare il mare, a godere del blu profondo delle onde sotto i raggi del sole e della loro forma, sempre uguale eppure sempre diversa. Provavo un brivido di eccitazione quando le vedevo ergersi e guizzare come cavalli selvaggi, coronate da una bianca cresta di spuma.
La salsedine agiva su di me come una pietra pomice, che pian piano mi levigava e mi toglieva di dosso strato dopo strato la vita che avevo condotto fino a quel momento. Mi rendeva nuovo, in un certo senso, mi faceva scoprire il piacere fisico del sole sulla pelle e del vento sul viso. I mille rumori della Mädchen erano diventati un canto nel quale pian piano stavo imparando a riconoscere ogni voce, dal frusciare delle onde sulla carena al cigolio ritmico del sartiame stirato dai movimenti dell'albero. Lo schiocco della vela che si distendeva gonfiata dal maestrale svegliava in me segrete idee di libertà.
Cominciai a conoscere anche i membri dell'equipaggio. La sera sedevo con i marinai intorno alla cassa di ferro in cui il cuoco preparava le braci per cuocere i pasti, e dividevo con loro aringhe affumicate e galletta.
Mi scoprii avido di racconti di mare, la poesia cortese di cui mi ero fino ad allora dilettato cominciò a sembrarmi inconsistente e frivola. Sciocca, in confronto alle storie tenebrose e terribili che quegli uomini si raccontavano con gli occhi fissi sul fuoco, abbassando la voce nei passaggi più carichi di mistero.

§

Ricordo che quando avvistai le navi dei pirati all'orizzonte ne fui inizialmente affascinato. Il sole si stava avviando verso il tramonto, l'acqua aveva abbandonato il blu intenso del meriggio per assumere una tonalità ferrea, e i raggi aranciati lasciavano sulle onde vaghi baluginii di fucina.
Le vele in lontananza erano un grappolo candido.
Mi diedero l'idea di essere qualcosa di etereo, prezioso. Mi fecero pensare a petali sospinti dal vento.
Mi voltai verso mio padre per indicargliele, ma vidi che egli le stava già fissando, e una profonda ruga verticale gli si era scavata al centro della fronte. Al suo fianco il capitano, in viso la stessa espressione di inquietudine tormentosa, le stava a sua volta scrutando. A bordo della Mädchen era calato un silenzio carico di cupa aspettativa.
Fissai mio fratello rivolgendogli una muta richiesta di spiegazioni, ma egli non ebbe bisogno di parlare, perché in quel momento echeggiò decisa la voce del capitano: “Portate in coperta le armi, tutti ai posti di combattimento.”
Il clangore del metallo ruppe la quiete sinistra che aveva pervaso la Kogge.
D'istinto mi voltai verso le due navi che ci accompagnavano, la Zäh e la Löwin, e vidi che a bordo di entrambe gli uomini si stavano ugualmente preparando allo scontro.
Tornai a rivolgere l'attenzione a mio padre. Egli stava parlando con il capitano: “Non potremmo invertire la rotta?” stava chiedendo.
L'altro, un marinaio di Brema che portava il nome di Henning, fece un gesto di diniego e rispose: “Siamo a pieno carico, ci raggiungerebbero prima del buio.”
E quindi cosa possiamo fare?”
Il capitano lo fissò. “Immagino che liberarsi delle merci sia fuori questione?”
Mio padre scosse la testa con fare deciso, poi replicò: “Sono barili di aringhe di prima qualità, tra le migliori che abbia mai visto. A Londra me le pagheranno a peso d'oro.”
Henning si strinse nelle spalle. “Se ci arriviamo, a Londra.”
Abbiamo uomini armati. Se non si può fare altro, combatteremo.”
Combatteremo di sicuro, a meno che non decidiamo di consegnare loro tutto ciò che vorranno prendersi, ma solo Dio sa con quale esito.”
Abbiamo soldati esperti,” ripeté mio padre.
Il capitano non rispose.
Ci fu un lungo silenzio, durante il quale io continuai a fissare le vele all'orizzonte, poi mio padre chiese: “Sei sicuro che sia lui?”
È impossibile sbagliare. Quanto è vero Iddio, quello è Störtebeker: guardate la bandiera.” Sulla più grande delle vele bianche era comparso un lungo drappo rosso, che si torceva nel vento come una sinistra lingua di fuoco.
Il capitano chiamò il nostromo e gli ordinò di far avvicinare la Löwin, sulla quale si trovava la maggior parte degli uomini d’arme.
Un brivido ghiacciato mi corse lungo la schiena. I marinai si stavano già spartendo le armi, la coperta veniva sgombrata per il combattimento. Nessuno parlava e gli unici suoni che si sentivano erano il tramestio dei passi e il rumore del ferro che veniva maneggiato.
Anche a me fu consegnata una spada.
La strinsi in pugno irresoluto. Ero istruito nell’uso delle armi, ma come può esserlo il figlio di un facoltoso mercante che ha trascorso tutta la sua vita nella sicurezza della città natale. Se anche vincevo scontri con gli altri rampolli dei benestanti locali, cos’avrei potuto fare contro un pirata avvezzo a combattere senza alcuna regola se non quella di dare la morte all’avversario?
Mi avvicinai a mio fratello. “Cosa succederà?” gli chiesi. Lanciai alle navi uno sguardo colmo d'apprensione.
Albrecht le fissò a sua volta, poi mi indicò i soldati della Löwin e rispose: “Vedi che Karsten e i suoi uomini si stanno già preparando al combattimento? Ci difenderanno loro.”
Io non replicai. Osservavo le espressioni dei marinai esperti, ed esse non mi comunicavano niente di buono: nessuno sulla Mädchen sembrava illudersi che i soldati sarebbero stati in grado di proteggerci.

Seguii con lo sguardo le navi che si avvicinavano lente ma inesorabili, aprendosi a ventaglio sull'acqua per tagliare ogni via di fuga. La luce calava adagio, le onde si facevano plumbee e all'orizzonte solo una sottile linea luminosa indicava il punto in cui il sole era scomparso. L'aria era fredda.
Il silenzio era rotto solo dagli scricchiolii del fasciame e delle sartie. Ovunque mi girassi, vedevo volti tesi, pallidi di paura.
Mio padre si rivolse al capitano: “Fa buttare a mare i barili,” ordinò, ma l'altro scosse la testa. “Sarebbe peggio. A questo punto è meglio avere qualcosa da gettare nelle fauci dei lupi, oppure essi divoreranno la nostra carne.”
Le Kogge dei pirati erano ormai a un tiro di freccia. A bordo vi erano delle fiaccole accese, che gettavano sull'acqua riflessi sanguigni. Nella luce cupa del crepuscolo distinguevo sulle spettrali imbarcazioni solo sagome nere e immobili, ma coglievo anche senza vederli gli sguardi bramosi dei pirati, li sentivo addosso come quelli di belve fameliche.
Quando le navi si furono avvicinate ulteriormente, nel silenzio esplose all'improvviso una cacofonia di grida. “Amico di Dio!” urlò una voce così potente da sovrastare tutte le altre. A essa fece seguito il terribile ruggito di decine di altre voci: “Nemico di tutto il mondo!”
Un istante dopo, cominciarono a piovere sulle nostre navi nugoli di frecce e dardi. I micidiali proiettili squarciavano le vele, si piantavano nelle carene o cadevano sulla coperta e costringevano chiunque a cercare ripari di fortuna. Io rimasi a fissare irresoluto quella pioggia mortale, affascinato dalla sinistra bellezza delle punte metalliche che brillavano fugaci alla luce delle fiaccole, e fu mio fratello Albrecht che mi afferrò per una manica e mi tirò al coperto.
Vidi arrivare in volo un involto dal quale si sprigionavano fiamme. Esso cadde sulla coperta della Zäh con un rumore di cocci infranti e il suo contenuto dilagò sulle assi, spargendo intorno un fuoco che sembrava impossibile da estinguere.
Le navi pirate continuarono ad avvicinarsi, i nostri tiravano frecce per tentare di colpire gli equipaggi, da entrambi gli schieramenti salivano lamenti e imprecazioni. Un grappino d’abbordaggio arrivò in volo e si piantò nell'impavesata. La cima cui era collegato si tese e la Mädchen fu attraversata da una scossa. L'albero ondeggiò, facendo oscillare la vela ormai a brandelli. Un secondo grappino si piantò accanto al primo, un marinaio accorse con un’accetta, tranciò una delle cime, ma prima di riuscire a tagliare l’altra fu trapassato da un dardo, emise un roco grido e cadde in acqua. Arrivò un altro grappino, la nave pirata era ormai così vicina che da essa gli assalitori si stavano preparando a saltare sulla nostra.
Davanti al nascondiglio nel quale ci eravamo rifugiati passò di corsa uno dei marinai. D’improvviso crollò a terra con gli impennaggi bianchi di una freccia che gli uscivano dal petto, si torse e poi si irrigidì. Esalò l'ultimo respiro così vicino che mi parve di essere investito dal suo soffio tiepido. Mi voltai smarrito verso Albrecht, che con voce asciutta mi disse: “Dobbiamo combattere, o ci uccideranno tutti!”
Azzardai un'occhiata verso la coperta: alla luce degli incendi, i pirati che vi stavano dilagando erano demoni feroci, dallo sguardo spiritato, bramosi di sangue e rapina.
Ci uccideranno ugualmente,” gli risposi atterrito. Fui tentato di buttare fuori bordo la spada che stringevo in mano. Forse Albrecht lo intuì, perché in tono tagliente mi disse: “E non credere che avrebbero pietà di te, se ti vedessero inerme. Saresti solo un bersaglio più facile.”
Mi afferrò per un braccio e si lanciò fuori dal nostro rifugio, ma un istante dopo emise un lamento soffocato e crollò a terra. Con un grido d’angoscia mi piegai su di lui e vidi che si teneva una gamba con entrambe le mani. Il sangue scorreva a rivoli fra le dita.
Albrecht!” esclamai chinandomi accanto a lui.
Era sbiancato in volto e aveva la fronte imperlata di sudore gelido. Sulle sue mascelle i muscoli erano tesi come corde. “Vattene,” ansimò a denti stretti, “va’ via, Eike. Mettiti al coperto.”
Qualcuno crollò accanto a me, fui investito da un fiotto di sangue caldo che mi intrise gli abiti, e quasi rischiai di venir meno quando il suo odore ferroso mi invase le narici. Mi appoggiai con una mano al suolo e chiusi gli occhi cercando di recuperare la lucidità.
La voce di Albrecht mi richiamò alla realtà: “Va’ via, Eike!”
Via, dove?” gemetti smarrito. Gli uomini del capitano Karsten erano saliti sulla Mädchen e ormai la battaglia infuriava ovunque. L’aria era satura del clangore delle armi e delle grida degli uomini, ovunque stagnava l’odore acre del macello.
Senza nemmeno ascoltare la sua risposta, strappai un pezzo della mia camicia e ne feci delle strisce, con cui cercai di bendargli alla meglio la ferita. Nella scarsa luce non vedevo nemmeno da cosa fosse stata provocata, percepivo solo il sangue caldo e viscoso che mi scorreva tra le dita, e non riuscivo a capire se i brandelli che toccavo sulla sua coscia fossero di stoffa o di carne.
Cercai di concentrarmi su Ippocrate, Galeno, Avicenna e tutti i grandi medici del passato di cui avevo letto i trattati, ma essi non mi furono di nessun aiuto: nella mia mente sconvolta dal terrore i pensieri si susseguivano disordinati come animali in fuga da una foresta in fiamme, e io non ero in grado di concentrarmi su nessuno di essi.

Passò un tempo imprecisato. Frattanto era calata la notte e l’unica luce proveniva ormai da alcune fiaccole resinose, che ardevano sfrigolando. Mi guardai intorno e sbattei gli occhi come svegliandomi da un lungo incubo: la coperta era rossa di sangue, disseminata di corpi e parti di essi. La vela era a brandelli, le manovre pendevano tranciate e oscillavano lente a seconda dei movimenti della Kogge.
Non riconobbi nessuno degli uomini rimasti in piedi. Mi strinsi a mio fratello e mi rannicchiai in un assurdo tentativo di scomparire nell’ombra, poi rimasi a fissarli mentre percorrevano la coperta a passi lenti, sollevando i coperchi delle botti, guardando qua e là. Uno raccolse qualcosa da uno dei morti e se lo infilò in tasca, ma subito un altro gli diede uno spintone e lo costrinse a mettere quello che aveva preso alla base dell’albero, dove si stavano ammucchiando le monete e tutti gli oggetti di qualche valore.
Uno dei pirati risalì dalla stiva portando uno dei miei libri. Fece per buttarlo a mare, ma un altro pirata altissimo e magro, con addosso una specie di sdrucito abito talare, glielo strappò di mano e gli disse qualcosa in tono aspro, quindi aprì il volume e passò la mano sulla prima pagina con fare affettuoso, poi lo appoggiò con delicatezza alla base dell’albero con l’altra roba.
A quel punto udii un tramestio in avvicinamento. C’era gente che parlava, e mi balzò il cuore nel petto quando riconobbi la voce di mio padre. “Dio ti ringrazio,” mormorai, poi mi piegai su mio fratello e sottovoce lo chiamai.
Che c’è?” chiese lui.
Papà è vivo, l’ho sentito parlare.”
Albrecht stava per replicare quando la luce mi investì e una mano pesante mi agguantò per la collottola. “Ecco dov’è il topolino che squittiva!” disse una voce profonda. Alla frase seguì una risata.
In men che non si dica fui strattonato in piedi e spinto verso il gruppo di pirati. Il terrore si impadronì di me: vidi volti sfigurati da cicatrici, bende che coprivano occhi mancanti, ghigni sdentati. Perlopiù avevano capelli e barbe incolte, alcuni esibivano qualche treccia, o qualche ornamento prezioso. Indossavano abiti di stoffe pregiate, ma sdruciti e sporchi. Uno aveva addirittura una spelacchiata bordura di vaio nelle maniche.
Alcuni portavano usberghi, altri esibivano pezzi di armatura, spesso scompagnati fra loro. Tutti erano carichi di armi.
Tenuto sotto tiro da una balestra, mio padre era immobile. Il volto bianco di paura risaltava tra quelli rubicondi e abbronzati dei suoi aguzzini.
Chi è questo bel bimbetto?” gli chiese uno dei pirati indicando me.
Mio padre non rispose.
Chi è?” ripeté allora l’altro. “Di certo non un marinaio, così ben vestito.” Si allungò a prendere fra le dita un lembo della mia giubba, ne saggiò la consistenza e proclamò: “Roba di prima qualità.”
E libri,” intervenne l’uomo alto e magro, entrando solenne nel cerchio di luce delle torce. “Chi si può permettere libri di filosofia, se non il figlio del padrone di queste navi?” Fece un altro passo, poi proseguì: “Non ho mai visto un mercante dell’Hansa dilettarsi di filosofia, in verità, non è certo qualcosa in grado di riempire la pancia come le aringhe. Ma questo giovanottino qui,” si volse verso di me, “con questa faccina ingenua da poeta, dev’essere uno che non ha mai visto un’aringa se non nel piatto, e sicuramente è il suo legittimo proprietario.” Si chinò a raccogliere il libro, e solennemente lesse: “De rerum natura.” Annuì grave. “Complimenti, un’ottima scelta. Ebbene, anche se siamo i Likedeeler[7], ego primam tollo, nominor quoniam leo.” Fece sparire il libro in una saccoccia che aveva a tracolla, poi si voltò verso di me. “Nessuno sa leggere, qui,” si sentì in dovere di spiegarmi, “e nessuno vorrebbe come bottino un fascio di pergamene nemmeno buone per la latrina. Preferiscono le foglie di cavolo, per la bisogna, oppure l’acqua di mare.”
Io lo fissai incapace di replicare. Solo dopo un po’ osai balbettare: “Mio fratello, signore...”
L’uomo alto sollevò le sopracciglia, poi mi fissò con fare incoraggiante. “Tuo fratello, giovanotto…?”
Deglutii con la sensazione di avere in gola un bozzello con tanto di cime, quindi mormorai: “Mio fratello è ferito, signore. Ha bisogno di cure.”
Nientemeno,” rispose l’altro.
Deglutii di nuovo, ma il pensiero di Albrecht sofferente mi conferiva un coraggio che mai avrei penato di possedere. “Ha bisogno di cure,” ripetei.
Gliele daremo,” fu l’apodittica risposta. “lascia che sistemiamo le faccende più importanti e...” Si interruppe: stava sopraggiungendo un uomo dalla corporatura erculea, con una folta capigliatura biondo-rossiccia che gli arrivava oltre le spalle. Portava una grossa cotta di maglia stretta in vita da un cinturone, spallacci e bracciali di armatura, ma tutto quel ferro dava l’idea di essere un velo di mussola, su quel fisico poderoso. Si guardò intorno, e tutti gli altri pirati si inchinarono in silenzio.
Ben arrivato, Klaus,” lo salutò quello alto e magro.
Questi rispose con un secco cenno del capo, quindi si rivolse con sicurezza a mio padre: “Cosa trasporti?”
Egli lo fissò serio. “Barili di aringhe, pesce secco, pelli conciate,” enumerò in tono neutro.
L'altro non parve molto soddisfatto. Si massaggiò il mento e aggrottò le sopracciglia, poi si rivolse all'uomo in abito talare e chiese: “Dice il vero?”
Dubitando ad veritatem pervenimus,” fu la risposta. “Lui dice di sì, ma per sicurezza sto facendo frugare tutte e tre le navi.”
Finora hanno trovato qualcosa?”
L'uomo alto si strinse nelle spalle. “Pesce secco e aringhe.”
Niente denaro?”
Ancora no.”
E non ne troverete,” intervenne mio padre, “se non quello destinato al nostro sostentamento nel fondaco di Londra. Prendete il carico, se volete, e lasciateci andare. Non abbiamo altro da darvi.”
L'uomo erculeo annuì grave. Gli unici suoni che si udivano erano il crepitare lieve delle torce e il lamento flebile di qualche ferito. “Io credo invece che tu abbia molto da darmi, mercante,” proferì infine, e si girò a fissarmi.
Immobile sotto il suo sguardo, che in quel momento mi parve feroce come quello di una belva, io non riuscii a fare altro che ritirare le testa fra le spalle mentre una sensazione di gelo mortale mi invadeva.
I figli sono il bene più importante, del resto,” continuò l'uomo, senza staccare lo sguardo da me. “Molto più delle aringhe, dico bene?”
La domanda cadde in un silenzio carico di angoscia.
Prenderemo i tuoi figli,” proseguì allora. “E se li vorrai rivedere, dovrai portarci dei soldi.” Indicò l'uomo in abito talare, poi aggiunse: “Magister Wigbold ti dirà la cifra e il luogo.”

















[1] Letteralmente: Vacca Pezzata. La Vredekogge Bunte Kuh era l’ammiraglia della flotta che sconfisse Klaus Störtebeker nel 1400.
[2] Battaglia del 1398, in cui l’Ordine Teutonico assaltò l’isola di Gotland, all’epoca roccaforte dei pirati nel Baltico, e la sottomise, azzerando praticamente la pirateria in quelle zone. A seguito di quello scontro, i Vitalienbrüder superstiti si spostarono nel Mare del Nord.
[3] Unità di misura in uso presso la Lega Anseatica. Corrisponde a 1,9 tonnellate.
[4] Ragazza di Lubecca.
[5] Tenace.
[6] Leonessa.
[7] Letteralmente: coloro che dividono in parti uguali. Era il nome che si davano i pirati di Störtebeker.

   
 
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