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Autore: P h o e    20/06/2018    2 recensioni
Sul limitare del bosco, si nasconde un villaggio antico dagli oscuri segreti e dalle credenze popolari di un'era severa e rigida. La famiglia di Fine vive serena in questo villaggio, finché un malore non colpisce la madre Elsa.
Spezzata la quotidianità di quelle giornate con cui Fine era cresciuta e che amava, la fanciulla decide di intraprendere un viaggio che la porterà a scoprire i segreti più profondi di un bosco che si dice sia maledetto, per trovare una cura al malore della madre.
Ma non sarà sola.
| redmoon!centric/ con accenni di bluejewel | long fic | alternative universe |
Genere: Dark, Romantico, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Fine, Shade, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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La maledizione del bosco
Capitolo III: Una decisione imminente







 
I deboli raggi di un sole invernale trapassarono le inferriate accuratamente elaborate della stanza, illuminando anche gli angoli più remoti. Da fuori entrava il canto degli uccellini sui rami di cipressi innevati e una lieve brezza che consentiva il cambio d'aria.
Non mi svegliai con l'odore attempato della lana di pecora che ricordavo sotto il naso, bensì sotto lenzuola che profumavano di freschezza, un profumo familiare ma che non riuscivo a riconoscere.
Mi voltai di lato, la bocca impastata dalle ore trascorse a dormire che, considerando lo stordimento, dovevano essere state parecchie. E mi guardai attorno: Ci vollero un paio di minuti per identificare il luogo in cui giacevo. 
Poi tutto si fece chiaro: Sophie, la pergamena ingiallita e Grace, la storia di Maria e Grace. Riordinai tutte le idee che seppur fossero poche, quanto meno avevo qualcosa da cui partire. Maria non era stata in grado di fornirmi la posizione della capanna di Grace, perfino lei ne era allo scuro, e l'idea di avventurarmi in un bosco infestato non era confortante, ma l'immagine di mia madre debolmente in vita continuava a insistere nella mia testa.
Mi alzai, sistemando alla buona i capelli arruffati e indossai scarponcini e mantello. Mentre percorrevo le scale scricchiolanti sperai di poter ringraziare Maria per avermi adagiata su un letto comodo e avermi ospitata per la notte, ero stata così scortese a lasciarmi andare al sonno in quel modo e speravo di rimediare.
«Maria?» mi affacciai alla cucina vuota, controllando in ogni angolo, la casa era completamente deserta, «Milky? Shade...»
Niente, dovevano essersi tutti assentati per svolgere le loro commissioni, Shade in particolare considerando che il suo mestiere lo tratteneva lontano da casa per quasi tutto il giorno. Da quando aveva iniziato — circa otto anni prima — le nostre occasioni di trascorrere il tempo libero insieme erano calate notevolmente. 
Shade era sempre stato diverso da tutti i ragazzi del villaggio: Molti di loro ancora facevano baldoria alla locanda o commettevano bravate disturbando i contadini nei campi, lui invece era sempre rimasto in disparte, riservato e misterioso. Nel corso degli anni aveva perso il padre e quell'accaduto lo aveva reso uomo prematuramente, solo all'età di quattordic'anni aveva già un mestiere — l'unico di cui avesse delle basi solide grazie al padre — e che, coltivandolo nel tempo, ne era diventato un vero professionista.
Era come se il dolore lo avesse trasformato, diversamente da Bright che poteva vantare di una notevole fortuna da parte della sua famiglia, Shade con il duro lavoro aveva sorretto economicamente Maria e Milky, la sorella minore. Ma ancora all'età di ventidue anni qualcosa in lui era oscuro. 
Era come se trattenesse ancora i rimasugli di un'infanzia rubata dal destino, ormai divenuti cenere. Quell'aspetto lo rendeva ombroso e distaccato.
Lasciai scivolare la mano sulla maniglia, sommersa nei ricordi e scossi il capo maledicendomi per essermi persa in frivolezze, quando mia madre ancora giaceva malata a letto.
Imboccai l'uscita, ma qualcuno vestito in abiti scuri mi anticipò sul tempo.
«Shade!» esclamai sorpresa, indietreggiando per lasciarlo passare.
Stava rientrando proprio adesso, dalla bisaccia spuntavano le orecchie di qualche animale che non riuscì a identificare. I suoi occhi mi scrutarono per qualche secondo, come se tra i due fossi io quella misteriosa e poi mi superò accennando un misero saluto.
Nella mia testa era balenata un'idea geniale dalla sua comparsa, richiusi subito la porta e lo seguì in cucina. Spuntai dallo stipite un po' nervosa, sapevo di non doverlo essere, ma più trascorrevano gli anni più Shade diventava terribilmente magnetico per me. 
Aveva posato su una sedia il mantello che raggiungeva di lunghezza a malapena il suo polso e cadeva solo da un lato del corpo, i pantaloni erano rovinati e la camicia sgualcita dall'ultima battuta di caccia. Ma la sua figura avvolta nel nero era ugualmente destabilizzante. 
«Hai mai visto una casa di streghe?» chiesi incapace di guardarlo.
Per un attimo Shade interruppe quello che stava facendo e voltò il capo verso di me, ora che l'aveva tirato fuori dalla bisaccia, riuscivo a riconoscere il pelo candido di un coniglietto morto.
«Credi a queste cose?» ribattè in tono di scherno. 
Rimasi basita, tutto mi aspettavo tranne quella reazione, infatti le sue labbra si curvarono in un sorrisetto divertito.
«Come sarebbe?» mi accigliai.
«Da quando lavoro nel bosco non mi sono mai imbattuto in niente di tutto questo» chiarì in modo arrogante, liquidando l'argomento con un gesto sbrigativo della mano, «Sono solo storielle»
Aprì la bocca per dire qualcosa, sentendomi abbastanza temeraria da argomentare su qualcosa che probabilmente lui sapeva meglio di me. Tornò a fare ciò che stava facendo prima con indifferenza e girai attorno al tavolo, sporgendomi perché guardasse me e non l'animale.
«Solo perché non hai mai visto niente non significa che siano storielle!» continuai imperterrita «Padre Omendo dice che—»
A quel punto si voltò spazientito: «Padre Omendo cosa ne può sapere di ciò che è vero e non? Lo hai mai visto mettere il naso fuori dalla sua chiesa?»
«E' un parroco» ribattei freddamente, lasciando intendere che ne sapeva più di lui.
Quella risposta scatenò una risatina canzonatoria da parte sua, irritandomi a tal punto che lo fissai  stizzita e a grandi falcate ripercorsi la strada per l'uscita.
«Grazie per l'aiuto» ironizzai, sbattendo la porta. 

Percorsi come una furia la strada verso casa, decisa a non lasciarmi scoraggiare dalle sue parole. Mia madre aveva bisogno di supporto e se nessuno al villaggio poteva darmelo, lo avrei cercato da sola. Ad un tratto mi accorsi che niente sembrava spaventarmi di più della morte di mia madre, perfino la Foresta sembrava insignificante se paragonata al prezzo della perdita che avrei dovuto pagare se non avessi agito.
Era come se fossi stata colpita da una corrente di coraggio improvvisa che non mi caratterizzava, tra le due era sempre stata Rein la più temeraria. 
Trascinai i piedi sul porticato di casa e scrollai via la neve dagli scarponcini. Perfino da fuori la casa non aveva più lo stesso aspetto, era come se si fosse spenta insieme a mia madre. Nel villaggio eravamo tra le famiglie più felici e quelli che passeggiavano di fronte spesso venivano contagiati dall'aura di gioia che circondava la nostra casa. 
Ma adesso le tende — un tempo legate — erano tirate per coprire l'interno e le ombre dei fiori oltre le tende erano chiaramente appassite. Le ortensie di cui Rein si prendeva cura erano state abbandonate per dare la priorità a ciò che era realmente importante in quel momento. 
Abbassai lo sguardo aprendo la porta, il profumo delle crostate ai mirtilli che io e mia sorella coglievamo nel bosco era svanito completamente e dal soppalco si sentiva soltanto il pianto soffocato di Rein.
E fu proprio alla luce di tutto quello che decisi che l'indomani sarei partita.







 
 
Nota autrice: 
Non so nemmeno cosa mi sia preso per aggiornare in modo così repentino, ma sono contenta di proseguire poi vedo che molti hanno aperto questa storia e sono soddisfatta!
Spero che piaccia e be', come sempre ci vediamo nel prossimo capitolo!
Baci, P h o e.
  
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