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Autore: Enchalott    27/06/2018    5 recensioni
Questa storia è depositata presso lo Studio Legale che mi tutela. Non consento "libere ispirazioni" e citazioni senza il mio permesso. Buona lettura a chi si appassionerà! :)
"Percepì il Crescente tatuato intorno all'ombelico: la sua salvezza, la sua condanna, il suo destino. Adara sollevò lo sguardo sull'uomo che la affiancava, il suo nemico più implacabile e crudele. Anthos sorrise di rimando e con quell'atto feroce privò il cielo del suo colore".
Genere: Avventura, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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La lunga strada
 
I monti Rhaida incombevano lontani, allacciati alla foschia che si levava dalla terra, in granitica attesa del passaggio umano.  Le rocce svettanti e rosate erano illuminate dal sole, che evidenziava le cime erose dal vento carico dell’argilla dei millenni.
La strada fiancheggiava l’Emakai, così nominato dall’ottimismo di chi dava fiducia al piccolo nastro bagnato. In quei giorni l’acqua scorreva abbondante e il suono allegro accompagnava i viaggiatori. La piena inconsueta, dovuta ai frammenti di ghiaccio che andavano sciogliendosi nella corrente, era uno dei segnali della Profezia.
Adara si voltò. Erinna non si scorgeva più, trascorse poche ore di viaggio.
Dietro di lei procedeva al passo la fila, che si chiudeva con Narsas, che non aveva aperto bocca da quando era montato in sella.
Chissà se è una buona idea tenerlo alle spalle, vista la mira che si ritrova...
Gli Aethalas non erano solo abili nel tiro, conoscevano anche gli arbusti e le bacche che spuntavano sulle sabbie aride della loro terra. Da esse ricavavano delle sostanze per imbibire le punte dei dardi e alcune procuravano la morte in pochi secondi, il che non era affatto di conforto, sebbene in quell’istante il suo bagaglio giacesse innocuo sulla groppa della cavalcatura. In arcione non sembrava a suo agio, però non si era lamentato ed era rimasto chiuso nei suoi inespugnabili pensieri.
«Se sei preoccupata, perché gli hai consentito di venire con noi?» chiese Aska Rei, notando l’ennesimo sguardo che la principessa aveva lanciato oltre la spalla.
«Me lo sto chiedendo anch’io» borbottò lei, non più così certa della decisione «Il suo sguardo mi è sembrato sincero. Ho cercato di non farmi influenzare dagli attuali pessimi rapporti con gli Aethalas. Speriamo che mio padre abbia risolto.»
Il capitano ripensò alla richiesta della regina: il fatto che Narsas fosse così laconico risultava un pregio, poiché non avrebbe rivelato che il re era prigioniero.
«Sono d’accordo con te» sorrise «Non lo conosciamo, ma diamogli una possibilità e non generalizziamo. Sarebbe come dire che tutti i soldati elestoryani sono valorosi e affascinanti perché io lo sono!»
«Oh, non ti rassegni mai, vero?» mugugnò Adara alzando gli occhi al cielo «Ti piace tanto il ruolo del rubacuori?»
Lui sogghignò, affiancando il cavallo al suo.
«E chi dice che sia un ruolo? Hai visto quante fanciulle sono giunte a porgermi il loro struggente saluto, stamattina…»
«Porti il pegno di una soltanto.»
Aska Rei mosse il polso, sul quale spiccava il nastro verde di Dionissa e una ruga sottile si disegnò sulla sua fronte.
«La ami, vero?» lo inchiodò Adara.
«Ti ho istruita bene, non ti sfugge niente.»
«Lo prendo come un sì.»
«Non permetterò che muoia. Tornerò e la salverò. Non sarei partito, se non fosse mio dovere di comandante e di uomo, se lei non mi avesse chiesto di proteggerti.»
«Neppure io consentirò che il male se prenda. Ho partecipato alla gara per mia sorella, non per la Profezia
«Vale a dire?» si meravigliò Rei.
La principessa lo fissò negli occhi, certa che per entrambi il valore della vita di Dionissa andasse oltre la missione di cui erano parte.
«Quando Dionissa si è aggravata, ho inviato uno strik a Jarlath.»
«Cosa!?»
«Non stupirti. Mi conosci. Mia madre non sarebbe stata d’accordo, non trattandosi di un canale ufficiale. Tutti dicono che il principe Anthos sia un mago straordinario, ho pensato che potesse conoscere una cura e gli ho scritto supplicandolo, ma…»
«Ha risposto picche?»
«No, lo strik è tornato indietro senza corrispondenza. All’inizio ho pensato che il reggente stesse riflettendo o svolgendo delle ricerche, ma con il trascorrere dei mesi ho capito che mi ha semplicemente ignorata.»
«Ne sei certa? Magari la lettera non è giunta in mano sua.»
«Può darsi. Tra pochi giorni saremo faccia a faccia e gli chiederò quanto desidero. Mia sorella è più importante della Profezia, penso che tu condivida la mia opinione.»
Il giovane la osservò con un’espressione parimenti grave e indulgente.
«Non dimenticherò di svolgere il compito che mi è stato assegnato, comunque» aggiunse lei, stringendo le dita intorno al cilindro che conteneva gli scritti.
«Mi chiedo cosa farai, se dovesse risponderti che ha ricevuto la missiva e l’ha usata per attizzare il fuoco.»
«Non voglio crederlo.»
«Adara, so che non sono la persona indicata per farti una raccomandazione del genere, ma ti prego di usare molta cautela con il principe. Non perché possiede la magia arcana, ma perché ha davvero una pessima reputazione.»
«Mia madre mi ha raccontato che è un uomo indecifrabile.»
«Misterioso, potentissimo e crudele» precisò il comandante «Prendili pure come pettegolezzi tra pavidi soldatini, ma i miei veterani hanno raccontato che il giorno in cui tuo padre ha incontrato Anthos, il mio predecessore l’ha sfidato a duello. Avrebbe dovuto essere uno spettacolo per gli astanti, una prova di bravura tra spadaccini come si usa nei tornei…»
«Ma…?» sussurrò Adara, rabbrividendo.
«Ma il principe l’ha disarmato in pochi secondi e senza usare la magia. Anzi, è mancato poco che lo uccidesse. È stato uno scontro spaventoso, se non tuo padre non avesse interceduto, Anthos non l’avrebbe risparmiato.»
La principessa trattenne il fiato.
«Tu gli hai mai parlato?.»
Aska Rei scosse la testa.
«Quell’uomo ha portato a casa la pelle, è vero, ma non è mai più stato lo stesso. Non ho avuto occasione di conoscerlo dal vivo, ma suoi vecchi compagni tremano ancora al ricordo di quell’evento e non sono certo dei principianti.»
«Non ho paura, ma cercherò di evitare lo scontro. Per la nostra salvezza, per i due Regni e soprattutto per Dionissa.»
Il giovane annuì altrettanto risoluto.
«Per adesso il nostro principale problema è comprendere se l’Aethalas in fondo alla fila sta meditando di piantarci una freccia nella schiena o se è solo asociale come i lupi di Iomhar» disse Adara, voltando il cavallo.
«Dove stai andando??»
«A vedere se Narsas persiste nel suo mutismo.»
Aska Rei ridacchiò, osservando la ragazza che raggiungeva la coda della spedizione. Era la persona più adatta per quella missione. E non perché gli dei l’avevano indicata.
 
 
Anthos balzò a sedere sul letto madido di sudore, con il respiro accelerato. Si fissò le mani tremanti, illuminate dalla luce fredda che filtrava attraverso la grande finestra.
Il sogno…
Era stato più nitido di tutte le altre volte in cui le immagini avevano attraversato la sua mente assopita. Non dormiva mai del tutto, una parte di lui non abbassava la guardia, come se davvero qualcuno possedesse l’ardire di avvicinarlo durante il sonno. Una precauzione ridicola, che tuttavia non lasciava cadere. Invece quella notte si era addormentato pesantemente e il suo ultimo pensiero era stato per gli antichi scritti di Elestorya, che stavano viaggiando verso il suo regno.
Questione di pochi giorni, a quanto aveva scorto attraverso l’acqua magica: la ragazzina aveva preso la via delle montagne, la strada più lunga ma più sicura.
Corrugò la fronte, posandosi una mano sul petto nudo, nell’angolo in cui il cuore continuava il suo assurdo martellamento.
Maledizione! Farsi prendere così da un incubo…
O da quello che era quel cumulo di visioni piovutogli addosso dal mondo onirico. Eppure sapeva che non avrebbe dovuto sottovalutarle come stava tentando di fare, autoimponendosi la calma con lunghi e controllati respiri.
Sei un codardo, Anthos…
I suoi poteri erano capaci di attraversare lo stato di torpore e le rare volte in cui tutto il suo essere si era sedato quel sogno lo aveva raggiunto implacabile.
Che non siano le mie doti a richiamare la visione? Mh, improbabile.
E se invece fosse la rivelazione della sua reale opportunità?
Non negarla, solo perché non ti va a genio…
Le immagini erano così chiare, così odiose, così dannatamente vere…
La mia morte.
La sua spada piantata nel petto: il sangue che sgorgava dalla ferita letale era nero come l’inferno. Gli macchiava le mani che stringevano la lama affilata, gli scorreva sul torace, impregnando la stoffa leggera della sua camicia. L’elsa affondava in lui senza fargli male, il fiotto scuro sprizzava dal taglio mortale e il Medaglione con le tre Gemme sacre ne veniva inondato. Poi si spezzava a metà con uno schiocco secco. Lo aveva ancora nelle orecchie, come se davvero quel prezioso amuleto potesse rompersi con tanta facilità.
Le yamhnai si dissolvevano e lui non tentava neppure di usare le sue facoltà, neanche quando avvertiva la vita scivolare lontano dai suoi sensi e dal mondo.
Mi dispiace.
Sentiva le parole di chi lo aveva trafitto, un viso pietoso che non riusciva a scorgere. Ma allo scoccare di quell’affermazione, il suo sangue tornava rosso vivo e la ferita iniziava a fare male sul serio e per un istante la sua vita veniva richiamata dalla strada in discesa che portava alla fine.
Allora attirava a sé l’energia, ma lei non rispondeva, perché doveva morire sdraiato a terra come uno sconfitto, con il dolore che gli squassava l’anima. Le sue dita scorrevano sul filo dell’arma, riuscendo in qualche modo a estrarla e la ferita si allargava a dismisura. Il suono della spada gettata lontano gli rimbombava nelle tempie e dissolveva parte della visione, lasciandolo al suo futile tentativo di rialzarsi, nonostante l’incombere del decesso.
Mi dispiace…
Ripeteva la voce di chi lo aveva ucciso, inchiodandolo al suolo con la sua dolcezza, e la sua eco era sincera, priva di malvagità, e gli doleva più dello squarcio attraverso cui la sua esistenza trapassava. Le sue mani erano scarlatte, lo era il gelido pavimento sotto di lui, lo era il creato freddo che costituiva il suo regno.
A me non dispiace… non dispiace affatto…
Nel sogno rispondeva così, prima di abbandonarsi al nulla che lo accoglieva, come se morire fosse la cosa più bella che gli era mai capitata. E avvertiva il sollievo e la libertà nello spegnersi definitivo di sé.
Assurdo. Nessuno anela la morte. Io desidero la vendetta.
Non si sarebbe lasciato sorprendere prima di averla ottenuta. E a quel punto sarebbe stato più forte addirittura della fine, l’avrebbe sconfitta e lo avrebbe fatto senza timore.
Allora perché sto tremando?
Appoggiò i piedi a terra, la pietra dura e fredda lo riportò alla realtà contingente.
Perché dovrei credere che la mia unica opportunità di vittoria sia la morte?
Si alzò e spalancò la finestra, lasciando che la tormenta lo frustasse in un volo di fiocchi di neve a scompigliargli i capelli biondi.
Non era in grado di interpretare le visioni: il suo immane potere non aveva facoltà nel regno del sonno. Non aveva raccontato a nessuno di quel sogno, quindi il significato restava oscuro e inaccessibile. Sempre che ne avesse realmente uno e non fosse la rappresentazione di una paura che si rifiutava di ammettere.
Aveva cercato nell’antica biblioteca di Jarlath, scorrendo i tomi polverosi che trattavano di trasfigurazioni oniriche, ma nessuno di quei volumi mangiati dal tempo gli aveva fornito una valida soluzione.
Perché sono tutte sciocchezze!
Chiuse le imposte e il Medaglione oscillò sul suo petto, intatto e scintillante come il giorno in cui era stato forgiato. Concentrò il suo potere, chiudendo le palpebre, le pietre preziose emanarono una luce blu ultraterrena, che corse in tre direzioni diverse e ritornò indietro. Il gioiello del Nord vibrò di uno scintillio abbagliante, gettando sul volto del principe un chiarore azzurrato, che ne rischiarò i lineamenti perfetti.
Il bagliore si spense tra le sue dita. Neppure l’oggetto sacro possedeva delle risposte. Forse perché le domande sono tanto idiote, che le yamhnai non vogliono ascoltarle!
Lo specchio gli restituì la sua immagine: gli occhi allungati del colore dell’ambra bruciavano di rabbia, ma anche di dolore, come se fosse già ferito e agonizzante.
Era stato tentato di parlarne con Urien. Possedeva poteri diversi dai suoi: forse quella viscida creatura era in grado di leggere il messaggio che gli giungeva, ormai da anni, attraverso il raro sonno. Aveva desistito, perché sarebbe stato come consegnare qualcosa di sé a quell’individuo, che gli era certo molto utile, ma di cui non si fidava affatto. Il suo consigliere sapeva molte cose e per lui la Profezia non aveva segreti, ma era da tenere a distanza come una serpe del deserto e aveva un fine personale non dichiarato. Urien non agiva a vantaggio di Iomhar, stavano percorrendo un tratto di strada insieme: non significava che fossero compagni di viaggio. Non lo temeva, non lo stimava, lo disprezzava. Ricorreva al suo aiuto e lo ricompensava. Nient’altro. Rivelargli il sogno sarebbe stato imprudente, sciocco e poi… concedere fiducia a qualcuno! Non l’aveva mai fatto e non era il momento di sperimentare.
Sei solo, Anthos. Va bene così.
La sua agile mente propose un’alternativa. Terminò di vestirsi e oltrepassò la porta, dirigendosi verso i sotterranei.
 
Màrsali osservava l’incombente volta in pietra bigia, ricoperta di concrezioni verdi e di stalattiti d’umidità solidificate, mentre il freddo le penetrava nelle ossa. Il cuore era già un blocco congelato di disperazione.
Si stinse inutilmente nello scialle di lana grezza, raccogliendo le ginocchia al petto e cercando di muovere le mani indolenzite; le catene le pesavano sui fragili polsi, faticava a muoversi, scossa dai brividi e dalla paura. Negli occhi chiari, quelle immagini spaventose.
Odhran non esiste più. Sono l’unica superstite.
L’antico quartiere di Jarlath, quello in cui la sua breve esistenza si era dipanata fino al giorno precedente, lo stesso dove era stata felice e dove aveva imparato a distinguere i segnali del cielo era sparito per sempre.
Una follia. Una follia spaventosa aveva posseduto il principe, per spingerlo a compiere un atto così disumano nei confronti del suo popolo, quello che non si era mai lamentato né del buco ghiacciato in cui era abituato a vivere né del reggente, che da anni era perso in una lontananza mentale funesta e dannosa.
Gli era bastato un pensiero. Non aveva pronunciato nessuna formula per scatenare quell’apocalisse verde, lei lo aveva scorto con chiarezza dal punto in cui si trovava, nonostante le lacrime di dolore, nonostante fosse attanagliata dalla stretta dei soldati.
Il reggente di Iomhar era un mostro, non c’era altra spiegazione allo sguardo privo di sentimenti che aveva abbassato sulla voragine fumante e sulle ceneri di quella che avrebbe dovuto essere la sua città.
Le lacrime tornarono ad annebbiarle la vista. Nascose il volto tra le ginocchia, nella stoffa pesante dell’abito scuro, appoggiando la schiena alla colonna liscia che sopportava il peso del soffitto. Le catene tintinnarono contro i bracciali lavorati.
Siavon è morta…
La sua vecchia, cara amica, colei che le aveva insegnato a usare le facoltà divinatorie, che era stata come una seconda madre e le aveva rivelato che sarebbe stata sua erede al momento opportuno… sì, non quando un essere spietato l’avrebbe dissolta come ghiaccio al sole! Quello non poteva essere il momento giusto!
Eppure Siavon doveva esserne consapevole. Una veggente tanto potente da interpretare una parte della Profezia senza possedere la magia arcana, aveva spinto il popolo di Odhran a insorgere contro quello che considerava un impostore.
Le aveva spiegato che Anthos non era figlio del re che lo aveva preceduto e che le sue origini erano avvolte dal mistero. Le aveva detto che ciò che sarebbe accaduto era necessario e che avrebbe comportato dei sacrifici. Ma non le aveva spiegato che il prezzo sarebbe stato la sua vita, non la disintegrazione del suo piccolo mondo, non il dover portare con sé l’immagine indelebile di quel momento!
Quella belva… quella belva che ci governa ha mostrato un’algida soddisfazione per l’azione scellerata che ha compiuto!
Siavon sapeva. Siavon aveva sorriso fiera, con la commozione tracimante negli occhi ciechi, il giorno in cui le aveva allacciato tra i capelli dorati la fascia con i simboli blu, che la dichiarava ufficialmente una lettrice delle stelle.
Riusciva a vederle oltre la coltre cinerina che schermava il cielo invernale, riusciva a scorgerle con metri e metri di castello a incombere sopra di lei. Riusciva a percepirle anche se chiudeva gli occhi e rifiutava di ascoltarle come sarebbe stato suo compito. Il messaggio era lo stesso della sua maestra: non avere paura.
Essa rende ciechi e, quando sul cammino transiteranno momenti di buio assoluto, essi non saranno che passaggi verso la luce piena.
C’era una speranza. Siavon era certa di averla scorta. Nella Profezia o nelle stelle, non avrebbe saputo affermarlo con certezza. Se n’era andata conscia e fiduciosa.
Ma lei, Màrsali, era solo una ragazzina inesperta e aveva bisogno della sua guida, del suo sorriso carezzevole, della sua mano sulla spalla a confortarla nei momenti di incertezza. Il ritenersi inadatta, impreparata alle aspettative dell’anziana la turbava più dell’essere prigioniera del principe.
 
Una coppia di passi risuonò lungo il corridoio che portava alla cella: il carceriere non era solo, stava conducendo qualcuno attraverso le segrete. La luce di una fiaccola si riverberò sulle pareti umide e nel cunicolo angusto, diventando sempre più nitida.
Màrsali rabbrividì quando udì lo stridio della chiave di ferro che girava nella toppa. Si ritrasse il più possibile nell’angolo della grotta, finché i catenacci non le scorticarono le braccia.
Due uomini fecero il loro ingresso al fragoroso spalancarsi dell’inferriata. La luce inondò la stanzetta, che assunse un aspetto ancora più desolante.
Il guardiano era imponente e robusto, vestito di lucide pelli, con una cintura borchiata in vita. Portava il cappuccio nero calato sul volto, del quale si intuiva una barba castana e ispida; teneva al polso, come un bracciale, il mazzo delle chiavi arrugginite, gingillandolo nervoso. Era strano notare della tensione in quell’energumeno, che latrava tutto il giorno ordini ai subalterni, prendendoli a male parole ogni volta che battevano la fiacca secondo la sua pignola e costante valutazione.
Quando la luce piovve sul secondo venuto, Màrsali comprese il motivo di tanta agitazione. Le mancò il respiro, sentì il terrore scenderle nel profondo.
Gli occhi dorati, meravigliosi e feroci, che la fissavano erano quelli del principe Anthos.
 
Stelio si alzò sulle staffe, allentando le redini e osservando il profilarsi a perdita d’occhio della linea ondulata delle dune.
Gli Aethalas stavano spostando le tende verso un’altra oasi, poiché l’aggiunta del seguito del re, rendeva necessaria una garanzia d’approvvigionamento più ampia.
Alle sue spalle, due guerrieri del deserto alzarono impercettibilmente gli archi.
«Non intendo scappare come un vile. Ho dato la mia parola al vostro portavoce. Non sono tanto stupido da lanciarmi per anydri in una corsa verso il nulla. Le vostre frecce soporifere mi raggiungerebbero in un respiro. Non riuscirei a percorrere neppure trenta passi. E, se così non fosse, sarebbe il deserto a fermarmi.»
I due uomini si guardarono attraverso la tela colorata, calata sul viso a protezione dal sole e dalla sabbia. Non risposero, ma abbassarono le armi.
Anche Stelio aveva indossato una sorta di turbante, ma il caldo insopportabile lo stancava più del normale dopo tre giorni di cammino, intervallati da soste rare e brevi. La sete era costante, anche se gli venivano forniti regolarmente acqua e frutta fresca.
Solo le genti del deserto erano in grado di sopravvivere in quell’oceano assolato.
Gli Aethalas l’avevano trattato con cortese rispetto: tutte le sere lui e Kendeas avevano cenato con il bailye Varsya e con gli altri personaggi eminenti, come se ci fosse una festa in loro onore. La tenda era dotata di tutto ciò che i nomadi gli potevano offrire e non c’erano costrizioni di sorta. Ma ogni suo passo era sorvegliato di giorno e di notte.
La colonna in movimento accelerò, segno che la meta era vicina.
«Tra circa quattro ore raggiungeremo l’oasi di Zerf e potremo finalmente ristorarci.»
Stelio si voltò.
Varsya scrutava l’orizzonte, che per i suoi occhi esperti non aveva segreti. Seguiva una pista che aveva in memoria insieme con il patrimonio genetico, che nessuno tranne i Guardiani del Mare e il loro fratelli nella sabbia avrebbe saputo riconoscere in mezzo a quell’ocra, a quei gialli, a quei rossi ripetuti e multiformi.
«Vostra figlia è partita stamattina» continuò «Abbiamo mandato uno strik alla regina per avvisarla che state bene e siete trattenuto presso di noi.»
«Eudiya non sarà felice alla notizia. Non avete fatto altro che fornirle una preoccupazione aggiuntiva.»
Varsya abbassò la stoffa che gli copriva la bocca e lo fissò.
«Che altro c’è?» fece il re, certo che il discorso non fosse concluso.
«Mio figlio Narsas è partito con la delegazione, a titolo di garanzia. La principessa Adara non ha obiettato alla sua presenza.»
Stelio si adirò.
«Mia figlia non ha esperienza! Altrimenti l’avrebbe fatto arrestare e te l’avrebbe restituito in cambio della mia libertà!»
«Ha agito con correttezza e questo gioca a suo vantaggio. Da quanto mi è stato riferito, è una donna leale e priva di ombre.»
«Una donna?! Adara è una ragazzina! Non si è mai allontanata da Erinna! Se fossi stato presente, non avrei permesso che partecipasse al torneo! Mi sarei accertato di vederla seduta sugli spalti a costo di incollarcela! Invece sua madre le concede troppo!
Varsya sorrise allo sfogo di un padre angosciato.
«La regina ha sangue Thaisa, la principessa ha ereditato la stessa tempra e la stessa cocciutaggine. Anche mia figlia Phylana è così. Non c’è niente da fare, maestà, ve lo garantisco.»
Le labbra di Stelio, nonostante tutto, si incresparono in un sorriso.
«Narsas si è mosso per proteggere la Campionessa» continuò il bailye «La Profezia parla di un tradimento che verrà dal sangue del re, ma non significa che vostra figlia stia tramando contro Elestorya. Potrebbe essere un’interpretazione che si discosta dal vero senso degli antichi scritti, sebbene ne dubiti. La verità non tarderà a venire a galla, credetemi, ma non possiamo rischiare. Narsas si è offerto volontario per raggiungere il Nord e agirà solo se necessario. Il mondo deve sopravvivere, i due Regni sono in grave pericolo, so che ne siete consapevole, sire. La mia fedeltà e la mia devozione vanno al Sud prima che al reggente. Non posso permettere che una mano infida ne causi la rovina. Per questo non vi ho permesso di rientrare a Erinna. Per lo stesso motivo i miei uomini stanno tenendo d’occhio la vostra famiglia.»
«Quindi la ribellione era una scusa per farmi venire qui?»
«Vi domando perdono. Gli Aethalas sono i guardiani del Regno, sto assolvendo un compito che ci è stato assegnato più di mille anni orsono.»
Stelio annuì grave.
«Penso che tu stia sbagliando, ma forse avrei agito così nei tuoi panni.»
«Vi ringrazio, maestà. E per ribadire che nessuno di noi desidera il male dei vostri cari, insieme con il messaggio diretto alla regina abbiamo inviato una medicina per la principessa Dionissa. È stata preparata dalle nostre guaritrici con le erbe più rare del deserto. Spero possa alleviare la sua sofferenza.»
Gli occhi di Stelio si inumidirono nonostante la vampa rovente.
   
 
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