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Autore: queenjane    28/06/2018    1 recensioni
Qualche capitolo su Andres Felipe León dei Fuentes, il principe, l'eroe, amato marito di Catherine Raulov, dal primo capitolo " Gli occhi verdi di mia madre, aperti, quando le ho detto addio, un ragazzino di 13 anni che prendeva a pugni i tronchi degli alberi, il dolore alle nocche per non pensare al dolore dentro, lei era morta da poco e non sarebbe più tornata. Un sorriso nelle foto, ricordi, e poco altro.
MAMMA.. dove sei..E so che non pronuncerò più questa parola, intima e segreta, da ora in poi Sofia Funtes sarà “madre”, “Mia madre..” Immutabile come i Pirenei, le punte acute e nevose, contro lo sfondo di cieli di zaffiro e ametista.
La prima e tenace perdita, senza ritorno, le sue spoglie mortali avrebbero riposato nella cappella dei Fuentes, accogliendo pochi anni dopo quelle di mia moglie e mio figlio, in attesa della resurrezione della carne.
Se esisteva un paradiso, vi erano di sicuro, per loro e non per me.
Ero un mortale, anche se mio padre era il principe Fuentes, non certo Achille od Ulisse, avevo bisogno di amare, non ero perfetto, non ero un santo, od un asceta.
Ero solamente io."
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Periodo Zarista
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The Dragon, the Phoenix and the Rose'
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“A Catherine, al mio amore, che sa benissimo che non sono un poeta od un cieco, le parole giuste  non mi appartengono, sono solo un uomo che ti ama. Ti scrivo, per raccapezzarmi e mettere in ordine le idee e le sensazioni. Abbiamo litigato come non mai, facendo poi pace, pure non riesco a dormire e per non disturbarvi, sono venuto a meditare in un’altra stanza. Me lo hai detto per il mio onomastico, che avremmo avuto un figlio, mettendo dentro il portasigarette due scarpine da neonato, o aspiranti tali, che, senza offesa, maglia e ricamo non rientrano tra i tuoi talenti. Ed apprezzo il pensiero, anche se lo avevo già indovinato, in parte ( le  nausee, gli attacchi di sonno e fame, il mettere il palmo sul ventre come se ascoltassi un silenzio o una musica nota solo a te, etc etc..) Per presa di giro, ribatto che saranno due gemelli, la replica è di volta in volta il silenzio o una risata o una battuta. 
Ti ho conosciuto quando eri una bambina di otto anni, dietro a un gatto, che fece cadere una risma di fogli e rise del mio radunarli, invece di scusarsi del pestone. Giusto perché eri la nipote di Rostov-Raulov mi astenni dal riprenderti, sorridevi sghemba con quel felino, finalmente preso, ballando ora su un piede ora sull’altro, poi sparisti, di gran carriera.
Il mitico Sasha R-R, diminutivo di Alexander Rostov-Raulov, conosciuto nel 1896, quando venne in Spagna a cercare notizie per scrivere un libro sul primo principe Rostov-Raulov, al castello di Ahumada, mia casa di nascita, oltre che di Felipe. Personaggio carismatico e complesso, guai a chi osava toccargli la sorella o la nipote, che al tempo eri ancora figlia unica. Cocciuta, viziata e esasperante. E non era timidezza, come appresi poi. 
Nel 1905, eccoci al matrimonio di mia sorella, ad Ahumada rientravo che era quasi l’alba dopo la notte di addio al celibato e mi venne l’idea di fare due parole con Marianna, che conoscendola era in piedi, serena e senza fallo prima del trambusto della giornata. Bussando, trovai Lei e Te che contemplavate l’alba nella sua stanza. “Chi è?” “Fuentes” “Entra, fratellino..” in senso ironico, che la supero abbondantemente di peso e statura “Catherine ..nipote di Rostov-Raulov” Un bagliore indefinito, le iridi color onice che mi soppesavano. “Lo so, chi è” “ E voi siete Andres Fuentes” Mi inchinai, ironico, “Per servirvi, chiedete e obbedirò”mentre il cielo a oriente diventava zaffiro e cobalto, previdi che sarebbe stata una lunga giornata.
Avevi dieci anni, tra le ragazzine più graziose (..e va bene, eri la più bella, contenta, peste?!) che assistettero al matrimonio, ne convengo, tranne che non eri affatto convenzionale, come appresi a mie spese grazie a un calcio e due  pestoni, al momento dei balli, ti appellai chica pestifera, ragazzina malefica,dicesti, è una occasione allegra e voi avete il muso.. Ti avrei torto il collo, fidati.  
Marianna rise di entrambi,falla crescere Andres, e la troverai di tuo gradimento.. 
Comunque, osservasti che, muso o  meno, le cose le sapevo raccontare, su Felipe de Moguer, diventato principe Rostov-Raulov grazie alle sue epiche imprese alla corte di Russia. Già, la mattina successiva alle nozze, mentre tutti dormivano, chi mi ritrovo ?Erano le sette e mezzo, in punto di cronaca, la servitù avrebbe preso servizio dopo un’oretta, che i festeggiamenti erano terminati verso le cinque. Domanda retorica, chi mi ritrovai, definirti curiosa e sfibrante un eufemismo. Ti piacquero i ritratti dei tre fratelli, Felipe, XavierNicolas e Francisco, vicini nella galleria, lui era tornato ad Ahumada verso i 40 anni, sopravissuto alle battaglie e agli ingaggi, onorato e riverito, con la seconda moglie e i figli avuti da lei. “Avevate detto che alle mie richieste avreste obbedito, Fuentes”al mio tentativo di sparire, un sorriso sghembo, avevi grinta, complimenti a te, e lo dicesti in spagnolo, in poco tempo avevi imparato a sufficienza. 
Quando rovesciai il cappello, nell’arena di Granada, cadevano fiori e applausi, tu avevi le braccia lungo i fianchi, alzai la mano e ricambiasti il saluto. 
Nel 1911, ti intravidi da lontano, a Livadia, un profilo squisito e le spalle ben dritte, nonostante il dolore.. Già… E quando ho visto le cicatrici delle staffilate mi sono rammaricato di non avergliene suonate di più.
Quando ci siamo rivisti, nel bene che nel male eravamo cambiati, e tanto il vizio di tirare calci e pestoni ti era ben rimasto, come appurai a mie spese, al solito. Rubando la definizione a tuo zio, mi avevi ai tuoi piedi in senso letterale e non metaforico, quando per me era il contrario. Sei stata l’unica, la sola. 
Inutile nascondersi dietro a un falso moralismo, negli anni che sono passati tra la morte di Isabel  e il ritrovarti, ho avuto molte storie, avventure più o meno lunghe, legami effimeri e brevi sfogli, mia unica attenuante non avere una moglie. E non citare “..in Spagna ne ho già mille e cento tre..”, che non sono un sultano in un harem e men che meno un Don Giovanni. 
Mi sei piaciuta, eri ironica e spumeggiante, una maschera di allegria per nascondere le preoccupazioni, e tanto mi davi sui nervi. 
Sparsi frammenti e pensieri, my immortal, my beloved, osservata mentre prendevi un caffè, delicati i movimenti delle mani e scalzi i piedi. Scalfitture, ematomi e cicatrici, il mare, ti ho paragonata a una dea, una ninfa irriverente, diversa da tutti, la mia privata meraviglia, costante. Amazzone infallibile, ti ho visto cavalcare il vento e saltare verso l’orizzonte, un gioco, una favola, solo limite l’immaginazione.
Prima di te, il nulla, il vuoto ed il rimorso, uno specchio vuoto, insieme a te sono tornato a essere vivo, infinita passione. E quando ti ho rivelato i miei segreti, non sei né inorridita né scappata.. nati in paesi diversi, separati dalla lingua e dalla religione, ci siamo trovati a leghe di distanza.
Destino? Vocazione? Forse sì, forse no.. ti avrei cercato lo stesso in questa vita e in altre cento e mille..
Incomparabile, composta di ferro e pietra, ti ricordi il Sonetto di Shakespeare, il XVIII?.. regale, anche nei difetti, testarda e irruente, impulsiva, parlavi troppo o troppo poco, se hai qualcosa ridi per non piangere e diventi quasi muta, mai nessuno deve scorgere le tue ferite o le debolezze..
Tristezza rassegnazione, questo no, tu sei allegria, risate e irritazione, mia splendida cinica, pazzesca la tua ironia, davvero sei un continente, sempre nuovo da scoprire, generosa e non importa che tu sostenga che sia uno scarico di coscienza per stare meno tempo in purgatorio.
A Lifelong Passion, le parole graffiano la carta e sono solo un misero eco di quello che provo.  Un libro, il caffè che prendi sempre amaro, la voce di seta e miele e fumo, i capelli corti. Lady Morgan, narrando la storia degli antichi, convinti che l’anima risieda nel plesso solare e che, due amanti, toccandosi lì con le nocche, nelle vie del sonno, ritrovino lì quella dell’altro uno.Amatissima, presente anche nelle assenze. Ti ho ritrovato nelle gocce di pioggia, nella rugiada che fa omaggio alla primavera, al largo del mare più profondo in estate, zaffiro e indaco E nelle foglie cadute in autunno nei prati, nel silenzio della neve che cade in inverno.
Principio di tutto e parte del tutto.
Un  litigio feroce, in fondo avevi ragione, se i gesti sono quelli di Raulov, i pregiudizi sono ben meritati. Ed è venuto fuori solo nel 1911, in tutta la sua violenza. In tutto il tempo che ho conosciuto R-R, è stata la sola occasione in cui è andato fuori controllo. Insulti smoderati, inimmaginabili, aveva osato frustare una ragazza di 16 anni che gli aveva strappato lo scudiscio dalle mani, che sua madre non doveva pagare per il rifiuto  di ripianare le perdite al tavolo verde.. Già. E quando ho visto le cicatrici delle staffilate mi sono rammaricato di non avergliene suonate di più, te ne sei sempre vergognata, senza ragione.. TU.. e io non sono lui..
L’intensità di quello che siamo, che sei..Nessun paragone, o ci provo, ho perso Isabel e mio figlio che ero appena un ragazzo, ho impiegato anni a ritrovare un minimo di pace, di equilibrio, poi sei arrivata tu, a ricomporre i pezzi..e sempre avrò nostalgia di loro, quello che poteva essere e non è stato, querida,  da sempre vestita di mille maschere per celare antiche paure e nuovi ardimenti, my love, my only love ..
Goodbye, my love,I’ll love you forever, until my death and more, I will  always love you.
Tatiana mi fissò con gli occhi sgranati, faceva il paio con Olga, da brava egoista le avevo sconvolte, ero sempre calma e posata, almeno nel mio ultimo periodo. “Mi spiace di essermi messa a piangere ma ..Lui è mio marito, lo amo e ..” Continuai a scrivere, era giusto in quel modo, non la dovevo escludere, mai più. Mi ero messa a singhiozzare senza controllo, i fogli sparsi per terra, me le ero ritrovate vicino senza accorgermene,a prezzo di una loro immane fatica, che tra malattia e abdicazione erano ancora debolissime, Marie e Anastasia peggio, una con la polmonite doppia e l’altra con la pericardite. Già che era la giornata delle rivelazioni, potevo aprire la lettera e le emozioni mi avevano travolto e assalito, proprio una sciocca, vero, portai un palmo al viso per celare le lacrime sorgive.. il lupo che piangeva..la lettera di Andres mi aveva ridotto a pezzi, il mio millantato e leggendario auto controllo era solo una barzelletta“.. non può finire così. Per quanto riguarda le cicatrici, ne parlerò solo questa volta e poi  mai più. Pardon, scriverò, che ancora non ci senti, Tanik, e non è colpa tua. Detta in sintesi, il matrimonio dei principi Raulov è stato un privato inferno, lui amava l’alcool e ha perso non so quanto al tavolo verde, era buona cura girargli al largo, che sobrio od ubriaco aveva buona costanza nel dirmi che ero inutile, una perdita di tempo. Quando chi devi amarti sostiene che sei una nullità, o soccombi o ti armi di arroganza, io ho avuto buona cura nel diventare arrogante ed egocentrica fino alla maleducazione. A credere solo in me stessa, che quando ero una bambina pregavo Dio che quel tormento finisse, smettesse di picchiare mia madre, o me, non so quante volte mi ha buttato contro un angolo per una spinta o girato il viso per uno schiaffo. O bacchettato sui palmi, che so scrivere con tutte e due le mani.. Insomma, non mi piaceva quella storia e ne inventavo di mie, che quell’incubo avesse termine, i libri un utile baluardo come la fantasia.. Periodo più, periodo meno, non era sempre un inferno, vi erano delle tregue, e tanto vi sono stata sempre tra i piedi per periodi più o meno lunghi..Senza dire nulla, che era un segreto ben duro. Testa alta e sorridi, non badando ai lividi sul corpo ..”

Dai quaderni di Olga alla principessa Catherine “ ..l’anima nuda su un quaderno, come la schiena, ho deglutito per l’orrore, e sì che le avevo già viste, una sola volta, eri di spalle e oltre ai geroglifici tra le scapole altre cicatrici correvano traversali fino alla vita, incise sulla pelle come monito di un incubo. Linee contorte e trasversali, ormai rimarginate, bianche, ogni tanto un reticolo  od un nodo in un punto, provocato da un colpo che aveva lasciato una ferita troppo larga e i lembi non erano rimarginati bene Squarci su squarci, dolore su dolore.E ti eri girata, solo pochi attimi, non volevi mostrare quelle sulle braccia, rivestendoti come un fulmine, Tata si premette le dita sugli occhi, per non mettersi a piangere”

“.. sono contenta che voler fare da sola, senza cameriere, passasse per l’ennesima delle mie stramberie, a dire la verità questo arsenale che ho sulla schiena mi ha sempre fatto vergognare. Per settimane ho dovuto dormire sul fianco, sorvoliamo che quando mia madre mi medicava le ferite mi cacciavo un lenzuolo in bocca per non urlare.. E mettere il busto, con le fasciature, era una tortura, ho sempre evitato, il più possibile.. E da allora ho chiuso con il principe Raulov, come mia madre..Diciamo che gli tirò in testa una caraffa di brandy vuoto per farlo smettere dal suo zelante e nuovo passatempo.. Mio zio andò fuori controllo, credo che tra lui e Andres gliele abbiano ben suonate, ormai è andata.. “

Ormai che vi ero, aprii il medaglione, se avevo recuperato quel coraggio potevo anche guardare il giovane innamorato che aveva sposato Isabel. E il principe D. aveva parlato di DUE foto e capelli? No forse avevo capito male.. Come no, ero giovane e sana, con buone orecchie.

 Allibii. La foto dei principi Fuentes che celebravano le loro nozze, il mio sorriso di settembre, su un lato, dall’altro Sophie di quattro anni, con i solenni occhi chiari. Una ciocca scura, l’altra avvolta in un nastro celeste. Oddio..  una di Xavier, il piccolino del 1901, l’altra di Sophie, Erzsi l’aveva inviata, lo conosceva bene, il nostro uomo, in un dato senso. E  le lacrime iniziarono a scorrermi sulle guance, richiusi le valve. Le ginocchia piegate. “Catherine, che hai visto?” Olga, allarmata “La foto del nostro matrimonio, in genere vi ha sempre tenuto una in cui era con Isabel..” aveva scelto il futuro, una possibilità, andare avanti, aveva me e ..la bambina, senza obliare il suo primogenito. ANDRES .. Senor de las montanas.. Principe Fuentes, ora ed allora.

 “..Non so quanto possa fare bene al bambino, però piangi, per una buona volta, sfogati” scrisse Tanik “Che se ti ammali, non possiamo ancora curarti”Olga, ironica “Sfogati per una buona volta..” le affondai il viso in grembo e piansi come non mai, per me, per loro, per mio marito, i vivi ed i morti, mi ancorai ai polsi di Tatiana come ad un’ancora, percepii le sue braccia, il suo sussurro quieto.

Il dolore si sciolse, liquido, rividi  Luois e la sua grazia,ripercorsi il dolore per i miei bambini morti nel grembo, le persone che avevo incontrato, con cui avevo parlato, chi mi aveva segnato fiato e anima, chi avevo respinto e chi avevo sdegnato, troppe vite e nessuna vita, sorrisi e perdite, fino a tornare al figlio che aspettavo, a Sophie.. . Je suis Catherine, now and forever, ahora y por siempre.

“Mi sento meglio, più leggera”osservai un’oretta dopo, mentre mi risciacquavo il viso e pettinavo “Non sei sola.. E tanto, lo riavrai.” Strinsi le spalle, amara. Una bella fortuna sposarmi, un marito morto, l’altro in galera, già. 

“E vi ho caricato di un altro peso, come se non aveste abbastanza”
“E tu sei rimasta e ci hai curato, sorridi sempre, non puoi essere sempre la più forte, la guerriera senza cedimenti” ebbi buona cura di starmene muta, almeno a quel giro. Mi sdraiai sul divano e chiusi gli occhi per evitare rimproveri o ulteriori conforti. Andres .. devi tornare.

Tanto per dare la misura di come sarebbe stato il clima, di umiliazione e scherno, si iniziò dal giorno successivo al rientro dello zar a Carskoe Selo. Era uscito per passeggiare in giardino e le guardie gli sbarrarono il passo, si girò e una guardia gli mise davanti, fino a quando non lo circondarono in sei, che con armi o pugni lo mandavano da una parte all’altra. “Di qua no, Gospodin Polkovnik!” (signor Colonnello) “Non posso permetter che tu vada in quella direziona, Gospodin Polkovnik!” “Gospodin Polkovnik!” Alla fine rientrò, la sua dignità intatta.
Altre volte, quando andava in bicicletta, si divertivano a ficcare le baionette nei raggi delle ruote per farlo cadere, gli rifiutavano il saluto, salvo portargli via il piatto, al momento dei pasti, sostenendo che aveva mangiato a sufficienza, sorvolando che piluccavano direttamente dei bocconi dal piatto delle ragazze per un assaggio. E questo non era che un assaggio rispetto agli apici che vennero poi raggiunti.
   
“Principessa..” sospirai, mi ricomposi davanti al valletto che aveva bussato, quieto “Lo zarevic vi vuole”
“Arrivo”
“Alessio, amore, che fai?” Era seduto, il busto che toccava dei cuscini per mantenere la posizione eretta e mi sorrise, mi tuffai nel suo abbraccio, la luce del mezzo pomeriggio lo faceva apparire meno pallido ed emaciato rispetto al solito. Magro era magro, tuttavia cercava di farsi e farci forza
“Cat, sei preoccupata, lo so”ma aveva un barometro o che nel percepire il mio umore? O viceversa “Per tutto e di tutto” serrai le labbra, aveva indovinato “Scrivi, dai, sul quaderno che ti ho regalato, quello che ti pare, almeno ti sfoghi” sorrise “ E te che fai?”tenera “ Mi riposo, dormo, gioco con i soldatini” stirò le braccia “Gioco con te a dama o altro..” una pausa “Cat.. Andres arriva, è un lottatore, non mollare, scrivi dopo, ti devi sfogare” prese un soldatino che vestiva l’uniforme dei dragoni spagnoli a  cavallo, io uno dell’esercito russo, giocammo alla guerra, per un poco,  gli lessi qualcosa da un libro, alla fine si assopì. Ecco,  mi misi poi io a scrivere, rapida, sorvolando che mi interrompevo ogni poco, per scostargli una ciocca di capelli sudata dalla fronte, dargli un bacio, metterlo comodo.  Invece di trarre esempio dai grandi, ce lo dava lui. E sorse una storia, quella di Emma Fuentes.

Ahumada, 1910. Mi viene in mente questo soggiorno, ecco  per la terza volta la Spagna, il luogo dei miei avi ricco di storia, ne apprendo una fantastica, che a quel punto parlavo abbastanza bene la lingua da capire che una torre della rocca si chiamava “torre della principessa” od “Emma” per motivi particolari (..) Uno dei più grandi re spagnoli, Ferdinando di Aragona della casata dei Trastàmara aveva una legittima moglie, ovvero la regina Isabella, che combatteva a cavallo, vestendo l’armatura, pur se donna amava leggere ed imparare, figurarsi che imparò il latino nell’età adulta, per i tempi una grande impresa. Erano i Reys catolicos, che avevano unificato la Spagna sotto il loro dominio, dopo anni di guerre e crociate contro gli arabi. La conquista di Granada nel 1492 fu il fiore all’occhiello del loro regno, come mantenere il potere. La regina Isabella era una donna estremamente saggia, fece crescere insieme ai suoi figli legittimi alcuni illegittimi del marito. In base a quello che sono riuscita a capire traducendo (Marianna, mia cognata, rideva a tutto spiano mentre io annaspavo tra latino e spagnolo antico, starnutendo mentre toccavo le delicate e polverose pergamene, soccorrendomi quando non capivo bene il senso).. se una giovane fanciulla si voleva sposare con la benedizione della regina, bastava che, giunta a corte, attirasse il regale sguardo di Ferdinando  per ritrovarsi assegnata una cospicua dote e un marito ad Hoc, che la portava in qualche remota provincia. Una figlia di Ferdinando, educata alle arti muliebri e guerriere, si chiamava Emma nome ripreso dalla madre della ragazza che aveva origini inglesi o sassoni (come erano arrivati in Spagna? Pare che il nonno di Emma fosse un medico, uno studioso, che avesse preferito la penisola iberica e la sua cultura rispetto alle terre del nord). Emma senior partorì Emma d’Aragona nel 1473, salvo refusi a 16 anni. D’Aragona indicava le ascendenze paterne, “Pulcra” ovvero bella la definivano le cronache, tanto che fu una pedina da giocare, che in genere gli illegittimi, sia maschi che femmine, erano avviati alla vita ecclesiastica, a prescindere dalla vocazione (…)Ed Emma sposò un Fuentes che era al seguito dei reali, durante le infinite lotte della reconquista. Prima di Granada, la ragazza vestì l’armatura e raccolse vicino a sé dei soldati, per sorvegliare la ricostruzione di una parte dell’accampamento di pietre che era ricostruito per ordine di Isabella, dopo che i proiettili incendiari dei mori avevano distrutto le tende.   (…) Aveva 15 primavere quando sposò Fuentes, 19 quando entrarono insieme a Granada..  (..) Ferdinando d’Aragona era lodato da Machiavelli per la sua sagacia politica, era (pare) uno dei modelli del suo Principe, il governante ideale..(..) Emma portò una buona dote, sangue reale, ancorché illegittimo ai Fuentes, un legame con il trono che si rinsaldò negli anni. Nel 1502,  Giovanna di Castiglia, sorellastra di Emma nonché erede al trono di Isabella, con il regale consorte Felipe d’Asburgo varcò i picchi per andare a presentarsi alle Cortes per reclamare la sua eredità. Era inverno, era freddo, si trattennero ad Ahumada, la rocca dei Fuentes, per venti giorni, tenendo a battesimo l’ultimo figlio di Emma, che venne appellato Felipe (..).Pulcra ovvero bella era definita Emma, le cronache la narrano con i capelli castani, alta sopra la media, occhi scuri come onice. E questa non è una galanteria di mio marito, le carte sono quelle ed era già impresa notevole per una donna essere oggetto di scritti che non fossero detrazioni o esagerati panegirici.  Già, io sono alta sopra la media, con capelli e occhi scuri.. Tornando ai Fuentes, nel 1500 se ne andarono ben a zonzo per il mondo conosciuto e conoscibile. Il figlio di Emma, Felipe Fuentes, andò con Pizarro alla conquista del regno inca, anni dopo un suo figlio divenne vicerè del Perù, un altro governatore della ricca provincia di Milano et alia (..) I leggendari condottieri, apprendo un passo alla volta, di nuovo e da capo.. (..)Ho studiato i libri di assedio di Vauban, il grande esperto di assedi  e difese di Luigi XIV, che ha scritto innumerevoli libri che ho studiato. Partiva dal modello di terreno e dalle linee di ostacoli naturali, come i fiumi e adattava al luogo ogni costruzione. E mi viene in mente  una sua famosa frase, ovvero che «l'arte di fortificare non consiste nelle regole e nei sistemi, ma solamente nel buon senso e nell'esperienza».
Addittura, Fontenelle ha scritto che “Ville assiégée par Vauban, ville prise; ville defendu par Vauban, ville imprenable “… (..)Io ero una enciclopedia ambulante, ma Andres Fuentes, tuo padre, era un pozzo di scienza, sa raccontare come un bardo, mettendo insieme il passato con le  leggende di Camelot e dei pirati, le rotte per non perderci vicino al castello..Storia e geografia con lui diventano magiche. Sono diventate magiche, lo rievoco, ora, cercando di ignorare che un giorno sarei stata la sua passione, il suo amore, mi concedo di ricordarlo, ai miei occhi di bambina, nel primo soggiorno in Spagna apparve come un eroe, una leggenda..Era il 1905 Torno a una corrida. Il complesso rituale.
Il corteo che sfilava, nella luce calda e accecante di fine pomeriggio nell’arena. (…) Un picador faceva rampare il cavallo, cercando di distrarre il toro  con la sua lunga asta.
Ed era sceso, urlando,  che gli buttassero la muleta, il drappo color rosso intenso, per distrarre il toro, che entrassero i banderillos, portassero via l’infortunato, e intanto provocava la bestia con i movimenti del suo corpo, scartando a destra e sinistra..
Era agile, fluido, potente, un guerriero delle antiche leggende. 
Un gladiatore.
E il picador  aveva ucciso la bestia. 
La folla era impazzita, piovevano fiori ed applausi sulla sabbia.
Era alto, con le spalle larghe e lunghe gambe, con un pigro movimento si era tolto il cappello, e si era inchinato.
Aveva gli occhi verdi.
Aveva 22 anni.
Era Andres, Andres Felipe Leon dei Fuentes, nel 1905, alla corrida di Granada.Tuo padre ” e il suo sorriso mandava in estasi ogni donna,  fanciulla e ragazza del circondario, secondo solito.
 
Per evitare discorsi compromettenti o gaffes, nessuno sapeva cosa dire agli ex sovrani di Russia in quelle prime sere che eravamo tutti scampati al naufragio, espressione ben azzeccata, l’aiutante di campo, lo squisito principe D., ebbe l’idea di una proiezione cinematografica. I ragazzi erano sempre a letto, la Vyribova idem.
“Questa è particolare, una corrida spagnola”avvisai rievocando le annotazioni, le immagini scorrevano man  mano“Abbastanza cruenta”
“Sono curiosa”disse Alix
“Avviso compare, mio marito” Nessuna obiezione, volevo evitare che fosse vista come una sfida, od un imbarazzo. E a me avrebbe rincuorato vedere quelle immagini, ricordando come riusciva ad essere Andres. Non solo nella memoria, negli scritti .. quanto nel suntuoso e potente eco di un frammento passato che avevamo condiviso. Il mio attuale marito, mi corressi dentro di me, sono già stata sposata, Luois è morto.. E non ce ne sarà un terzo, riflettei, morbosa, Fuentes sarà l’ultimo, anche se non tornerà.  Ho già dato a sufficienza.
 
Time to see you again ..
Il complesso rituale
Il corteo che sfilava, nella luce calda e accecante di fine pomeriggio nell’arena.
Gli araldi a cavallo, i toreri seguiti dalle loro cuadrillas, composte da due picadores a cavallo, di tre banderilleros e dagli incaricati di ritirare il corpo dell’animale morto.
Il caldo, ricordai che avevo un vestito color crema e una mantilla color avorio sopra gli scuri capelli, mi tamponavo il viso con un fazzoletto bianco, come altri spettatori, che, in caso di voler concedere la grazia della vita al toro, avrei dovuto agitare in alto come tutti.
Era la prima parte, il tercio de varas, il toro era uscito nell’arena di sabbia, il sangue rosso che cadeva e zampillava, mentre compiva un giro intero a sinistra, invece che a destra come in genere avveniva. Era massiccio, ingombrante, pericoloso, mentre il matador ne provocava le cariche con il capote, un grande drappo di rigida tela, rosa acceso da una parte e giallo dall’altra.
Ed erano entrati i picadores,con le loro picche, lunghe lance con una punta in acciaio, i cavalli bardati con speciali protezioni su ventre e arti.
I picadores, i banderillos, poi sarebbe rientrato il matador con la muleta per l’assalto finale, tranne che non era andato secondo la tradizione.
Come allora, riportai le mani  davanti alla bocca.
L’animale si era rigirato e  aveva tirato una cornata al torero, sul braccio, mentre la folla rimaneva in silenzio, con orrore,  e un picador faceva rampare il cavallo, cercando di distrarre il toro  con la sua lunga asta.
Ed era sceso, urlando, spiegai, che gli buttassero la muleta, il drappo color rosso intenso, per distrarre il toro, che entrassero i banderillos, portassero via l’infortunato, e intanto provocava la bestia con i movimenti del suo corpo, scartando a destra e sinistra..
Era agile, fluido, potente, un guerriero delle antiche leggende.
Un gladiatore.
Le immagini scorrevano, precise, in bianco e nero, sul candido drappo che serviva da schermo, chi effettuava le riprese aveva proseguito nel suo lavoro.
E il picador  aveva ucciso la bestia.
La folla era impazzita, piovevano fiori ed applausi sulla sabbia.
Era alto, con le spalle larghe e lunghe gambe, con un pigro movimento si era tolto il cappello, e si era inchinato.
Era Andres, nel 1905, alla corrida di Granada.
Mia cognata aveva inviato svariati filmati e ora che lui era prigioniero, in arresto per attività di spionaggio non meglio specificato, tornavo indietro, se aveva superato quella situazione poteva venire a capo di quella.
Il suo sorriso.
Sorrisi a mia volta, tuo padre Felipe è l’uomo più coraggioso che conosca nel mondo, me lo ripetei da capo.
“Peccato che finisca qui, dopo seguì una bella festa, partecipai anche io con i principi Raulov, Maestà Imperiali” girai la testa sulla spalla, il pubblico taceva.
“Era un ragazzo coraggioso”
“Sempre” glissai sul seguito che mi aveva raccontato, il bandito, che una dama lo aveva ossequiato con le sue attenzioni.
 
 
Il primo aprile Alessio si sentiva molto meglio, tanto che si azzardò ad uscire dalla sua camera e andare a messa, nella suntuosa cappella privata. Vi erano Nicola II, Alix, Tanik e Olga, più altri membri della corte che condividevano il piacevole soggiorno. Erano lontani come una galassia i momenti in cui Olga e Tata apparivano alla cattedrale di Kazan, l’interesse che mostravano per i loro vicini. Olga studiava i vestiti e i cappelli delle donne, attenta, divertita, mentre Tata abbassava gli occhi se si sentiva osservata. Sottili ed eleganti, con chiari abiti e larghi cappelli, erano splendide, come oggi, anche se i loro pensieri erano concentrati sul futuro.
Quando il sacerdote pregò per il successo delle armate russe e alleate, gli zar caddero in ginocchio, imitati da tutti.
Io intanto ero a colloquio con Jaime e Enrique, uno straordinario privilegio, per evitare attriti, appena lo aveva saputo mio zio si era messo subito in moto.  Consegnando tutta la roba giunta da Copenaghen, rimasero basiti “Meglio che stia all’ambasciata spagnola che qui “Ci dovresti stare tu all’ambasciata..”un prezioso pacco, la moglie di Andres, una amata e rompiscatole cognata, come amavano Marianna, la loro sorella, pregi e difetti a prescindere “Manco per sogno..” “Capito Andres..” Enrique era spiazzato, per sua conoscenza non aveva generato figli e Andres … Era sempre lui, per un breve momento, a prescindere dagli anni e dai colori somigliò ad Andres come una remota immagine, mi si strinse il cuore “Se succede qualcosa, a lui o me, ci pensate voi?” “Pensare ci pensiamo, Catherine, tranne che non succederà nulla a nessuno..” “E si vede che è figlia sua, accidenti..” “Occhi verdi, capelli scuri, la sua piccola principessa, no” la chiamavano piccola principessa come Andres al telefono, serrai i pugni, come Alessio quando era arrabbiato “ Il 20 aprile potete mandare una bambola a Copenaghen ..è il suo compleanno, gliela ha promessa e ..” “Sarà fatto..”  il nome ed i soldi dei Fuentes davano molti privilegi.  E io ero trottata nel reparto ospedaliero, riservato ai cattolici, il pomeriggio prima della  Grande Ritirata, degli arresti effettivi, pregando di trovare Jaime, che recava i suoi servizi spirituali, oltre .. E gli avevo dato i miei gioielli, tranne quelli cui ero più affezionata o i più amati, e contanti, affinché avesse liquidità per corrompere chi di competenza, quelle abitudini non morivano mai. Alla fine mi rimanevano gli orecchini del mio onomastico, oro bianco con topazi e onice, la collanina con la perla, le fedi nuziali e l’anello di fidanzamento con il diamante. Fine.
Ed in ogni caso mio marito era  spagnolo, la Spagna neutrale, i Fuentes una famiglia dai molti appoggi, con denaro e prestigio, questo maledetto governo provvisorio non vorrà rischiare un incidente diplomatico.. Vogliono informazioni, per fabbricare la corda con cui impiccare lo zar.. E in prigione può accadere di tutto. Ero incinta, non rincitrullita, ripeto. La pena di morte era stata abolita, mi ricordai, uno dei primi graziosi provvedimenti del nuovo governo. E tanto gli incidenti succedevano, malesseri improvvisi..
Ricordai che il primo aprile 1917, domenica, cadeva la domenica delle Palme, la pasqua cattolica dopo una settimana, Jaime mi impartì una frettolosa benedizione, lui, un sacerdote, e in quel caso metteva al suo posto la famiglia, sempre, era il fratello di Andres Fuentes, il signore delle montagne, Andres il cadetto che si era inventato una storia e un destino dalle tragedie, discendenti di una storia millenaria. E il figlio di Andres scalciava nel mio grembo. Felipe Fuentes, il mio piccolo principe delle attese.
In Inghilterra, la Casa dei Comuni aveva celebrato la caduta del tiranno, a Parigi il ministro Thomas aveva telegrafato a  Kerensky le sue congratulazioni e fraterni saluti, gli Stati Uniti d’America, alla vigilia della loro entrata in guerra, riconobbero prontamente il nuovo regime
 
   
 
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