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Autore: queenjane    29/06/2018    2 recensioni
Qualche capitolo su Andres Felipe León dei Fuentes, il principe, l'eroe, amato marito di Catherine Raulov, dal primo capitolo " Gli occhi verdi di mia madre, aperti, quando le ho detto addio, un ragazzino di 13 anni che prendeva a pugni i tronchi degli alberi, il dolore alle nocche per non pensare al dolore dentro, lei era morta da poco e non sarebbe più tornata. Un sorriso nelle foto, ricordi, e poco altro.
MAMMA.. dove sei..E so che non pronuncerò più questa parola, intima e segreta, da ora in poi Sofia Funtes sarà “madre”, “Mia madre..” Immutabile come i Pirenei, le punte acute e nevose, contro lo sfondo di cieli di zaffiro e ametista.
La prima e tenace perdita, senza ritorno, le sue spoglie mortali avrebbero riposato nella cappella dei Fuentes, accogliendo pochi anni dopo quelle di mia moglie e mio figlio, in attesa della resurrezione della carne.
Se esisteva un paradiso, vi erano di sicuro, per loro e non per me.
Ero un mortale, anche se mio padre era il principe Fuentes, non certo Achille od Ulisse, avevo bisogno di amare, non ero perfetto, non ero un santo, od un asceta.
Ero solamente io."
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Periodo Zarista
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The Dragon, the Phoenix and the Rose'
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Venerdì santo, 13 aprile 1917, secondo il calendario ortodosso la Pasqua sarebbe caduta due giorni più tardi. Alla fine, era venuto un lavoro passabile, aveva rilevato Aleksey, ripassando ogni santo guscio delle uova colorate, le labbra strette per la concentrazione, l’usuale ciuffo che spuntava perenne, osservando, irriverente che era un bene che fosse intervenuto lui.  Feci una smorfia, alla fine i biglietti di auguri erano carini, la mia  calligrafia era bella, come impatto visivo. “E dai, Cat, ti prendo in giro” I biglietti, le uova, i kuliches e i paskas (rispettivamente pane e dolci pasquali), le candele e  la messa, le campane che avrebbero squillato tutto il giorno. “Sei stata carina” “Gentile, anzi.. Ho una cosa per te, Aleksey” una tavoletta di cioccolata intera, non frantumata, Mamma mi aveva fatto inviare un cesto di provviste dalla Crimea, cioccolata, appunto, e caffè, con un bigliettino “Buona Pasqua, Mamma e Sasha” senza altro aggiungere, che doveva dire. Ti penso, ti voglio bene, sei una testarda era sottointeso.. “Sfuggita all’ispezione.. bello, lo divido con Anastasia. Tu ne vuoi?” scrollai la testa. “ E Marie. Anche se Tata e Olenka ne volessero, farebbero a meno, le mamme fanno così” “ E piantala di dire, che io e Tata e Olga siamo le tue mamme onorarie” “Ma è vero..” “Definirti cocciuto è un eufemismo, sai” mollai la discussione che stava per sorgere “E da una parte hai ragione, con te mi sono addestrata, da sempre” “Sarai una brava mamma, fidati, lo so” tesi le sopracciglia, un  cenno di assenso, mi prendeva per sfinimento “E già lo sei, brava” proprio, da uno a dieci, zarevic mio eri testardo cento..  E sapevo che lo pensavi a tua volta, mi scrutavi, affettuoso e sereno, ti baciai sulla fronte, rompendo la consegna di non assillarti con i gesti di affetto, facesti una smorfia dopo un minuto di troppo, ti aveva fatto piacere e tanto non mi avresti dato la soddisfazione, la intuivo dai gesti, non dalle parole, tralasciando che io ero peggio di te, a 13, 14 anni.
 
Dai quaderni di Olga Romanov alla principessa Catherine “ La neve si scioglieva, spuntavano i primi fiori, i suoni delle campane, come in tutte le luminose primavere della nostra infanzia, per Pasqua, la speranza sorgeva, ostinata come i primi boccioli delle rose. Il venerdì santo andammo tutti alla Confessione,  il Sabato, alle nove e trenta vi fu la messa e la comunione, la sera verso le 11.30 il servizio di mezzanotte. La suntuosa cappella,  i turiboli da cui si dipartiva l’incenso, il salmodiare del coro, il profumo delle candele votive.. Tutto come sempre, e anche no. Il colonnello Korovitchenko, comandante del Palazzo di Alessandro e amico di Kerensky, oltre altri tre ufficiali di guardia erano presenti. Il servizio terminò alle due di notte, quindi lo scambio dei doni. Io andai a letto, senza partecipare alla cena di Pasqua, come Marie ed Aleksey, eravamo troppo stanchi, dopo lo scambio dei doni in biblioteca, appunto. Rischiavo di addormentarmi sul tavolo, dicesti poi, eri esausta e stare in piedi per troppo tempo ti faceva gonfiare le caviglie, farti ammettere una debolezza era un unicum. Ed  in caso contrario, saresti passata da bugiarda, bastava uno sguardo per annotare come la stanchezza fisica  ti avesse prosciugato di ogni energia, avevi le occhiaie sul viso. E tanto la conversazione languì presto, subentrò il silenzio in tutti, specie da parte di Papa”
 
Come era doveroso, da bambina, assistevo alle lunghe liturgie obbligatorie, mi confessavo  e prendevo la comunione, ed era solo apparenza. Dio poteva essere sorridente, lontano e remoto nelle icone, mai si era palesato nelle lunghe notti in cui pregavo che facesse terminare il tormento, il dolore,  i movimenti sofferti di mia madre Ella, che fosse l’ultima volta che prendevo uno schiaffo o una spinta o che mi trattasse male. Sobrio od ubriaco, il principe Raulov, alla fine ero diventata una iattura con piena convinzione e coscienza. Se chi deve amarti sostiene che sei una nullità o ti armi di arroganza o soccombi, io ero diventata  egocentrica come pochi, decisa a sfuggire alla mia capricciosa infelicità. Comunque, presi parte ai riti di quella Pasqua, partecipando alle cerimonie, appunto, tranne che non mi confessai o presi la comunione, per forma ero cattolica. Mi ritrovai a riflettere e pregare, per i Romanov e Andres e Sophie.. la piccolina, a un tratto la sentivo simile a me. L’uomo che le aveva dato la vita, Andres, era in prigione, come l’ex zar, ero la sua bastarda, la bastarda dello zar. I fratelli.. Io ero con i miei, Erzsi aveva generato altri quattro figli prima di Sophie,  fratellastri, a rigor del vero, io ne aspettavo un altro. Sophie.. Andres ci aveva parlato al telefono, una volta a settimana, da fine gennaio, brevi cronache infantili, ridendo quando le aveva promesso una bambola per il compleanno, rectius glieli aveva strappato “.. certo, piccola principessa. Anche a me piace la neve, ti arriva.. sicuro, certo..” il sole mi batteva contro le palpebre chiuse, ero nella terrazzo che circondava il palazzo di Alessandro. “Sophie.. il tuo è un bel nome, mi piace.. Anche mia madre, sai, si chiamava Sophie.. Sofia” Andres era una voce sull’etere, non la aveva mai vista di persona e la amava. Pregai che il regalo arrivasse, sarebbe stato spergiuro per forza maggiore “In greco significa sapienza.. eh, che dici, piccola principessa, hai ragione, anche la tua bisnonna si chiamava Sofia..” rievocare quei dialoghi era ridurre il cuore a brandelli, gli occhi a una saracinesca chiusa. Andres si infilava nei passi, nei pensieri, era impossibile che non sopravvivesse. “Piccola principessa, io la settimana prossima starò fuori per un pezzo. E non ti preoccupare, lo so che sei nata ad aprile.. Vediamo.” Erszi aveva protestato per quella faccia tosta, piccola principessa un accidente.. Voleva un regalo e lo avrebbe avuto, Andres le avrebbe regalato la luna, i suoi figli lo rigiravano come molle cera. Intanto, Alexei, il mio piccolo principe, si godeva l’aria aperta, il superbo sole primaverile sulla terrazza che circondava il palazzo di Alessandro, i capelli scuri venati da sfumature color rame.
Dai quaderni di Olga Romanov alla principessa Catherine” Pasqua era appunto il 15 aprile, la sera alle sette vi fu l’ennesima funzione religiosa negli appartamenti dei Bambini. Quando il sacerdote pregò per il Governo Provvisorio, Papa si fece il segno della croce, difficile rilevare se fosse ironico  o meno. Il giorno dopo, finalmente un’uscita nel parco, il tempo superbo, un poca d’aria con solo la scorta che fingevamo di non vedere. Rompemmo il ghiaccio,  sia per divertimento che per fare un poco di movimento, poi scorsi che sopra  i muri che circondavano il parco un movimento di persone, che gesticolavano e ci osservavano, con grandi e spumeggianti fischi,un nuovo spettacolo. Mi imposi di fingere che nulla fosse, come sempre, solo la mascella rigida testimoniava la mia collera, che le parole si sentivano molto bene, meretrice la più gentile. Il pomeriggio successivo, tornando indietro dalla passeggiata, una guardia fermò Papa  sul sentiero “Non potete passare, Signore”Alessio arrossì, scorsi l’ondata che gli imporporò il viso e le orecchie, i pugni stretti contro i fianchi, quelle sere Mamma sbraitava che non era possibile, Papa una vittima e si torceva le mani. Ma a stare con Alessio, Marie o  Anastasia mica ci pensava, come da tradizione eravamo io, Tata e Te. Io e Tatiana, sfiancate dal recente morbillo, te con quella pancia che non finiva più per la gravidanza, pancia per dire, il ventre ti esplose solo nell’ultimo mese, che, scherzando, pareva davvero una coppia di gemelli, per come eri magra e poi lievitata era uno spasso prenderti in giro. E quando andammo in Siberia ti ho spezzato il cuore, scusa il melenso linguaggio, tranne che avevi fatto tanto, non volevo e potevo essere egoista, e nemmeno Alessio, nessuno di noi.. E saresti venuta, lo so, eri come la rocca di Ahumada, immutabile e potente, tutti proteggevi, chi proteggeva te era un mistero..Forse tuo marito, vi proteggete a vicenda... ti voglio bene, Cat, qualsiasi cosa succeda nessuno ce lo porterà via. E vi era chi aveva più bisogno di te”
 
Tra le varie carte che ogni tanto giungevano, ecco che un giornale della capitale pubblicò “Una lettera aperta ad Alessandra Feodorovna”, la zarina che, ex o meno, era esecrata a prescindere. “ Tutto si è compiuto, la Russia è finalmente libera dal giogo.. “ La tirannia aveva avuto termine, che Alix per oltre un ventennio aveva tradito e venduto la Russia, nazione che l’aveva accolta a braccia aperte.  Diceva di essere stata tedesca come la grande Caterina, tranne che avevano in comune solo il luogo di nascita, la sua era una ridicola presunzione. Aveva confidato solo in Rasputin, mentore, consigliere e certo altro ancora. Solo orizzonte di Alix la sua cucina, mai era stata una vera imperatrice, aveva tradito tutti, non aveva fatto nulla, ringraziasse che non fosse stata messa al rogo o a morte in altro modo. 
Le chiacchiere, sempre, era vero che Alix, giovane imperatrice, metteva bocca sulle spese di gestione e come lamentavano gli economi non conosceva i prezzi correnti delle patate, ma non giustificava quell’attacco, il feroce odio di cui era vittima. 
“IO SONO UN CAPRO ESPIATORIO” 
Olga la strappò dalle mani di sua madre, le labbra strette. “Sono solo bugie” le tremavano le labbra “Feccia”  Alix fece un piccolo cenno con la testa, passava le giornate sul divano,  si imbottiva di Veronal, un medicinale a base di arsenico, che usava per dormire e calmarsi, perennemente sedata per non impazzire. Ne era satura, rilevava poi, ma si teneva stordita per non esplodere in continuazione. 

L’odio e il disprezzo erano al parossismo, i Romanov, Rasputin e compagnia erano odiati, sui giornali vi erano vignette su vignette, sconce e  caricaturali della tedesca e del suo siberiano, in una lei si faceva il bagno  in una tinozza piena di sangue e diceva “Se Nicky uccidesse più rivoluzionari farei il bagno così più spesso” 
Una abitudine che si consolidò, le uscite giornaliere nel parco, come la folla sugli spalti che fischiava e rumoreggiava “Il Tiranno!” “La puttana tedesca che andava con il diavolo” “Le puttanelle che facevano le orge con i soldati.. e mandavano i dolci avvelenati ai bambini!” “Quello con la malattia inglese” “Tiranno” “Traditore” “Moccioso” il vento recava quei motteggi, il teatrino dell’insulto la nuova moda. Dicevamo, le uscite giornaliere, poi il permesso di poter coltivare un orto, per tenersi occupati. E i problemi giungevano anche qui, il portone del palazzo di Alessandro, quello principale, era sempre aperto con sommo ritardo. Alessandra usava la carrozzina, i suoi problemi di sciatica e cuore le impedivano di passeggiare con marito e figli, e le guardie brontolavano, lo ritenevano una perdita di tempo. 

La curiosità verso Alessandra toccava apici da capogiro, i soldati formavano un corteo per il giardino, “Nemka”, tedesca, puttana e traditrice le parole più gettonate, sussurrate in modo che sentisse, omaggi alla carrozzina che passava, lei ingollava, serafica solo in apparenza. Aveva preso l’abitudine di sedersi su una coperta sotto un albero, ricamando, cercando di arginare i curiosi appollaiati sui muri.  Quella volta, la sua dama di compagnia, baronessa B. si era allontanata per non so quale consegna, una delle guardie atterrò gentilmente e senza preavviso sulla sua coperta. “Ora facciamo a turno” Alessandra non protestò, per evitare che tutta la famiglia fosse fatta  rientrare, tacque e ascoltò un concione, della serie “Disprezzate il popolo, non vi piace incontrare la gente e odiate la Russia”
“Vi devo confutare” con gentilezza, ma ferma “Nei primi 10 anni di matrimonio ho avuto cinque figli, che ho seguito personalmente, in seguito la cattiva salute mi ha impedito di viaggiare” Convincente, che era verità, come la sua successiva risposta sdegnata, quando il gentile soldato (sono sarcastica) insinuò che, essendo tedesca di origine, aveva certo simpatie verso gli eserciti del Kaiser “Ero tedesca in gioventù, ma ho sposato un russo, i miei figli sono russi, mi sento russa” intanto la baronessa B. aveva chiamato un ufficiale, la guardia si alzò, fece un piccolo cenno del capo e le strinse la mano, “Sapete, avevo una diversa idea di voi, mi sono sbagliato” e si comportò da allora in avanti in maniera cortese, una goccia, occasionale, come le lettere di conforto, la maggior parte erano un peana di odio e vituperio. 

 Il 20 aprile 1917, il quinto compleanno di Sophie, parlai al telefono con Jaime, all’apparecchio situato presso il corpo centrale di guardia “ Come state? “ “Bene” tutto in russo “Voi, Jaime?” “Abbiamo provveduto a inviare ..cibo e legna, ai tuoi orfanotrofi, e qualche giocattolo” capii, il regalo era arrivato.  Bene. Auguri, Sophie, piccola principessa. Tuo padre quando promette mantiene sempre. 

E il 25 aprile 1917 portò una ingombrante e splendida sorpresa. Ero andata in biblioteca, con la scusa di vedere un certo libro, in verità volevo stare dieci minuti da sola, mi era venuto in mente di insegnare qualcosa di latino ad Alessio e alle due più piccole, che a breve avrebbero ripreso le lezioni, guariti, passare le ore dentro il palazzo senza alcun programma era un tedio.  Il tempo all’aperto era sempre troppo breve e la folla che rumoreggiava insulti fuori dai mura di cinta mi indisponeva, avessi avuto un fucile avrei sparato qualche colpo in aria per disperderli. Come allo zoo e le bestie erano umani, ovvero la famiglia del colonnello Romanov e il loro entourage. Tiranno lui, sgualdrina lei, le granduchesse delle lussuriose, Alessio un “moccioso” Per inciso, era tornato di nuovo Kerenskij, il Dr Botkin avrebbe chiesto, stante le condizioni di salute dei ragazzi, il permesso di andare a Livadia, magari, sarebbe stato bello e tanto non sarebbe andato a buon fine, non era possibile al momento. Inoltre, non vi era ancora alcuna notizia sulla partenza per l’Inghilterra, il che denotava che avesse scarso ascendente, Kerenskij ed il malefico governo provvisorio. Per la cinquantesima volta nella giornata pensai ad Andres.
Una piccola fitta alla schiena mi ammonì a non sforzarmi mentre mi tiravo sulla punta dei piedi per prendere il volume, sentii la porta aprirsi e non mi girai, certo era una delle guardie. 
Silenzio e un sospiro, quindi sentii che la persona si avvicinava. 
Una allucinazione dei sensi, udito e olfatto, quel modo di muoversi, quel profumo, a furia di desiderarlo ero ammattita. 
“CATHERINE..”
“ANDRES “
E il tempo si fermò.
Ci guardammo. 
E il tempo si fermò.
Gli sfiorai il viso con la mano “Andres, AMORE..” 

Il risveglio da un incubo diurno, respirare dopo essere stata un mese e rotti in apnea, ci saltammo addosso senza contare fino a due, incastrandoci a meraviglia nonostante il pancione. Baci rapidi e fitti, bramose le labbra e attorcigliate le lingue, mi girai contro il suo petto, ritrovando uno dei posti che prediligevo al mondo, il mio personale baluardo,  il gusto della sua barba sul collo, della sua stretta, ero al sicuro. 
Annotai che era dimagrito, agile, scattante, a stento ci trattenemmo dal fare l’amore in biblioteca. 
Ansimavo, mentre ci tenevamo per mano, i palmi congiunti, polso su polso e cuore su cuore, si inginocchiò davanti a me e posò la guancia contro la curva del mio ventre. “Amore mio. Amori miei”
“Andres..”Nostro figlio scalciava con entusiasmo, il mio principe mi scrutava come se fossi l’ottava meraviglia del mondo. Io potevo vedermi imbruttita e ingombrante, tranne che avevo avuto ragione a predire che lui mi avrebbe visto bellissima a prescindere, che aspettavo il nostro bambino e non gli sarebbe importato se fossi diventata un tacchino farcito o una mongolfiera, sempre se fosse tornato ed era ben tornato. Anzi, era orgoglioso, fecondo, un leone che vedeva la sua discendenza che prendeva forma. 
Solo una cosa dovevo farla subito. Ripescai la sua vera nuziale, che brillò tra le mie nocche e la rimisi al suo posto, l’anulare della sua destra. “Ti amerò da ora alla fine del mondo. Fuentes, ahora y por siempre”
“Te quiero, princesa.. E non la toglierò fino all’ultimo respiro, perdonami Cat se la ho tolta.. era per difesa” feci un segno di assenso “Ma è il mio patto con te, davanti a Dio e agli uomini, io ti ho sposato, sei il mio amore.. Ti ho anche scritto..”  
“E la tua lettera era splendida. Sei un poeta..” sorvolando su  quelle  parole, la vera nuziale era un simbolo del nostro giuramento, del nostro amore.. Dio, che linguaggio da romanzo rosa usavo e tanto.. 
“Solo un uomo innamorato e ricambiato”
Avremmo parlato dopo, questo era.
A quel giro ammetto che le guardie ebbero il buon gusto di non farsi vedere, che Andres non avrebbe tollerato come me.
Lui riempiva tutta una stanza, alto, possente e muscoloso, ed era scavato, il viso pallido, e tanto le sue iridi d’erba erano sempre quelle, capaci di ridurmi le ginocchia in gelatina, i polsi molli, ferro e calamita, un reciproco destino.  
Come il suo tocco e viceversa. “Non vedo l’ora di ritrovarmi in una confacente stanza, tu e io e..” “Sul pavimento, che..”Rise di gusto. “Non voglio sfondare un letto per la foga, come già accaduto”
Portava l’uniforme dei dragoni spagnoli a cavallo. Con il grado di generale, guadagnato dopo la calle Mayor. “E questa? Pare di bucato” “Un pensiero di Enrique e Jaime. Diciamo che hai combinato un bel casino, Cat..” “IO?”Tesi le sopracciglia, con aria innocente, dentro me sghignazzavo per il sollievo. “Ne parliamo dopo..”
“Tirati su.. Amore mio..”
“Mi riceveranno per il tè delle 5?”
“Direi di sì.. “poi tornai seria” Andres, cosa vuoi fare, rimaniamo o andiamo ..” era mio marito, le cose le decidevamo insieme, non potevo obbligarlo a rimanere al palazzo di Alessandro, sapendo quello che aveva rischiato, avevamo rischiato. Ed era meglio stabilirlo sul momento, senza incrociare nessuno. Se avesse deciso di andare a Pietroburgo o  dove avesse voluto, glielo dovevo e mi sarei ritrovata con il cuore spezzato, che in quelle settimane, cattività o meno, eravamo una famiglia.
 “In Spagna.” 
“Va bene, almeno salutiamo..”ma non voleva passare da Copenaghen o dove diavolo fosse per vedere Sophie? Non ci capivo nulla, giuro. O non volevo comprendere fino in fondo. Il cuore mi batteva dentro le orecchie, un accelerato battito. 
“Catherine, in Spagna ci andiamo alla fine della guerra, mica ora, prima ..voglio vederla, almeno una volta..senza dire nulla o turbarla, visto che Erszi si è presa il disturbo di dirmelo sapeva che come minimo avrei voluto conoscerla ..E avere notizie” il suo alito sulla guancia “Rimaniamo qui, noi Fuentes siamo teste dure.. e leali”gli presi  le mani “Durante il mio ameno soggiorno nelle locali prigioni, ho ben sentito del nuovo passatempo, ovvero la folla che insulta dai muri, la famiglia del tiranno, le vanterie di umiliare chi è sotto arresto.. E via così”vibrava di rabbia repressa, la mascella rigida “Non è giusto, fine, ne discutiamo meglio stasera, di quante ne abbiamo passate e ne passeranno, che la vedo dura. E non ho la vocazione al martirio, Catherine, ho te e nostro figlio, alla prima avvisaglia di pericolo ce ne andiamo, ora no. E tanto Enrique e Jaime diranno che sono pazzo”
“Pazzo di me” 
“Continua e facciamo l’amore qui..seduta stante” un sussurro intimo e segreto. “Ehm.. mi sa che qualcuno ti sta cercando..”ci ricomponemmo, affondai la lingua tra i denti. 
 “Catherine..” un tono incerto, una sfumatura di allarme, poi lo riconobbero. 
“Altezze imperiali, buongiorno” svelto come un prestigiatore, Andres si inchinò a Marie e Anastasia, che erano venute a cercarmi, accompagnate dalla lettrice S. “Buongiorno, signorina” un triplo baciamano.  E parlò in russo, secondo le consegne, che le guardie non immaginassero chissà quale complotto. Lui, come me, era un coacervo, una contraddizione in termini, ironico e irriverente, si vestiva di maschere, poteva risultare ed era spesso insopportabile, arrogante,  superbo e egocentrico, sfrenato e carnale, come la sottoscritta. Ma quando amava, era sul serio, per sempre.

..quando sono entrato nella stanza di Mamma, ho notato che sorrideva, la prima volta in quel lungo mese, come le mie sorelle. “Abbiamo una sorpresa.. Alexei. Una cosa bella. “ ”Sarebbe..” Non una nuova umiliazione? Una nuova maniera di comportarci? Un regalo che le guardie non abbiano rovistato con le sudice mani, aprono i vasetti di yogurt, riducono in scaglie la cioccolata e.. Nessuna lettera, i giornali raccontano che mia madre è una sgualdrina, mio padre un tiranno, alcune guardie sostengono che le mie sorelle sono delle meretrici e il mio marinaio Nagorny a stento mi trattiene, la rabbia come un demone..“Un armadio vivente dotato  di strepitoso appetito .. Ti  suona famigliare? “la voce di Catherine, divertita. Anche lei, era un soldato, una guerriera, la mia mamma elettiva che mi dice, è per te, non rispondere alle provocazioni dei pezzenti, Alessio, ho fiducia in te, sei e rimani un principe. E mi ha fatto cavalcare e sparare, prima, un duro scambio, io ero felice, lei in pensiero, che la mia malattia è imprevedibile, basta una piccola abrasione e rischio di morire per una emorragia, e tanto non mi faceva sempre stare a letto, fosse successo qualcosa ne valeva la pena, per una volta facevo come tutti, come un ragazzo normale “ANDRES..!!”  “Salve, Alexei Nicolaevich.. “
.. gli ho dato la mano, ricordandomi che ero grande “Che ne dite.. c’è posto per un’altra persona..?” Poi ho capito e mi sono tolto un peso “Rimanete..?” “Sì..” e mi sono buttato addosso ad Andres, al diavolo ogni compostezza “Sei dimagrito..”mi aveva stretto per un momento, sorridendo “E Catherine ingrassata, quindi compensiamo”,”Aleksey Nicolaevich”e ridemmo della mia uscita.
“Bravissimi” Marie ballò due passi di danza con Andres, resistendo stoico ai pestoni, una bella coppia, osservò Cat. Che fremeva per restare sola con suo marito e tanto rimasero a cena, quel giorno Kerensky aveva stabilito che le indagini erano finite, mia madre non era una spia tedesca che aveva tradito la Russia, brindammo, anche io, un goccetto di vino. Papa lesse qualcosa, a voce alta, alle nove andai a  letto “Notte, Cat”contro la sua spalla rivestita di seta “Visto..” “Sì..ti posso dare un bacio” “E mi racconti del cavaliere..” Quella sera ho sognato di essere a cavallo e galoppare tra le montagne, ero ancora lo zarevic e tutti mi obbedivano. Ed ero scattante, elastico, sano, in una parola, come tutti, il mio corpo non era stato scalfito e segnato dalla malattia, MAI. E la mattina ero da solo, fuori le guardie che brontolavano, era iniziato il nuovo giorno di prigionia. Ho abdicato per te e me per non farti riscontare i miei errori, ha detto Papa, io ho replicato che li stavamo scontando tutti ora, me compreso. Il ministro della giustizia, kerensky, mica ha risposto alla mia domanda se era legale che avesse abdicato pure per me. Perché non è legale, come non è legale che Andres abbia passato un mese in galera, lui una spia? Figuriamoci. Come dire che Cat non mi vuole bene, mi adora, a prescindere.. E non mi tratta da malato o bimbo piccolo, quello che ho sempre voluto.

“Quando sei venuta al Palazzo di Alessandro, eri TU troppo magra…”dicembre 1915, annotai, ero 45 chili, troppi pochi per il mio metro e 72, ed ero ingrassata, mi era tornato il ciclo, lasciamo perdere, ora ero gaudiosamente incinta “Siamo in sincronia, Olenka”, ora lei era troppo magra, mi strinse le spalle “Ce la caveremo”
“E il divano sarà libero..”una punta di rammarico “Mi ero abituata ad averti con noi, a notti alterne, va bene così “ “ Divano per dire.. “ nel mezzo della notte univamo i letti e mi stendevo con loro, il bambino, appena mi sdraiavo, si metteva a muoversi e dormivo ben poco. Avevamo rilevato che quel sistema lo tranquillizzava o forse mi tranquillizzavo io, se mi svegliavo il calore delle mie sorelle mi confortava. A volte, Olga mi prendeva per mano, altre Tata posava il palmo sul ventre, la mia gravidanza era una fonte di sollievo e distrazione, era impazzita per mio figlio prima ancora che venisse al mondo. 
Anche no.
Era una speranza, una gioia ed una distrazione, una fonte di orgoglio. 

Quella sera feci l’amore con Andres, lo desideravo dalla punta delle dita fino ai capelli, lo spogliai adagio, schioccando inorridita la lingua quando vidi l’impronta dei lividi, le scalfitture della pelle.. “Che ti hanno fatto?” “Ti racconterò.. è stata lunghissima Catherine, non finiva più..E non ho mantenuto la promessa fatta a Sophie..” se non era capace di mantenere una piccola cosa, come un regalo, come fare per il resto, anche se non poteva causa forza maggiore.. “Hai mantenuto, invece, ci hanno pensato i tuoi fratelli” 
“Gli hai detto di Sophie?” un rilievo affermativo della testa, un sorriso.
“Bene, raccontami”
Glielo raccontai. 
Mi raccontò. 
Gli raccontai.
L’abdicazione, il treno, la ritirata dei generali, il senso di amarezza.
La situazione al palazzo di Alessandro, il morbillo, la disperazione, la speranza.
“Non ti lascerò più, finché avrò un soffio di fiato” 
“Lo so. Ti amo Andres” 
“Ti amo, Catherine”  una pausa “Fino alla fine del mondo..”il suo sesso risorse, glorioso, la voglia ci consumava e riuscivamo a trovare la posizione, salii sopra di lui, le sue mani sui fianchi che mi aiutavano e sostenevano“Non farà male al bambino..” “No..”risi, mi sentii fiera, invincibile, nonostante il gonfiore, una ninfa pagana.. Eravamo di ritorno dai rispettivi inferni e preoccupazioni, ammaccati e lucidi, fino alla fine del mondo, appunto. E la testa di Andres tra le mie gambe era il paradiso, come essergli montata sopra, una celebrazione, una vittoria.
 
   
 
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