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Autore: queenjane    30/06/2018    2 recensioni
Qualche capitolo su Andres Felipe León dei Fuentes, il principe, l'eroe, amato marito di Catherine Raulov, dal primo capitolo " Gli occhi verdi di mia madre, aperti, quando le ho detto addio, un ragazzino di 13 anni che prendeva a pugni i tronchi degli alberi, il dolore alle nocche per non pensare al dolore dentro, lei era morta da poco e non sarebbe più tornata. Un sorriso nelle foto, ricordi, e poco altro.
MAMMA.. dove sei..E so che non pronuncerò più questa parola, intima e segreta, da ora in poi Sofia Funtes sarà “madre”, “Mia madre..” Immutabile come i Pirenei, le punte acute e nevose, contro lo sfondo di cieli di zaffiro e ametista.
La prima e tenace perdita, senza ritorno, le sue spoglie mortali avrebbero riposato nella cappella dei Fuentes, accogliendo pochi anni dopo quelle di mia moglie e mio figlio, in attesa della resurrezione della carne.
Se esisteva un paradiso, vi erano di sicuro, per loro e non per me.
Ero un mortale, anche se mio padre era il principe Fuentes, non certo Achille od Ulisse, avevo bisogno di amare, non ero perfetto, non ero un santo, od un asceta.
Ero solamente io."
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Periodo Zarista
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The Dragon, the Phoenix and the Rose'
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Ai primi di giugno 1917, mia moglie  esibiva un trionfante pancione, un profilato usbergo. E  da una settimana all’altra aveva la sensazione di lievitare, forse erano due gemelli, per quanto fosse  esile,  magra di struttura di base,  in quell’ultimo mese il ventre era esploso, un budino ben cotto, una pagnotta che era lievitata ai massimi  gradi, diceva. Per le dita gonfie come un salsicciotto le avevo tolto la fede, gonfie come le caviglie ed i piedi, alla fine si metteva i miei stivali, tanto per dire la misura, per stare comoda. Io, Andres, portavo un suntuoso 47, lei un 40, in tempi normali, un leggiadro piedino da Cenerentola che era lietamente aumentato. E manco se li vedeva i piedi, per la pancia,tra  il caldo e la gravidanza, una (in)felice combinazione, lei  si sentiva una zampogna, appunto, con l’abbiocco perenne, avrebbe dormito 15 ore al giorno.
“Non sarà ancora per molto”
“Vedremo..se penso che in inverno, pattinando sul ghiaccio, riuscivo ad andare all’indietro e a saltare mi pare passato un secolo, avevo 16 anni, troppo alta, troppo magra, ero una libellula” ora ondeggiava come una papera al vento passando da una stanza all’altra, si appoggiava ai mobili, alle pareti, il fiato corto,  ora aveva 22 anni,  la gravidanza quasi al termine causava quell’effetto, un costante affanno. Conseguenza del pancione e del peso ora raggiunto, tranne che era  bellissima, paffuta e ridente. Ispirava tenerezza, come i bambini, the Children, lo zar usava annotare così dei suoi figli, tralasciando che Olga andava per i 22, Alessio per i 13.
“E ..” sapevo a cosa stava pensando.
“Presumo che ne vorrai un altro, a stretto giro”
“Perché no” gli occhi luminosi, una verde scintilla divertita, non raccolsi la sua canzonatura, ti amavo anche per la tua ironia, Cat.
“Basta che ..tu sia gentile, non faccia troppe critiche”
“Cosa..?Ma che ti inventi,” allibito
“La zarina madre, Marie Feodorovna, ha sempre criticato la nursery imperiale, affermando che ..”
“Olga.. “la ragazza, chiamata in causa, alzò il viso dal libro, eravamo nella balconata che correva intorno al palazzo di Alessandro per prendere un poca d’aria “..Fosse brutta, con la fronte troppo grossa, Tata noiosa, Marie un piagnisteo ambulante e Anastasia l’ennesima inutile femmina che non poteva ereditare il trono.. .” con esatta precisione, si declinava in terza persona per prendere la distanza.
“Che persona svanita, per non dire altro, il 1895 è stato l’anno di nascita delle più belle principesse di sempre” Olga sorrise a quella esternazione, mia moglie si accodò “Senza offesa per le altre principesse, mia pattinatrice, mia ballerina”
“Ma non è possibile, glielo hai già raccontato..”
“Cosa, Olenka?” le mani sul pancione, il bambino era in perenne movimenta.
“Di quando avevamo sette  anni e ..mi misuravo la fronte, davanti a uno specchio”
“Ah..E io affermai che ne diceva tante, ma non ti conosceva sul serio”
“Una vera irriverente..già”
 
 
 
“Non sapeva nulla della tua intelligenza portentosa, del talento al pianoforte, e via così, constatazioni e non certo lodi di maniera, eh” e vedevo una ragazzina non sempre gentile od empatica, con splendidi capelli biondi, occhi chiari, gentile quando e se voleva, la ragazzina che era ora accanto a me, una giovane donna, una principessa militante e misericordiosa, Andres scosse il capo, le riteneva cose da donna, da capo, era sconvolgente quanto fossimo in sintonia, Olga mi sfiorò il ginocchio.
“Catherine,  di difetti ne ho a iosa, e mai ho criticato gratuitamente un bambino o sono stato poco gentile, in linea generale, in modo volontario, figurati con i miei figli” serio, tossicchiò, commosso, poi sancì che aveva voglia di fumare e ci lasciò alle nostre chiacchiere, appoggiandosi alla balconata di ferro, aggiungendo, come era vero, che non glielo avevo rappresentato.
“Cat, marito migliore non lo potevi trovare”
“Credo” Scrutai il meraviglioso fondoschiena di Andres, era appoggiato, pigro, al ferro della ringhiera,  il desiderio che sorgeva, bastardo .. facevamo l’amore anche se ero al termine della gravidanza, lo preferivo con me, piuttosto che fuori dal mio letto, anche se mi sentivo gonfia come una vescica, lo spogliai mentalmente dai vestiti, rividi i suoi tatuaggi, i nei sparsi, le cicatrici e i rilievi. 1895, l’anno delle più belle principesse di sempre, galante con me e Olga, as usual, compito e affabile.. E gli avrei torto il collo, era solo mio. E io solo sua, il senso di possesso e l’amore, quale era l’esatto confine, boh.  Gli scatti famelici e appassionati erano passati in seconda  linea, ora era lento e dolce. E fissava come un allocco, senza parole, la mia pancia, era felice, come me, nonostante tutto, la sua guancia ispida di barba si posava sul mio ventre sporgente, un tenero buongiorno. E io stringevo le sue chiappe, toniche e vigorose tra le mani, una pura  meraviglia. E si spostava verso il mio sesso, palpitante.
“Figli..?”
“Gemelli..” mi toccai il ventre, rispose un piede, una manina, boh, ormai mi sentivo un dirigibile, così grossa che forse erano davvero due bambini, in un colpo, Andres seminava e io raccoglievo.
“Macchè, ne fabbricherete uno alla volta..” un momento sospeso “Figli vostri e adottivi, la tua vocazione è la maternità, ironia, tu non volevi sentire parlare di matrimonio o figli quando eravamo bimbe”
Feci una battuta a caso.. Maternità.. Mi stava  pensiero il primo parto, figuriamoci il resto, ormai prendevo un giorno alla volta. E Sophie? Che pensavo, una madre la aveva, Erszi, io ero solo la moglie di suo padre, sarei stata una sua amica, volendo, non altro. Ed ero la mamma in senso traslato dello zarevic, di Aleksey, anzi era lui che mi aveva eletto tale per sfinimento “Forse.. “
“Grazie, Catherine”
“E  basta, sono io che ringrazio te” una pausa “Sperando di non rimanerci secca”
“Fammi questo scherzo e ti ammazzo io” senza altro dire, avevo paura “Alessio non te lo perdonerebbe, se ci resti, di parto”
“Non comanda lui, in questo”
“SST” mi abbracciò “Andrà tutto bene, Cat, la paura è normale, ma siamo insieme, ti aiuterò se posso” registrai il suo privato sussurro, mi fidavo di lei, più che di ogni persona al mondo o quasi.
Dai quaderni di Olga Romanov per la principessa Catherine “.. a volte, riflettendo su quel lontano episodio infantile, pensavo che lo dicessi per misericordia,che ero bella,  tu eri uno splendore fin da bambina, osservavano che avevi colori stupendi, suntuosi, come una piccola ninfa … invece ne eri convinta e avrei fatto meglio a darti retta.. Avevi ragione, come spesso accadeva. Poi quando avevi diciassette, diciotto anni ti lamentavi di essere troppo alta e troppo magra, quasi una beffa, per mia sorella Anastasia, che si riteneva bassina e grassottella .. Parevi una principessa orientale, come Sherazade, e mia nonna predisse che avresti fatto girare testa e polsi a molti uomini, aggiungendo che sarebbe stato lo stesso per me e Tatiana .. Per lo sbigottimento, per poco non caddi dalla sedia..  Tu eri bella, come Tata, io .. lasciamo stare. Non mi piacevo, Cat, fine della storia nonostante mi rassicurassi sul contrario, che difetti a parte, sarei piaciuta. E poi mi sono innamorata e, guardandomi nei suoi occhi, mi sono vista bella, sul serio ..Michael, a love, a sin, a secret.. quella sera ho fatto la doccia e ho pianto. Comunque, tornando a noi, apprezzavo tuo marito, era dolce e arguto.. La mia è invidia, Catherine, io me lo sarei preso e di corsa. Non come S., un flirt e poi si era eclissato, per me era amore, tranne che aveva obbedito a mia madre, fidanzandosi con Olga, Olga K., io ero la figlia dello zar e lui nessuno. In termini dinastici e di rango. E  le foto sullo Standard di quel periodo tradiscono la mia ripulsa,  braccia conserte, un serio cipiglio, mi aveva tradito, per dire, solo qualche bacio  e rari abbracci, cerco di mettere ogni tipo di distanza, in primis fisica. Tu Andres te lo eri scelto e di corsa, ottima opzione, scusa il crudo linguaggio, Cat, ma lui era la tua passione e viceversa,io Michael lo avevo voluto, il mio principe soldato, e non lo ho sposato,  ho preso quello che potevo prendere, sventata, e non me ne sono pentita, e dopo siamo diventati amici, solo il buonsenso e la fedeltà, mia e sua, nei confronti dell’impero, dello zar, mi ha impedito di perderci la testa del tutto.. Ed ero già una ribelle, una gramigna rispetto agli austeri dogmi di mia MADRE, già, tutta forma, lei, mai sostanza.. che non aveva torto, erravano gli altri, LEI giammai. E ammettevi di avere paura, che fatto sensazionale, per confortarti la baronessa B. e altre raccontavano cronache apocalittiche di parti che duravano ore, che vi erano complicazioni.. Logico che non volessi sentire. Ed eri giovane, tua madre, tua nonna non avevano avuto complicazioni, la tua stessa cognata, Marianna era sopravissuta a cinque parti e ora aspettava il sesto bimbo,  aveva 36 anni, su Cat, coraggio, se mi facevi lo scherzo di morire ti avrei ammazzato io ”
 
Da una lettera di Olga Romanov dalla prigionia di Carskoe Selo a una amica, dopo le formule di saluto“.. ogni pomeriggio, dalle due alle cinque usciamo, facendo qualcosa in giardino .. Se non è troppo lontano, Mamma viene fuori con noi e si mette sotto una coperta, vicino agli alberi e l’acqua, Papa ( con altri) fa passeggiate e sega gli alberi morti, Alessio gioca nell’Isola dei bambini, corre,   a volte nuota (..)Diamo l’acqua alle piante, oltre all’orto, coltiviamo il giardino, le rose (..) Abbiamo organizzato un piano di studi e lezioni, studio inglese con Marie.. Storia russa ed europea, nel cosiddetto tempo libero preparo il corredo, come le mie sorelle, per il bimbo della principessa Fuentes, alias Catherine, e leggo la storia europea, e romanzi..” 
 
“Andres” pronunciò il suo nome esatto, in spagnolo, Fuentes annoverò la sua stretta, chiedeva protezione, lo serrò con il braccio contro il suo addome, stese l’altro contro l’aria, per un momento, quindi lo posò contro di lui “Cosa è successo, dimmi Alejo” un soffio, il suo nome in spagnolo
Giocavo con il mio fucile giocattolo, me lo hanno tolto, dicevano che avevo armi, armi vere”  
“Chi?” gli passò le mani sulla schiena, una volta il principe Xavier suo padre aveva fatto lo stesso, quando combatteva conto l’oscurità e la disperazione, la fronte posata contro la lapide che custodiva i resti mortali del suo primo figlio, desiderava morire, lui che aveva sempre amato la vita, sempre. Variava l’evento, pensò Andres, e sarebbe bastato tanto poco per scatenarlo. Suo padre pensò Andres era un grande di Spagna, una figura inferiore al principe ereditario, forse il titolo più grande del regno iberico,  dopo quello di principe ereditario, appunto,   e nulla avrebbe consolato Alessio, che giustamente nulla ne sapeva “Dimmi, sfogati se vuoi”
“I soldati..”
Andres imprecò nella sua lingua, dedusse il ragazzino, dal tono parevano parolacce e belle pesanti “Spiegami meglio, non ti brontolo o che, solo fammi capire” E magari si calma, è agitatissimo, il mio sistema per arginarlo, spiegami.  Come faceva Catherine, tranne che ora l’onore di gestirlo era di sua spettanza.
“Ero all’isola dei Bambini e mi esercitavo con il fucile appunto, un ufficiale è andato da Monsieur Gilliard dicendo che doveva prendermi appunto l’artiglieria, che le guardie avevano deciso così, e dovevo consegnare. L’ho posato e sono andato vicino a mia madre, che era seduta sull’erba a pochi passi da noi. Un momento dopo ecco l’ufficiale e due soldati, Gilliard  ha cercato di spiegare e mia madre gli ha chiesto di ritentare, ma non c’è stato modo, se ne sono andati via con il trofeo, una grande, bellica conquista”
“Proprio, ironizzi  in modo sarcastico ed esatto come mia moglie” 
“Da qualcuno ho imparato, fidati”
Vi era del vero. Ad agosto avrebbe compiuto 13 anni, era alto, una struttura sottile ed elegante, e gli occhi non erano quelli di un ragazzino della sua età, diffidenti e cauti, di chi ha troppo visto “E Gilliard mi ha riferito che l’ufficiale lo ha preso da parte, rilevando che la faccenda lo ha stressato, atteso quanto aveva da fare”
“Sono ridicoli loro, mica tu”
“Guarda che del fucile non mi importa.. “Insomma, rilevò Andres, vediamo di organizzare qualcosa “Arco e frecce, giocattolo, ne hai mai avuti?”
“No.. “
“Te ne facessi uno ? Semplice, eh, magari con qualche freccia e ti costruisco un bersaglio”
“Grazie, Andres” e intanto lo zarevic si era costruito un suo metaforico riparo, alla fine dei giochi lo proteggevano i Fuentes, Catherine e Andres, Olga e Tata e le sue sorelle, Gilliard il precettore e il marinaio Nagorny. Infatti, sua madre, la zarina, suo padre, lo zar, pregavano e torcevano le mani, senza trarre alcun fiato per difenderlo o distrarlo in modo evidente, diretto.
Il Colonello Kobylinsky, nuovo comandante del palazzo di Alessandro, riconsegnò il fucile della Discordia ad Aleksey, smontato, pezzo per pezzo. Da allora in poi, ci giocò solo nella sua stanza.  Andres gli fece un arco giocattolo, corredato da frecce. E li rivedo buttati a giocare con  i trenini elettrici, a ridere a tutto spiano per minimi eventi, battute note solo a loro, per terra, Andres che gli insegna a usare quel benedetto arco e a tirare di boxe, dettagli ancora più specifici, Alessio che sfida il mondo, si sente invincibile.  Al sicuro e protetto.
 
 
Olga e Tata vicino a un cespuglio di rose in piena fioritura, la vita sottile enfatizzata da una fascia chiara, con un immenso capello.
Aleksey seduto su un pontile di legno, vicino a lui il precettore Gilliard.
Anastasia che contempla perplessa una farfalla.
Marie appoggiata sul pontile, di profilo, assorta e remota.
Alessandra seduta vicino allo zar, un parasole in mano, che sorride.
All’apparenza parevano le solite foto, fatte anno per anno, durante l’estate, in vacanza,tranne che non era così.
Adesso una delle principali occupazioni era coltivare l’orto, passando anche tre ore filate a estirpare cespugli e togliere pietre, creando solchi dritti e profondi. Le giornate si erano allungate, le piantine presero vita, fagioli, rape, lattuga, verza (500 esemplari) che si allungavano sotto il sole, annaffiate da piogge occasionali, la folla continuava a insultare dai muri di cinta, ora era un poco meno.
Venne creato un altro orto, per la servitù, lo zar si mise ad abbattere i vecchi alberi, ormai secchi, del parco, tagliando poi i rami, per farne legna da ardere.
Provviste e legname, casomai fossimo rimasti lì ..
“Mi avete schizzato”
“Giusto un poco, tuffatevi, tutti e tre, te e i gemelli” Aleksey si divertiva a nuotare nel laghetto intorno all’isola dei Bambini, dove giocava spesso, schizzando, appunto, chi gli capitava a tiro, senza distinzioni.
“Dalla testa ai piedi” Erano i primi di giugno, mi era riuscito a dormire un poco di più rispetto al solito e avevo le caviglie leggermente meno gonfie, tanto che ero riuscita a passeggiare senza ritrovarmi con il fiato mozzo e le costole doloranti, per i movimenti del bambino. Ignorai le guardie, rovesciai il viso verso il sole, diciamo che erano parte dell’arredo, mi sedetti sul pontile, sperando che poi non servisse un argano a rimettermi su.
“Cat, tuffati”
“No, Aleksey, e mollami la caviglia” sottovoce “Non ti azzardare  a fare cose strane, che questa  è la volta buona che non ti parlo per una settimana”
“Non fai più nulla, sei sempre stanca” petulante, eh, ero solo incinta di nove mesi, non avevo voglia di spiegarglielo per l’ennesima volta, dopo avere rifiutato marce forzate (passeggiate) nel giardino, allora avevo appena il fiato di dargli il bacio della buonanotte, se era di umore.
“Non ho il fiato”appunto.
“Già, quando arriva?” gli strinsi il polso, leggera, un tacito ammonimento, per evitare che gli venisse lo sghiribizzo di buttarmi in acqua sul serio.
“Presto, spero, e farò una nuotata, promesso, dopo”
“Sì, come no” mi fece il solletico sul malleolo.
“Cioè? “
“Fossi lui o lei, o loro, non avrei tutta questa fretta di nascere” si appoggiò contro di me, lo circondai con il braccio
“Io non vedo l’ora, invece” in parte per conoscerlo, in parte perché mi sentivo un galeone pronto al naufragio, per esperienza personale e successiva, appurata allora per altre confidenze, arrivi a un certo punto e vuoi partorire e basta, non ne puoi letteralmente più. Non dormi, non digerisci, andare in bagno è un incubo … non stai bene in nessuna posizione.
“Le mie sorelle ti hanno fatto un arsenale di vestitini, fasce, che basterebbe per cinque bambini..”
“Li userò per i prossimi” se sopravivo al parto, questa è la prima gravidanza che porto a termine, la terza, dopo gli aborti, mio figlio ha la precedenza, tranne che Andres lo avrebbe odiato se mi avesse ammazzato, lo avrebbe amato nella forma e mai nella sostanza. E Alessio non se ne sarebbe fatto una ragione, alla fine, oltre alla prigionia non avrebbe tollerato una mia dipartita.
“Per il primo o prima, avete già deciso, se fossero due, invece? “perché ci eravamo fissati con i gemelli, perché, perchèè.. Mi misi a ridere, i pensieri morbosi erano un filo da non srotolare.
“Alejo” secca, in spagnolo.
“E che ho detto scusa che mi brontoli?”
“Si chiamerà Alejo, in spagnolo, Alessio come te”
“No, Cat, non voglio che usi il mio nome”
Il motivo me lo spiegò poi, sul momento lo interpretai come una bizzarria, un   capriccio estemporaneo dei suoi.
“Lo sceglierai tu, va bene, per un secondo  maschio, pensaci”allargai le braccia, mi tirò in piedi in qualche modo,  gli accarezzai i capelli, annotai il suo braccio sulla schiena, mi raddrizzai, era LUI un portento.
...fossi il figlio di Cat, starei per un pezzo nella sua pancia,sarei al sicuro, saldo, nessuno mi farebbe male, anche se lei è esausta, con le occhiaie, e mi ascolta, mi fa ridere nonostante le mie monellerie.. ed i capricci. E tanto mia madre sta sul divano, piange e si dispera. Alessandra Feodorovna è mia madre, Cat, Olga e Tata le mie mamme. Madre e mamma, due parole, un mondo diverso. Se sei intelligente, resta dentro, Felipe. Ti conviene. Sarai un maschietto, lo so. E tanto, intelligente o meno, non vedi l’ora di uscire..sei curioso, come sono curioso io,  di vederti, tua madre non vede l'ora. 
12 giugno 1917, una pietra miliare la definì Olga, ridendo, in seguito. Una tragicomica, rilevavo, io, che sul momento mi divertivo molto poco. Una tradizione, che le cose le combinate sempre insieme, la sentenza di Tanik, una barzelletta, la pronuncia di Andres, che avrebbe voluto strozzarmi  quando si trovò nel parapiglia, prevedendo che suo figlio sarebbe stato un campione a fare tutto a modo suo. Come la madre, ovvero io ..
“Olga, rimettiti.. quando partorisco, mi devi aiutare” “Come no” “Scommettiamo un abbraccio che avrò bisogno di te” pensavo a quei frammenti di dialogo, di alcuni mesi prima, quindi risi, una breve pausa, che mi sarei messa a prendere il muro a testate. Ero isterica, dosperata, partorivo..
“Non mi lasciare” ansimai “Deciditi, o sto con te o chiamo i dottori e il diretto responsabile delle tue attuali condizioni”  mi asciugò il sudore dal viso con la manica, ridacchiai per quella definizione di Andres, il mio Fuentes dallo splendido fondoschiena“Fossi in te non mi fiderei, a contare solo su di me, di parti ne ho visto solo uno” “E come è finita?” risi, isterica, di nuovo, una pausa dai dolori, annotai il suo viso madido, rovesciando la testa, serrandola per la vita “Che ne so, è il tuo, la teoria mi serve a poco, anche se ho passato il corso speciale per infermiera ostetrica con ottimi voti, la migliore del corso” sarebbe stato strano che qualcuno la superasse, riflettei e vi era poco da fare, eravamo in .. ballo, almeno io non potevo scappare, io che ero una maestra nelle fughe e negli abbandoni“Olga.. anche io di parti ne ho sperimentato solo uno, il mio” respirai, non ne potevo più “Se dovesse succedere qualcosa mio figlio ha la precedenza, lo sai” “NO. Catherine, No” “Invece sì, ahora..” smozzicai la prima parola del motto dei Fuentes tranne che il dolore ai reni mi percosse di nuovo, cacciai il fazzoletto tra i denti per non urlare a squarciagola, avevo perso il tempo, quanto passava tra uno spasimo e l’altro? Il ventre duro come un sasso, le gonne impregnate di sangue e liquido amniotico, il mio corpo che lavorava per conto suo, a prescindere dalla mia volontà “ Y por siempre, Catherine, io per te, te per me” Olga scostò il busto, leggera dal mio, mi accarezzò la nuca “Non devi avere paura” “ Ho paura, ” una pausa “Non ho mai partorito, sai, questo è il primo tentativo “ironizzavo come difesa estrema “Stupida.. Mi molli o no?”ridacchiò “NO. “ altra pausa “ Le guardie sono sparite..?” “Zitta.. “ si terse il sudore dalla fronte, i capelli chiari appiccicati per il caldo e la tensione “Tu i dolori li avevi da un pezzo” “Dal compleanno di Tata, qual cosina alla schiena, a intervalli” serrò le labbra, cercò l’orologio “Sono passati quattro minuti”  “Ma proprio oggi non dovevi uscire nel parco? “ “E tu proprio oggi hai deciso di non uscire, e riportarmi il libro” una vampata di rabbia “Sono una mongolfiera, faccio tre passi e ho il fiatone, dove vuoi che vada..” Feci un segno disperato con le mani, il dolore ai reni e la vista che si appannava mi avevano spinto all’angolo, nella mia  spensierata inesperienza ritenevo che non fosse ancora il caso di avvisare. Il Dr Botkin mi aveva avvertito che qualche fitta e dolore alla schiena è di prassi nelle ultime settimane, mi aveva visitato e, in linea di massima, avrei dovuto partorire dopo la metà di giugno, abbondante, tipo dopo il 20 del mese. Peccato che il bambino fosse di diverso avviso. Già. Me ne ero accorta “Ma il travaglio per un primo figlio non dovrebbe durare tante ore?” “OLGA!!” “Mia madre mi ha partorito dopo circa venti ore ..e hanno usato il forcipe” “Idem la mia.. tante ore, il forcipe no..” Pensai a mia madre Ella e mi venne da piangere. “Che in teoria..” mi ricacciai il fazzoletto in bocca, spingi e respira, respira e spingi, era l’istinto, forse, che ne so, in quella situazione non avevo alcun controllo diretto “In teoria che..?” ansimai, sudata e logora come un fazzoletto troppo stropicciato“Sono le dodici, tra circa un’ora vi è il rientro e.. “ “ …”  “Maledetta cretina che sei, sempre a modo tuo.. sempre” esasperata e non si mise a piangere che ero vicina al tracollo e una rapida occhiata sotto le mie gonne la ridusse al silenzio “Che c’è?” una pausa “Olga..” di nuovo “OLGA” alzando il tono, e mica rispose, si alzò in piedi, che le era venuto in mente?. Fece un minuscolo cerchio con le mani, poi le aprì fino a formare la grandezza di una ipotetica, piccola anguria, la vidi deglutire “Olga..” una litania. E capii.
 
“OLGAAA”

Tutte quelle malefiche spinte servivano a preparare la strada per la testa del neonato, che aveva la grandezza di una piccola anguria, in genere, che doveva uscire.. Sarebbe poi seguito il suo corpicino,  l’approccio era arduo. Oddio, volevo l’etere, il cloroformio, volevo fare un parto cesareo, avevo ancora più paura.  Conoscevo la teoria, eh, tranne che la pratica applicata non era stato oggetto di approfondite verifiche e riflessioni da parte mia. Mi sarei messa a prendere il muro a testate, opzione che magari considerò pure lei, fosse stata utile. 
“Tre minuti, non ti muovere, è un ordine, spingi eh, se arriva qualcosa” Imperiale e definitivo, percepii che sbraitava qualcosa in corridoio, acchiappando una guardia, per una volta erano utili. 
“Cat” sussurrò, mi accasciai contro la sua spalla “Siamo due cretine.. “ mi raccontò “Una sorta di prescienza, mi pareva che avessi bisogno di me” la fissai, con lo sguardo sbarrato, non era folle come riteneva  “Quando sono iniziati i dolori veri … ho pensato due nomi, il tuo e quello di Andres” “Ora viene, Andres. Penso “ “Figuriamoci se vuole perdersi lo spettacolo, che nemesi..” Straparlavo, ormai ero uscita dalla tangente, solo le doglie mi inducevano al silenzio “Cioè?” glielo raccontai, in breve sintesi, del nostro primo e romantico rendezvous nel settembre 1915, un calcio ai genitali da parte mia, che avevamo fatto a botte, tentava di dissuadermi dal continuare come agente segreto, con la violenza “Molto efficace.. chi disprezza poi compra, sai” aveva le lacrime da quanto rideva “Cat, cosa posso fare per te? “ “Voglio l’etere, voglio la morfina.. sono stanca, non resisto più..” “No”deglutì “Te li darei, tranne sei troppo avanti, non ti servirebbero” “Fortuna spagnola, eh.. anche se ..” una nuova spinta mi ridusse in silenzio.
.. in teoria un primo parto dura svariate ore, nel mio caso, il travaglio era (pareva)  breve, dalle dieci e tre quarti, intorno a mezzogiorno e dieci eravamo in piena fase ..di travaglio, appunto. Oddio.. ANDRES, Fuentes malefico, me la avresti pagata. 
“Si vede la testa, bravo Andres, se è in queste condizioni è colpa tua” mio marito ebbe la gentile ed esasperata accoglienza di cui sopra,  non mi ero certa messa incinta da sola. Comprese all’impronta, lo percepii vicino a me. 
“Spingi” 
“Non ci riesco..” sussurrai. “Sono esausta” 
“Hai le sigarette, Andres?”
“Fumi?” 
“Volete fumare adesso, Altezza?” 
“Ma siete rimbecilliti, tra tutti e due? Farà come le spezie, ti farà stranutire .. E spingere” mi toccò la pancia, tesa e dura come un sasso, una carezza di conforto. 
L’idea era ottima. 
Andres si tolse la giacca, rimase in maniche di camicia, che si arrotolò, senza badare ad altro che a me.
Olga vide i tatuaggi, gli occhi le si spalancarono in tripla misura, evento quasi impossibile. 
Mi buttarono il tabacco addosso, starnutii e rispettai la previsione di cui sopra.
Non riuscivo a trattenermi più.
Urlai. 
Una volta. Due, tre..
 
I vetri vibrarono, ma quanto fiato avevi ancora in gola, moglie? Le tue urla erano l’eco di una disperazione antica, a cui si aggiunse un pianto acuto e infantile, di chi si disperava per un esilio da un posto caldo e protetto. E i polmoni erano buoni, mi feci il segno della croce. Finalmente, Dio ti ringrazio, un figlio sano che vivrà, sarà il principe dell’estate, il tuo bambino. 
FELIPE..
 
FELIPE.
 
Il suo nome, un ruggito.
 
 
Dai quaderni di Olga Romanov alla principessa Catherine “ Mi spaccasti i timpani, accidenti a te, quindi tutto si svolse in modo veloce, senza ulteriori dilazioni. Ricorderò sempre come Andres pareva un gufo, attonito, felice e entusiasta, rideva e piangeva, la sua camicia era stata riutilizzata e convertita come coperta, in quel bailamme chi si ricordava del corredo che avevamo preparato. Tralasciando che è una tradizione russa avvolgere un bimbo appena nato nella camicia del padre e..che giornata, me la ricorderò di sicuro” 
 
“Cosa è?” tirai su il collo, i tendini in rilievo, come un cordoncino, meravigliata di riuscire a sussurrare qualcosa dopo le grida  di poco prima. E urlava a pieni polmoni, una testolina scura tra le braccia di Andres, movimenti frenetici delle minuscole mani. 
“FELIPE…chi vuoi che sia’” Olga, sorridendo, le braccia intorno alle mie spalle, mi abbracciava, mi riempiva il viso di baci “Sono fiera di te, è perfetto..”
“Lo abbiamo fatto insieme Olga”
“Sì e no, ragazze, anche io ho dato il mio contributo” rise Andres, un buffo inchino, prese Olga per mano, improvvisarono una piroetta, un ballo di gioia.
“Dieci dita alle mani e ai piedi, uno splendido maschietto…”mi tesi, annotando che era un esemplare maschile, appunto, con tutti gli attributi, contai per mia sicurezza e .. “Dammelo”era stato nove mesi dentro di me, era uscito da pochi minuti  e già mi mancava “E’ MIO” 
“Prova ad accostarlo al seno”Andres, splendeva di entusiasmo, già, l’onere per nove mesi era stato il mio, lui a mettermi incinta si era “divertito”.. Insomma, ero stordita, dolorante e.. curiosa.
 
“Che strilli, ciao amore..” sussurrai una barcata di scemenze e tenerezze in spagnolo e russo e francese, allibita che fosse tutto ..intero.  Così sano.  Era buffo, grinzoso, la cosa più squisita che avessi mai visto. Il mio capolavoro, il mio ometto, il mio principino.  E lo avevo fatto io..
 
Istinto, rilevo dalla distanza, me lo accostai al petto e slacciai la camicetta, inclinando il gomito, i vagiti si placarono e iniziò a succhiare, il capezzolo stretto tra le gengive sdentate, o ricordavo mia madre quando allattava Sasha. Avvertii dei crampi all’utero e ancora altro “Ottimo, per far uscire la placenta, prima lo attacchi meglio è”e non mollava il capezzolo, a pochi minuti di vita aveva già capito che il nutrimento dipendeva da lì e non si staccava. “E credo che si rassicuri, alcuni bambini poco dopo dormono, altri si attaccano, altri ancora spaccano i timpani”  e nostro figlio era già furbo da subito, mangiava eh, Fuentes, oppure riconosceva il mio odore, ME, me lo ero portato dentro per nove suntuosi mesi, logico che fossimo abituati, lui a me, io a lui. Che ne so. Fu un momento magico, una pietra miliare. 
“Ora ti sei laureato in ostetricia e ginecologia, Andres?” Olga, pungente, segno che si stava riprendendo dagli ultimi avvenimenti. Ed era curioso che un uomo conoscesse quei misteri femminili, se non era un medico o che.
“No.. tranne che cinque anni fa mia sorella Marianna partorì in anticipo di un mese, unico aiuto si fa per dire io, quindi una certa cultura me la sono fatta, pur non volendo” arrossì come un ragazzino “Ce la saremmo risparmiata entrambi e non potevo mollarla lì, era al quinto parto” 
Olga si mise a ridere, era un pezzo che non era così allegra.  “Te la senti di metterti in piedi, Catherine? Per lavarvi.. “
Annuii, stordita.
Nel giro di una mattina ero diventata MAMMA. 
Diciamo che la mia vita era cambiata, senza revisione, ora c’era una persona che dipendeva in tutto e per tutto da me. Sarei stata in grado di non combinare troppi guai, di non deluderlo? 
 
La fronte alta, i capelli folti e scuri, i lineamenti fini, le palpebre minuscole sopra due iridi chiare, color ardesia, era squisito. Tre chili e ottocento grammi, polmoni perfettamente sani, dalla prima visita medica pareva tutto a posto, era nato a termine. Il breve parto non lo aveva fatto gonfiare, era sgusciato svelto come “un topolino”.. Insomma. Ero giovane, scattante e tonica, le lunghe cavalcate e camminate mi avevano lasciato in ottima forma, e tanto era stato .. intenso.  Travagliante, appunto.

 
 “Posso, possiamo?” Spuntarono quattro teste, bionde e castane, Tata, che guidava la delegazione,  lo raccolse con gentilezza, timida “Visto, arrivato più o meno per il tuo compleanno..” Le iridi grigie scintillarono di pura gioia, una seta cangiante e preziosa, quindi lo prese Marie e poi Anastasia. “Il mio regalo TATA” Lo scalpiccio dei passi, risatine gioiose, la camera ora aveva una piccola culla di vimini, semplice, con delle lenzuola di lino. Ero stata tassativa, avrebbe dormito con me, ci avrei pensato io, niente nurse o che.. Gli ameni soldati, constatando quella spartana frugalità, nulla eccepirono, anzi quel pomeriggio finsero di non vedere tutto il corteo che vi era. Andres era a brindare, credo, e tanto di bambini piccoli ne sapeva più di me, manovrava suo figlio con una sicurezza portentosa, senza ansie apparenti, la sua testa scura compariva a rate dalla porta, gemella di quella più piccola oggetto di adorazione. 
 “Vieni, Alessio, lo vuoi vedere” 
“E’ carino” imbarazzato, non sapeva che dire “Ma è tanto piccolo” gli strinse un piedino, rispetto a lui era davvero un piccolino, sorvoliamo che erano i miei piccolini.
“E’ bellissimo, cosa dici.. Perfetto” intervenne Tata, già, le avevo pronosticato che sarebbe giunto poco dopo il suo compleanno, era nata il 10 giugno, lui il 12, magari non vedevano l’ora di fare la reciproca conoscenza, era il più bel regalo che mai avesse ricevuto, almeno da parte mia. 
“Fidati, più grosso era anche peggio” mi ero lavata, data una spazzolata ai capelli, rispetto ad un’ora prima che grondavo per gli starnuti e il dolore, madida di sangue, i vestiti intrisi di umori, io isterica e Olga disperata, ero presentabile, quasi, credo. Mi adagiai sui cuscini, con un sospiro di sollievo, la fresca morbidezza del lino era un conforto. Le sue sorelle erano prese da mio figlio,  lo zarevic rimase sui margini, non gli tornava, enunciò solo “Cat, bravissima” 
“Dammi un bacio, Aleksey” mi sfiorò la guancia “E’ tutto a posto, sto bene, tranquillo” lo strinsi contro il busto, un movimento leggero e breve, lui appoggiò la fronte contro la mia”Abbiamo sentito le urla in giardino, mi sono spaventato, come tutti, quanto gridavi” e mi ero trattenuta, poverini tutti se sentivamo tutto il festival. 
“Ora è tutto a posto”  un momento “Sto bene, fidati, mi spiace averti spaventato, sono sicura sicura “ sorrise “Non mi prendere in giro, non mi rifare il verso, di quando ho l’ansia” mi carezzò una guancia “Sono grande, che credi” 
“Lo so, tesoro” 
“Ho brindato anche io, un poco di champagne”  ora lo reggeva, anni prima, aventi a Spala, ne aveva sgraffignato una coppa e aveva tenuto concione per tutto il pomeriggio, incantando le dame presenti, lamentando comunque che lo stomaco brontolava. E ancora, una volta, ad Yalta, mentre cercava i regali più graditi per i grandi ad un bazar di beneficenza aveva enunciato che lo champagne era una prelibatezza, che le bottiglie erano sì pesanti, prima che venissero bevute, avevo riso fino alle lacrime “Anche tre goccetti, eh, Aleksey” 
“Veramente erano due coppe” puntualizzò.
“Alessio” divertita, scandalizzata. 
Ero così  eccitata che non sentivo stanchezza o dolore, solo una gioia immensa, guardai di nuovo Andres, lui mi fece un piccolo cenno, ricambiai “Ve la sentite di tenerlo dieci minuti, vorrei dare un presente a mia moglie, grazie Tatiana Nicolaeva” Si innamorata di Felipe nel giro di poco, vederla così sorridente era portentoso ..Tenera, senza la perenne ruga di concentrazione che le attraversava la fronte. Lei ha desiderato un figlio più di te, Andres e Felipe ti sono capitati tra le braccia solo per un gioco della sorte, Catalina Fuentes, cerca di non essere troppo egoista. E mi declinai alla spagnola, la Spagna era la mia nuova casa, il mio posto magico, un riparo. 
“Per te…”mi sfiorò le labbra con un bacio, percepii le bollicine di champagne, il suo respiro tra i capelli, chiusi gli occhi, ecco una scatola tra le mani “Apri, da parte mia e di Felipe”un bracciale d’oro bianco, con topazi e onici, il fermaglio era una “F” con diamanti “Questo è da parte mia, invece”  Una collana, con topazi e onici, ecco la parure. “Ti amo”   “Da sempre e per sempre, Catherine, mi amor, mi querida” 
Dai quaderni di Olga Romanov alla principessa Catherine “ Mamma annotò che era un bambino splendido e non fece un fiato di quello che avevo “combinato”, come se averti aiutato fosse una cosa indecorosa, vide il duro cipiglio nel  mio sguardo, aveva già aperto bocca per sparare uno dei suoi santi assiomi, lei in teoria era sempre perfetta, in pratica..Lasciamo perdere, comprese che era una battaglia persa, una guerra che non avrebbe vinto. Rilevò, invece,  che era il ritratto di tuo marito, che era comune che i neonati avessero gli occhi color ardesia, ma era indefinita. Osservava Papa, definirlo commosso e orgoglioso era una perifrasi, che le tue sporadiche urla finali si erano sentite fino alla parte di giardino dove lavoravano, raggelando i presenti. Avevi urlato a squarciagola, solo nel finale non ti eri trattenuta, parevi una vittima sacrificale, da scannare. E tuo marito aveva mollato la vanga senza spiegazioni, correndo come una scheggia.  Tata era entrata in modalità adorante di tuo figlio meno di tre minuti dopo averlo visto, in concorrenza con Marie,  chi avrebbe indovinato che la mia seconda, riservata sorella,  chiamata la “Governante” fosse così.. dolce. Quello era un tipico tratto di Marie, lei sognava la maternità e tanti figli, Tata era a tenuta stagna, ben raro che esternasse qualcosa .. Io, dopo quel bailamme, ero lieta che fosse andato tutto a posto, Anastasia rilevò che ne sarebbe passato di tempo prima che fosse in grado di correre. E saltare. Alessio si limitò a un sorriso timido, forse andava realizzando allora  che era un bambino vero, in carne e ossa, non il misterioso “bignè” che avevi ospitato nel ventre per nove lunghi mesi, che avrebbe occupato tutto il tuo tempo e le tue attenzioni. Non che fosse ingenuo o altro, per alcune cose era anche troppo sveglio ( ma come lo sopportavi quando era petulante ?) solo che non ci aveva mai pensato, non gli era mai capitato. E alle nove di sera eri già collassata a dormire, Felipe a poca distanza. E tuo marito non brontolava, anzi, per alcune cose era davvero moderno, dicevi che Alessio era sempre stato viziatissimo, tu iniziavi da subito,a viziare tuo figlio,  in barba a ogni tradizione o norma educativa.  Nelle famiglie altolocate non usava affatto, in genere, che una madre allattasse di persona, non era comme au fait, mia madre, per averlo fatto, aveva ricevuto critiche su critiche, e nemmeno a lei era passata per la mente quella totale dedizione, tate e nurses primeggiavano. Uso spagnolo, diceva Andres, e tanto ho il (fondato) sospetto che era la scusa che tirava fuori dal cilindro ogni qual volta ne inventavate una, per non passare da originali. Quien sabe e chi lo sa. E tanto era figlio vostro, mica di altri, decidevate voi due” 
Felipe Fuentes, principe, figlio di un eroe e di una leggenda, Andres e Catherine. 
   
 
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