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Autore: queenjane    03/07/2018    1 recensioni
Qualche capitolo su Andres Felipe León dei Fuentes, il principe, l'eroe, amato marito di Catherine Raulov, dal primo capitolo " Gli occhi verdi di mia madre, aperti, quando le ho detto addio, un ragazzino di 13 anni che prendeva a pugni i tronchi degli alberi, il dolore alle nocche per non pensare al dolore dentro, lei era morta da poco e non sarebbe più tornata. Un sorriso nelle foto, ricordi, e poco altro.
MAMMA.. dove sei..E so che non pronuncerò più questa parola, intima e segreta, da ora in poi Sofia Funtes sarà “madre”, “Mia madre..” Immutabile come i Pirenei, le punte acute e nevose, contro lo sfondo di cieli di zaffiro e ametista.
La prima e tenace perdita, senza ritorno, le sue spoglie mortali avrebbero riposato nella cappella dei Fuentes, accogliendo pochi anni dopo quelle di mia moglie e mio figlio, in attesa della resurrezione della carne.
Se esisteva un paradiso, vi erano di sicuro, per loro e non per me.
Ero un mortale, anche se mio padre era il principe Fuentes, non certo Achille od Ulisse, avevo bisogno di amare, non ero perfetto, non ero un santo, od un asceta.
Ero solamente io."
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Periodo Zarista
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The Dragon, the Phoenix and the Rose'
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Lo zar annotava nel suo diario che i giorni erano divisi tra lezioni e passeggiate, lui si dilettava a leggere ad alta voce, la sera, una serie monotona, senza evidenti rilievi, in attesa dell’esilio. Si sperava ancora e di nuovo per l’Inghilterra, mia moglie mi aveva riferito che aveva proposto la Spagna, il castello dei Fuentes. La rocca millenaria dalle mura di pietra, coperta di edera, scintillante miraggio nel tramonto, Mi casa.. in spagnolo, casa mia. Comunque, ogni tanto capitava qualcosa di inusitato, come che i “bambini” (Olga andava per i 22, Alessio per i 13, veramente dei piccoletti) si erano rasati o le fissazioni delle guardie.
“Ieri sera Papa ci stava leggendo quando alle undici di sera è entrato un cameriere, agitato oltre ogni dire, rappresentando che il Comandante di Palazzo voleva parlare subito con lo zar..”Olga accostò Felipe sulla spalla, di certo stava per uscire con un racconto sarcastico, Catherine si mise in ascolto, come me, curiosa, lei a quell’ora era a nanna da un pezzo “E che ha pensato? Magari che era successo qualcosa di grave nella capitale, che so una dimostrazione dei bolscevichi contro il governo provvisorio e che doveva essere mostrato..”
“Sì, Cat, quindi il Comandante è entrato di gran carriera, accompagnato da altri due ufficiali, spiegando che una guardia aveva avvistato dal parco segnali con le luci verdi e rosse dalla stanza dove eravamo. Solerte, ha avvisato chi di competenza, come con competenza frugano nello yogurt, sai tutti questi messaggi segreti. “
“Che segnali, scusa?”Immaginando la scena, il pronto ordine di chiudere le tende, anche se si soffocava per il caldo. 
“Uno del trio è rientrato e ha spiegato il mistero, Anastasia era seduta vicino alla finestra, facendo l’uncinetto, ogni volta che si alzava per prendere quello che le serviva al tavolo, copriva e scopriva con la testa, a turno, le due lampade con i paralumi verdi e rossi presso cui Papa stava leggendo..Immaginati la loro confusione, quando si sono ritirati”

Ridevamo per non piangerci. Intanto, in quel mese di giugno era stata venne lanciata una massiva offensiva contro l’Austria, avanzando a spron battuto in Galizia, gli austriaci si ritirarono con ingenti perdite.  La Germania li soccorse e il contrattacco tedesco causò una rovinosa ritirata. Nella capitale vi furono sommosse e manifestazioni, cortei che sventolavano le bandiere rosse (simbolo bolscevico), urlando contro la guerra e il governo provvisorio.. Il governo provvisorio mantenne il potere, per il momento,  tranne che le sommosse e le rivolte, sempre più ampie, accoppiate al collasso di industrie e esercito, l’inflazione galoppante, i movimenti indipendentisti in Finlandia, Polonia, Caucaso e Ucraina conducevano verso il collasso e la disgregazione. 
Kerensky non voleva essere il Marat della Rivoluzione russa, considerava l’ex famiglia imperiale e Nicola Romanov anziché nemici politici, “esseri umani”, sotto la sua protezione, ogni manifestazione di vendetta era “indegna delle Russia libera”. Belle parole, in teoria. In pratica “I bolscevichi mi stanno alle costole” disse Kerenskiy allo zar “ E poi toccherà a Voi”. Infatti, nel palazzo di Tauride, sede dei bolscevichi, appunto,  vi erano serrate discussioni circa l’dea di invader il Palazzo di Alessandro, giustiziare I Romanov, Kerensky li tamponava come poteva, cercando di impedire un processo pubblico ai danni dello zar e della zarina. L’Inghilterra aveva rifiutato, infine, asilo politico e ogni giorno la loro sicurezza era sempre più labile. Per sicurezza, vennero mandati in Siberia, in agosto.  Come un pacco postale.


Olga osservò la mia mancanza cronica di gioielli, annotando che indossavo la collana con la perla, loro regalo per il natale 1905, a cui avevo agganciato la vera di Luois e l’anello di fidanzamento di Andres, un suntuoso diamante. Oltre alla fede nuziale all’anulare della destra e gli orecchini con onice e topazio. Quei monili  si accompagnavano al bracciale e alla collana coordinata, che tenevo in una scatola e comparivano a rate “Varia, sembra che tu abbia solo questi”
“Non posso”
“Ne hai a iosa di gioielli  …una squisita collezione” quindi “Cat..dimmelo, avanti, che qualcosa è successo” ed ero arrossita e mi schermivo “… a marzo, quando dovevano essere decretati gli arresti ufficiali, ho preso i preziosi e alcuni liquidi, sono andata a piedi alla parte cattolica dell’ospedale, li ho dati a Jaime” “Ti dovevi riposare e ..sei uscita”avevo sfidato il ghiaccio, il freddo, con una pancia di oltre sei mesi, la preoccupazione che dominava il tutto, intuì che erano serviti a tamponare, corruzione e delirio, lo avevano arrestato, un mese infinito ed era andata di lusso che non lo avevano spedito alla fortezza dei Santi Pietro e Paolo “E lui, Andres, è il figlio di un Grande di Spagna, ha uno speciale passaporto che gli garantisce di non essere arrestato, a lui e sua moglie, una immunità speciale.. Un Grande di Spagna, un titolo appena inferiore a quello di principe ereditario, di Infante, principe delle Asturie” pronunciò i termini in spagnolo” E..e hanno fatto questo“era allibita, scandalizzata e arrabbiata, lasciamo stare quello che stavano combinando ai sovrani di Russia“Venuto fuori dopo, o lo hanno fatto venire fuori dopo, Olga, sia mai che il governo provvisorio e la loro congerie creino un incidente diplomatico, e lui è uno degli eroi di calle Mayor, un generale, per quanto in congedo..” mi ci arrabbiavo ancora, a ripensarci “L’ho fatto presente fino a sgolarmi, con chi di competenza e ..” “Jaime è un sacerdote, teoricamente è intoccabile..E non hai detto nulla, nemmeno  un fiato” “Eravate malati e turbati, per l’abdicazione, vi avrei agitato ancora di più..” un sospiro pesante come un macigno “Olga, scusami” “Tieni questi” “Olga, non posso davvero” “E’ un ordine” due piccole perle, che fiorivano su piccoli petali d’oro, di squisita bellezza e fragilità. “Hai fatto così tanto per me..” “Guarda che alla fine,  è un buon affare, per me  non ha prezzo, che ne faccio degli ori, se non ho lui” un momento di riflessione“ Già per te lui è incommensurabile, te la sei cavata a buon mercato, eh.. E si fa per dire, era una fortuna” i miei gioielli dispersi valevano solo 400.000 rubli, una cifra esorbitante, e avrei pagato il sestuplo, il decuplo, via così, Andres valeva tanto oro quanto pesava, alla lunga era un buon affare, per me, non avrei saputo quale cifra attribuirgli.  Appunto, come quegli orecchini, erano senza prezzo, che me ne facevo, di gioielli, lusso e pellicce, se non avevo lui? E viceversa...


Dai quaderni di Olga Romanov alla Principessa Catherine” Trascrivo il verso 362 del sesto libro dell'Eneide di Virgilio «Nunc me fluctus habet versantque in litore venti», ossia «Ora mi tiene l'onda e mi avvolgono i venti sulla spiaggia», con cui Palinuro, anima bloccata nel Purgatorio, descrive a Enea le condizioni dei suoi resti, io mi sento alla deriva Catherine,  e tuttavia.. Semper eadem, sempre la stessa, cito Cicerone, sempre uguale, spero di rimanere invariata nell’amore che ho per il mondo e le sue bellezze. Stanchezza e vigliaccheria, quella primavera a Carskoe Selo avevamo ancora come tetto sopra la testa la casa della mia infanzia, e tanto era prigionia, una danza tra le spine, ci trattavano come criminali solo perché eravamo i figli dell’ex zar e della tedesca“

“Ero tremendo” raccontò Alessio ad Andres, mentre scoccava una freccia, era coordinato, preciso come sempre “Quando Mr Gibbes (il precettore di inglese) mi vide la prima volta ero sui nove anni e lo misi in imbarazzo, lo fissavo per tutto il tempo, vestiti, modi di fare, e interrompevo spesso la lezione per chiedere di portarmi dei dolci, una volta facemmo dei cappelli di carta e io continuai fino allo sfinimento”
“Già e poi brontolavano che non avevi mai fame..De gustibus non est dispuntandum” Andres ghignò, servendogli la nozione di latino, l’aria estiva vibrava, dorata, era una stagione bellissima, mite ed opulenta “Sempre meglio di quando mi sono infilato sotto un tavolo e ho preso la scarpa di una damigella d’onore, portandola a mio padre, un trofeo che ho reso e, dopo, lei ha strillato”
“Che ci avevi messo, una fragola?” prevenne il suo stupore “Me lo ha raccontato Cat, credo che sia diventato un episodio leggendario” gli era stato vietato l’accesso al tavolo serale per settimane, era un genio nel combinare guai, pieno di gioia di vivere. Il degno complice di Anastasia, per gli scherzi e le buffonate. A circa otto anni, durante un party per bambini, era saltato da un tavolo all’altro, imitato dai suoi sodali. Quando Nagorny, il marinaio, avevano cercato di calmarlo aveva detto gaio “Tutti i grandi devono uscire” e cercava di mandarli via.
“Comunque il gusto per gli scherzi mica mi è passato..”
“Ah già” rise Andres, potevano parlarne, non era un argomento proibito, si ricordò, aveva quasi tredici anni e tutto il diritto di divertirsi. Era stato alla Stavka, nel mese di giugno 1916, circa, una cena per soli uomini, una festa o che, Andres non  lo ricordava, sedeva vicino al granduca Sergej Mikailovich, uno dei cugini dello zar, e a R-R, suo mentore e zio di Catherine, peraltro a zonzo per i suoi casi.  Alessio entrava nella stanza da pranzo e ne usciva, molte volte, snervante come sempre, quando era rientrato con le mani dietro la schiena Andres si era messo in allarme, che stava dietro la sedia di Sergej Mikailovich, che mangiava, peraltro. All'improvviso lo Tsesarevich aveva sollevato le mani, teneva mezzo melone nascosto dietro di sé, svuotato della polpa, rimaneva solo il succo, che era caduto sulla testa del Granduca. Il liquido era scorso sulla faccia e sul collo, così copioso che il poverino non sapeva come fare, un improvvisato e non gradito cappello. I presenti si erano a stento trattenuti dal ridere, Andres aveva nascosto il sorriso dietro il tovagliolo, mentre lo zar si conteneva appena e il colpevole aveva lasciato ridendo la stanza da pranzo
“Ora butti tutti dentro il laghetto, si salvi chi può.. E comunque, bravo davvero, io non ero così coordinato, o così fantasioso”gli sorrise, una piccola pacca sulla spalla.
“Ho fatto impazzire pure te..”
“Sì e no. Comunque mi fai divertire, era tanto che non insegnavo a qualcuno a tirare di boxe..ovvero la nobile arte del pugilato” e gli raccontò un buffo aneddoto al volo.  Se il pomeriggio faceva un poco più fresco, si metteva un giubbotto leggero, tranne che lo doveva infilare pure Andres, non fosse mai. Lo adorava, ricambiato con zelo, imitandolo in tutto. Il mio piccolo principe.

Ed era un ragazzino coraggioso, sempre. Che cercava di godersi la vita. Sempre al Quartiere generale ne aveva avuto un assaggio, Andres, che Aleksey era un vero campione. Tutti, tranne che i bimbi piccoli, gli anziani e i malati, erano tenuti a digiunare la sera avanti prima di prendere la comunione, per la chiesa ortodossa. Per lo zarevic una dispensa era scontata, era piccolo, nel giugno 1916 si stava riprendendo da un attacco che gli era preso nell’alloggio che divideva con lui e Cat (lei lo aveva vegliato per giornate e notti intere, inventando mille distrazioni e storie per dargli una pausa, Aleksey si agitava appena lei si allontanava un minuto) Era a letto, stava un poco meglio e tanto aveva dolore “Voglio solo un poca d’acqua Cat” “Non hai fame?” basita, che sentiva i brontolii del suo stomaco“sì..” un piccolo sussurro “Ma domani prendo la comunione” lei aveva taciuto, spiazzata, cercando di capire “Vai per i 12 anni, non sei più un piccoletto, vero” “Sì” Non trattatemi sempre da malato, o da bimbo piccolo, la sua inespressa preghiera, gli occhi azzurri e affilati sul visetto magro “Va bene” tralasciando che si era serrato tra le braccia di Catherine, o era lei, erano talmente in simbiosi da ignorarlo, la punta dei nasi, freddi, che si sfiorava. “Cerco di trattarti da grande, va bene” “Non sempre e non su tutto” “Ovvia Aleksey..” esasperata e divertita “Mio imperatore dei viziati, va bene, mica decidi sempre tu” “Sììì” “No..” scherzando, un filo teso, lo amava anche se era viziato, ansioso, petulante, pensava Alessio. “Ora riposati, campione, rimango fino a quando non ti addormenti”, e oltre, era rimasta fino alla mattina, lo aveva aiutato a lavarsi e vestirsi.

“Come eri da ragazzo, Andres?”
“Un solitario, Alessio, ed uno scocciatore” sua madre stava morendo, la prima irreparabile perdita.   E si era forgiato nella distanza e nell’attesa. Sue distrazioni lo studio e i vagabondaggi, andare a pesca, suo padre gli dedicava tempo, allora non comprendeva che, nonostante il suo strazio, cercava di non lasciarlo solo, a lui come i suoi fratelli. Occhi verdi, di fumo, ormai spenti, che  erano tornati in sua figlia Sophie, di cui aveva saputo da poco,  Erszi aveva taciuto per un pezzo. Erano stati amanti e innamorati per un breve periodo, l’avventura era concessa, altro no, se ne era andato lasciandola incinta, lei non gli aveva detto nulla, decidendo per tutti  e rivelandolo dopo. Sophie era nata nell’aprile del 1912, aveva perso tutto, dai passi ai pianti e ai sorrisi, la sua piccola principessa che ora aveva cinque anni. Sentita per telefono lo chiamava Andres e non padre, Papa, non lo poteva certo sapere, e sarebbe stato un suo diritto, che lo chiamasse Papa. “Lasciamo perdere, fai dei tiri liberi, che tra poco rientriamo”
“Ti stai arrabbiando”
“Non certo con te” si trattenne e riacquistò il controllo, cercando di esserne convinto per primo, inopinato gli passò un braccio sulle spalle, un raro gesto di affetto che Alessio raccolse con un sorriso. 
 
Dai quaderni di Olga alla principessa Catherine “ L’11 del 1917 agosto Papa disse che entro pochi giorni saremmo partiti, destinazione sconosciuta, noi donne dovevano preparare delle pellicce e portare abiti caldi, ergo non sarebbe stata la Crimea. Una delusione immensa, che occhiata scoccasti a tutti, delusa, impotente, gli occhi quasi neri, fondi e bui. E le conversazioni,  per fare cambiare idea. Senza esito “Olga, ti prego” “NO” “Veniamo con voi, ci possiamo permettere di pagare .. la trasferta e il soggiorno, dico, Olga. Non saremo a sbafo, ti prego” “No, Catherine, NO”  "Olga, veniamo ..." Dio, come eri cocciuta, non ti rassegnavi, e mi volevi bene, la scocciatura una tua forma di affetto, come il mio no. Ci avevano proposto di raggiungere mia nonna a Livadia, decidemmo di non andare, per non lasciare i miei genitori. MA tu a Livadia ci dovevi andare eccome, meritavi una pausa. No, Cat, io avevo bisogno di te, dopo tanti anni, stavamo insieme dalla mattina alla sera, un privilegio, nonostante tutto, ma avevi un figlio, le sue esigenze prevalevano su tutta la linea. Il mio principino, che serravo tra le braccia, placido, paffuto e sorridente, una gara tra me e le mie sorelle, a tenerlo in  grembo, strappargli un sorriso.. FELIPE, il principe dell’estate, Felipe Alejo Alexander…  lo disse Alessio, ormai era grande, saggio.. Per dire. E il 12 compiva 13 anni, passò la giornata a mettere le cose in valigia, cicalando senza posa, ti metteva una cosa tra le mani e la ripiegavi, ti saltellava intorno, in quelo era un bambino, ancora, ti assediava, sorridevi, una pazienza infinita, gli davi un bacio e lo sguardo era triste, non voleva che fossi triste, almeno quello potevi lasciarglielo decidere, di essere bravo. Alla richiesta di nostra madre, venne portata la santa e miracolosa icona della Vergine dalla chiesa di Znamenia.. Tobolsk, Siberia, l’ironia che appresi, ci mandavano in esilio là, come nella passata epoca...i criminali politici in Siberia. E cercammo di porre in essere un giorno come l’altro, le lezioni, l’orto, i giochi, Alessio ci buttò nel laghetto. Dire addio, Catherine, a tutto, a partire da te, alla mia casa.. ti ho spezzato il cuore, saresti venuta, lo so, sempre, e avevi un figlio, che aveva la precedenza su tutto. Felipe, il tuo lieto fine, conquistato a un prezzo immane. Le stanze vuote del Palazzo di Alessandro, le tende tirate per nascondere le finestre, teli sui mobili per preservarli dalla polvere, la Galleria dei ritratti colma di bauli-armadi riempiti di fotografie, quadri, tappeti e quanto altro per la nuova dimora. E i bagagli, facemmo due mucchi di vestiti, uno più piccolo da portare con noi, l’altro per i centri di assistenza per i profughi e le vittime di guerra. Noblesse oblige, fino in fondo..  il 13 agosto era l’ultimo giorno, dovevamo partire in tarda serata, da mezzanotte ci mettemmo nella hall semicircolare, i bagagli in ogni dove. La partenza doveva essere all’una di notte, le ore passavano e nulla..Aleksey alla fine ti si era messo seduto vicino, verde di stanchezza, dopo avere girellato, con Joy, il suo cagnolino,  tra le braccia,la spalla che toccava la tua. E mia madre secondo uso piangeva, tu sparisti un paio di volte per allattare, pochi minuti e già mi sentivo male all’idea che non ti avrei rivisto per un pezzo, una lunga durata, forse una vita intera e tralasciavo che ero una ingrata, era già tanto quello che avevo avuto, nessuno ti obbligava a rimanere, dopo marzo, invece ..Grazie, Cat, sempre. Alessio ti stava vicino, la testa sulla tua spalla, ti aveva posato un braccio sulla vita, stringeva te e Joy, il cagnolino, come a non volersi più staccare “Cat profuma di rosa, lavanda e arancia amara, sempre“ disse molto dopo, sul battello.. Ce la diciamo tutta? Sì, ho pianto, come lui, un cuscino buttato sul viso, che la figlia di un soldato, di un imperatore mai esterna le sue emozioni in pubblico. Dico questo che poi ricomparve con gli occhi lucidi, di chi ha pianto, lo sguardo pesto, come me e Tata, Anastasia fece una battuta, tanto per essere diversa, Marie tirava su con il naso. E trovai il tuo primo biglietto il secondo giorno, era breve, che se lo avessero intercettato solo diceva “Buongiorno, un bacio, Ekaterina” tutto in russo, casomai avessero sospettato congiure. Che strano effetto vedere il tuo nome alla russa, Cat, noi che ci eravamo parlate e scritte una vita in francese. Ekaterina .. io ti ho chiamato sempre Cat, quindi Catherine alla francese, tuo marito Andres Catalina, saltuariamente..” 
Un solo nome e sempre io ero.

Catherine, la principessa delle rose e delle assenze, la signora della solitudine. Erede della desolazione, che risorgeva a nuova gioia.

“Auguri Alessio, tesoro mio”cercavo di essere sorridente,  smagliante per non tracimare “Sei diventato davvero grande, sai, ti ho visto che eri appena nato, figurati che osavo appena toccarti una manina.. ora..”
“Mi prendi in braccio, di corsa, il regalo è questo” sornione, mi tuffò il viso contro la clavicola, uno sbadiglio “Aleksey, tesoro mio, “ e ridevo, era tanto buffo “Fammi la lista, dei miei compleanni” Mi sedetti, erano le sei di mattina del 12 agosto 1917, lo strinsi con amore, con affetto, dei rubli allungati alle guardie mi garantivano quel breve privilegio, auguri in privato, minuti rubati “.. 1905, ero all’estero, 1906.. boh, 1907, ti tenevo sempre stretto, Dio, quante bizze facevi per dormire il pomeriggio, era   una lagna continua, tacevi solo se stavi con me, sempre”lo abbracciai, avessi potuto avrei infilato la porta, sempre lui in braccio e lo avrei portato via, lontano,e  continuai l’elenco, alcuni se li ricordava anche lui, nel 1914 avevamo visto l’alba che sorgeva, lo avevo preso tra le braccia “Ora sono cresciuto davvero tanto, non mi sollevi più, peccato” “Guardiamo fuori, è una giornata bellissima, pesi Alessio, sei diventato un colosso, manco sulla schiena ti carico” mi passò un braccio sulla vita, uno sbadiglio assonnato “Cat” il sole sorgeva, asciugando la rugiada sui fiori e le foglie, il cielo virava nelle chiare sfumature del celeste e di un tenero giallo, gli baciai i capelli  “Davvero, come sei diventato grande, non ci credo”

“Sono un osso duro, sempre, lo dici, ci devi credere! “uno scherzo che nascondeva una profonda verità, mai mollare, mai arrenderci. Glielo avevo detto nel settembre 1915, quando mi aveva rivisto dopo un lungo anno, inopinato. E nel 1916, eravamo diventati inseparabili, avevamo litigato, ci eravamo divertiti, prendendo nuove misure, legatissimi Un nuovo sviluppo, amore e reciproco rispetto, ho amato Alessio fino alla vertigine, all’assenza“Certo, Aleksey” una pausa “ E ci tenevo a salutarti, in privato”
“CAT..”una pausa “Grazie, di tutto e per tutto”

La giornata trascorse tra le cure dell’orto, le lezioni, fare i bagagli, servizi religiosi, venne portata la santa e miracolosa icona della Vergine dalla chiesa di Znamenia..
Sceglieresti di amare un bambino sapendo che questo sentimento potrebbe spezzarti il cuore.. Sì, io sì, ed era egoismo, il mio, Aleksey, tesoro mio.

Dai quaderni di Olga Romanov alla principessa Catherine “.. alla fine andammo via dal Palazzo di Alessandro alle 5.30 di mattina, del 14 agosto 1917, scortati da un nugolo di soldati. Salimmo lentamente sulle automobili, dopo che i bagagli erano stati caricati. Prima i miei genitori, poi noi figli, il seguito dopo. Avevi i capelli raccolti in uno chignon vagabondo,  un vestito color giacinto, gli  orecchini con le piccole perle che ti avevo regalato in un impeto sentimentale. Ti avevo dato la mano fino a dove era possibile, per evitare di tracimare, stavo per cambiare idea, dirti, “Vieni, non mi lasciare”, le dita intrecciate, un legame che era rimasto, da quando eravamo bambine, da adolescenti e infine giovani donne. Cat, ti avrei voluto con me, dal passato rimanevi solo tu e pochi altri, e non potevo pretendere che venissi a quel giro, la prigionia si sarebbe inasprita, che ironia, mio padre, da zar, aveva mandato molti in Siberia e lo stesso toccava a lui e  noi, sua famiglia. Ti tenevo per mano, eri tu la mia famiglia, la mia sorellina, la mia eroina, una stupida combina guai .. E parte della famiglia era composta da tuo marito e tuo figlio, di due mesi, e.. NO, Catherine, saresti venuta, hai tentato di farmi cambiare idea fino all’ultimo, sfinente e cocciuta, mica mollavi. Avevo bisogno di te, o viceversa, tranne che tuo figlio ci batteva su tutta la linea, lui aveva bisogno di te, aveva osservato Alessio, più di noi. E lo aveva straziato, si comportava da adulto, da saggio, era maturo e tanto .. stavo per cambiare idea, dirti, “Vieni, non mi lasciare” Una stretta, come il presidio di guardia di una amicizia che durava da quando avevo memoria, sospirai per non andare in frantumi, l’auto controllo di una lunga educazione serviva, non volevo dare spettacolo o pena. Eri mia amica, mia sorella, la mia famiglia, le tue gioie e sconfitte le mie, da sempre, e viceversa “Adios, principesa Fuentes” “Adios, Vuestra Alteza Imperial” un inchino formale, gesto ripetuto per me, Tatiana, Maria, Anastasia e Aleksey, come quella frase, le guardie non fecero un fiato. Te e Andres, con Felipe, insieme alla baronessa Buxhoeveden e al precettore Gibbes che ci avrebbero raggiunti in seguito rimaneste fermi fino all’ultimo momento, sotto il colonnato,  quando le portiere vennero chiuse e partimmo. Andres ti trattenne per la vita, ricambiasti la stretta, magari per non correrci dietro. Il cielo vibrava nei toni del miele e dell’arancio rosato, i primi raggi di sole spuntavano dai pini, mi voltai, la testa appoggiata al finestrino, la carovana si muoveva lenta, chiusi gli occhi, straziata..Girando la testa, scorsi una figura alla finestra del secondo piano, il punto dove, dagli appartamenti dei bambini, potevi scorgere tutto il viale, dove pensavo di averti detto addio quasi tre anni prima. Alzai la mano, imitata dalle mie sorelle, l’ultimo saluto, la tua testa castana non si scostò di un millimetro”

Corsi, senza decoro, facendo gli scalini tre alla volta, fino al secondo piano, la gonna raccolta tra le mani, aprendo la finestra con l’impeto di un corsiero e mi sporsi fuori, sventolando il fazzoletto fino a quando l’ultima auto scomparve nella foschia madreperlacea del mattino.
Strizzando gli occhi, scorsi, mi illusi di  quello, una mano guantata, delle mani guantate che mi salutava dalla auto dove eri, dove eravate. Nel settembre del 1914, quando me ne ero andata, il gesto a parti rovesciate era stato simile, e non volevi vedermi mai più, avevi detto, per la rabbia e l’esasperazione.
Quando non vidi più nulla, scivolai per terra, la schiena alla parete e piansi, la testa tra le ginocchia. Mi mancavate già da meno di dieci minuti.

Quella sera, la zarina scrisse una cupa lettera alla baronessa B., che si era vista passare davanti tutta la vita al Palazzo di Alessandro, da giovane sposa fino ad allora,  e si chiedeva quale futuro avrebbero avuto i suoi “poveri figli”.
ADDIO, CATHERINE.
   
 
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