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Autore: queenjane    04/07/2018    4 recensioni
Un omaggio a Aleksey Romanov e a i suoi, era fragile, malato, morto a nemmeno 14 anni, fucilato nel luglio 1918 era un eroe. Go my dear. Go my Hero.Once upon a time, you're an heir, a hope, ypu've a great future. But you're frail.. and strong. A dragon, a legend. Forever, a little prince. Honour to You, last Ctar, Aleksey
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Periodo Zarista
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- Questa storia fa parte della serie 'The Dragon, the Phoenix and the Rose'
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La prima parte ha come voce narrante Alexei, la seconda Catherine.
 
“Quando si muore, si smette di provare dolore?”parlavo così piano che dovesti accostare l’orecchio al mio viso. Eravamo a Spala, nell’ottobre del 1912, uno dei miei peggiori attacchi di sempre, il dolore così forte che la morte  sarebbe stata una liberazione, un paradiso.  Non ne potevo più, alla lettera. Mi raccontarono poi che la servitù si doveva mettere il cotone nelle orecchie per svolgere le sue mansioni, le grida di dolore e i rantoli provocati dallo sforzo di respirare passavano i muri della villa. Non che fossi molto presente, la maggior parte del tempo ero semi incosciente, girato sul fianco e la gamba sinistra contorta, il viso esangue.  E stavo un filino meglio, quando ti feci quel discorso, CAT; meglio rispetto a quanto sopra, chiariamoci, almeno un poco.  Il giorno prima eri venuta,  mi avevi raccontato qualcosa, ero riuscito ad assopirmi.
“Penso di sì, ma nessuno è mai tornato a raccontarlo. Un filosofo greco raccontava che è come dormire e poi ci si ritrova dinanzi a un fiume, dentro una grotta, e che se bevi quell’acqua dimentichi tutto e poi rinasci .. Lasciamo stare, ora mi metto a raccontarti del Lete e dei soldati. Anche Achille, sai, il leggendario guerriero venne immerso da sua madre in un fiume speciale, da renderlo invulnerabile, tranne che in un punto ..” ti sorrisi, a malapena un incresparsi di labbra, percepii che mi sfioravi una mano.. Cat. Non piangevi, avevi le occhiaie fino al mento e il viso scavato, quando stavo male non volevi toccarmi, avevi paura di farmi male anche non volendo, quell’estate era stata una eccezione. Lo sai quanto ti voglio bene? A parole, nei fatti lo sapevo che mi adoravi, quando ero in forma, non facevo pari a giocare con te, abbracciarti, riempierti di baci e dispetti, anche se ci dividevano quasi dieci anni.  Ricambiavi, a volte parevi tanto più bambina di me. 
E sopravissi, anche se mi avevano dato l’estrema unzione, avevo superato ogni previsione, anche me stesso, poteva essere ..pacifico, eppure .. la vita mi piaceva, la amavo anche se potevo fare molto poco. Attento, non giocare troppo forte, bada agli urti .. E i lividi, il sangue che non coagulava, il dolore su nervi e giunture e febbre e delirio.. le conseguenze fatidiche e malefiche, bastava un nulla e .. Un momento era a fare chiasso con le mie sorelle, quello dopo ero piegato dal dolore. Mia madre diceva che le preghiere di padre Grigory mi aiutavano, ma .. per quello che avevo non vi era cura, ho passato mesi, anni, a fingere di dormire, i miei genitori e i medici che parlavano sopra la mia testa, come se fossi un idiota. Ero malato, mica scemo, trattarmi sempre come un bambino piccolo o un infermo alla lunga mi riempiva di rabbia. Potevo solo cercare di stare bene.
Ricordo un pomeriggio di fine dicembre, a Carskoe Selo, fermo su un divano ascoltavo le gesta di Achille, l’assedio di Troia e compagnia, TU eri vestita di chiaro, chiffon,credo,  i capelli raccolti sulla nuca, un raggio di sole faceva diventare color rame e bronzo le ciocche.  Una coperta buttata sulle gambe, che celava un arto stretto da un apparecchio ortopedico, per raddrizzarlo, camminavo male e a fatica, mi dovevano sostenere e mi aggrappavo ai mobili, alle pareti, ogni mossa un affanno. E l’apparecchio ortopedico era un arnese di tortura, lo tolleravo come i bagni di fango eccetera per far tornare dritta la gamba. La coperta celava anche il pannolone che portavo, cercavo di non pensarci., ormai lo tenevo a giornate e lo odiavo, era necessario, che non mi reggevo in piedi, ma si poteva evitare di cambiarmelo accompagnando il tutto da smorfie e sussurri, come se fossi un bebè, avevo 8 anni, mica due mesi..
Lo sbuffo divertito di Olga, che si mise a parlare degli dei greci e romani, Atena e Apollo, forse.
E poi “Il Dio del Regno dei Morti era Ade, giusto?”
“Giusto, Alessio.”
“Allora, Zeus governava la terra, Poseidone il mare e Ade gli inferi.”
“Per la mitologia sì. “ ti avevo anche chiesto di riferire che, ove fossi morto, che costruissero un monumento di pietre nella foresta per ricordarmi.
“E come divisero le cose? Ci fu una guerra o se la giocarono, tipo con le monete o..”
“Una guerra, la lotta tra i Titani. “
“Che tristezza, erano tutti fratelli e esclusero l’ultimo.”
“Sono vecchie storie, Alessio, lo sai vero.” 

“ Ade era il dio più potente, che il suo era l’ultimo regno.  E lui non aveva paura. Mi piace, cosa credi, lui era forte e coraggioso come Achille. Io sono come Achille.. Credimi.”
“Ci  credo.”






Nessun marinaio infermiere o tate erano in giro, per un’oretta rimanemmo  in pace, quando percepii un colpo di tosse.
La zarina.
Da quanto tempo ascoltava?
Feci finta di nulla, come Olga, diedi un bacio a Alessio sulla guancia, pregando che andasse bene.
Un piccolo cenno delle falangi, andai fuori a passi lenti, nel corridoio.
“E così gli insegni i miti e la storia.”
“Con rispetto, maestà.” senza implorare scuse o altro, che male avevo fatto?
Meglio le storie di Achille e le poesie di Omero rispetto alle divagazioni del suo santone siberiano, che diceva che il mondo era una favola,  che bisognava amare le nuvole che vivevamo in esse e simili, era quasi analfabeta ma con le parole ci sapeva fare, era un istrione, per la definizione più gentile.
Alessandra sorrise, non fece nulla.
“E’ una bella cosa, lui vuole essere come Achille, forte, senza paura. “senza aggiungere altro. Anche lei, come Teti, voleva rendere invulnerabile suo figlio, dargli un regno intatto, gloria e salute, poi rimasero solo silenzio e rovine.
Mi inchinai e tutto scemò nel silenzio, poi mi richiamò “Vieni nella mauve room” E adesso?
Entrai nella famosa stanza malva e grigia, annotando il profumo dei freschi fiori di serra, il fuoco che scoppiettava gaio. Doveva dirmi qualcosa, decodificai, era da Spala, per quanto concentrata su Alessio avevo notato come mi osservasse, come se volesse sapere qualcosa e non osasse chiedere. Negli anni avevamo trovato un modus vivendi, per non urtarci a vicenda, tranne che..  “Qualcuno ti ha mai chiesto cosa ha?”
Scrollai la testa, avevo sempre evitato, se percepivo morbose curiosità cambiavo argomento o non rispondevo, la tecnica del silenzio
“E cosa pensi che abbia..?” l’emofilia e lo avevo saputo per altre vie e mi sarei tagliata la lingua, piuttosto che ammettere che avevo costretto Olga a dirmelo, forzandola senza rimedio
“Non è di mia spettanza” alzai il viso e lesse la sincerità
“Va bene”
.


“Che fai?”Risi ai primi del nuovo anno, il 1913, lo sguardo ballerino.
“Voglio andare fuori”
Una risata per dire, Alessio non sopportava di vedere le lacrime sul viso delle sorelle o della madre, includeva anche me nella sua predilezione.
I soliti veti, non poteva fare nulla, si stava riprendendo, l’immobilità lo angustiava come l’apparecchio ortopedico stretto intorno alla gamba o le premure incessanti.
“ E NIENTE STORIE”
“Figurarsi se le so, manco le inventassi” Ironizzai.  “Vuoi giocare a carte?Uscire non credo, senti che freddo”Mi ruppi i palmi nell’aprire una finestra, o quasi.
L’aria invernale fluì per qualche istante,  possibile che quelle finestre fossero sempre inchiavardate... O nessuno le apriva in quelle stagioni, di certo nessuno tranne che una principessa si sarebbe reputata degna di fare quanto di spettanza di una cameriera.
Era caduta la neve.
Gli raccontai, intanto, che ai tempi la zarina Caterina II aveva visto un bucaneve sfidare la neve in dicembre, fuori stagione, e aveva lasciato una guardia a vegliare quel fiore sottile  e delicato.  Sbuffò, dicendo che il mio era un vizio, poi mi tese le mani.
“Prendimi in braccio e fammi respirare un poca d’aria, prima di richiudere”
“Non posso, non voglio farti male, non sono in grado” in rapida successione.
“Non ti fidi di te e di me, invece. Prova, per favore” Scossi la testa, valutando che aveva l’apparecchio ortopedico, sarei stata avventata, se mi fosse caduto? E incurvò un poco le spalle.
“Lascio aperto per qualche minuto, almeno respiri, un compromesso”
“E va bene. Ma quella del bucaneve te la sei inventata!!” a mezzo tra l’essere desolato od irritato.
“Credo sia vera. Mi spiace, davvero, non me la sento”
“Tu non hai fiducia, te lo ripeto. Ma va bene”Il mio Alessio, in apparenza prigioniero delle sue fragilità, prendeva le misure, aveva indovinato su tutta la linea.
Richiusi, intanto, la mia schiena e le braccia impegnate in quel compito che competeva a una cameriera, per guadagnare tempo, gli chiesi di nuovo a cosa volesse giocare.
Ero alta e sottile, le iridi scure come onice, con poche curve, scarno il petto e snelli i fianchi, il contrario delle bellezze che si apprezzavano in genere, bionde, rubiconde e paffute, avevo preso da mia madre, pur se i tratti erano più marcati, più scure le avvenenze, differente in tutto e per tutto, come lei.
La diversa, la spagnola, epiteti dati con una sfumatura di sarcasmo, alle mie spalle, o sussurrati in modo che sentissi, tant pis, pazienza, loro non avevano come amiche Olga o le sue sorelle.
O invidia, mi paragonarono a una ninfa in versione di bruna, a charming brunette, che ero bella, come una principessa orientale, sottile e meravigliosa.
“E poi a carte.." 
“ Sì”
“Secondo te, starò bene per il tricentenario?”
“Mi auguro di sì, zarevic..” Rispetto a Spala eravamo un pezzo avanti, e non azzardavo previsioni. Per il centenario della battaglia di Borodino (1812-1912), russi contro francesi, era apparso smagliante e giocoso, nella sua uniforme su misura, un promettente erede al trono, sicuro e sorridente, nella cerimonia rievocativa sulla spianata. E poi si era inchinato con perfetta modestia, quando veniva posta la prima pietra di una cattedrale sul luogo della battaglia.
E nel 1913 ricorrevano i festeggiamenti per i primi 300 anni da quando Michele, primo zar dei Romanov, aveva preso il potere, un serio impegno.
“Lo dici per farmi contento”enunciò.
 “Lo spero, Alessio, di tutto cuore, guardami, ti ho mai detto balle volontariamente o preso in giro?”
“No” Non ancora, avrei rimediato poi, purtroppo per noi. Quindi gli raccontai qualcosa su Achille, Alessandro Magno e il suo mitico cavallo, Bucefalo. 
 
   
 
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