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Autore: queenjane    05/07/2018    3 recensioni
Un omaggio a Aleksey Romanov e a i suoi, era fragile, malato, morto a nemmeno 14 anni, fucilato nel luglio 1918 era un eroe. Go my dear. Go my Hero.Once upon a time, you're an heir, a hope, ypu've a great future. But you're frail.. and strong. A dragon, a legend. Forever, a little prince. Honour to You, last Ctar, Aleksey
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Periodo Zarista
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- Questa storia fa parte della serie 'The Dragon, the Phoenix and the Rose'
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Nel gennaio 1913, poco dopo i miei 18 anni, il mio mondo andò in frantumi, come un uovo di Fabergè, prezioso e delicato, una volta rotto più non si ricompone. E  appresi la coesistenza, nel medesimo giro di danza, di rabbia e tristezza e la potenza salvifica della passione.
E forse potevo capire il principe Raulov, ma non giustificava quello che aveva fatto a me e mia madre, o forse lo ignorava.
Pensieri ossessivi e dolorosi, mi veniva da piangere e mi imponevo di sorridere.
Continuai a visitare la famiglia dello zar, a sorridere, giocare con Alessio, che si sottoponeva a cicli di dolorosi massaggi e bagni nei fanghi termali, massaggiandogli le mani fredde, sussurrando in francese e in inglese che era un eroe, un piccolo Achille.
Il mio combattente.
Che voleva godere la vita, non tollerava restrizioni  e la malattia era una condanna, da quando era nato, la mia era invisibile, un anatema, l’essere una  probabile bastarda, come avevo appreso, lettere appassionate sancivano una relazione che datava all'epoca del mio concepimento.
.
Mi sentivo una bara, una giocoliera, Felipe, il mio antenato, ritornava come un monito. Nato fuori da legittime lenzuola, suo padre nobile, la madre una contadina,  aveva visto la luce in Spagna, salvo passare alla corte di Caterina II, aveva combattuto, guadagnandosi una sorte diversa e i suoi titoli, sposato una principessa russa, salvo poi sposarsi in seconde nozze per amore.
Aveva forgiato una dinastia nelle terre dell’est, io che discendevo da lui potevo e dovevo agire. Non rimanere una foglia in balia della sorgente, me ne sarei andata, inventando una nuova sorte.  Al diavolo tutto. Compreso Alessio che mi cercava sempre, il suo viso deluso e le sue braccia vuote le scordai, anzi le omisi.  Tanto, si meritava di meglio che sprecare il tempo con me.
Egoista fino alla mia ultima stilla.
Che poi lui mi avrebbe amato, a prescindere, i bambini sanno sempre perdonare, inventano un loro magico mondo. Anche no, lui poi rilevava che gli badavo sempre, che gli volevo bene, se ne stupiva e viceversa.
“Catherine” serissimo.
“Dimmi, ti serve qualcosa?” mi misi alla sua destra, gli massaggiai la schiena, in automatico, scacciai i pensieri per dedicarmi a lui, a stare sempre su quel divano si stava chiaramente scocciando. E camminava ancora male, si doveva aggrappare ai mobili o essere sostenuto, Deverenko e Nagorny, i suoi marinai barra tate, lo portavano in braccio, se non usava la sedia a rotelle o un bastone. Alcune volte ci pensava Marie, sua sorella, a portarlo in giro, in braccio, salvo piazzamerlo  spesso in grembo, lo serravo delicata e paziente, lo amavo sempre. E lui mi voleva bene, lo so, anche se non gli pareva possibile, e viceversa, ripeto, una predilezione continua e costante, reciproca.
“Una spiegazione..”
“Su.. “
“Cosa è la domenica di sangue, quella del 22 gennaio 1905.?”in un fiato, circospetto, come se non volessi farsi sentire.
 “Possibile che ascolti tutto.. “ esasperata, che gli dovevo dire.. La verità.
“Urlavano .. Papa no, ma uno dei suoi consiglieri, dicevano delle persone.. di quella domenica.. “
“Perché sei così curioso..” Sempre. E quello glielo avevo insegnato io, di chiedere e ben pochi gli rispondevano, considerandolo troppo piccolo. Era malato, non stupido, era acuto.“ E va bene, te lo dico, solo che sono cose delicate, e.. “avrei fatto meglio a tacere e tanto avrebbe chiesto fino allo spasimo, senza risultato e si sarebbe incaponito in maniera peggiore “.. non avevi nemmeno sei mesi, si erano verificati dei disordini per l’epifania,” ovvero un attentato a suo padre, era partito un colpo di cannone che aveva frantumato le finestre del palazzo d’Inverno, io e Olga ne sapevano qualcosa, delle schegge di vetro ci erano piovute addosso, per miracolo non eravamo rimaste ferite. “.. insomma,  erano proibiti gli assembramenti e ci fu questa marcia, Alessio, davanti al Palazzo d’Inverno” solo che gli zar erano a Carskoe Selo, al palazzo di Alessandro “.. 12.000 persone, per lo più lavoratori,  operai, che chiedevano salari più equi, un minimo,  lavorare 8 ore al giorno e non 14 o16, un giorno di riposo a settimana .. “ Mi interruppi, il peggio doveva arrivare“.. i soldati hanno aperto il fuoco, zarevic, contro gli scioperanti, uomini, donne e bambini, che non avevano armi.. Brutto” e la neve si era tinta di sangue. I morti in via ufficiale furono 92, con centinaia di feriti, ma certo i  numeri erano più elevati, comunque la capitale era rimasta sconvolta, era cinico, barbaro sparare contro una folla inerme che invocava lo zar e condizioni più decenti.
“Non è possibile.. “ smarrito, incredulo.
“E’ successo, Zarevic, bada a quello che chiedi o scopri, non sempre le risposte sono gradite” eh, Catherine.. tu ne sai proprio qualcosa.

“ E il massacro dell’incoronazione.. “
Una tragedia che aveva funestato gli inizi del regno, nel 1896. Lo guardai, era attento, voleva la verità, una tragica e vera storia.
Nel mese di maggio 1896 si svolgeva la solenne incoronazione a Mosca, la cerimonia dentro il Cremlino fu di superba bellezza e lusso.
Era la completa assunzione al trono, l’investitura di forma, dopo quella di sostanza al momento della morte di Alessandro III.
La cattedrale dell’Assunzione rutilava di ori e icone, di una folla abbigliata in modo splendido, che resistette circa cinque ore, il tempo dell’elaborata celebrazione, tra salmi e prediche, le fiammelle delle candele vorticavano sospinte dai palpiti d’aria come l’incenso che saliva dai turiboli, gli zar erano commossi mentre venivano cinti della sacra corona.
Erano  i signori della Russia, incoronati, gli unti del Signore, solo Dio e gli angeli erano loro superiori, avvolti da porpora e ermellino parevano divinità, ieratiche e perfetti nei volti e le espressioni. Tale sensazione si era avuta la sera prima, quando Alix, affacciatisi al balcone per salutare la folla, ricevette un mazzo di fiori dai notabili. Quando lo aveva preso in mano, un congegno nascosto aveva inviato un messaggio alla centrale elettrica di Mosca, che rispose inviando la corrente a tutte le lampadine, rosse, verdi, viola e blu, poste su ogni albero, cupola e cornicione, così che tutte le luci si accesero, stelle palpitanti, la città a festa illuminata solo per LEI
Venne tenuto un imponente banchetto per i nobili e i dignitari, mentre quello per il popolo era stato organizzato nei pressi della spianata di Chodynka, usata come luogo di esercitazioni militari, quindi ricco di buche e fossati.
Erano stati allestiti teatri, grandi buffet per recare i cibi e i doni dell’incoronazione, 20 spacci pubblici per le bevande, insomma una grande fiera,  ma la sera che precedeva il banchetto per il pubblico era circolata nel popolo la voce che i doni commemorativi non sarebbero bastati per tutti, quindi la folla cominciò a radunarsi per essere in prima fila fin dai primi bagliori dell’alba.
Da una cronaca di quei giorni "Una forza di polizia composta da circa 1800 persone non riuscì a mantenere l'ordine pubblico e sfollare quanti si erano radunati. L'ondata di panico che si verificò non durò più di quindici minuti nei quali 1 389 persone furono calpestate a morte e all'incirca 1 300 furono ferite.”
Lo  zar dichiarò che non si sarebbe presentato al ballo organizzato per quella sera presso l’ambasciata francese, ma gli zii paterni, lo convinsero a parteciparvi ugualmente per non offendere il diplomatico di Parigi. Alla fine,Nicola II si arrese.
Il commento di Witte, ministro di lungo corso: «Noi ci aspettavamo che la festa venisse annullata. Invece essa ebbe luogo come se nulla fosse accaduto e le danze vennero aperte dalle Loro Maestà ballando una quadriglia. Fu una serata infausta: l'imperatrice appariva sofferente e l'ambasciatore britannico ne informò la regina Vittoria.”
Molti russi ritennero che il disastro del campo di Chodynka fosse un presagio del fatto che il regno sarebbe stato infelice; altri, usarono la tragedia per rimarcare la spietatezza dell'autocrazia e  la superficialità del giovane zar e della sua "consorte tedesca".
Principiarono a chiamare l’imperatore "Nicholas the Bloody", ovvero Nicola il Sanguinario.
Un regno cominciato nel sangue si sarebbe concluso nel martirio e nella tragedia, riecheggiando un luogo comune, lo pensai cullando Alessio tra le braccia, era tetro e meditabondo, mi aveva allacciato con il braccio,  per quanto dietro ai miei affanni prevenni le sue lacrime di sconforto, lo baciai sulla fronte, ti voglio tanto bene, sai, mi spiace. Lo tenevo sicuro.. diceva .. Magari. Non gli avevo risparmiato né il dolore né altro, lo amavo e basta, ben misero ricavo e gli propinavo verità amare.



Comunque, finalmente poteva uscire, sulla sedia a rotelle, avvolto in ampio pannolone e calde coperte e morbide pellicce di zibellino, le mani guantate, respirava soddisfatto la fredda aria invernale, le iridi della sfumatura del cielo sgombro da nuvole. “Guarda, zarevic.. “indicando la delicata trama delle orme sulla neve, un ricamo di piccoli passi “Sono i vostri cervi addomesticati, saranno andati a mangiare il fieno che gli viene portato sotto le tettoie”
“E quelle?”
“Di un coniglio, credo”
“Andiamo a vedere il fortino di neve e la pista delle slitte..” ancora “Guarda, Cat, le nuvole.. ti sembra un vascello..? od un orso..”
“E dove va?” passando vicino a una panchina con della neve fresca e farinosa, feci una palla veloce e lo colpii sulla spalla “Non vale..”
“Tira, Aleksej, allunga le mani .. vedrai quante pallottole..”
“Grazie, Catherine” lo avevo messo nelle condizioni di giocare anche se non poteva muoversi con le gambe, quelle battaglie gli piacevano e Anastasia e Marie erano arrivate di rinforzo.
“Prego..” gli misi giù un ciuffetto di capelli, che spuntava perenne, irriverente come lui “Senti, Cat, ma nel parco ci sono i lupi siberiani?” eravamo nelle stanze dei bambini, cretonne verde con gai fiori e mobili di legno chiaro e lucido, con una miriade di giocattoli e stufe di maiolica per riscaldare gli ambienti, oltre a vari camini.
“Anche no, si mangerebbero cervi e conigli e zarevic in un solo boccone!!”
“Uffa, prendimi quel libro, c’è questa bella illustrazione di un lupo..”  raggiante di ingegno si inventò lui qualcosa, ah che meraviglia, che evadesse dai limiti almeno con la fantasia. “Il canto del lupo..”
“Che canto?”
“Se ululano per segnalare possono anche cantare.. penso io. Lui” decodificai Rasputin” viene dalla Siberia e ne inventa di cose..ma io ho più fantasia”
“Questa è suggestiva”
“E io preferisco le tue, di storie, sempre, mi racconti il drago e la rosa..?” prese di sua spontanea volontà del pane con la marmellata, malizioso “Non ho l’apparecchio ortopedico, almeno per ora, mi puoi prendere un poco in braccio?”
“Alessio.. dai, vieni qui”rinchiudendolo con delicatezza, era fragile e prezioso come un uovo di Fabergè, appunto,uno dei gioiellieri  della corona che ogni anno, per Pasqua, creava uno squisito capolavoro. Nicola II usava regalarne due, una alla madre, uno alla moglie, ne ricordo uno smaltato d’oro, con le aquile bicipite dei Romanov  incise sopra, aprendolo ecco apparire una replica in miniatura della carrozza dell’incoronazione, perfetta, compresa la scaletta pieghevole per accedere all’interno. Altri erano rosa e azzurro o d’argento, con brillanti e perle, con squisiti intarsi, all’interno, premendo un bottone, ecco apparire  un ritratto dello zar o dei principi imperiali o un modellino in oro di un palazzo amato.
“Scusami se sono troppo ansiosa, ho sempre paura che possa succederti qualcosa” un piccolo sussurro all’orecchio, mi appoggiò la schiena contro il torace, lo cullai per un poco, il mento sopra i suoi capelli, rise quando gli tirai un colpo sui fianchi rivestiti dal pannolone, per scherzo, sancendo che era il mio bambino, che me lo sarei portato via e tenuto sempre con me.
“Almeno lo dici, che sei ansiosa” decise di cambiare argomento, glissando sul resto “ A proposito, mi toccherà imparare per bene come fare IO un baciamano, quelli che fanno a me non li conto, e con le mie sorelle ci viene troppo da ridere..”
“Farò da cavia” concludendo per lui.
“Ecco, brava..” ridemmo anche noi, prima di imbastire qualcosa di passabile, lui sosteneva che ero più severa io dei suoi precettori in quell’ambito.


Comunque, la stagione mondana del 1913, a prescindere dalla solita assenza di Nicola II e dei suoi più intimi famigliari, brillò per sfarzo ed arroganza.  Mia madre Ella partecipò al ballo della principessa Obolenskij ispirato alla mitologia ellenica,  gli ospiti si aggiravano nel magnifico palazzo neoclassico avvolti in tuniche e sandali, mangiando grappoli d’uva e sorbendo i vini provenienti dalla Crimea, mentre la neve cadeva copiosa. Meriel Buchanan, figlia dell’ambasciatore inglese, per il ballo nella loro ambasciata si premurò di creare vari tableaux vivants avente un tema macabro, basti pensare che, tra gli altri, figuravano Barbablù e Jack the Ripper. E la contessa Kleinmichel organizzò una serata di splendide danze in bianco e nero, ove gli ospiti parevano confondersi sullo sfondo dei pavimenti marmorei del suo palazzo, appunto a scacchi, candidi e neri.
Fiorivano le danze ed i pettegolezzi, come quello sul famoso Nijinskij, ballerino di punta al teatro Marinskij, che ebbe l’idea di danzare con un costume indossato direttamente sulla pelle, le sue grazie en plein air sotto gli occhi dell’imperatrice madre, che, presente sul palco imperiale, si era fatta dare un binocolo e aveva osservato per un momento o due, salvo allontanarsi in fretta. Il giorno dopo, il ballerino era stato bandito.
E sapevo, visitando poveri e orfanotrofi, che la situazione era satura, una volta mio zio R-R sbraitò che per ogni poliziotto e per ogni centocinquanta abitanti di Piter vi erano, a voler stare modesti, tre o quattro prostitute, che era incredibile!
Il marzo 1913 portò a San Pietroburgo pioggia e foschia, come usuale, la variazione erano rombi di cannoni dalla fortezza dei Santi Pietro e Paolo, oltre che una folla immensa di dignitari russi e stranieri, finanche dall’Asia, che partecipavano all’evento di cui trattasi, ovvero il trecentesimo anno di potere dei Romanov.
La folla attendeva di veder fuggevolmente passare i Romanov che dal Palazzo d’Inverno si recavano alla cattedrale di Nostra Signora di Kazan per il Te Deum.
La città rigurgitava di curiosi, la prospettiva Nevsky era nel caos, tra auto, carrozze, filobus. Le stesse strade erano decorate dei colori imperiali, blu, rosso, bianco, le statue adorne di nastri e ghirlande, ritratti degli zar, dal passato al presente, ornavano le facciate di banche e negozi, sulle linee dei bus vi erano luci elettriche che danzavano intermittenti, sotto la registrazione “ God Save the Tsar' o ritraevano l’aquila bicipite dei Romanov con sotto “ 1613-1913”
Tornando al Te Deum, prima della cerimonia, il presidente della Duma, Rodzjanko, si trovò a dover cacciare Rasputin che si era accomodato  su una delle sedie riservate, senza invito , seguì una patetica scenata, sullo stile del periodo, poi giunse la famiglia imperiale sotto la pioggia e una processione di carrozze,  scarsi gli applausi e poca la folla, curiosa ma non plaudente.
Sfilò la corte, gli zar, le granduchesse, vestite di chiaro, e Aleksej, portato in braccio da un cosacco della guardia, ancora non si reggeva in piedi.
Durante la cerimonia vennero liberate delle colombe che si librarono sopra le teste castane dello zar e di suo figlio, come una benedizione di Dio per la dinastia.
Le fabbriche vennero chiuse, un giorno di vacanza, vennero offerti pasti gratuiti, prigionieri comuni vennero rilasciati per festeggiare l’anniversario.

Alessandra non organizzò balli per l’evento, si limitò  a partecipare a uno dato dalla nobiltà locale nella Sala delle Colonne. Vestita in bianco, coperta di brillanti,  entrò nella sala al braccio del marito, mentre suonava una polacca di Chopin, nessuno pretendeva che danzasse ma nemmeno che la folla la snervasse ed ansiasse fino al punto di un brusco ritiro, prima di svenire tra le braccia dello zar.
Una povera isterica, come sempre, chiosò la zarina madre, mentre Olga danzava, libera e leggera, di nuovo vestita di rosa come a Livadia, i suoi cugini e gli altri facevano a gara per avere un giro con lei, sei bellissima, le dissi, ed era vero, era la manifestazione della gioia di vivere, una primavera personificata. La stella della serata.
E Alix fece l’ennesima figura da arrogante e fredda, quando accompagnò lo zar al teatro Marinsky a vedere l’opera di Glinka “A Life for the Tsar” su Michele I, appunto, il primo imperatore della dinastia.
Alessio indossava l’uniforme del suo reggimento di cavalleria, tutto scarlatto e dorato, il monogramma H II sul colletto, H l’iniziale di Nicola, lo zar,in cirillico,  il solito cosacco lo aveva portato in braccio dalla carrozza al palco, Olga e le sue sorelle erano vestite di chiari colori, perle su gola e orecchie, la fascia  rossa dell’ordine di Santa Caterina di traverso sul petto, costellata di diamanti che rilucevano ad ogni respiro, parevano fate divenute reali.  
Quando cantarono l’inno nazionale, tutti gli spettatori si levarono in piedi, un omaggio bello e semplice, al presente, allo zar e al suo erede, al passato e ai fasti che rappresentavano .
E il ballo e l’opera, ballava Matilde K., amata ed amante dello zar prima delle nozze con la tedesca, la Nemka.
Alessandra,  era vestita di velluto bianco e diamanti, il nastro blu dell’ordine di Sant’Andrea disposto in diagonale sul petto, il ventaglio di bianche piume d’aquila che faceva vento alle sue chiazze rosse sulla pelle, il respiro affannoso,  in imbarazzo, come al solito e sempre nelle occasioni ufficiali, la gente notò come si ritirasse, dopo un cenno all’imperatore. Un’ondata di risentimento percosse il teatro quando la zarina scomparve dietro le tende di pesante velluto scarlatto, neanche in quella occasione si degnava di fare il suo dovere di sovrana.
Olga si sentì in imbarazzo e si vergognò per lei, sua madre  aveva timore del mondo e lanciava i suoi figli contro il mondo, che odiosa mistura, scrutò i palchi damascati, i brusii, cercò gli occhi di Catherine, appostata nel palco dei principi Raulov, con i suoi genitori, lui svagato, Ella che sorrideva indefinita, le  iridi scure come onice fisse contro le sue, di zaffiro, come quelle della sua amica, che si inchinava, leggera come una danzatrice.
FORZA.
CORAGGIO.
Dio salvi lo zar,
maestoso e potente, 
possa Egli regnare per la nostra gloria, 
e far tremare i nostri nemici.
 
Un inchino collettivo, di nuovo l’inno nell’intervallo.
Olga inclinò di nuovo la testa dorata, un omaggio a chi si inchinava a lei  e ai suoi.
“Altezza Imperiale” le strinsi il braccio, annotando che era cupa.  Era l’intervallo, appunto,  ero transitata di gran carriera, mi strinse la mano leggera come un petalo di rosa.  “Principessa Raulov, come siete bella” in pubblico usavamo il “Voi” di rigore ed i rispettivi titoli
“Come no” modesta nel mio vestito di chiffon grigio chiaro,  una soffice nuvola, con il corpetto incrostato d’argento e strategici sbuffi che mi regalavano seno, mentre perle e diamanti intrecciati nei capelli assicuravano la luminosità del viso e i toni radiosi della carnagione, combinandosi con gli orecchini e la collana e i bracciali. “ Invece sì”
“Va bene..Sua Maestà l’Imperatrice come sta”
“Ha l’emicrania” Tacqui, sua madre era come era, ma non era certo una bugiarda come la mia, lo stare a tre metri di distanza da Ella mi indisponeva come non mai“ Perché balla Matilde K?” già amante dello zar suo padre prima delle nozze, attualmente aveva come innamorato Andrej Vladimirovic Romanov, uno dei tanti cugini dello zar, che aveva speso per lei fortune in gioielli e altro. L’avrebbe voluta sposare, ma, furbo, attendeva il regale permesso, che, in denegata ipotesi, finiva in esilio con poche rendite, come il granduca Michele, fratello di Nicola II, che aveva contratto un legame matrimoniale,  senza permesso, con  una pluridivorziata, da cui aveva avuto un figlio, Giorgio. Ed attualmente erano sempre all’estero e l’imperatrice vedova Marie lo foraggiava, Michele, con munifica generosità. Pensai a Dimitri Romanov, a sua volta con il padre in esilio, per avere convolato a nozze con una borghese, anni prima gli piacevo, a Dimitri, mi avrebbe addirittura sposato, poveri noi
“Anche” chiosò “Che avete Principessa?”
“L’uggia.. posso salutare lo zarevic?”
“Certo..se non lo fate chissà che scandalo”
Dribblammo cortesi delle chiacchiere, una bevuta, fino ad arrivare in uno dei salottini privati  dietro al palco imperiale, era su una poltrona, i gomiti sui braccioli, il cappello dell’uniforme vicino a lui. “Altezza Imperiale, Zarevic, sono venuta a salutarvi”
“C..” si ricordò che eravamo in pubblico, o quasi, annotò il mio inchino, mi fece cenno di avvicinarmi “Principessa Raulov” mi baciò la mano, un perfetto arco di cortesia, appoggiando leggermente le labbra sul dorso,sorrisi
“Siete stanco, Altezza Imperiale?”
“Un poco, ma ne vale la pena” Almeno nel palco, appoggiato, senza parere, alla sedia, riusciva a stare in piedi, sorridere ed inchinarsi, senza un lamento, era il suo dovere di principe ereditario. Sorrisi ancora guardando la sua uniforme, dorata e scarlatta, il nastro del cordone di Sant’Andrea incrociato sul petto, mi parve cresciuto di statura nonostante la magrezza “Voi..? Sorridi, ma sei triste..Siete triste” scrollai le spalle, non gli volevo o potevo rispondere secondo verità totale
“Ho vari pensieri..” benedissi che lo spettacolo riprendesse a breve, tra lui e Olga, se non ci stavo attenta, mi leggevano dentro come se fossi un trasparente vetro e quello.. non lo potevo dividere, con nessuno,  nemmeno loro.
 
 “Sposami, mi vuoi sposare.. Catherine”...il palpito delle sue parole, il suo respiro contro le mie labbra, le sue mani nelle mie, il suo calore, ora e per sempre, il mio pilastro nella tempesta, ai piedi era caduto un  mazzo di violette, una piccola e profumata onda color lilla.
Dream back, un azzardo, ci conosciamo tanto poco, io e te, Luois..
Nel maggio 1913, la  famiglia Romanov si imbarcò in un pellegrinaggio commemorativo in onore di Michele I, risalendo il Volga con un battello a vapore fino a Kostroma ove viveva quando apprese di essere salito al trono.
Olga, sorella dello zar, rievocò le manifestazioni di lealtà, le folle riunite per dare una fuggevole occhiata, persone che si inginocchiavano per baciare l’ombra di Nicola II, gli applausi.
Mio zio R-R  scorse invece la mera curiosità, le celebrazioni non avevano colpito nessuno in particolare, le speranze del popolo di una rinascita, di un miglioramento non trovarono riscontro.
Comunque, l’arrivo a Mosca, capitale storica, ove Michele I era stato incoronato, fu un trionfo. 
Scesero alla stazione circondati da un numero incredibile di dignitari, lo zar salì su un cavallo bianco e cavalcò da solo, sessanta piedi davanti a tutti e alla sua scorta, verso il Cremlino dalle rosse mura circondato da una folla plaudente, come un conquistatore, facendosi beffe degli eventuali attentati.
Le decorazioni erano superbe, drappi di velluto con i simboli dei Romanov sul boulevard di Tyerskaya, ogni edificio coperto di pennoni, bandiere e quanto altro, forse ancora più suggestive di quelle di San Pietroburgo.
Nicola II scese nella Piazza Rossa, tutte le processioni religiose convergevano lì, si incamminò tra folle di sacerdoti metropoliti vestiti di velluto e raso, dalle lunghe barbe, vi era odore di cera e incenso che si levava dai turiboli, sacri inni vibravano nell’aria, camminando leggero sulla passatoia di velluto scarlatto per entrare nella cattedrale.
R-R sentì un colpo al cuore quando scorse il giovane zarevic, che doveva percorrere a piedi le ultime cento iarde come la zarina e le sue sorelle, prima di entrare nella cattedrale, una volta scesi dalle carrozze.
Stava a malapena in piedi, ancora i postumi dell’emofilia, o almeno così suggeriva un libro di recente pubblicazione, “Dietro il velo della Corte Russa”,  tanto che un cosacco della guardia lo prese tra le braccia, portandolo dentro, tra le esclamazioni addolorate di tutti.
Il piccolo  principe raddrizzò la testa e le spalle, senza fallo, deglutendo il nodo che gli serrava la gola, R-R si inchinò profondamente, fino a rimanere senza fiato, non aveva mai onorato gli zar Nicola II o suo padre Alessandro III con quel tributo.
 
“Ciao ragazzi, ci vediamo dopo tanto” ero passata da Peter Hof, la residenza imperiale per l’estate sul golfo di Finlandia, un pomeriggio di metà maggio, le rose e i lillà fiorivano, esatti, precisi
“Salvo nuove, sì, Catherine” Olga compì il gesto di darmi un bacio formale, a mezz’aria, senza toccarmi, guancia e braccia sospese, non mi sfiorava dall’annuncio del fidanzamento e del prossimo matrimonio. Nella forma era lieta per me, nella sostanza mi avrebbe messo all’angolo e scossa per le spalle, per capire, quella  rivelazione non le tornava.
Ma lei non doveva conoscere la mia disperazione, il senso di egoismo  ed impotenza
“Salvo nuove?”
“.. dopo il pellegrinaggio fluviale, siamo stati a Livadia” ricordai passeggiate sulla spiaggia, il suo braccio contro il mio, risate, ore dorate che non sarebbero più tornate, scherzi e risate durante una partita a tennis, una cavalcata.. le ore a discutere su Ulisse e Achille
“Vero, io dietro al matrimonio.. ogni giorno ne spunta una”
“Presumo,  e dopo la luna di miele dove contate di stabilirvi?”
“Parigi.. Luois è nato là, il suo incarico sta scadendo” avessi voluto, avessi chiesto allo zar che avrebbe richiesto a chi di competenza glielo avrebbero prorogato e non volevo, avevo chiesto di sposarlo e tanto era, Luois si sarebbe costruito la sua carriera per i talenti, non per i buoni uffici della sua fidanzata, non mi sposava per interesse di carriera.
“Ah..” e me ne andavo, e tanto, la voglia di sussurrare “Olga” e stare con lei non mi era passata, e viceversa, solo una smarrita intuizione.  Sbiancò leggermente, si riprese e rilevò che a  maggio si sposava la figlia del Kaiser tedesco, a giugno io, era l’anno dei matrimoni, poi ”Scusami, io devo andare a ..” generica e fece per allontanarsi.
“Olga..”  a bassa voce
“Catherine.” Mi girai svelta e lei aveva già cambiato espressione, e aveva sussurrato il mio nome, io il suo.
E tanto ero troppo avanti, non si poteva tornare indietro.  Mi appiccicai addosso un sorriso  e proseguii, lo zarevic mi era saltato tra le braccia.  “Cat, fammi un sorriso vero !! sei troppo tirata!”mi  scoccò un bacio e mi portò ad ammirare le rose bianche, un perfetto e candido tripudio.
 
Il grande evento regale del 1913 dell’Europa  fu il matrimonio a Berlino della figlia di Guglielmo II, imperatore di Germania, con il principe di Hannover, il 22 maggio. La città rutilava di bandiere, stendardi e pavesi, la stazione ferroviaria dove giungevano i vari sovrani era presidiata come un campo militare, da soldati  e agenti in borghese, per tema di attentati.
Il banchetto di Stato fu allietato da 250 ospiti, tra uniformi e gioielli era tutto un grande, immenso scintillio.
Il Kaiser, Guglielmo, in uniforme di gala da dragone reale inglese, l’ordine russo di Sant’Andrea di traverso sul petto, dava il braccio alla regina Mary d’Inghilterra, seguiva re Giorgio V, in uniforme da colonnello dei dragoni prussiani, conduceva la moglie del Kaiser. Lo zar, pure lui nell’uniforme di colonnello dei dragoni prussiani con l’ordine dell’Aquila nera degli Hohenzollen, dava il braccio alla zia del Kaiser, mentre Alessandra seguiva accompagnata dal principe ereditario tedesco, Guglielmo, alias “Piccolo Willy”
festeggiamenti mascheravano la tensione, le danze il nervosismo, le candele nei lampadari di cristallo balenavano nei preziosi intarsi dei mobili e sui monili, un ultimo palpito di luce prima che scoppiasse la catastrofe.
Che l’anno dopo il mondo era in guerra, scoppiava il primo conflitto mondiale.
 
 
   
 
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