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Autore: queenjane    07/07/2018    3 recensioni
Un omaggio a Aleksey Romanov e a i suoi, era fragile, malato, morto a nemmeno 14 anni, fucilato nel luglio 1918 era un eroe. Go my dear. Go my Hero.Once upon a time, you're an heir, a hope, ypu've a great future. But you're frail.. and strong. A dragon, a legend. Forever, a little prince. Honour to You, last Ctar, Aleksey
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Periodo Zarista
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- Questa storia fa parte della serie 'The Dragon, the Phoenix and the Rose'
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Nel mese di luglio 1914 il presidente francese Poincarè visitò la Russia, per rinsaldare le relazioni diplomatiche.
Intanto, come noto, Olga aveva rifiutato di sposare il principe Carol di Romania, in giugno la corte aveva visitato la sua equivalente rumena, all’apparenza erano visite di cortesia, di sottofondo si preparavano mosse matrimoniali sullo scacchiere. Preparativi ufficiosi, ma Olga voleva rimanere in Russia, voleva sposare un russo, lo zar, come mi aveva accordato la libertà  di sposarmi con uno straniero, per amore, mai avrebbe costretta SUA figlia a lasciare la patria e unirsi in matrimonio con chi non voleva, non sopportava di essere una straniera nel suo stesso paese. Se le avesse imposto di obbedire, certo sarebbe ancora viva, dolorante, fragile, ma sempre viva, allora non sapevamo. Come non avevo ancora l’esatta percezione di  quanto mi avrebbe amato, ero sua, e mi avrebbe lasciato libera, come una tigre od un lupo, nessuno mi ha amato come lei, nessuno mi amerà poi così.


E la mente tornava a poche settimane prima uno studente serbo aveva ucciso a Sarajevo l’arciduca Francesco Ferdinando, erede degli Asburgo, se vi fosse stata una dichiarazione di guerra il gioco degli equilibri e delle alleanze, il senso dell’onore avrebbero condotto al conflitto.
La Russia per tradizione proteggeva i popoli slavi e la Serbia era composta da slavi. Se fosse stata guerra sarebbe stata di tutti contro tutti.
Effetto domino, diceva Luois, rilevando la singolare (come no) coincidenza che durante la visita del presidente francese furono organizzate due parate militari di vaste proporzioni.
Uno spettacolo marziale, enfin, le squadre che marciavano, le bande militari, qualche coro dalla folla, vecchi e giovani, infine ecco lo zar in groppa a un cavallo bianco, superbo e magnifico, dietro di lui i suoi zii e cugini, poi le carrozze con a bordo la famiglia imperiale.
Salutai con un cenno della mano guantata, mentre l’altra stringeva discreta quella di Luois, intanto che la banda modulava l’Inno della Sera, era il tramonto, sangue e ruggine,  e un presagio di guerra.
“Mi ha dato la Legione d’Onore!” lo zarevic sventolò il cordone, il pranzo con Poincarè era terminato e brillava di orgoglio
 “E’ un attestato di stima, Aleksej”
“E dice che parlo bene il francese, con un ottimo accento”
“Monsieur Gilliard è un ottimo precettore”
“ E tu una grande chiacchierona, come sempre!” ironico, affettuoso “Grazie Cat!!”
“E di cosa?”
“Di tutto”
I bambini lo sanno quando sei triste.Ti vengono vicino e ti fanno credere di aver bisogno di coccole. Ed invece sono loro che le fanno a te, mi prese il viso tra le mani, soffiando tra le ciocche di capelli, eravamo in confidenza, di nuovo, si fidava.



 Dai quaderni di Olga Romanov alla principessa Catherine”.. tempi e frammenti, avevi partecipato alla visita ufficiale e ritrovarci era stato un piacere amaro, eri preoccupata come tutti per il probabile scoppio di un conflitto armato, effetto domino, in sintesi. Dicesti queste parole mentre osservavamo i fuochi artificiali sulla nave France, mi sembra che fosse la cena finale con relativi annessi. Due bicchieri di champagne presi al volo, approfittando della calca, e brindammo, cin-cin, ognuno nei propri pensieri. Si risolverà in qualche modo, dissi io, socchiudendo le palpebre e osservando le stelle che danzavano, tremolanti. Come sempre, la tua battuta fiorì, arguta e divertente, peccato che eri allegra solo in apparenza, atteggiamento condiviso da molti, se non tutti. “

Mio marito era anche un soldato, oltretutto, Russia, Francia e Inghilterra erano alleate, come tra loro Germania e Austria, la mossa di una avrebbe implicato quella delle altre, bisognava restare uniti, rifletteva lo zar, che in fondo, riteneva Guglielmo II, imperatore di Germania, troppo accorto per gettare il suo paese allo sbaraglio, mentre Francesco Giuseppe d’Austria era vecchio e voleva certo morire in pace.
Vienna aveva mandato richieste e ispettori in Serbia, sostenendo che l’assassinio del granduca era frutto di un complotto organizzato da Belgrado, la pistola era stata fornita da funzionari serbi  e le guardie di confine erano cospiratori. Si chiedevano poteri illimitati per le indagini degli ispettori austriaci, di sopprimere tutti i gruppi nazionalistici e cessare la propaganda contro Vienna..
 
Il 28 luglio 1914, la Serbia ricevette la dichiarazione di guerra dell’Austria, il giorno dopo iniziarono i  bombardamenti di Belgrado.
Per tradizione, Santa Madre Russia si considerava protettrice dei popoli slavi e la Serbia si rivolse allo zar per avere aiuti, Nicola II ordinò di mobilitare le truppe ai confini contro l’Austria, che a sua volta venne soccorsa da Guglielmo II.
Non si trattava di scaramucce contro la Germania, la Turchia o il Giappone, era contro il mondo, tutti contro tutti, già parte della storia.
Il 31 luglio, a mezzanotte, l’ambasciatore tedesco, Pourtales,  si recò dal ministro russo degli esteri,Sazonov, con un messaggio da Berlino: la Russia, doveva annullare entro 12 ore la mobilitazione delle truppe.
A mezzogiorno del primo agosto non era giunta alcuna risposta e il Kaiser ordinò alle sue truppe di andare sui confini.
Sempre quel primo agosto Pourtales si recò da Sazonov, chiedendo che la Russia annullasse la mobilitazione, lo chiese tre volte e la risposta fu sempre negativa, era troppo tardi. “In tal caso, Signore, il mio Governo mi incarica di trasmettervi il seguente messaggio”la voce si inceppò, poi riprese “ Sua maestà l’imperatore, mio augusto sovrano,  nel nome dell’impero, accetta la sfida e si considera in stato di guerra contro la Russia” Erano le 19.10. 
La famiglia imperiale cenava alle 20, in genere, ma Nicola II tardava, Alessandra attese suo marito per quasi un’ora, prima che lui comparisse, scosso e nervoso, comunicandole che era stata dichiarata la guerra. Alessandra scoppiò in pianto e lasciò la stanza.



Il due agosto, dal Palazzo d’Inverno a San Pietroburgo, Nicola II dichiarò guerra alla Germania. Migliaia di persone affollavano la piazza quando lo zar, con moglie e figlie, scese dal battello e percorse la banchina prima di scomparire nell’edificio, dentro la vasta sala di Nicola per un solenne Te Deum. Al centro era stato eretto un altare, su cui era l’icona della Vergine di Kazan, il simbolo più venerato dal credo ortodosso.
Tutti erano seri e tesi, raccontò poi Olga, molte donne o ragazze come me tormentavano fazzoletti, gli occhi arrossati, gli uomini nervosi, il viso di mamma pareva scolpito nel marmo, alla fine della cerimonia i presenti si inginocchiavano, baciavano le mani, quindi  uscimmo sul balcone che dava sulla Piazza, drappeggiato di rosso, sotto vi era una folla immensa.
Erano trascorsi meno di dieci anni dalla domenica di sangue occorsa  in quel luogo, ora la folla con i suoi boati acclamava lo zar e i suoi, dopo averlo maledetto come un tiranno e un distruttore.
Si levò l’inno nazionale. “Dio salvi lo zar/ Forte e potente/ Possa egli regnare per la nostra gloria/ Regnare affinchè i nostri nemici possano tremare/ O zar ortodosso / Dio salvi lo zar”


Alessio ancora non camminava ed era rimasto a Peter Hof, dispiaciuto. Come al solito, lui non poteva fare nulla, non era come gli altri, pensava ed era il ritratto della desolazione “… hai voglia di stare con me, invece?”
  “Catherine, perché non sei a Piter..”stupito, contento
“Mi perdo un bagno nella folla, ore in piedi..” presi posto sul divanetto accanto a lui, nel piccolo padiglione vicino a una delle tante fontane, lontano il rombo del mare, il golfo di Finlandia recava brezze e sale, odore di rose, era abbronzato, e tanto magro. Nagorny mi fece un cenno, si rilassò, valeva sempre l’ordine inespresso, dello zar, che se ero nelle vicinanze potevamo allentare il controllo “No davvero, Alessio, mi fa piacere stare con te, posso?”
“ E me lo chiedi, mi sei mancata tanto..” Anche tu, non lo dissi.  E tanto mi toccava il braccio, la spalla, come se non credesse che fossimo sempre lì.  Mi imposi di scherzare, amarlo come sempre.  O al mio meglio, meno peggio rispetto al passato, comunque.
Accolsi il suo cenno, abbracciandolo, a quel giro come apriva le mani lo stringevo, era in credito, di strette e abbracci, anzi lo era per pezzo, me lo issai in grembo, era leggero come un sacchetto di piume, badando alla caviglia, che non prendesse urti “Diventerai alto, sai,come lo zar Alessandro III, tuo nonno, o giù di lì, guarderai tutti dall’alto in basso, la mia è una facile previsione, guarda che ossa lunghe tieni, sicuro segno di altezza ” Le mie scemenze vennero accolte da una risata di gioia, insieme eravamo due chiacchieroni senza misura. “Per essere una  donna sono alta, 1 e 72, giusto Tata è più alta di me..e con le sue proporzioni perfette non ci badi..E tanto mi supererai, Alessio” Eri il mio bambino, zarevic, fine. Eri mio e basta. “Non vedo l’ora che mi superi di peso e altezza, verrà la volta che parrà impossibile che eravamo così” mi fece il solletico “Ma forse la magia funzionerà ancora “ tirai fuori un copeco da dietro una delle sue orecchie, le aveva buffe, fin da quando era nato.
“Dove è il trucco, dimmelo! Dai”
“Tutto può essere se credi”
“DAI!!” ridendo”Dimmelo!”
“Che ne so..” e apparve un altro copeco 
“Non è nella maniche” valutò, osservando che mi toccavano il gomito, non vi erano nascondigli
“Ottima ed esaustiva osservazione..”
“Sempre in giro mi prendi, uffa..” ancora “Dimmelo..”
“No .. Si .. Forse” lo scrutai sorridendo,imprimendo il momento.
“Figuriamoci!” “Zarevic, ora basta solletico sei una peste!!” Poi “E una delizia”
“LO SO” fiero e buffo, lo strinsi tra le braccia
“Ti voglio tanto bene Alessio” arrossì leggermente “Sempre”
“LO SO”
 
Dal diario di Olga Romanov del mese di agosto 1914, che Catherine tradusse in inglese, francese e spagnolo, per suo privato uso, cronache giornaliere, prima della loro definitiva separazione, nel 1917 a  Carskoe Selo.“3 agosto, Papa ha visitato Alessio, ancora non cammina per la storta alla caviglia. Ieri è apparso al balcone del palazzo d’Inverno, la folla  cantava l’inno nazionale.. Ho pianto, di pena e commozione. Ha giurato che non farà mai la pace finchè un solo nemico calcherà il suolo della Russia, le parole dello zar Alessandro ai tempi in cui Napoleone dichiarò guerra  (..) Finito di leggere per la centesima volta M. B. (Acronimo per Madame Bovary) .  Mamma ha detto a M. Gilliard, il nostro precettore di francese, come non sopporti l’imperatore tedesco, lo ritiene falso, millantatore e arrogante. 
5 agosto, anche l’Inghilterra ha dichiarato Guerra.  Mamma è preoccupata per lo zio Ernie, che il Kaiser lo abbia mandato a combattere in Francia, Belgio o .. Russia? È un militare, ma sono fratelli cosa farà.. osserva che non riconosce più la Germania in cui è  nata e cresciuta, ha ricordi così poetici della sua infanzia, peccato che nelle ultime visite abbia trovato il suo paese natio così cambiato da non riconoscerlo affatto. Ho riletto l’Iliade, venuta Catherine per un thè. 
9 agosto. Papa è preoccupato per la sessione della Duma, fatto una lunga passeggiata, Sunbeam sta un poco meglio, il 12 compirà 10 anni, il 17 andremo a Mosca per rispettare la tradizione, lo Zar deve chiedere la benedizione divina su Lui  e la Russia per questa guerra. 
12 agosto. Compleanno di Alexei, già dieci. Venuta Catherine nel pomeriggio, era raggiante di gioia, manco ha scartato i regali per giocare con lei, con noi.
Eri fragile, bellissimo, Alessio, my little one, la tua allegria si scontrava nella tristezza che avevi nello sguardo. Rievoco quelle ore, glissammo che non ti reggevi in piedi per la storta, sancendo che stavi in braccio come una coccola, un regalo. 
 
La Germania dichiarò guerra alla Russia il primo agosto, passata la metà del mese mio marito, Pietr Raulov e mio zio partirono per gli acquitrini della Prussia orientale, assieme alle truppe.
 
Dal diario di Olga Romanov “17 agosto, la folla dalla stazione al Cremlino era incredibile. Immensa, festante, inneggiava e le campane suonavano a distesa. " God save the Tsar !", l’inno nazionale risuonava in ogni angolo.  Domani Boysy sarà in grado di camminare fino alla cattedrale.. La grande incognita. Spero, ma non credo, ogni volta che deve apparire in pubblico gli accade qualcosa. Passato notte con lui, ha dormito  male, voleva Catherine.. la ha chiamata per un pezzo. Pensava che fosse a Parigi, si è confuso, e tanto la voleva uguale.
18 agosto, Sia Papa che Mama hanno deciso che Alessio  presenzierà alla cerimonia, anche se non cammina, non ce la fa, piangerebbe per il dolore, sarà presente lo stesso, portato in braccio da un cosacco.  Susciterà un putiferio, speriamo bene. Messa solenne, visita alle reliquie.. e l’entusiasmo delle folle continua a essere fervido, senza misura“ Catherine annotò che era stato visto come un presagio di sventura, il principe ereditario pareva fatto di cristallo tanto era fragile e la gente aveva ritirato fuori le storie che la zarina portava solo malasorte, era venuta in Russia dietro a una bara, dopo la morte del suocero, era tedesca e la sua lealtà  era solo apparente. Vergò ai margini che abbracciò lo zarevic, dolce, tranquilla, senza rimpianti, rassicurandolo, che era tutto a posto, lo amava, senza dirlo a parole, e Alessio si calmò, si fidava di lei.


Comunque, lo zarevic aveva ben appreso il suo mestiere di principe ereditario, che deve essere sempre compito, regale, affabile come dimostrò a Mosca sempre in quei giorni. Con il precettore Gilliard, ogni mattina uscivano in auto (una delle sue grandi passioni, come gli aeroplani) e visitavano vari posti, come la collina dei monaci, da cui si scorgeva la valle della Moscova e della città, dalle quaranta volte quaranta chiese, ricca di cupole a cipolla dorate, celesti e candide,  con snelli campanili, parchi e palazzi, immensa e solenne, i colori smaglianti in quella fine estate.
Da quell’altura Napoleone aveva visto la città, prima di entrarvi nel 1812.
Mosca, la terza Roma, una meraviglia, senza confini o misura, rifletteva il ragazzino, quando l’auto si fermò, per la ressa di persone in una delle strette stradine, gente comune o contadini che erano venuti al mercato o a vedere lo zar. “Lo zarevic!! Lo Zarevic” lo avevano riconosciuto, andandogli incontro, alcuni addirittura salirono i gradini dell’auto e lo sfiorarono. “L’ho toccato! Ho toccato l’erede!”
“Testa alta, un sorriso e una parola gentile per  tutti è sempre un bene” un consiglio che Catherine gli aveva dato, inopinato, risorse dalla memoria, erano esuberanti, gentili, non doveva spaventarsi da quelle manifestazioni di affetto, scorse i sorrisi e nonostante il pallore e l’imbarazzo ricambiò, un sorriso e un palmo teso.
“Grazie.. Viva la Russia.. Grazie..” gli sfioravano le mani, le baciavano,  toccavano la spalla, come se fosse una sacra icona, sorrideva e finalmente due poliziotti dispersero la folla e l’auto proseguì.
E aveva fatto quanto doveva, nonostante la sorpresa, la novità e l’imbarazzo, era un vero principe, senza se e senza ma.


La Germania dichiarò guerra alla Russia il primo agosto, passata la metà del mese mio marito, Pietr Raulov e mio zio partirono per gli acquitrini della Prussia orientale, assieme alle truppe.
Rimasi ancora, aiutando mia madre nell’organizzare ospedali militari nei nostri palazzi  e nelle nostre tenute, la principessa Ella faceva parte del comitato della Croce rossa presieduto dalla zarina madre.
Intanto, Alessandra aveva organizzato un ospedale militare a Carskoe Selo, decidendo di frequentare con le due figlie maggiori un corso per infermiere.
A Tannenberg, in Prussia, i russi rimasero schiacciati tra i prussiani e le sabbie mobili,con perdite ingenti.
Fu allora che iniziò a dirsi che se il conflitto andava male era colpa della Nemka, la tedesca, la zarina Alessandra.
Ci si aspettava una vittoria rapida e facile, l’esercito russo era immenso, uno schiacciasassi, peccato che mancassero addestramento, armi e munizioni.
E mio marito, il conte di Saint-Evit fu tra i primi a cadere.

Lo seppi al Palazzo di Caterina, che era stato riconvertito in ospedale militare.
Il vassoio di medicinali che tenevo mi scivolò dalle mani e le schegge si infransero a terra. Osservai i frammenti e il pulviscolo della polvere che danzava nell’aria, quindi marciai tra le rovine, testa alta e spalle erette.
Ero la moglie di un combattente, figlia di una principessa militante, mai avrei pianto in pubblico.
“.. gli hanno sparato alla schiena, ormai si erano ritirati e.. Non ci sono parole per dire quanto mi dispiace, il dolore che provo per te, figlia mia”
Le parole di mia madre mi rimbalzavano addosso come lame di vetro, non parlavo da quando i due giovani ufficiali mi avevano dato la notizia. Dicesi mutismo selettivo, credo. E tuttavia dovevo rincominciare, se non altro per non farmi ricoverare come matta conclamata.
Maledetta guerra.
Maledetti tedeschi.
Maledetta me. Se non mi avesse conosciuto e sposato non sarebbe morto come un cane, lontano da casa, alla schiena, lui che era stato  un soldato e un uomo coraggioso per tutta la vita.
“Catherine.. “
“Mamma..” Soffiai quella parola.
“Cosa posso fare? Dimmi, io ..”
“Fai venire mio zio, devo sapere e ..”
“Sta arrivando ..” mamma dimmi che è un incubo, un brutto sogno, fammi ritornare dentro di te, al buio e la sicuro.. 
“Avevi ragione, mamma, non avrebbe dovuto sposarmi, almeno non sarebbe morto così”. Affondai la testa nel suo grembo e piansi, fino allo sfinimento.
“Ti ha amato. Lo hai amato e lo ami. Non a tutti succede di avere questo dono, poter amare qualcuno a sua volta libero di riamarti”Parlava per sé, in primis, tranne che la sofferenza mi ottundeva come un narcotico. “ Ora soffri in modo atroce e io ben poco posso fare, pure se vorrei soffrire io per te. E l’amore che hai avuto non è stato vano, sarà sempre parte di te”. Omise di aggiungere che sarei tornata ad amare e sorridere di nuovo, sarebbe stata una bestemmia, insieme sapeva, la saggezza che giungeva dall’esperienza, che la vita, dopo il dolore, reca gioia,compresi dove andava a parare e lei aveva glissato, intuendo che sarebbe apparso come un vuoto cliché, frasi fatte che non aveva il cuore di propinarmi.
E già avevo passato il limite.
Mamma .. una delle prime che imparano i bambini, e Felipe, mio figlio, avrebbe invocato altri rispetto a me. La sua prima parole “Ta-ta” per indicare Tatiana, la mia sorellina, poi “Pa-pa” , suo padre, Andres, che soddisfazione, eh. Nove mesi di gravidanza, il parto e.. Chi appellava? Chi amavo.


Dai quaderni di Olga Romanov alla principessa Catherine” Arrivai il prima possibile, mi dissero che ti stavi riposando, entrai lo stesso, riconoscevo l’eufemismo. Avevo le labbra piene di parole di consolazione, ma.. avevi la schiena appoggiata al muro, lo sguardo fisso e di pietra, eri invecchiata di dieci anni in un solo giorno, le gonne sparse intorno come i petali di un fiore rotto, le ginocchia sotto al mento, una posa di consolazione “Catherine ..”Un minimo cenno della testa. Scivolai sul pavimento accanto a te, un braccio che ti sfiorava. Non esisteva una sola parola, in nessun linguaggio umano che poteva consolarti e scemò il silenzio. Eri pietra, ghiaccio e neve, spezzataAlla fine, avevo il davanti del vestito inzuppato delle tue lacrime, salato e amaro, nemmeno una sillaba, mi avevi buttato la testa in grembo, le spalle che sussultavano .. Ti sfiorai la nuca e piansi in silenzio a mia volta, ti addormentasti per sfinimento, risvengliandoti a tratti, ti feci inghiottire due cucchiate di minestra a stento, eri peggio di Alessio, e tanto meditavi sotto le braci, lo stallo era solo apparente. Mi addormentai pure io, era possibile che fossi legata così ad un’altra persona, ovvero te.. Tu ed io, legate a triplo filo, cenere ed assenzio divise eppure vicine”
Inutile riferire come mi sentii. Disperazione, impotenza, panico, dolore, come se il mondo intero mi fosse crollato addosso.
E così era.
Decisi di reagire, in un modo o l’altro.
Maledetta guerra.
Maledetti tedeschi.
Maledetta me. Se non mi avesse conosciuto e sposato non sarebbe morto come un cane, lontano da casa, alla schiena, lui che era stato  un soldato e un uomo coraggioso per tutta la vita. Queste parole come una litania, un incantesimo, l’odio che germogliava come un fiore velenoso dentro il petto, nessun loto, nessuno oblio .
Osservavo tutto a occhi asciutti, colloquio dopo colloquio con mio zio, che, oltre che dell’esercito, si occupava anche della Polizia segreta zarista, la Ocharana.
Fui snervante, lucida, senza isterie.
Volevo andarmene.
Dovevo andarmene.
Una cosa Alix me la aveva insegnata, ovvero l’organizzazione, che occorre avere un piano, mai improvvisare.
Rievocavo Luois, mi pareva impossibile dover vivere senza di lui, eppure lo avevamo seppellito, i funerali erano stati celebrati, ero vestita di scuro, nero su nero.
“Luois, je suis moi.
“Catherine .. Mon amour. 
“Oui, il a dit oui, je serai ta femme. 
“Catherine ?Je t’aime.
“Moi aussi, je t'aime. Je t'aimerai pour toujours.
Quelle parole lontane, il suo sorriso quando ci eravamo incontrati, la passione dei nostri corpi, il battito di cuore e anime.
In quei pochi mesi che era durato il nostro matrimonio eravamo stati felici, che prezzo avevamo pagato.
Che prezzo.
Lui morto,io in fuga.
Je t'aimerai pour toujours.
E per sempre sei rimasto dentro di me Luois.





“Sei una vigliacca, una codarda.”
“Allora non merito alcuna perdita di tempo. No?”
Un nuovo dolore, un abbandono ulteriore. Avevi ragione, ero una vigliacca.
“Perché.. che hai in testa. Cosa vuoi dimostrare andando in Francia, come infermiera volontaria, come se qui in Russia non avessimo ospedali e feriti.
“È il mio desiderio.” Voglio morire Olga, non è incubo, tu hai fede e io no.. E la notte mi inghiottirà, e non divorerà te. La disperazione come una pestilenza. Via da me.
“E saresti andata via, senza dire nulla, il solito fatto compiuto, lo ho saputo solo per caso. “alla rabbia si mischiava la pena. Bene .. via così. Contavo di scappare alla chetichella, invece dovevo andare fino in fondo, fino alla feccia. Strinsi i pugni, le braccia incrociate dietro la schiena, dovevo andare avanti, senza lussi. Chi mi amava era maledetto, Olga, me ne andavo per proteggerti, allora ne ero davvero convinta.  Te, come i tuoi, mia madre e mio fratello, volevo la vendetta, e quando ebbi l’occasione omisi, altre erano le cose più importanti.  
E allora volevo e  dovevo punirmi. E reagire, che se il mondo mi era crollato addosso, non volevo essere una vittima, passiva, rassegnata. E la ragazzina intrepida che ero stata balenava tra le braci, quella che aveva strappato un frustino al principe Raulov e le aveva prese al posto di mia madre.
“Se resto in Russia .. Non riesco a resistere.”ed era la verità.
 
“E te ne vai. Quando ti sei sposata, va bene ne avevi motivo. Era la passione, il grande amore,diciamo così, ora.. che vuoi dimostrare? Tuo marito è morto. Nessuno te lo riporterà indietro. Ogni tua ipotetica vendetta, atto di eroismo o che non ha senso, a lui non servirà. Servirà a te, nel tuo egoismo, sei solo una grande egoista, Catherine, come al solito, pensi solo a te stessa.” Dura come una punta di selce, di ossidiana.
Silenzio.
Eravamo nel salottino privato di mia  madre a Pietrogrado, come avevano ribattezzato la capitale, in un patriottico impeto, sole a discutere.
Sole per dire, che i cosacchi della guardia che la avevano condotta lì aspettavano fuori.
La stanza, piccola e intima, con i fiori freschi e i libri e mobili pregiati, ci accoglieva con le sue luci mutevoli. Il richiamo potente di una infanzia condivisa, fino alla fanciullezza e alla adolescenza, da fuori il profumo di glicini tardivi e rose fumose.
Un tesoro perduto.
“Non importa. Non mi interessa”
“Importa a me, rispondi a questo. Se lo sapessi, di come sarebbe andata a finire lo avresti sposato”
Silenzio. Ancora. 
Mi imposi di raddrizzarmi e allargare i pugni. Nel mio egoismo, anche allora, sapevo che lo avrei sposato.
“La nuova tecnica, non rispondere. Con tutte le lingue che conosci, è una suprema ironia che non cavi una parola in francese o inglese o spagnolo, finanche di latino“Un sospiro, omise il tedesco, che non avrei risposto di me, a parti invertite io avrei fatto peggio, sicuro “Meglio chiudere qui, Madame. E tanto sarebbe sì lo stesso“
“Chiedo congedo, Altezza Imperiale, devo finire di prepararmi.” Partirò, qualunque cosa tu dica o faccia, risparmiamoci questo strazio, è solo uno stillicidio.
Una occhiata in tralice, di traverso. I capelli raccolti in uno chignon biondo dorato, il viso stravolto dalla furia, un vestito chiaro, dai riflessi iridescenti. Avevi ragione, ogni vendetta o eroismo o ardimento a Lui non sarebbe servito, che era tra i morti.
Non dovevi sapere di come mi maledivo, del senso di perdita e maledizione, che avrei ucciso quel tedesco con le mie mani.
NO.
Tu eri una principessa, io una bastarda.
“Vattene.  Questo è un addio, allora. Hai il mio permesso, congedati.”
“Avete ragione è un addio, Altezza Imperiale.” Il titolo formale, lei lo aveva sempre aborrito e mai voluto in privato, per segnare il punto formale, di netto distacco.
Mi inchinai tre volte, avanzando all’indietro, tre flessioni perfette, l’ultima così profonda che mi lasciò senza fiato per un momento, come prescriveva l’etichetta.
Quello non era il congedo tra due amiche, due sorelle, ma tra una granduchessa e una suddita, non guardava ma il decoro andava rispettato. Era ruotata di spalle, forse per celare i singhiozzi, che la figlia di un soldato non piange mai.
“Pensavo che fossi mia amica, una sorella. Invece ho sbagliato, o almeno una volta lo eri, sa il Signore quanto ti ho voluto bene“Quelle parole, come coltelli nelle carni, un soffio, una benda“E saresti andata via, senza un saluto, come se fossi una sconosciuta. La solita egoista.”
Eri la mia amica, mia sorella e me ne andavo. Codarda e vigliacca, avevi ben ragione. Una volta, di ritorno da un viaggio da casa, ero ritornata, ma quello era un periplo senza ritorno.  Odiami … Io non merito nulla.
“Vi auguro di dimenticare, Altezza Imperiale. “
“E così sia. Io dimenticherò ma Voi no, Voi mai. Addio, Madame De Saint Evit. Ricordate che non vi è peccato peggiore chi tradire chi si fida di te. Mio fratello e le mie sorelle vi vogliono bene, andate a salutarli, per loro, non certo per Voi, non capirebbero e si sentirebbero abbandonati, senza perché. Specie Alessio, non capirebbe, vi è molto legato e.. Non voglio che pianga o vi cerchi, chiedendo quando tornerete, quest’anno che eravate a Parigi .. Lasciamo perdere, anche se, correttamente, avevate indicato l’estate, peccato che un anno per un bambino sia lungo, infinito. Diciamo chiaro e tondo che ve ne andate, senza data di ritorno, non create aspettative. Già che ci siamo, mandate due righe, giusto per forma e auguriamoci che dimentichi, in fondo i bambini fanno così.  Io spero solo di non vederti mai più.”
 L’ultima frase era  appena sussurrata, ma la percepii lo stesso, finsi il contrario e cadde il silenzio.
Addio Olga.
Dimentica, se puoi.
Starai meglio senza di me.
 
Io spero solo di non vederti mai più.
Sia così.
 
 
Dal diario di Olga, “21 settembre 1914. Addio.  Ho  finito e mi viene da piangere, neanche io ci credo, non si vuole fare amare. In qualunque modo ti mostri, qualsiasi maschera indossi..dentro di te sei una sola.. quando lo capirai??”



 “Che bello, uno spaniel.”
“Già come lo chiamerai, Zarevic? Vedo che ti rimane simpatico”
“Joy. O Achilles “ Stringendo il cucciolo che gli avevo regalato tra le braccia. Rapito. Contento, e sul momento non rilevava il mio viso scavato, che ero un corvo in lutto, abbracciò me e il cagnolino, almeno avrebbe avuto qualcuno che sarebbe stato sempre con lui, fedele, che non lo avrebbe lasciato.
Lo zar era al fronte, la zarina mi aveva elargito i suoi complimenti “per il tuo altruismo, a presto, vai a salutare i ragazzi” ma era l’ultimo passo. Olga non c’era, ometteva di presentarsi,ormai ci eravamo dette tutto. Vi vogliono bene, andate, a salutarli non capirebbero e si sentirebbero abbandonati, senza perché.. . Specie Alessio, definire senza limite l’affetto che aveva per me era solo una perifrasi. E mi aveva assestato una stoccata riferendo che aveva chiesto di me e cercato e voluto.
E tanto ero oltre la misura.
Volevo solo chiudere gli occhi e non svegliarmi mai più.
Almeno da morta non avrei patito in quel modo.
“Meglio Joy.” Gioia in inglese, che ironia, che sarcasmo, ma lui doveva stare bene, senza sentire le mie bestemmie, i piani di congedo e fuga.
“Joy Achilles. “ Era cresciuto, ancora, sarebbe diventato alto e ben fatto,mi abbracciò per la vita rovesciando il viso, premendolo poi contro il busto, annotando il mio vestito scuro, da lutto, alla fine, che Luois fosse morto non glielo avevo detto, e tanto… lui ascoltava tutto, sempre, anche se non pareva..mi si serrò addosso, stretto.
“Le mie storie le ricordi. “ una cosa che gli lasciavo, un dono d’amore e tanto ero vuota e spenta, nulla meritavo.
“Certo. Sempre” Gli accarezzai capelli, leggera.
“Io pure.”
“Anastasia, che fai.. “un movimento fluido e ci strinse entrambi.
“Cat. Quando torni?” Un sussurro che finsi di non sentire, infinitesimale, una bolla di sapone, un soffio di voce dello zarevic.
Probabilmente mai più. Non tornerò mai più.
Gli diedi un bacio e mi congedai, approfittando di una scusa. “Cat..” “Addio, zarevic, cercate di stare bene”
 “MA..”
⏳ “Sempre” accostai la guancia contro la sua, tenera, una recita, me ne volevo solo andare e tanto.. Congedati con onore, lascia che ti ricordino tranquilla, non isterica, non vi rivedrete più, fai uno sforzo.
Per staccarmi presi spunto dal cucciolo, che stava mordicchiando un guanciale.
 
Quello era un addio, mi ricordai di sorridere, senza fallo, poi strinsi Marie e Tatiana.
Quando andai a prendere l’auto, attesi che l’autista mi aprisse la portiera, mi girai di scatto, la sensazione di essere osservata.
Dal secondo piano del palazzo di Alessandro, la mano appoggiata contro il vetro, eri lì, un raggio piombò contro i pannelli illuminando le ciocche delle sfumature dell’oro e del bronzo, come un’immagine, un dipinto .
Chinai la testa, un piccolo cenno e salii.
Mai ho sentito di un lupo che abbia pianto.


Dai quaderni di Olga Romanov” la guerra, iniziata con tanto slancio, recò invece delle promesse vittorie morti e feriti e sconfitte inenarrabili. Lo so con cognizione di causa, che nel mese di agosto 1914 avevo frequentato con mia madre e Tatiana un corso per infermiere, trovandoci poi a lavorare nel Palazzo di Caterina riconvertito in ospedale militare, dopo avere assistito a una messa alle sette di mattina. Se tutto andava male la colpa era dei tedeschi e quale migliore capro espiatorio della zarina nata in Germania? Il pomeriggio frequentavamo i corsi supplementari, la mattina assistevamo agli interventi, facendo le medicazioni e assistendo e confortando come potevamo. Sporcizia, fatica, nausea.. la prima volta che mi hanno dato un braccio amputato da mettere via stavo quasi per vomitare, a malapena sono riuscita a non svenire. Leggevo i giornali, interrogavo gli ufficiali, cercavo di capire. E mi mancavi, anche se tenevo duro. Era un addio, no.  Ai tuoi tanti gesti impulsivi e scriteriati ero abituata, definirti egocentrica era un dato oggettivo, tranne che a quel giro non ne venivo a capo. La morte di tuo marito era stata un colpo atroce, choc, panico e dolore, ma tagliavi tutti i ponti e te saresti andata senza un saluto. Lo seppi per puro caso da tua madre, che non sapeva a quale santo votarsi per farti rimanere.. “Parlatele voi .. per favore. Siete la solo persona che può convincerla..” Hai fatto soffrire me, hai fatto soffrire lei che ti dissi, non vi è peccato peggiore che tradire chi si fida di te. E con Alessio ti avevo tirato una stoccata non indifferente, ti adorava e gli eri mancata, come gli sei mancata a prescindere.  Io spero solo di non vederti mai più. Quell’ultima frase, detta a voce bassa, l’avevi sentita, eccome, ti volevo far soffrire ed ero ben riuscita nello scopo, senza ricavarne altro che amarezza, mi ero pentita il momento dopo averla pronunciata. Ma sono andata avanti, non avevo molta scelta, tutti noi ci raccontiamo delle storie per proseguire, mi domando quale sia stata la tua, e so di averti ferita a morte, a nulla è servito.
Ancora dai quaderni”.. comunque, a rate davi notizie, giungevano dei biglietti, indirizzati a CARA OTMA, le iniziali mie e delle mie sorelle, nulla di rilevante, nel primo anno di guerra ne avrai mandati una decina, per lo più brevi annotazioni, personali per i compleanni e gli auguri, poche frasi di prammatica. Chilometri di distanza, nessun obbligo, tranne che mi mancavi. Non volevo, tanto era, uno dei tanti effetti collaterali. E mi arrabbiavo con me stessa, eri stata impulsiva, sventata e egoista, pur soffrendo. Ognuno reagisce a modo suo, lezione appresa nei lunghi turni di infermiera. Vestita con l’uniforme e il velo bianco, la croce rossa ricamata, mi confondevo. Ero una sorella di misericordia. Davo il mio contributo, una goccia nel mare, sempre meglio di nulla. Come tutti, anche Marie e Anastasia, divenute patrone di un ospedale. Leggevano per i feriti al pomeriggio, lavoravano a maglia le loro cose, giocando a carte e dama per intrattenerli, scrivendo a casa sotto dettatura, cucendo vestiti e bende e fasciature. A malincuore andavano a lezione. Oltre all’attività di infermiera, facevo pure io quelle cose, insieme a Tata, in più suonavo il pianoforte. E cercavo di non pensare alle serate trascorse dalla Vyribova, che, tranne che per un concerto settimanale si ripetevano con monotona cadenza. Non vi era verso di sottrarvisi, io ero indocile, ingrata e ribelle.. As usual. E non sopportavo il Nostro Amico, come mia madre definiva Rasputin, come se le sue preghiere fossero davvero quelle di un re taumaturgo, calmava l’ansia di mia madre, non quella di Alessio.. Cat .. perché mi hai detto dopo, quando pensavamo di esserci perse per sempre e ci siamo ritrovate sull’orlo, che quando Luois de Saint Evit è morto avevi abortito per la seconda volta, eri incinta di due mesi appena, andava tutto bene, la prima gestazione poteva essersi conclusa in aborto per la precocità, la giovane età, la seconda si era chiusa per il trauma.. Ci credo che eri piena di dolori e tormenti, pure.. Potevi dirmelo. Per proteggermi, te ne sei andata, definirti contorta ed egoista è sempre stata una perifrasi. Eri il dragone solitario delle tue storie, eri ancora e sempre la mia principessa, poi di ritorno, amore non significa possesso, quando hai avuto la libertà sei ritornata, le fragilità che erano diventate un punto di forza, non ti sei arresa. E quando ho saputo .. la realtà della violenza, eri una tigre, una combattente da sempre, egoista per non arrendersi“
 
Ero riuscita ad andarmene senza scoppiare. Non sarei tornata mai più. Addio, Olga.
Addio, Aleksey. 
   
 
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