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Autore: queenjane    09/07/2018    3 recensioni
Un omaggio a Aleksey Romanov e a i suoi, era fragile, malato, morto a nemmeno 14 anni, fucilato nel luglio 1918 era un eroe. Go my dear. Go my Hero.Once upon a time, you're an heir, a hope, ypu've a great future. But you're frail.. and strong. A dragon, a legend. Forever, a little prince. Honour to You, last Ctar, Aleksey
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Periodo Zarista
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The Dragon, the Phoenix and the Rose'
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“Lo sai che è una parentesi?”
“Sì, Catherine”
“Che mi devi dare retta”
“ Ma ..”corrugando la fronte, un preludio a qualche questione spinosa.
“Cosa?”
“Se sei in Francia, che ci fai in Russia?”Eccoci, era davvero intelligente, altro che storie.
“Un segreto, Aleksej.” Camminavamo nei boschi vicini alla città, ogni tanto mi toccava il fianco con la spalla, il polso con le dita, giusto per sincerarsi che non fosse un incantesimo, che vi fossi per davvero. Le foglie cadute componevano un arazzo, rame, oro e bronzo sotto i piedi, nell’aria profumo di mele e more, sopra di noi volavano stromi di rari uccelli migratori.
Che  scuse si sia inventato lo Zar, gli espedienti li ignoro ancora oggi, pregavo tutti i santi del calendario e alcuni di mia invenzione che non accadesse nulla, un urto poteva avere affetti deleteri.
Ed era  l’ennesima prova di quanto Nicola II si fidasse di me, affidando il figlio delicato e cagionevole a una persona non meglio specificata, che tornava sgangherata e spiritata da ingaggi non  meglio definiti. Sua moglie sarebbe inorridita, con ogni buon diritto, sottolineo,  ogni sera alle nove entrava nella stanza dello zarevic, pregava davanti alle sue icone, come se il bambino fosse a casa, attendeva le sue note giornaliere e scriveva a sua volta, invitando lo zar a fare attenzione.
“Come un soldato. Io sono un soldato dello zar”Omettendo la stanchezza, le missioni compiute, gioco o caso, mete rincorse senza scopo, e vinte per caso.
Strinsi le palpebre.“Ma non combatto in trincea”Semplici parole per spiegare il nuovo destino, dai giorni dell’addio che mi ero forgiata dall’anno prima.
 “ In un altro modo, un reparto segreto. Già. A Olga piace Achille, a te il re Ulisse. Che si traveste e cerca sempre una soluzione. E SEI IL DRAGONE” quando le favole diventano realtà? Non ero presente, ma avevo 20 anni, andavo per i 21, una cinica adulta, lui era un bambino, arguto e dissacrante, che speso si illudeva.
“Perfetto, hai centrato il punto” peccato che Cassiopeia fosse un misto tra Achille e Ulisse.
La lezione l’aveva appresa e declinata in modo sorprendente.
 “A Olga manchi. Non dice nulla, ma scorre 10 volte le tue lettere, quelle che ci mandi, diciamo che sono pensieri raffazzonati, anzi manchi a tutti. E tanto lei non lo dirà mai, almeno a me, appena lo ammette tra di sé ” Improvviso. L’amore non segue il merito, io che ritenevo di non meritare nulla ne ricevevo, accadeva e basta.
“ Ti ricordi la storia di Achille, dei travestimenti e degli incantesimi?“Parole semplici per spiegare l’inenarrabile. Una mano sulla schiena, rimisi a posto una ciocca di capelli sul viso, frammenti di tenerezza.
Una pausa, Alessio mi osservava con tanto di occhi  sgranati, una sfumatura di zaffiro e indaco nello sguardo (come ha avuto poi Felipe, Andres aveva indovinato che sarebbero tornati dove meno li attendevo).
Omisi di chiedere di Olga,nello specifico,  in quei momenti, che non dovevo guardarmi la spalle, la sua mancanza era un tizzone avvelenato. Capì al volo che non ero pronta a parlare di Lei.
Eravamo in un momento di pausa, per intrattenerlo e non camminare per ore avevo avuto la leggiadra idea di insegnargli a smontare e rimontare la pistola, una vera. Davanti ai suoi perché  e  cosa, mi ero alleggerita, ridendo di cuore, se vuoi ti insegno.
“ Tieni così le mani, le braccia così..”
“Tre, due e uno..!
“Bravissimo.. hai preso le pigne!!!
Odore acre di polvere da sparo, la resina.. giusto due tiri, per evitare di ritrovarci addosso una pattuglia. Se non fosse stato malato come era avrebbe avuto un grande potenziale, era preciso e coordinato, le mie non erano illusioni affettuose. Sarebbe andato a caccia, a cavallo, avrebbe giocato a tennis, si sarebbe arrampicato sugli alberi, avrebbe giocato e si sarebbe goduto in pieno la vita.
“.. ho fame”.
Annuendo.
Tirai fuori due panini, ripieni di prosciutto e formaggio, Alessio aveva così fame da spazzolarlo in pochi minuti, in genere farlo mangiare era una lotta, una supplica e una contrattazione, non aveva mai appetito, ogni pasto era una tortura per lui e i suoi, si alzava di continuo, faceva le smorfie, parlava e parlava, era un successo fargli mangiare tre o quattro forchettate, non lo inibiva nemmeno la presenza di estranei, anzi, era ancora più bizzoso. Definirlo maleducato e irrispettoso era un eufemismo. O era un modo per controllare gli altri, una situazione che poteva gestire. Il cibo, osservo, lui che era monitorato a vista.
E colsi quella grazia inopinata, di non supplicare per un boccone..
Era un rischio, ogni movimento brusco poteva essere fonte di una crisi, ma, ormai, era cresciuto ed era un errore che fosse controllato a vista, come un infante. Doveva essere più autonomo possibile per avere maggiore auto controllo e la Stavka era una grande avventura, in un dato senso, lontano dal palazzo di Alessandro e dalle ossessioni materne, ansie giustificate peraltro e basate sulla imprevedibilità del morbo. Che, cresciuto, non sarebbe stato il suo bene se fosse rimasto un moccioso viziato e petulante, affascinante quanto si vuole, e tanto.. . E insieme era un macroscopico azzardo, poteva stancarsi troppo, prendere più spesso malattie o semplici scossoni rimanendo in treno con conseguenze inenarrabili.
“Con Papa, abbiamo visitato un ospedale di feriti, è stato .. duro. C’era puzza, i malati si lamentavano e molti non avevano un braccio o una gamba, o mancavano entrambi. O deliravano per il dolore”
“E che hai fatto?” bloccai il movimento, lo volevo accarezzare, una tenerezza potente e sconosciuta.
“ Il saluto militare e detto che ero orgoglioso, che erano valorosi, anche se era tremendo che fossero .. feriti. Mutilati. E visitato le truppe, tante sai”  Mi scostò delle ciocche di capelli dalla fronte, sfiorando la cicatrice, quella della caduta a cavallo del 1906, poi la guancia, la appoggiai contro il suo palmo, per un momento. 
“ C’est le guerre, Alexis” Lo dissi in francese, una leggerezza apparente, è la guerra, Alessio, incartando i resti del mio panino.
Mi era passata la fame tuttavia. Avevo timore di quello che mi avrebbe riservato mio zio. Se lo zar esponeva suo figlio, il suo solo erede a quelle realtà, a me che sarebbe spettato?
“ Già, vedo, sei una principessa soldato. Come il dragone della tua storia segreta, ribadisco”
“ Te la ricordi?”
“Sì, poi anche Olga le racconta. Vedi, fa l’infermiera con Mamma e Tata,(l’affettuoso nomignolo per Tatiana) il pomeriggio legge o suona per chi sta meglio, dei convalescenti, sta insegnando a scrivere meglio a un soldato, si chiama Michael.. e legge, come sempre, e ha annotato le storie che dicevi su un quaderno, le ripesca e le ridice” la cronaca di un bambino che raccontava una nostalgia. Spero solo di non vederti mai più.. Come no..
Sbattei le palpebre, mi stava venendo da piangere “Già, alcune sono belle. Mi  manca..”E le avevo forgiate per sottrarmi a un lungo incubo, una bambina diffidente, curiosa e arrogante, amata solo da Olga e ricambiata in ben misero modo.
“Ritorna e fate pace, se avete litigato. Comunque stasera, mi racconti te qualcosa”
“ Va bene. “Deglutii e mi ricomposi. Non era un litigio, era uno scontro tra Titani, una lotta fra sorelle, la riconciliazione sarebbe stata ben difficile.
“Intanto stamattina non ti ho pesato per bene, quanto sei cresciuto? Fatti sollevare, vieni qui” Mi allacciò per la vita, lo sollevai contro il fianco, come sempre, come al solito. I lineamenti delicati, fini e regolari, i capelli castani e le iridi meravigliose, indaco e zaffiro, era alto e sottile, gli arti snodati e magri, una meraviglia, la mia.
Dopo, con il senno degli anni, ho capito che per lo zarevic quella fu una parentesi incantata. Sempre oppresso dai divieti, dal non fare, la permanenza alla Stavka con lo zar, con annessi e connessi, fu un punto di luce.
Era un piccolo soldato e tutto poteva accadere, compreso il ritrovare me. E Andres fu suo amico, nonostante la differenza di età.
Un segreto, una favola. Amara, che, in fondo, era sensibile e timido e le continue crudeltà e molto altro gli fecero più male che bene, rendendolo nel lungo periodo irrequieto e frettoloso, con incubi notturni e risvegli continui, e mi si attaccò e lo feci attaccare a me oltre misura, peraltro ricambiato.  
Vidi che era stanco, per non umiliarlo con i soliti veti gli proposi di venirmi a cavalcioni sulla schiena, che il giorno dopo lo avrei fatto a montare a cavallo, doveva fare le prove e annuì, per educazione, senza crederci fino in fondo, se era uno scherzo ero cattiva e non lo ero mai stata in modo deliberato, con lui, e tanto era, che ne sapeva che potevo avere visto e combinato in un anno.
E sua madre, per ovvie ragioni, non glielo aveva mai permesso e pensava che lo prendessi in giro, affondò i gomiti nelle mie clavicole, fremeva dalla voglia inespressa, ai tempi ancora riuscivo a caricarlo con agio, dopo, tra che era cresciuto di altezza e di peso, oltre al resto, era una scommessa.
“Basta Zarevic.. mi avete riempito di lividi “
“.. dai, dillo.Uffa.. Te la sei cercata..” Mi si rannicchiò addosso, ridendo, le dita contro le mie labbra, gliele scaldai  con il fiato.
“E mi sei mancato, va bene.”
“Quanto?”
“BOH, un pochino.. scherzo, Zarevic, parecchio..”vedendo il suo visetto corruscato. Ogni singolo momento, Zarevic, se sapessi. Poi “Giochiamo a carte o dama ..”
“Entrambi, tanto ti batto, scaldami le mani, massaggiami le braccia, la gamba”
“Perché non lo fai?Su” notando che avevo incrociato le braccia e lo fissavo severa, giusto un angolo delle labbra sollevato in un sorriso.
“Che hai saltato? Un per piacere o simili. Che le orecchie le ho buone, mica ho sentito.”
“Per favore.. Dai, ti prego, poi giochiamo.”
“Come se Olga avesse torto a dire che ti vizio.. o almeno diceva” mi corressi.
“Uffa, per favore, Cat, scusami” Vezzoso, sbattendo le sopracciglia. A rigirarmi come voleva era sempre un campione annotai divertita. Vieni qui, sussurrai, mettendolo in grembo, cingendolo con le braccia, fatti scaldare, poi giochiamo,
Finimmo in pareggio, lo feci apposta,  Olga mi batteva a occhi chiusi, avevo all’attivo una decina di anni di partite in più rispetto a lui.
 
Quella sera mangiammo insieme, nelle stanze di mio zio, che non si fece vedere, aveva requisito lo Zar per una riunione urgente, ma Alessio non fece una piega.
Era stanco, in piedi dalle sei e rotti di mattina, alle sette e trenta di sera sbadigliava.
“Non ho fame”
“ E mi fai mangiare da sola? Siediti e fammi compagnia.Sul tuo appetito carente nulla osservo, ormai è un dato assodato” rise per quelle parole, assillarlo alla lunga a cosa serviva.
“No.” Un sorriso birichino. “ Ma tu mi hai fatto sparare, quell’altro no”
“Chi?” intanto, senza parere, mormorando mm che buono, gli avevo fatto prendere una forchettata abbondante di pollo arrosto.
“Uno.. ma è simpatico” idem come sopra per le patate, bevve un poca d’acqua per deglutire, gli sfiorai la mascella con un dito.
“Ah. Questo è veramente buono” terza spedizione nelle imperiali fauci. Aveva masticato per riflesso, abitudine.
“ Vedrai.” Quarto ingaggio, si ripulì con un tovagliolo.
Già, alla lunga ci risultammo fin troppo “simpatici”, io e “Uno”,  intanto lo avevo imboccato,Alessio,  rapide forchettate per mezza porzione abbondante, mi tirò un colpetto alle mani e mormorò solo Cat, mi hai giocato. Come no.. Se mi prendi in braccio mangio ancora qualcosa..Salta su, imperatore dei viziati..Vediamo. Allora avevi fame davvero..hai finito tutto… saltando di dire, Alessio, possibile che se hai fame, davvero e sul serio, dobbiamo fare questi teatrini, che mi si era rannicchiato sul petto, non per capriccio, quanto per rassicurazione e mancanza.
Era l’erede di un impero e voleva una bastarda, cioè IO.
L’amore non segue il rango.
Ti voglio bene, Alexei.

 Qualche giorno prima del mio arrivo si svolse il seguente incontro, che Andres mi raccontò poi. “Come vi chiamate?”
“Andres Fuentes, in russo Andrei"
“Avete un nome buffo”
“Mio padre è spagnolo, mia madre era russa”
“ E che ci fate qui?” Andres fece appello a tutta la sua pazienza. Il ragazzino petulante che gli si rivolgeva era il figlio dello zar di tutte le Russie, Nicola II, e si chiamava Alessio, alias zarevic e atamano di tutti i cosacchi e via dicendo. Nato nel 1904, a dieci anni dalle nozze tra Nicola e una tedesca, Alix von Hesse, dopo quattro figlie femmine, aveva una salute cagionevole.
Un eufemismo, il bambino era apparso ben di rado in pubblico, era sovente malato o indisposto, tanto che si vociferava che fosse epilettico, deforme o ritardato.
Ad Andres, pareva intelligente, curioso e chiacchierone, sempre dietro agli adulti, almeno a giudicare da come gli si stava rivolgendo, aveva superato la timidezza iniziale a trattare con gli ufficiali e i commensali di suo padre, normale prassi, che si era ritrovato da un ambiente chiuso e protetto come il palazzo di Alessandro nel frizzante coacervo del Quartiere Generale.
“Ci lavoro, il mio capo è il principe Rostov-Raulov” Ovvero un personaggio dai vari talenti, amico di gioventù di Nicola II, aveva fatto una strepitosa carriera nell’esercito, era membro della polizia segreta del regime, la terribile Ocharana, un Giano bifronte e Andres era tra i suoi migliori elementi, per non tacere del resto.
“ E che fate?”Senza fallo, era davvero petulante.
“Di tutto un poco”  una cauta definizione, era un agente, un baro e una spia, un camaleonte, varie e poliedriche erano le definizioni che si prestavano, alcune gentili, altre meno, come per Rostov Raulov, R-R per gli amici.
Scapolo, libertino e gaudente, era di una spiccia saggezza, ben inserito, come la principessa Ella, sua sorella, la cui prima figlia, Catherine, alla francese era un intima amica delle figlie dello zar Nicola, specie della prima Olga.
Catherine. Quel nome, un palpito. Si concentrò sul ragazzino, domandandosi dove fossero le sue guardie del corpo, pardon infermieri che lo seguivano in ogni dove, due marinai che lo controllavano a vista, come due tate.
Mistero, magari li aveva seminati, non era di sua spettanza, e sarebbe stato idiota a trattare male il figlio dello zar. Poi, alla fine gli ricordava vagamente come era stato alla sua età, ansioso, teso e con grandi occhi, per non parlare di un bambino che aveva amato e non era mai cresciuto.“E ora?”
“Vado ad allenarmi ai bersagli, prego..” Andres rasentava il metro e novanta, aveva gli occhi verdi e quando voleva, aveva molto tatto, sapeva riconoscere la fame di attenzioni.   
“Vengo con voi”Il ragazzino lo seguiva, una piccola ombra, rispetto a lui.
Nel 1912 si era sentito male, lo davano per morto, ricordava i dispacci ufficiali, i giornali listati a lutto, poi si era ripreso, pareva per un telegramma consolatorio di Rasputin, lo starec debosciato, il monaco pazzo e libertino.
L’anno dopo avevano pubblicato un libro, "Behind the Veil of the Russian Court", asserendo che lo zarevic fosse malato di emofilia, morbo trasmesso dalla madre, che a sua volta lo aveva ereditato dalla propria genitrice, Alice, figlia della regina inglese Vittoria. Di sicuro erano emofiliaci due dei figli del re di Spagna, la cui moglie era una nipote della regina Vittoria, Vittoria Eugenia di Battemberg, detta Ena.
La Corte dello Zar non aveva risposto, né in senso positivo o negativo a quella insinuazione.
Andres scrutò gli occhi azzurri dello zarevic, che ricambiò senza timore.“Volete venire?”
“Sì.” Un soffio.
Che Dio sia con me, rifletté.
“Andrej e poi? Il vostro patronimico, figlio di ..” Diceva Andrej alla russa, la versione spagnola era troppo esotica, strana.
“E’ leggermente impronunciabile in russo, Altezza Imperiale. Mio padre si chiama Xavier, mia madre, ripeto, russa non ha mai saputo traslitterarlo in modo adeguato.” Stava finendo di contare i passi, era stato fatto un campo di bersagli in cui esercitare la mira e voleva tenersi in allenamento.
Spettatore lo zarevic e si chiedeva in quanto tempo lo avrebbero trovato, di sicuro stavano impazzendo nella sua ricerca. A pronunciare Fuentes si era impaperato meno, ricordava vagamente il francese.
 Era  nato sui Pirenei spagnoli, alla rocca di Ahumada, ultimo figlio di un principe e di una dama russa.
Aveva molti talenti, tra cui l’attitudine per le lingue e a vagabondare nelle terre di suo padre, con il fratello che lo precedeva, un altro cadetto come lui, Jaime, mentre l’erede trovava conforto nei riti e nella storia dei loro grandi antenati, come la loro sorella più grande, ironica, scanzonata e ribelle.
Sapeva fare trappole per i conigli con  i fili, scavare buche per catturare un ipotetico lupo, seguire le tracce di un daino come cercare di capire le parole straniere, si portava un libro di grammatica, fosse russo, come inglese o francese o tedesco nelle sessioni di pesca.
 
Crebbe solitario, come un titano, come un eroe, amava la solitudine e non aveva nessun timore apparente.
I suoi occhi erano verdi, come gli smeraldi che sua madre amava indossare, con il principe suo padre si erano conosciuti e innamorati e sposati nel giro di poco, lui la chiamava la sua piccola perla.
Verdi come le iridi di LEI, era il figlio minore, forse  il suo prediletto. Tranne che la donna era rimasta sempre una straniera, nostalgica della Russia e delle sue luci e dei lunghi inverni, pur amando Xavier dei Fuentes senza misura e parimenti ricambiata.
Le piaceva che Andres fosse senza timori, che amasse la caccia, trattenendosi spesso nel capanno a ciò adibito, anche lui era una fiera selvatica, che rifuggiva le sue tenerezze.
Poi se ne era andato, tranne che quella era una storia su cui non amava soffermarsi.
“ Piuttosto, procediamo così. E’ sempre utile fare un controllo e.. “
BUM!!
Centrò le lattine di metallo, che caddero rotolando.“Lo fate sembrare facile” Come a dire, fatemi provare.  Pessimo, rifletté, se si fa male vado nei casini, se mi rifiuto vado nei casini uguale.
“Dipende. Questione di allenamento .. Ecco, se volete provare a tenere in mano la pistola e a vedere l’effetto, vi avviso che ho finito le pallottole. E credo che vi stiano cercando”Comparve un marinaio infermiere e Andres fu lieto di squagliarsela. Il bambino fece una smorfia.
 
 
“Oggi vi sono fischiate le orecchie, Andres?” Il principe Rostov-Raulov lo scrutava, indefinito. Pessimo segno quando gli dava del voi.
“Non troppo, anzi no,  da questa battuta deduco che oggi a pranzo sono stato oggetto di conversazione”
“Già, lo zar si è giustamente arrabbiato, che suo figlio vada in giro senza le sue tate, pardon marinai, ci credo che evada alla prima, che anche io farei così, chiariamo, ma soprattutto era curioso di avere dettagli di questo Andrej senza patronimico, che diamine ci faccio con uno spagnolo, che si porta dietro un ragazzino a sparare ai bersagli..”
“Mi si è appiccicato dietro, alla fine se nessuno gli nega nulla tranne suo padre, fatto noto, che mi dovevo inventare? E non sono idiota, non l’ho fatto sparare” (Fuentes, che volevamo sostenere???tralasciamo è meglio)
“Giusto, sempre bene non contrariare un Romanov, anche di undici anni, in particolare l’erede al trono. Che mi ha chiesto dove ti avessi trovato, pardon scovato, quella peste non sa stare a tavola, si alza di continuo, ti fa entrare il mal di testa, definirlo viziato e' un eufemismo, nemmeno mio nipote è così petulante,  comunque ha giovato che sei un principe, bada non mi interessa, il figlio di un principe è sempre un principe”
“E.. ?”
“Sì, ho raccontato. Non che ero caduto nella buca che tu e Jaime avevate scavato, sa il Signore se avete mai preso un lupo, giusto io sono infilato nel vostro fosso, tanto è..”
“Che fondatore dei Rostov-Raulov, Felipe,il vostro capostipite, veniva dalla Spagna, come noto, e che voi cercavate testimonianze, per scrivere un libro che non ha ancora visto la luce. E siete venuto a Ahumada a trovare documenti. Don Xavier dei Fuentes vi ha accolto con piacere e siete stato suo ospite. “
“E’ una battuta, Andres, sono stato io  a cadere come un allocco.. Comunque, senza farla troppo lunga, ti sei trovato un nuovo passatempo.” Rideva sardonico, le iridi scure vibravano di divertimento represso.
“NO.. 
“Sì, gli sei rimasto simpatico.  Comunque, sarà un rompiscatole, viziato e via dicendo” La voce era bassa, appena un sussurro” Ma sai del libro, quello che dice che abbia l’emofilia. Vero o meno, è spesso ammalato ed è un bambino fragile. Viziato e guardato a vista, sempre vicino a sua madre e alle sorelle”
 
“Ho capito, un unico maschio dopo quattro femmine porta a viziare in ogni caso, solo … non avete niente di meglio da assegnarmi. O di più importante”
“Andres, principe Fuentes, conte de la Cueva, hai fatto l’impossibile nei tuoi ingaggi, venendone fuori senza fallo, e ti sta pensiero lo zarevic?”
“Sì.” Affermazione che valse le sonore risate del principe.
Più che volergli bene .. Alla peggio ti capiterà questo, e se sapesse solo la metà delle tue imprese non ti mollerebbe più, Andres dei Fuentes, conte de la Cueva. Eroe della Calle Mayor, che come la metti sei un eroe
 
 
“Aspetta, non alzarti, lo prendo in braccio io”Lo zar emerse verso le nove di sera, Alessio si era appisolato  tra le mie braccia, dopo cena mi ero seduta sul divano, lui dietro, come spesso accadeva in passato, un gomito contro la mia clavicola, lo avevo serrato, come una specie di baluardo.
“A domani”
“ A domani” Sorrisi, amara, indefinita,  e mi inchinai.”Però devo mantenere una promessa”
“Sei una idiota.”Enunciò lo  Zar alla fine del mio racconto, un sussurro furtivo, a mezza voglia tra il darmi retta o tirare uno schiaffo” Lui a cavallo.. MA che hai in testa ? fallo, e taci, magari ti andrà bene, come oggi, che lo hai fatto sparare..Dovrà cominciare e meglio con te, che ti obbedisce, per convenienza o meno, ti dà retta, un prezzo per averti ritrovato” Una pausa di sofferenza. Io lo trattavo da ragazzino normale, o  cercavo,diciamo così, come mio fratello Aleksander. O ci provavo, non avrei mai consentito a Sasha di rispondermi male o fare le bizze per mangiare, ma lui non era malato e Alessio sì, la differenza era quella. E lo avevo viziato, inutile negarlo, vano che criticassi gli altri e omettessi per me, Olga mi definiva,ai bei tempi, una egocentrica trionfante, che rideva dei suoi difetti. E  non avevo mai stretto Sasha come lo zarevic, peraltro non lo avevo mai imboccato o abbracciato come con lui.. Riusciva a rendermi meno rigida, armata e guardinga di quanto in genere non fossi. Brava a me.
 E stava meglio adesso, rispetto a quando era piccolo e aveva emorragie continue e deabilitanti. Ripensai a Spala, alla sua agonia, e  poi che mi aveva chiesto di prendere l’aria da una finestra, nella convalescenza, di avergli negato quel semplice piacere. E se prendeva un urto di troppo e moriva…
“Lui sarà il vostro erede, il vostro successore. Il più tardi possibile, mi auguro” Semplici, potenti, parole. E lo dicevo per me e Alessio, lui meritava di meglio che essere trattato da malato e io avevo molto da riscattare “Dovrà sapere sparare e cavalcare, per il suo stesso bene, od almeno avere le basi”In modo da non apparire  fragile, non lo aggiunsi, credo che lo pensammo entrambi. Bastava pensare all’anno avanti quando, per una storta alla caviglia, non si reggeva in piedi, un cosacco della guardia lo aveva accompagnato in braccio alla chiesa di Mosca, per il tradizionale giuramento degli zar in caso di guerra, l’impressione era stata di pena e compatimento, una debole creatura, frutto dei lombi di una iettatrice, giunta al trono al seguito di una bara. Io ero la figlia di Ella e delle tempeste, lo amavo a prescindere, e io non ero il mondo, appena una goccia nel mare.
“ Come mia figlia Olga.. Lei cavalca il vento su Tintagel e sa sparare”
Sorrisi e non risposi“.. ha continuato a cercarti sempre e comunque. Ti vuole bene.E va bene, proviamo”
“Sire, vi prego, lasciamo fare. Scusate .. forse..“
“Glielo hai promesso”Me lo ripassò, per mutuo accordo, mi misi un cappello e ingobbii le spalle, tenendolo stretto, lo avrei riportato fino alla casa del Governatore, varcai le porte, trovandomi nella loro stanza da letto, due lettini da campo, icone e fotografie, il necessario per lavarsi, un luogo spartano. “A domani, Alessio”lo avevo spogliato e preparato per la notte, nella stanza da bagno vicina,  movimenti leggeri, impacciata da lui che mi si attaccava, un respiro e un sussurro alla volta, lo avevo lavato e gli avevo messo il pannolone per la notte, come da prassi. Come già affermato, bastava poco, un urto, un brusco movimento, anche andando in bagno per farlo sentire male, molto spesso i suoi marinai gli mettevano i pannolini SIA di giorno che di notte, per fare prima, specie ora che non era al palazzo di Alessandro, un nuovo ambiente foriero di rischi e pericoli,  a prescindere dalle sue proteste.
“Aspetta, non mi lasciare..ti prego”una supplica, non un capriccio. “Resta, mi sei mancata tanto.. Per favore“ Ancora “Non sei come i marinai” “ E che.. ti svegli a comando, “la voce bassissima, serrandolo, attenta”.. Va bene, ti addormento, domani ci ritroviamo, fidati che ti diverti” Gli appoggiai la fronte sul plesso solare, avvertii che mi sfiorava la nuca, gli diedi un bacio a caso, ricambiato  Tenera come non ero mai stata a mia memoria. “Ti voglio tanto bene, Alessio, ti va qualcosa sul mare..” Un piccolo sì assonnato, mi sdraiai sulla sua branda, lo posai contro lo sterno, riuscii ad addormentarlo a furia di favole e sussurri, sul serio, baci e carezze, un miracolo, il mio, quanto lo avevo rimpianto.
   
 
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