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Autore: queenjane    11/07/2018    3 recensioni
Un omaggio a Aleksey Romanov e a i suoi, era fragile, malato, morto a nemmeno 14 anni, fucilato nel luglio 1918 era un eroe. Go my dear. Go my Hero.Once upon a time, you're an heir, a hope, ypu've a great future. But you're frail.. and strong. A dragon, a legend. Forever, a little prince. Honour to You, last Ctar, Aleksey
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Periodo Zarista
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The Dragon, the Phoenix and the Rose'
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 Alexei mi raccontò della rivista compiuta presso le truppe del generale T.,come avesse realizzato quanti pochi fossero vivi dall’inizio, io mi ero definita un soldato e.. Ero al limite e mi avvidi che si stava mettendo a singhiozzare”Alessio, non piangere, per me..Qualcosa inventiamo.. Non sparisco dopo pochi minuti, mm? I cinque minuti erano una delle mie solite battute imbecilli, cerca di non agitarti, scusami”

“Hai fatto bene a scrivermi e telefonare, che mi sono preoccupato tanto..E ti pensavo, come Mamma, le mie sorelle, loro si danno un gran daffare negli ospedali..”Quindi sfumò il discorso, che poteva essene una critica, io me ne andavo a zonzo per incarichi che avevo cura di non specificargli, vivendo una storia non meglio definita con un soggetto indisponente, ovvero Andres.

Ero stanca oltre ogni dire, tranne che i bambini, con  i loro bisogni e priorità ci salvano dalla  disperazione. Risorsi dalla stanchezza, mi concentrai su di lui, sussurrai il suo nome. “Alexei” “Cat..” ancora incerto, non ci credeva, sfiorava la spalla, il braccio
”Alexei.. Tesoro mio, vuoi giocare?”
”Si, e fare cena e poi mi addormenti te..” Svelto. “Sii” poi” Mi rivedi a dicembre, va bene, non ti arrabbi” “NOO”E la depressione mi era volata via “Fai pace con Olga?”che aveva capito benissimo, senza che nessuna delle due nulla osservasse, che ci eravamo sbranate a vicenda “Cercherò, tranne che la questione riguarda me e lei, va bene?”
“Va bene e tanto sei buffa, come sempre”
“Continua e giochi da solo.. Soldatini o marionette o ..carte” Sorridendo. Lo coccolai per tutto il tempo, era fragile come neve, forte come le leghe di titanio e intanto si rassicurava, una pausa dalla violenza.
Mi tirò un pizzicotto, non la finiva di toccarmi, rapito, contento, ci sei, SEI Tu, sì tesoro mio.  Gli massaggiai le mani, le braccia, delicata e paziente, Zarevic, bambino mio, eri una gioia infinita. E aveva una voglia ricambiata di coccole, mi abbassava la testa per darmi un bacio sulle guance, mi sfiorava le labbra con le dita, chiudi gli occhi e dimmi che ti tocco, gli zigomi come la fronte o il naso, e lo ricambiavo..

“Alexei, non sono nemmeno le nove, hai già sonno?” “No. Ma tanto in giro non devi farti vedere, (dicevamo.. era un segugio) io voglio che mi addormenti te e quindi siediti e stringimi, facciamo così. “Ossa di fumo, capelli di cristallo e pelle di seta, un dono, una meraviglia, percepì la mia risata sotto l’orecchio, lo aggiustai, abbracciandolo”La rosa e il leone rampante, iniziamo una nuova saga.. Intanto eccoti un bacio, e due e tre.”Lo avvolsi tra le braccia e inventai un nuovo ciclo, su quel divano.

“Ma le cose le fai da sola?”
“ NO, Alexei, sono con UNO..quello che hai osservato mentre sparava”
“Eh..? Dici Andrej Fuentes, quello che lavora per tuo zio R-R?”
“Sì, Alessio, lo hai chiamato Uno  e .. è simpatico, no?”
“E’ grosso come un armadio” Risi della sua involontaria battuta, o meno, a settembre mi aveva detto, che hai fatto al viso, io, di rimando avevo osservato che era uno scontro con un armadio, ovvero Andres, senza specificare che avevamo fatto a botte. 
“Lui è nato in Spagna, Alessio, chiamalo Andres..in luogo di Andrej.”
“Vedremo, un nome troppo strano, per me, manco lo so dire, se sta in Russia che si adatti alla Russia”
“Intanto torno alla storia, zarevic, basta interruzioni.. O no? Comunque la sua mamma era russa”
“Forse, vediamo, continua, non mi baciare ..l’Eneide me la racconti un’altra volta”Una pausa. Lui ascoltava me, io mi concentravo su lui, era tenero, le braccia che si toccavano, era in ascolto, intento, la testa che mi sfiorava la spalla. La vicinanza ed il respingere, avevi sofferto troppo Alexei, eri un bambino sensibile e la guerra ti aveva recato un incubo dopo un altro e infinite avventure, ti presi un palmo e lo studiai, come una mappa
“Vai.. “ “Dove..” “Vai Kitty Cat. Gattina, come ti chiama Olga, continua.” Mi sfiorò le labbra con le dita, gliele scaldai con il fiato, non lo deludere, o almeno ci provavo“Cat ..”Uno sbadiglio, mi stesi per farlo stare più comodo, cingendolo piano con le falangi, mi accostai la sua testa sul seno, una specie di riparo, il mento che sfiorava i corti capelli castani, se li faceva tagliare e accorciare come un cadetto, e mangiava il pane nero come i soldati (quando aveva voglia, chiariamo, sennò digiunava) era sempre tanto magro. “Cat..”
“Sono qui, Sunshine” Raggio di sole, come lo chiamava sua madre, con ragione, gli presi i palmi, deglutii, stai calma, lupo, la notte è ben lunga. Presi uno scialle e glielo avvolsi sulle gambe, mi tirai in piedi, lui in braccio e camminai avanti e indietro, come un galeone, cullandolo a tratti fino alle dieci e venti circa.  

“Ora è più tranquillo, grazie” “Grazie a voi, Maestà, mi avete fatto un regalo meraviglioso” poi ci mettemmo d’accordo.

Passò dalle mie braccia al suo lettino senza fretta, lo preparai per la notte spogliandolo un passo alla volta, un tenero sussurro, era rilassato, senza incubi e risvegli, almeno sul momento, gli misi il solito pannolone senza che protestasse. “Cat ..” “Stasera sto con te.. ancora un poco” “SI..” Le mani contro le spalle, la fronte contro la mia, mi tirò giù e mi fece sdraiare accanto a lui.
“RACCONTAMI DI ACHILLE E DEL DRAGO E DELLA ROSA..”
 Andai  via a mezzanotte, i cinque minuti erano diventati cinque ore.. il mio Aleksey. “Domani mattina ti posso salutare?” “Va bene”



Sbadigliai avvolgendomi nella calda pelliccia, erano le sei e trenta di mattina, il giorno sorgeva, il cielo si schiariva, grigio come il petto di una tortora, odore di legna e braci e caffè. Presi la mia sporta, mentre Andres usciva per sellare i cavalli, sulle labbra avevo il sapore dei suoi baci, sulla pelle il suo profumo. Lui il giorno prima si era svagato con le istruzioni, a me erano state riassunte da R-R.
“Lui si chiama Castore, vedi che spettacolo?”Indicai il baio con due balzane, era veloce e io leggera, un purosangue eccezionale come Tintagel ai suoi tempi, rispondeva ad ogni tocco e movimento.
Alessio gli diede una carota,  mio zio brontolò che facevamo tardi, era umido e di muoversi, lui era tutto tranne che una bambinaia “A presto, Zarevic”
“A presto Cat, bada che Andres non faccia troppi guai” Si raccomandò “E’ simpatico, fidati”
“Molto. Ora andiamo”Mi mise la manina sul polso, la strinsi e poi sorrisi. “Ciao, zarevic”
“Mi fido, non fare scherzi”
“NO..”in tono dolce, incerto.
“Niente baci, siamo in pubblico” e tanto avrei scommesso che spasimava dalla voglia di essere stretto.


“Io ti faccio accarezzare Castore,sul muso, fatti sollevare, solo un momento..!” obbedì,  lo sollevai contro la spalla, mi aveva serrato, le braccia sulla mia schiena, le gambe sui miei fianchi, avevo camminato un poco con lui addosso, poi lo avevo passato a mio zio, delicata, della serie ci vediamo a dicembre, non mollare, io sono con te.


Ci girammo un paio di volte, procedendo al passo, erano sempre lì, mio zio e il bambino, al terzo giro vi erano ancora. “Si fa?” “Si fa, lupo” Eseguimmo i movimenti e i cavalli ramparono sulle zampe posteriori e agitammo la mano, in sincronia,  quindi rompemmo al galoppo.
Saggia e distaccata in tutto, tranne che nell’amore per Alexei e le sue sorelle.

“Sono stato tanto contento..ora manca davvero poco, a presto Yours Alexei”

“Il famoso conto alla rovescia.. L’Eneide ci aspetta. E magari anche qualcosa su leoni rampanti e via così.. Ti voglio tanto bene..Un bacione”

A volte gli dei si divertono a giocare a dadi, infischiandosene della volontà e delle umane illusioni. 
Aveva preso un colpo di freddo visitando le truppe, starnutendo così forte da avere una violenta emorragia al naso, tanto che il suo tutore Gilliard e il medico imperiale avevano violato l’ordine tassativo di Nicola II di non essere disturbato, che era in corso una riunione informale, importante, tranne che lo zarevic contava di più, la sua salute aveva la precedenza .
Ero rientrata alla Stavka, ennesimo periplo, vestita da ragazzo, i capelli corti come il mio nuovo uso, con una stanchezza millenaria nelle ossa quando bussarono all’ufficio dell’imperatore, mentre controllava le mappe e le avanzate con me, mio zio e Andres.
Per esperienza, in quei momenti concitati, sapevo che nessuno badava a chi tampinava lo Zar, eravamo tutti anonimi, ombre sfuocate, quindi gli ero corsa dietro. Il cuore mi rotolava dentro il petto, e mi ero fermata, impalata rigida, quando lo avevo visto, respirando rapida e superficiale, come quando Andres mi aveva tirato un pugno sullo stomaco, sbattendomi per terra.
No. NO, No.
Il palmo contro le labbra, vedendo la cauterizzazione, le bende impregnate di sangue.
NO.
I suoi lamenti.. era l’inferno, un dolore che non meritava.
Come ricevere un ulteriore colpo sul viso, sullo stomaco.
NO. NO.
Come quando il principe Raulov mi aveva frustato, incidendo la mia schiena, chè avevo osato contrastarlo, picchiava mia madre per l’ennesima volta.
NO. NO.
Mi ero morsa le dita a sangue.
No, Aleksej, no.

“.. deve stare su.. è agitatissimo.. Speriamo che…” Brusii soffusi “ I suoi marinai sono esausti..non vuole stare fermo”
Ha paura.. idioti, ha dolore ed ha paura.. come ne avrei io, come chiunque, dategli un bacio, non toccatelo solo per fargli male.. Male per dire, occorre per le medicazioni, e nelle pause dell’emorragia non merita forse di essere confortato?Dategli una carezza, stringetegli una mano, imbecilli..
 
“Vuole ..insomma quando riusciva a parlare voleva sua madre, le sorelle e..Cat..? “ “Il gatto..”
“Qui ne abbiamo altri due, di marinai” la voce di Andres, gli avevo posato una mano sul braccio, parla tu, svelto in azione, Fuentes “Scusate.. eccoci “e tanto Botkin, uno dei medici imperiali, mi aveva riconosciuto al volo, e sarebbe stato ben muto, il suo viso era una maschera, io mi ero inclinata nell’ombra.
“Troppa gente.. Maestà, proviamo con questi nuovi, tutti fuori..”
“Cosa avete combinato?”Scosse la testa, il medico che mi aveva assistito tanti anni prima ritenne saggio omettere altre indagini
“Nulla di particolare.. Mi sa che Cat sono io, mi chiama sempre così”

“Aleksej, zarevic..”mi ero inginocchiata davanti a lui, era sporco di sangue e sudore, gli occhi appannati per il dolore e le lacrime, agitato senza rimedio.
“Zarevic sono Catherine..” in tono basso “Mi ci metto io, vuoi, a tenerti sul divano?”Una pausa “Ora ti pulisco il viso, non so il dolore che provi,sst, tranquillo, ci sono, sei Achille, un eroe, resisti a tutto, sei fortissimo”
Gli avevo tamponato le macchie di sangue e sudore, e tanto era meglio se mi mettevo dietro, stupida che ero.
E mi aveva riconosciuto, gli occhi si spalancarono, infiniti, azzurri “Va bene se Andres ti tiene sollevato, fidati, è bravissimo, solo un attimo, il tempo di sedermi..” quando era piccolo, piccolo davvero, intendo, e aveva una crisi, e il dolore lo intontiva, lasciandolo prostrato, che non mangiava o dormiva, solo gemeva, andavo (se era possibile) e mi accostavo vicina, senza toccarlo..
Che avevo paura di fargli ancora più male, parlando per minuti od ore, alla fine ci addormentavamo, e mi ritrovavo le sue manine sul viso, tra i capelli, entrambi esausti, che cercava un contatto, e quando stava bene non facevo pari a tenerlo in braccio, a giocare con lui, a viziarlo.
Ora era diverso, ero diversa, io, ammaccata e lucida, era il mio zarevic, il mio fratellino, c’ero e dovevamo affrontarla insieme, se voleva.
Appoggiai la schiena al divano, una posizione sgraziata, maschile, e aprii le braccia
“Ci siamo, piano eh.. che c’è? Andres..” “
Salve zarevic, ora vi lascio, c’è Catherine, va bene.. Ssst, andrà tutto a posto, sst querido”Sussurrò qualcosa in spagnolo, in quel suo linguaggio melodioso, che ricordava la musica del vento tra le foglie, me lo appoggiò addosso come se fosse un tesoro.Gli posai una mano sul petto, si sollevava con minore affanno “Zarevic, sono qui”

 
“Tienilo calmo, sarai meglio di una medicina, lo sa solo lui quanto ti voleva” Risposi con un cenno della testa.
Lo zar si allontanava, non sopportava a lungo i gemiti di Alessio,come al solito, Andres lo seguì per chiedere istruzioni, i suoi occhi verdi avevano incrociato i miei per un breve momento, saldandosi insieme, poi rientrò.
Sussurrai “Sono qui, Alessio, amore ”Scemenze per distrarlo, o consolarlo, oppure distrarre me stessa, almeno un poco, non so nemmeno se mi ascoltasse, sennò non sarei stata io, giusto due frasi per non smentirmi, ne dubito, anzi, stava troppo male, pure ebbe ancora una piccola reazione, mi serrò il polso mentre alzavo il busto, non ti lascio, sussurrai, tranquillo. Sono qui, non è il delirio ci sono davvero, resto, vuoi?.
Forse sussurrò Cat, uno strazio reciproco. .
 Ero appoggiata contro il grande divano, la schiena di Alessio contro il mio torace, lo avvolgevo tra le braccia, la testa che quasi sfiorava la sua, le ciocche castane mescolate, ogni tanto mi toccava il polso, spostandosi mi posava la guancia sul seno, o aspirante tale, che di curve non avevo tante, ero snella fino alla magrezza estrema.
Che ironia, mesi prima quando lo avevo portato a cavallo, non era successo nulla, era bastato un raffreddore per ridurlo in quelle condizioni, la pelle color carta, il battito irregolare. Già.
Sono qui. Sei qui. Non ti lascio, tieni duro, la passiamo insieme, va bene?cerco il coraggio, il distacco, sempre, tranne che ti adoro, Zarevic, non mi lasciare sola, se puoi. So che soffri, scotti di febbre e io non posso fare a meno di te, sei la mia parte migliore, con te non sono dura, arrogante e distaccata, superba come Lucifero, rimani ancora un poco, resisti, bambino mio, e che posso fare, se non tenerti tra le braccia.. e ti voglio tanto bene, perché non te lo ho detto a voce, invece di scriverne.. sono una disgraziata, una cretina..
 
I chirurghi imperiali avevano cauterizzato la narice, un processo doloroso, senza guardare chi lo teneva tra le braccia, cambiando le bende quando si impregnavano di sangue, uno valeva l’altro, bastava tenere calmo il regale paziente.
E tanto erano vincolati dal segreto professionale, Botkin, poveraccio, era abituato alle mie stranezze da anni. Avevo badato a parlare il meno possibile, cercando di non mettermi a piangere nel sentire i suoi gemiti, sapevo che i singhiozzi lo agitavano ancora di più. Ero stanca, piena di pena e rabbia.
“Deve stare su che da sdraiato rischia un maggiore sanguinamento”
Nicola aveva mandato un telegramma a sua moglie, che stava volando alla Stavka, reputando prudente non farlo muovere in treno per riportarlo alla capitale.
Mancava una settimana a Natale, almeno a quello di rito cattolico,realizzai. La nascita del Salvatore, ma cosa festeggiare se l’erede di tutte le Russie fosse morto, il mio era un pensiero blasfemo, cosa raccattare in quei momenti. E serrai lo Zarevic, gli avevo promesso di tornare per il Natale cattolico e non così.
Non volevo, non era giusto, ne avevo tante da farmi perdonare e non poteva morire a undici anni per una epistassi.. Per lui, è un bambino malato e ha una voglia di vivere che rompe ogni argine, a te di morire non importa nulla e ..
 
Aleksey..Sillabo il tuo nome, torno al presente, mi calmo, a te serve una persona lucida, non una isterica.
Ho più paura adesso di quando ero vicina alle trincee e il rumore delle granate rombava nell’aria, sono qui e vorrei essere da un’altra parte, rinuncio a comprendere, manco ci provo. O, in semplicità, quando soffre chi ami vorresti che fosse un incubo ed essere altrove e mica funziona così.
 
“Sei incredibile, lupo”
“In genere sostieni che sono una scocciatura”
“Siamo una buona squadra e sì, ti ho fatto un complimento. “Strinsi ancora più forte Alessio, osservando che le bende erano candide da almeno sei minuti, vigile, non parlava ma ascoltava. Gli sfiorai una guancia, se riflettevo che ai tempi della crisi dopo Spala, al palazzo di Alessandro, neanche lo volevo prendere in braccio, vi era di che ridere, seriamente. E ora ero una spia, un membro della polizia segreta, una peccatrice senza fallo, che lo stringeva e cullava, scherzando
 
Se ti rimetti, Alessio, ti porto a cavalcare e a sparare, fidati. Ci provo, guarderò te e non l’emofilia, vedrò il principe, il guerriero, non il malato, fammi provare, non lasciarmi.. Ti prego, perdona tutto il tempo che ho sprecato. Lasciami provare, fidati di me, e non lo merito.
“Raccontami di Ahumada e di quando cacciavi i lupi, e di come hai catturato una preda eccezionale, ovvero mio zio, o quasi” Sfiorai la tempia bendata dello zarevic, percependo che era in una pausa dai dolori, R-R era 1 e 85, per quasi 90 chili, era curioso di conoscere, gli pareva una barzelletta e ben si prestava, povero zio.
Intanto gli baciavo la fronte, i capelli, delicata, sapevo che gli faceva piacere, si distraeva, una pausa per entrambi.
Che il processo di cauterizzazione era dolorosissimo, meritava di avere un momento di conforto, essere toccato in modo gentile. Andres sbuffò. “Ahumada, in punto di cronaca per lo zarevic, come già detto in altre occasioni,è un castello sui Pirenei, sul versante spagnolo, circondato da boschi e foreste, la casa dei miei avi, che siamo stati marchesi, poi diventati principi, i Fuentes dai mille talenti. Nel fitto del bosco, si dava per certo che vi fossero dei lupi. Avevo tredici anni e stavo fuori con ogni tempo, alla peggio dormivo in un capanno di caccia e scavavo buche,mi davo da fare una trappola che poi ricoprivo d’erba e terra, e facevo passeggiate e giri di ricognizione, con il mio fratello più grande Jaime. Ci divertivamo anche a pescare ad un torrente, facevamo trappole per conigli .. I due vagabondi, ci appellavano al castello, mio padre da un lato ne rideva, dall’altro non sapeva che farsene di due teste matte come noi due. Comunque, doveva venire un ospite e io e Jaime eravamo latitanti nel bosco..Catherine, cazzo, sanguina di nuovo.. ”
 
Sospese il racconto, mentre rientravano i chirurghi, le bende erano di nuove intrise di sangue. Cauterizzarono, Andres, immobile, in un angolo, le dita di Alessio contro il mio polso, una stretta così forte da lasciare il segno, sussultava per il dolore, appena un gemito rivelava il grado della sofferenza .
Sentivo i mormorii, il nuovo marinaio infermiere, sul serio i miei travestimenti erano ben fatti e poi ci lasciarono soli, avevano riscontrato che tante persone agitavano Alessio, lo serrai cercando di tenere ben alto il busto, gli massaggiai lo stomaco, le costole, movimenti improvvisati, colmi di delicatezza, ti voglio tanto bene, zarevic, cerco di tenerti tranquillo, taccio che le storie le racconta Andres, io intervengo a tratti, sono con te, sempre, e so che ti reca conforto essere toccato in modo dolce, gentile. Pregai che Alessandra giungesse presto, che fosse sempre vivo. Intanto, le mie braccia e le mie gambe erano una specie di fortezza contro cui si abbandonava, capiva che avrei voluto difenderlo da ogni male, la voce del mio principe un incantesimo contro il buio. E che lo amavo, non lo avrei più lasciato senza un saluto vero.
“Racconta Andres”
“Rostov Raulov era venuto in Spagna per un libro di memorie, sul vostro capostipite., Felipe, mio padre Xavier dei Fuentes lo accolse e lo invitò a fare un giro. Il principe cadde nel fosso.. Passeggiava e finì come un allocco nella mia trappola. Poi gli sono rimasto simpatico..Lasciamo perdere”
Risi per non piangere, Alessio si mosse, credo che ne rise anche lui di quella cosa inopinata. In parte, serrò la schiena contro il mio sterno, percepii il movimento delle sue dita sui polsi, mi rovesciai un poco in avanti, rafforzando la stretta delle braccia, e si calmò, ascolta, Alessio, ho paura come te, e insieme siamo forti, ascolta il battito del cuore, dice che ce la caveremo.
 
“E andiamo con le storie dei Fuentes e dei pirati, queste so, non ho grande inventiva, che spetta a te, cara Catalina ”Andres mi passò un asciugamano, asciugai la fronte allo zarevic, potevo solo abbracciarlo. Quando ero arrivata a Spala, non avevo visto tutto. Alessio capiva Catalina in spagnolo, Catherine, lui intuì prima di me e Andres dove saremmo finiti.
 
 
 
Compresi la zarina, il suo strazio, almeno un poco. I particolari, ossessivi. La trama di legno delle pareti, le ciocche di Alessio che si intrecciavano alle mie quando chinavo la testa contro di lui, l’eco della cauterizzazione nell’aria ferma, fuori era caduta la neve, l’impronta delle falangi dello zarevic sui miei polsi, mi aveva stretto così forte mentre i medici facevano il loro lavoro,da lasciarmi poi i lividi, oltre che il segno delle unghie, il corpo inarcato e teso per il dolore, tenevo il busto alto, i pantaloni che indossavo,grigi, con un piccolo strappo sulle ginocchia, che ancora non avevo rammendato, gli avevo accostato la testa sul seno, a tratti.. ascolta, Alessio, ho paura come te, e insieme siamo forti, ascolta il battito del cuore, dice che ce la caveremo.
Alla fine era stato Andres a portare dell’acqua, una caraffa e una ciotola di ghiaccio in cubetti, glielo avevo sussurrato piano. Bevvi avida, avevo sete e fame, il mio corpo baro, eterno Giuda, si ricordava sempre di vivere. Diede una carezza al ragazzino sulla fronte, poi gli passò un cubetto di ghiaccio sulle labbra riarse, a farlo bere non si fidava, che poteva venirgli un attacco di tosse, pessimo nelle sue condizioni, ma era disidratato, con infinita pazienza ne passò quattro o cinque. Appena accennavo a muovermi mi stringeva ancora di più, come se lo volessi lasciare, e avevo sete, mi raccomandai ad Andres. Se non l’ho amato in principio, ho cominciato allora. Dico di Andres, che volevo bene a Alessio da un pezzo. Ed anche allora sapevo di mentire a me stessa, le scuse che tiravo fuori, le balle per non dare ai sentimenti il loro nome.. Io e il mio armadio personale avevamo fatto l’amore dieci giorni esatti dopo il nostro primo incontro, nell’ora che precedeva l’alba ognuno era per l’altro uno sfogo, una tregua. Anzi, sesso, come lo definivo, uno sfogo di lussuria, potevamo non sopportarci in principio, tranne che a letto siamo andati d’accordo fin da subito. Ed era una difesa, era piacere e amore, i nostri corpi erano ferro e calamita, acqua per purificare, fuoco per la reciproca attrazione. Pure ammettere di amare qualcuno richiede coraggio. Quali negazioni formulare, chè, indagando, avevo appreso una cosa che mi aveva fatto inorridire di me stessa. E dovevo arrendermi, lo amavo, ti amavo, Fuentes maledetto. Per le cicatrici sulla schiena aveva rilevato che era insieme a mio zio quando avevano sistemato Pietr Raulov, si era solo rammaricato di non avergliene suonate più forte. E che non dovevo vergognarmi di nulla, avevo agito per giustizia, per difendere mia madre.
“Alessio, ascolta, la tua mamma sta arrivando. Probabilmente non rimarrai qui alla Stavka, tornerai al Palazzo di Alessandro” Le parole scorrevano piano, avevo la gola roca”Per la convalescenza. Io non mi posso far vedere, lo sai, per le coperture. Non ti agitare, ascoltami. Torno a Pietrogrado, non ti lascio, cerco di fare pace con Olga, va bene, tra poco vado via, sono qui e ci vediamo presto.. “Lo avevo spostato sul braccio sinistro, tenendolo con l’altro, con una fatica immane mi sfiorò una guancia, l’unico segno di colore che aveva sul viso erano le mezzelune viola sotto gli occhi e le sopracciglia castane” Va bene, sto zitta, qualcosa ci inventiamo, piccolo principe.” Sbatté le palpebre due volte, come a dire no. quando non riusciva a parlare aveva elaborato quel sistema, due volte no, una sì. Non capivo. Tamburellò le dita sulla mia guancia, a fatica, e la toccai. Era salata di lacrime. “Non devo piangere, va bene. Hai ragione, non me ne ero proprio accorta” Per discrezione, Andres aveva voltato le spalle, osservava con interesse la tappezzeria del muro. Aspettò che mi ricomponessi, mi riuscì a tirare fuori un sorriso poi scambiammo la posizione, staccare il bambino dalla mia stretta fu una amputazione.
Lui, come me, era un coacervo, una contraddizione in termini, ironico e irriverente, si vestiva di maschere, poteva risultare ed era spesso insopportabile, superbo e egocentrico, sfrenato e carnale, come la sottoscritta. Dotato di umanità, non si tirava indietro dinanzi a nulla, fosse un ingaggio che consolare un ragazzo malato. Passai Alessio nelle sue braccia, gli diedi un bacio, non osavo affermare ci vediamo presto, aspettavo i secondi, ogni minuto che passava senza che le bende si impregnassero di sangue era ottimo. “Io vado, ragazzi. A presto. Ciao Alessio, ciao Andres” mi persi a asciugare la fronte del bambino, era madida di sudore, come la gola, la carotide batteva sotto le dita, in affanno, ma stava un poco meglio, gli tamponai i capelli sudati e l’avevo detto.. Idiozia. Gli appoggiai il viso per un momento contro il plesso solare, senza premere. “ A PROPOSITO, sono tornata.. E ci rivediamo, sai come riesco a essere petulante e egocentrica, no” Gli baciai le mani, ridendo, sommessa, i palmi più piccoli tra i miei,stringendoli, ricambiò“Alessio, amore, ora devo andare davvero, mi spiace, e ci ritroviamo. Guarda, non piango, cerca di stare tranquillo, sì, perfetto, ti voglio tanto bene, so che lo sai, e lo devo dire, so che mi vuoi bene pure tu.. arriva a casa, diamoci due o tre giorni di tregua, di riposo, poi arrivo, mi vuoi vero”Un battito di ciglia” Solo diamoci un poca di tregua, che è stata lunghissima, soprattutto per te..”Tacqui e ci scambiammo una occhiata preziosa, miele contro zaffiro, senza sillabe. Seppi, una sorta di prescienza, che sarebbe rimasto. “Riposati, amore,a presto, sono con te. Ora no, ma se vuoi al Palazzo di Alessandro ti tengo in braccio, dormo con te, ti porto fuori, ora che vuoi?“avevo inteso e non stavo capendo male il gesto , mi ricomposi.”Il mio monello preferito, eh,ripassamelo Andres, tutto a posto, vuole che lo tenga ancora!”Me lo raccolsi addosso, tenendolo in alto”Poi quando vado, non ti agiti ..” Inarcò le sopracciglia, era un sì. “Aleksej, bambino mio, tesoro mio grande” declinai ogni forma di amore e tenerezza, osservai che doveva mangiare, che poi me lo divoravo seduta stante, ora sei tutto ossa e volontà, tesoro mio.. Mi diede un bacio sulla guancia, aveva le labbra secche, riarse, gli feci bere un poca d’acqua e gli cambiai la casacca militare. “Aleksej..” mi prese una mano, rimanemmo in silenzio, lui era il mio guerriero, un lottatore, ora e sempre.
 
 
“Adesso devi andare davvero, Lupo,” enunciò Andres, dispiaciuto alla fine “Qui ci penso io”
 Staccai le mani, a malincuore, lo zarevic mi sorrise, alla fine lo avevo cambiato, era fradicio, ed era esausto, il mio tesoro, e tanto non dormiva.
Mi toccò il viso, i capelli come quando era piccolo, gli deposi un piccolo bacio all’angolo delle labbra, un gesto di affetto che voleva da anni e avevo sempre omesso, scostandomi quando tentava, che io non ero sua madre o una delle sue sorelle, e lui ribatteva che mi voleva bene come  loro.
 “Ora, zarevic, devo andare e tanto torno presto a scocciarti” si tese per ricambiare, lo lasciai fare, doveva sorridere, e  premetti il pugno sul cuore e scattai via sul serio, vietandomi di toccarlo ancora, che non sarei più andata .
Mi girai sulla porta e sorrisi a tutti e due “A presto..”
 
 
E tanto ero poco lontana, la schiena contro una parete, la testa sulle ginocchia e piangevo, uno sfogo necessario, pregando, mentre il calore si raffreddava, Dio che cretina.Cercavo la saggezza, il distacco, ero il lupo, il tormento e tanto con Alessio e i nostri fratelli non mi riusciva. E lo avevo tenuto sollevato, senza scostarmi o recedere, quello non contava.. Appunto..   
 
( Non te ne andare, resta.. )
 
“La chiamo lupo perché è agile e scattante come quella fiera, ha un fondo indomabile, selvatico. Non che sia sempre simpatica o altro, ..”Andres parlava piano in russo, sia lui che Alessio fissavano la porta dove era sparita Catherine con un vassoio tra le mani, a breve sarebbe arrivata la zarina e il rischio di fare saltare le coperture era troppo elevato. Nell’aria restava una traccia del suo profumo, leggera come una scia, arancia amara, sudore e lavanda, annotò Andres “Una volta ha indicato la zuccheriera, per il caffè, invece vi era dentro il sale. È a modo suo, molto, lo sapete meglio di me, una grande solitaria”Alessio sbattè due volte le palpebre, in segno di diniego, Andres ormai lo aveva inteso” NO? Sa stare da sola, vi è differenza, avete ragione, se può mantiene sempre la sua parola. Anzi, la mantiene sempre, come noi Fuentes, in fondo come me discende da una schiatta di combattenti. Ne riparliamo, certo, cercate di stare bene, quando avrete fiato, mi mancano le vostre chiacchiere incessanti, Altezza Imperiale, a presto”Bussarono alla porta, era lo Zar o chi per lui.
“..”lo abbracciò, poteva essere suo figlio, un gesto che osava solo allora. Un nome sorse dalla memoria, lo strazio di quei giorni lontani non finiva mai..
 
Xavier..Xavier dei Fuentes. In spagnolo, Xavier significa Casa .. Nuova Casa… tornava quando meno se lo aspettava, suo figlio.
 
“ A presto, Maestà, Altezza Imperiale” Si erse in tutta la sua statura, scattò sull’attenti, il saluto militare, era stato un soldato, per anni, le vecchie abitudini sempre affioravano. Ed anche il ragazzino era un soldato, che combatteva ben dure battaglie per sopravvivere,  cui andava ogni onore e rispetto,  e se ne andò.
 
“Sbagliate, piccolo principe, come vi chiama Catherine, lei come me è una grande solitaria, un lupo,sa amare ma teme che chiunque ami andrà incontro alla rovina..E per paura e orgoglio omettiamo di dire che amiamo, tranne che in rare occasioni” sussurrò piano, parlando per sé e tra sé.
 
Se suo figlio fosse sopravissuto sarebbe stato appena più grande dello zarevic, era nato nel 1901, come la sorella di Alessio, Anastasia .
Lo aveva chiamato Xavier, come aveva deciso con Isabel,come il principe suo padre, Xavier dei Fuentes, che riposava accanto a  sua madre, sua moglie Isabel, e alla nonna paterna, nella cappella di famiglia dei Fuentes.
Fino alla fine del mondo.
Quella sera, dopo così tanto tempo che nemmeno lo ricordava, entrò in una chiesa e accese una candela.
“Pater Nostrum.. “e mi cercò, un bisogno cieco e disperato, uno sfogo di saturazione e energia nervosa, reciproco, facemmo l’amore, disperati e impotenti, poi lo mandai a cercare notizie, se stava bene, doveva stare bene. Vi era sua madre, l’emorragia era cessata, a posto.
ALEKSEY.
TESORO.
Not to say good-bye..
   
 
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