Storie originali > Storico
Segui la storia  |       
Autore: queenjane    12/07/2018    3 recensioni
Un omaggio a Aleksey Romanov e a i suoi, era fragile, malato, morto a nemmeno 14 anni, fucilato nel luglio 1918 era un eroe. Go my dear. Go my Hero.Once upon a time, you're an heir, a hope, ypu've a great future. But you're frail.. and strong. A dragon, a legend. Forever, a little prince. Honour to You, last Ctar, Aleksey
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Periodo Zarista
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'The Dragon, the Phoenix and the Rose'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
 Ovviamente, la zarina sostenne che era tutto merito di Rasputin, da lei avvisato, che aveva pregato per il ragazzino, se la crisi era stata domata. Non che Andres facesse i miracoli, l’essere un santo che spargeva grazie non rientrava tra i suoi meriti molteplici. Ed anche io avevo pregato, la cecità apparente di Alessandra mi procurava una rabbia senza misura, Rasputin era un millantatore, lei una finta ingenua. Preferiva la supina adorazione della sua amica Vyribova a chi osava contrastarla, si illudeva di essere lei sola in grado di governare e avere il necessario discernimento per essere al timone di comando. Di un impero, quando non comandava nemmeno in casa sua in pieno, che in tanti anni ancora non aveva imparato il prezzo esatto delle patate che si vendevano ai mercati di Carskoe Selo. Per favore.
Mi veniva da sorridere, era un teatrino, una tragedia che virava nella commedia, io una grande attrice, in senso lato. Invece di pensare a quanto fosse stata incompresa, da decenni, forse Alix avrebbe dovuto ragionare su quanto sopra..   
Sentimenti ambivalenti, quando ero piccola le avevo voluto molto bene, peccato che con gli anni, sostenendo che portassi alla ribellione e al malumore le sue figlie, specie Olga, avesse cercato di allontanarmi e ben percepivo, avevo percepito quella freddezza. In fondo, ce l’aveva con mia madre e io le somigliavo parecchio e.. Insieme, mi era affezionata, l’affetto di fondo era rimasto, reciproco, tranne che come carattere, abitudini, modi di vivere ed età eravamo agli opposti. Una tregua armata, poniamola in questi termini, che a breve le sarei piovuta tra capo e collo, a costo di prendere a testate le guardie imperiali, avrei fatto visita ad Alessio. Ammettiamolo, almeno tra noi che ero una spina nel fianco, una immensa rottura di scatole. E .. Alexei.. il suo visetto bianco, color carta, quello strazio senza fine o ritorno, le mie braccia erano vuote, in quelle ore infinite … una alchimia, eravamo insieme, lo avevo visto lottare come un leone, un respiro dopo l’altro, non si era arreso.
Mia madre era in Crimea con mio fratello, l’aveva invitata la zarina madre per il Natale e si rammaricava che fossi tornata senza preavviso, il principe Raulov, il suo illustre marito da circa un quarto di secolo, oltre che il mio violento, ubriacone e manesco padre di nome, era al fronte, certo non a combattere, era a bere o giocare d’azzardo. L’avevo rassicurata, mia madre, dal rancore ero approdata alla tenerezza, suonando convincente alle mie e alle sue orecchie, ormai ero adulta, vedova e infermiera volontaria, avrei fatto una breve sosta per poi ripartire,vi era mio zio, a badarmi o viceversa. Non ci vedevamo dal settembre 1914, ci eravamo scritte e sentite per telefono, quando potevo, se avesse saputo la verità, mi avrebbe legato alla sedia per impedirmi fisicamente di andare via. A modo suo, la principessa Ella era  tra le persone più coraggiose che conoscessi. Io una vigliacca combattente, il principe Raulov era al fronte in Galizia, per modo di dire, due codardi in trincea.
Respirai a fondo, ricordavo fin troppo bene il litigio che avevo avuto con Olga, l’anno avanti, tuttavia ero stata invitata per “un tè”, un gentile bigliettino dello zar, ero nella piccola villetta che mio zio R-R aveva a Carskoe Selo, non mi ero sentita di andare a palazzo Raulov e passare serate di divertimento nella capitale.  OLGA.
OLGA.
Eravamo state amiche una vita intera, sorelle, prima che me ne andassi e .. Che farne, di me stessa?
I primi due giorni li avevo passati a dormire, leggere e fare bagni, un ottimo ristoro mentre rifacevo il punto della situazione, vietandomi di pensare ad Andres, non sapevo che scuse inventarmi, quali negazioni formulare, ché, indagando, avevo appreso una cosa che mi aveva fatto inorridire di me stessa. E dovevo arrendermi, lo amavo, Fuentes maledetto, ti amavo, in fondo, molto in fondo sapevo che mi amava pure lui, per quanto avesse orrore dei sentimenti, visti i suoi trascorsi di tragedia (aveva perso sua moglie, morta per le lesioni del parto, il bimbo era morto dopo una settimana tra le sue braccia, aveva 18 anni all’epoca, altri sarebbero impazziti, lui no, ma il prezzo era stato il suo esilio volontario, la freddezza e la distanza)

Alessio stava meglio, dal letto era passato al divano, già qualcosa, almeno dalla tarda mattina fino a sera, con un intervallo nel pomeriggio per un sonnellino.. O lo mettevano a riposare, conoscendolo dormiva ben poco. E ignoravo quanti mesi avrebbe impiegato per riprendersi in modo effettivo, che quella crisi era stata devastante.   
Che avrei fatto? La visita promessa e poi sarei ripartita, poco ma sicuro. Nuove rotte e infiniti peripli per obliare, almeno un poco, la mia disperazione, un altro scopo, ci raccontiamo tante storie, per andare avanti e quella mi piaceva. E sapevo che, nella prima privata occasione, rivolevo stare con Andres.
Mi sfiorai la cicatrice sul braccio sinistro, era orrenda, uno squarcio irregolare che potevo celare con le maniche, uno zig zag nella tenera carne. Ed ero dimagrita così tanto che il busto non serviva nemmeno più, ma lo avrei indossato, per i capelli sempre corti avrei messo uno chignon posticcio, per vestito un color grigio fumo, da mezzo lutto, anche se, in via teorica, le vedove solo dopo 18 mesi potevano “alleggerire”. I  particolari del mondo e delle sue forme riemergevano. Se pensavo che la regina Vittoria aveva portato il lutto per quasi 40 anni, vi era di che meditare.
“Principessa Raulov, Madame, una persona chiede di voi,è nel salotto”la cameriera interruppe le mie riflessioni e sbuffai impaziente “Ho dato ordine di non volere essere disturbata. Tassativo, non credo sia difficile da capire”
“Madame, perdonate è Sua Altezza Imperiale” Tra finire di dire chi era e il precipitarmi la poveretta rimase sola.
Bussai e aprii.

Dai quaderni di Olga Romanov alla principessa Catherine”.. La porta si aprì in un lampo e ci ritrovammo davanti. “Altezza Imperiale, Olga Nicolaevna “, una piccola riverenza, poi rimanesti in attesa. Giusto, ero venuta io, spettava a me parlare e tutte le parole volarono fuori dalla mente, tutti i bei discorsi preparati erano scomparsi. E sapevo molte lingue, come te, tranne che non ci incastrava dirti che eri dimagrita. Ti ho vista mettere su peso una volta sola, già, ma era normale, peso per dire, a fine primavera 1917 pesavi 64 chili per un metro e 72, nell’estate 53 per ovvie ragioni, allora non sarai stata oltre i 48 vestita, io attualmente devo solo tacere, eri snella fino a essere troppo magra, come ti reggevi in piedi un mistero e tanto eri la mia Kitty Cat, la mia gattina, che aveva paura e sorrideva “
“Sei dimagrita..” le prime parole, in francese, dopo un anno, tesi le sopracciglia, quindi scoppiai a ridere.
“Giusta considerazione, come voi. Altezza imperiale, mi avete fatto una sorpresa,sul serio.”Ritornai seria e respirai “Ma non siete certo venuta per parlare di queste banalità” Un cenno di assenso. Alessio.. vuoi che facciamo pace.. rievocando il suo peso tra le braccia, la testa contro il petto, erano passati anni, mesi, una vita e sempre noi eravamo. Prima di allora non mi ero  concessa di amarlo in quel modo, aveva percepito la differenza, gli argini rotti, amarlo lo avevo sempre amato, era delicato, fragile, e non mi ero concessa di travolgerlo con il mio affetto se non ora, dopo assenze e ritorni. Fianco su fianco, in quelle ore passate e trascorse, mentre lo cauterizzavano e lo tenevo sollevato, eravamo diventati una squadra, io ci sono per te  e te per me, come io e Fuentes in altri ambiti, come io e Olga in altri tempi.
“ Avevate ragione, a dire che ero una vigliacca, una codarda, nessun atto di eroismo o martirio me lo avrebbe restituito ..Per favore, fatemi continuare”Parlavo a braccio e sapevo una cosa che tu ignoravi, almeno allora credo e spero che tu non lo abbia intuito. O forse sì.. Non lo so. Lo avevo capito a Mogilev, una certezza limpida e adamantina,avevo rifatto i calcoli sulle date e la mia nascita. E avevo confrontato la calligrafia di una delle lettere d’amore di mia madre con quella dello zar. Il passato ritornava, i pezzi combaciavano in modo diverso.
“No. È un ordine, allora io .. Sono stata orribile”
“Avevate ragione” Eravamo sorelle, figlie dello stesso padre, non potevo cambiare il destino di nascita, potevo fare qualcosa come Cassiopeia per evitare che il trono fosse rovesciato. Già allora vi erano complotti e progetti, che nei quindici mesi successivi avrebbero portato al disastro, un orrore che nessuno avrebbe mai osato immaginare, figuriamoci viverlo.
“E siamo quello che siamo..Tremanti fiammelle, sparsi  frammenti contro l’infinito” Citai quanto avevi scritto in un biglietto, anni prima, una vita prima, per un mio compleanno.
“Amiche e sorelle. Nonostante litigi e distanze” Le ultime parole, quelle di chiusura.  Lei era una poetessa, in fondo, io una principessa canta storie.
“O ci possiamo riprovare. A tornare amiche. Ai primi gennaio riparto” Secca.  
“Ci avrei scommesso”Una risata amara, senza allegria “Che ripartivi. A questo giro, almeno, lo hai detto in faccia. È bello rivederti anche se l’ultima volta avevo detto che..”
“.. non volevi vedermi mai più. Ho sentito, anche se ho finto il contrario, sono stata tra le tue amiche” Tranne che la vita è già troppo breve per sprecarla nel falso orgoglio e nel rimpianto, quella lezione l’avevamo appresa, sia pure in modi e declinazioni diverse. Ero scivolata al Tu. 
“Qui ti sbagli. Sei la mia migliore amica, l’unica che abbia mai avuto o avrò, oltre le mie sorelle, piantiamola con questo melodramma”..Sai, Cat, raccoglie le storie su un quaderno, legge le tue lettere, le manchi e lei manca a te..lo zarevic mi aveva raccontato quella nostalgia. E lei, a sua volta, mi era mancata, come un arto amputato. Un arcobaleno ed una assenza.
“ Ottimo”
“Cambiando argomento, che sennò avresti troppa soddisfazione, perché ti sei tagliata i capelli?Si vede da una versta di distanza che lo chignon è posticcio” mi toccò la nuca, un abituale gesto possessivo che non avevamo obliato. Eravamo state amiche una vita intera per lasciare che i mesi e gli anni trascorsi inghiottissero tutto.
“Diciamo che li ho tagliati per praticità, dove sono stata le comodità sono ridotte al minimo, per non dire assenti.” Ma  avevo Andres e quindi andava più che bene.
“Immagino, forse” Non credo proprio, Olga, tacqui in ogni caso, mi veniva da ridere e piangere insieme.
“Andiamo insieme a Carskoe? Se ti fa piacere, vorrei visitare l’ospedale al Palazzo di Caterina e vedere l’organizzazione, anche se .. Lascia perdere il caos.”
“Alessio non vede l’ora di rivederti, è stato male, si sta riprendendo ora. Male parecchio, intendo, mia madre è convinta che stia bene grazie a ..”il suo  sorriso frantumato dalle parole.
“Ho sentito le voci. Con rispetto, è un affare che non viene compreso, la sua predilezione per quel siberiano.”  E l’incomprensione genera pettegolezzi e maldicenze, un campo in cui Alix eccelleva, spesso suo malgrado, a quel giro se la cercava. Una volta aveva definito Rasputin un incompreso, puro come un giglio di campo, mio zio aveva chiosato, lontano da indiscrete orecchie, che quei poveri fiori si erano seccati nel paragone.
“Appunto”Stese un braccio e mi prese la mano, con naturalezza.
“Andiamo. E Catherine, mettiti un turbante, con quello chignon sei ridicola”
Oui, ma chere”. Baciai le sue nocche sottili, sussurrando ti voglio bene Olga, quanto mi sei mancata. Fece la finta tonta, si limitò a stringere i palmi, al polso sinistro portava un braccialetto dorato che le avevano regalato i suoi per il dodicesimo compleanno, per buona sorte.

Una stretta calda e delicata, mano contro mano, polso su polso e cuore su cuore,  le domande sospese e rinviate, ricordo che non la mollavo o viceversa, le serrai il gomito e quindi entrai nel palazzo di Alessandro, osservando, stupita,  come gli addobbi festosi non contemplassero gli abeti di Natale. “Un ukase di mio padre li ha aboliti, troppo teutonici, altri suoi ordini ( ukase- n.d.a) hanno vietato di suonare Mozart o Bach ai concerti per il principio di cui sopra” La figlia della zarina, nata in Germania, parlò in tedesco, io risposi che ero giunta come regalo inopinato, avessi voluto potevo evitare di farmi vedere, ma ero lì e si sapeva, era venuto fuori, glissare sarebbe stato da vigliacchi. Tacendo che avevo promesso a Alessio che non lo avrei lasciato.
Sei sempre la solita, un sussurro divertito, lasciò la mano e mi fece strada, tranne che mi fregai bellamente della imperiale etichetta, la toccai, possessiva, ancorandomi al suo gomito. E il mondo mi apparteneva di nuovo, i sogni in tasca, i pugni allentati.
E non la volevo lasciare, come Alessio si affidava a me, io mi affidavo a lei, alla fine dei passi era Olenka il vero riparo, il mio rifugio dalle violenze.  
Quando il principe Raulov, prima della definitiva rottura, picchiava me o mia madre, era sapere che Olga mi voleva bene, che ci sarebbe sempre stata, a impedirmi di affondare nel buio e farmi sommergere, tralasciando come mi fossi poi comportata. E chi sopravvive, forgiandosi tra distanze ed oblii, è per lo più egoista, io ne ero la prova.



Tatiana sorrise, un lampo negli occhi a mandorla allungati, da orientale,  ormai eravamo quasi alte uguali, lei mi superava di tre o quattro centimetri, una gioia trionfante, tranne che era perfetta, snella  e ben proporzionata, non si badava alla sua statura. Ormai abituata a mio zio e Andres, che svettavano come pini, mancando di ben poco il metro e 90,  poco altro annottavo, mi ero abituata alle loro dimensioni.  
Marie e Anastasia mi abbracciarono, osservando ( e dai!!), che ero troppo magra, Tanik  solo che non avevo bisogno del busto, tanto era snella. E radiosa. Come quando avevo 14, 15 anni e i capelli sciolti,  lunghi fino alla vita, ero in Spagna, di nuovo e da capo, era stata un’epidemia di proposte di matrimonio, più o meno serie, per il coraggio dimostrato alla grande caccia, l’avvenenza e via così. Osserviamo che mi ero leggermente fissata con gli iberici, uno in particolare, e la Spagna mi attraeva, come un magnete.


“Decoro, ragazze, fate troppa confusione” la voce di Alessandra, come una staffilata interruppe la gioia del ritrovo, sospendendo un momento di eterna dolcezza.
Mi inchinai, piegando il dorso, come esigeva l’etichetta, percependo che le ragazze avevano tenuto il contatto fisico, Anastasia la mano, Marie un braccio sulla mia vita sottile, eravamo un baluardo. 
“No è che.. “Annaspò Alix, ero la sua nemesi come mia madre, sempre in contrasto e guerra. ”Baby, lo zarevic, aspetta Madame De Saint-Evit e..
“Si stava riposando e Catherine è venuta a salutarci,Mama” La quieta voce di Tatiana, era la sua figlia prediletta e mi voleva bene, senza raggiungere il trasporto di Olga o Anastasia, o no, era riservata, impenetrabile salvò da uno scontro, un cortese dato di fatto.
Sono lieta di rivedervi, Maestà Imperiale”
“Io Voi, la vostra è una breve visita” Mi inchinai, da capo, capendo che se non sparivo in pochi giorni, il mio era un pensiero malevolo ma certo azzeccato, mi avrebbe fatto andare via lei, io che istigavo alla ribellione le sue figlie, ero arrogante, troppo sicura di me e la mia sicurezza si trasmetteva come una marea inesorabile, ineludibile, sicurezza che, uscita dalla porta, era rientrata dalla finestra, moltiplicata fino all’eccesso. Eravamo alle solite, no..

Magra, tirata, mi tese la mano da baciare, all’uso dei russi, optai per una nuova riverenza e strinsi le nocche, alla maniera inglese.  
Vestiva di scuro,  una sobria acconciatura, le rughe più marcate, rispetto all’anno avanti, era preoccupata per lo zarevic, il lungo conflitto e tanto altro. Annotai il crocifisso di zaffiri, l’anello con una grande perla e che non portava smalto, allo zar non piaceva e lei, fosse vicino o lontano, badava a quei suoi piccoli desideri.
“Siete diventata molto diretta, Madame” madame De Saint-Evit, il mio defunto marito, che riposava nei campi elisi degli eroi, morto troppo giovane e troppo presto per un colpo sparato alla schiena. E non era la guerra, quella era una morte assurda, senza giustificazioni o altro.
Ecco, il mio sorriso, come una eco, per non rispondere o cogliere provocazioni. Ero sopravissuta a due aborti, alla vedovanza, a una coltellata, spari e sibili,agli ingaggi di mio zio, sopportavo quel rompiscatole di Andres, che quando voleva era meraviglioso, quindi  la potevo fronteggiare, come se nell’infanzia o l’adolescenza mi fosse mancato qualcosa.
 Ero la figlia di Ella Rostov-Raulov, qualcosa significava, che a mia madre la faccia tosta mai è difettata.Ed ci volevamo bene, in fondo, nonostante tutto.
Mamma .. Aiutami.. non avere paura bambina mia, vicina o lontana io sono sempre con te..le tue parole, il tuo sorriso fragile, intimo.
“Molto bene, lo zarevic avrebbe piacere di incontrarvi, per di qua”
Entrai nella stanza dei giochi, rivedendo le pareti tappezzate di cretonne verde, i giocattoli  ordinati, di tutte le fogge, forme e dimensioni, dai trenini alle bambole, piccole e grandi, con suntuosi vestiti di seta e minuscoli stivali in vera pelle, accurate e perfette, come i soldatini con cui amava giocare Alessio, come un teatrino, i puzzle e i domino, la tenda indiana, le finestre alte, illuminate dal sole invernale, i piedi che si muovevano silenziosi sulla moquette.

E  lo zarevic era su un divano, la schiena sorretta da una miriade di cuscini, una coperta sulle gambe come ai tempi della convalescenza di Spala, tra le mani due soldatini  e delle biglie, la carnagione bianca come un petalo di camelia, le occhiaie meno evidenti. Con una uniforme da marinaio, sul colletto le iniziali in cirillico, A. N., Aleksey Nicolaevich, intrecciate a quelle di suo padre, N. A., Nicola Aleksandrovic, un legame tra le generazioni.

Baby, look, there is Catherine, for You, my darling” In inglese.
Catherine, you’re there” radioso.
“ Yes, Your Highness” Un inchino.
“Come to me” Aprendo il viso in un sorriso,ricambiato,  le braccia per una stretta.
“I have promised, I am called back, I see you again” la fronte contro la mia clavicola, i polsi sulla mia vita sottile, come Marie, posai i palmi sulla sua schiena, delicata, avvertendo il segno delle vertebre, i rilievi sporgenti, troppo alto e troppo magro, il mio piccolino.
“Are really you?”
“Yes.. my dear.. I am always the same, I am unique, like you” kissing his cheek, his forehead, my Zarevic… My miracle.
“I am so glad..” mi strofinò il viso contro il collo, un suo usuale gesto di affetto.

 
“Devi mangiare, Alessio, per rimetterti presto in piedi. Lo so che hai poca fame, in generale,prova però. E scusa se ti assillo” Sussurrai delle tenerezze in inglese, francese e spagnolo, Andres me lo aveva ben insegnato, lo avevo imparato, mai appreso sul serio, una piccola fitta di desiderio. E la sua lingua di nascita divenne il nostro linguaggio preferito, come per me e Olga il francese. Discendente da uno spagnolo, olivastra di carnagione, amante di un iberico rompiscatole, chi mi vietava di apprendere seriamente quella lingua, che forse un giorno la Spagna sarebbe stata la mia nuova patria.. E avevo amato Ahumada, la rocca dei Fuentes, come un ristoro.  Ero fissata, e avevo le mie ragioni.
 “Non ho fame, uffa, sempre le stesse cose, vieni qui, stringimi anche di più, mica mi rompo” da come stringeva lui, rischiava di rompere ME, lo baciai, leggera da capo, cercando di imprimere ogni dettaglio tra le falangi.  
“Per gola, no. Sennò come fai a andare dietro a Andrej, mi ha detto che ti vuole passare a trovare, o a me” Un piccolo sussurro, per non farci sentire.
“Vero, verrà, credo, tu rimani un poco.” Tradotto, non mi lasciare..
“Sì, per un pezzettino, va bene” Poi “Ho fame” che ti inventi, zarevic? Sei pallido ed inappetente e tanto le idee non ti mancano..  mi vuoi prendere in giro, ci scommetto.


“Mangi da solo” era la prassi, di farsi imboccare, quando stava poco bene e spesso sconfinava nell’abuso e nel capriccio, della serie mi trattate come un bambino piccolo e io mi comporto da tale. Sua madre formulò la richiesta, rimanendo poi spiazzata, mentre un tavolino per fare colazione a letto, in questo caso sul divano compariva magicamente. “Certo, solo per piacere (per evitare di essere brontolato) mi racconti qualcosa, Catherine?Magari sugli arabi e la caduta di Granada? Sai qualcosa sul periodo, no? Fine XV secolo, mi pare. Enciclopedia Raulov, altro che quella britannica” tesi le labbra in un sorrisino, ricambiato. Come facesse a sapere della reconquista destò l’altrui perplessità, la Storia non era precisamente la sua passione elettiva. Andres vi aveva messo le sue zampette, particolare che conoscevo, credo, solo io, ed era ironia, Fuentes era sempre un ingombro.

“ Vera o di fantasia? Qualcosa ne so, anche se a fine 1400 manco ero per l’aria, comunque..”
“ Bella lunga, vedi tu..” Mi venne in mente che adorava i cavalli, ci meditai un momento mentre lui attaccava con la prima forchettata, inarcando l’imperiale sopracciglio, della serie, comincia, io mangio. Almeno la minestra.
“I re di Spagna, Ferdinando e Isabella, cingevano d’assedio Granada, l’ultimo regno arabo della penisola iberica“le parole galoppavano, senza fretta, mentre Alessio mangiava, con calma. “Si diceva che il palazzo dell’Alhambra, il forte rosso dalle infinite e sorgive fontane, con stupendi giardini non dovesse mai cadere e invece non fu così, infatti la città si arrese il 6 gennaio 1492 e l’ultimo re arabo, Boabdil,consegnò le chiavi della città su un cuscino di seta. E.. mentre si allontanava a cavallo, si girò a osservare Granada una ultima volta da un passo di montagna sospirando, subito rimproverato dalla madre che vedendolo in quello stato disse: Piangi come una donna questo reame che non hai saputo difendere come un uomo’ e anche oggi esiste, c’e’ un passo chiamato ancora oggi ‘il sospiro del moro’… “ La zarina si mise a ridere, intanto Alessio, con esasperante lentezza, masticava e anche le sue sorelle ascoltavano, attente, se mi avevano appellato principessa Sherazade un motivo vi era di sicuro .
“Un ragazzo, un principe rimase là, era un esperto e conosceva i segreti su come addestrare i cavalli arabi, sapeva come farli impennare e scalciare e impennare, buttando giù un soldato, con gli zoccoli davanti.. “le perle che portavo ai polsi e alle orecchie brillarono come frammenti di luna, descrivendo quelle macchine da guerra.
“Questa te le sei inventata.. che mica c’era, credo”
“Chi lo sa.. tu c’eri? Passiamo ad altro, abbiamo ancora un piatto e il dolce e …posso bere un poca d’acqua? Una pausa, che ho la voce roca”Uno stop, come per lo zarevic, e tanto non lo lodai, non ci doveva prendere il vizio, almeno non subito, tuttavia gradì un momento di riposo.
“No, non c’ero, che credi. E neanche ho il bagaglio cognitivo per confutarti, le necessarie conoscenze per discutere sul punto de quo..e ..quindi..”Usando quelle auliche parole mi prendeva allegramente in giro, anche il latino il furfante, sorrisi di puro cuore” Racconta, piuttosto, per favore: Ancora” Chiuse  gli occhi, con aria da pseudo martire, io raccontavo e lui aveva da far lavorare le imperiali mascelle, un compromesso accettabile. Ed era tanto comico.
“Non ce la faccio più.. Però ..” mi tese la posata “Da solo, eh..” “Da solo ho finito..Se  vuoi, continua tu.” Si  pulì il viso sporco di minestra, mancava il secondo e il dolce, oltre che la frutta.  “Zarevic..”
“Principessa..” Ironico, tenero. “Zarevic.. Su, io non ho fretta” “Appunto..”



Tornarono le antiche abitudini, lo imboccai e ogni forchettata era una frase della storia, fino alla reciproca saturazione, basta per ora.. Pescai dai miei personali ricordi, avevo visitato Granada nel 1905, rimanendo sorpresa dalla bellezza dell’Alhambra, costruita in rossa pietra, dallo splendore dei giardini. Sorvolai sulla corrida e un certo picador, ovvero Andres, i ricordi tornavano, vibranti, nitidi.
“Ho sonno, dormo qui sul divano e  quando mi sveglio la voglio, Catherine, Kitty Cat, Gattina, Cat e..” borbottò, lo strinsi ridendo.
 Per maggior tutela mi serrò una mano, possessivo, non ci verso di annullare la stretta, aveva fiducia che non lo avrei lasciato e si premurava che non avvenisse, furbo lui, gli sfiorai una guancia, con tenerezza.
Sua madre non fece un fiato,  alle cinque venne servito il tè, su un tavolo bianco con il servizio d’argento, rito mai mutato, come i biscotti inglesi e il pane caldo con il burro, chiacchiere lievi, io presi una tazza.
Io ero tornata, lui l’accidente lo aveva passato, il mio imperatore dei viziati.
La zarina era allibita, che la buona volontà dello zarevic di mangiare, se raccontavo qualcosa, perdurasse, anzi.


 In genere era estenuante, un logorio, fargli prendere un boccone e da un lato aveva le labbra increspate in un sorriso, era proprio una comica.
Idem come sopra per cena. Raccontavo, poi lo imboccavo, sempre noi. Alix tirò fuori delle vecchie foto, dei suoi soggiorni in Italia, Firenze e Venezia, quando sua nonna la regina Vittoria svernava al Sud. Giovane e splendida, eccola nei giardini di aprile, a Firenze, stupita che vi fossero già l’erba e i fiori, rispetto agli inverni tedeschi, avvolta dalla luce dei canali di Venezia, che lo zar Pietro il grande aveva voluto ricreare costruendo la sua capitale, tanto che l’avevano appellata la Venezia del Nord. Sorridente e lieve, aveva vent’anni, lei, eccola qui, a 43, oppressa dalle preoccupazioni e dallo sfinimento, che tornava serena, almeno per un poco. “Firenze era splendida..”annotò “E sui colli vi è il Collegio della Santissima Annunziata, ove le educande ricevono una ottima educazione, è tra i più rinomati..” “Io ho rischiato di finirci..” risi “A 10 anni ..” “Alla fine.. “Cassò il commento, che poteva venirne fuori una Catherine molto più educata, magari sposata a un italiano.. Non infieriamo, non discutiamo, decisi “ La principessa Maria Josè del Belgio vi è entrata quest’autunno” disse Tata “A  questo collegio che dite..” “Ah..”il Belgio era un alleato della Russia, come l’Italia, la Francia e l’Inghilterra “E’ nata nel 1906, il principe ereditario d’Italia nel 1904..”Fiori d’arancio in fieri, pronosticai, dopo o prima, mentre, tanto per rimanere in tema,  il principe ereditario di tutte le Russie non aveva interrotto quelle chiacchiere, che mi era voluto venire in braccio, lo accontentai, alla fine aveva finito di mangiare, sei  stato davvero bravissimo, enunciai.


 Mi allacciò il collo con le braccia, uno sguardo di pura e ricambiata adorazione. “Lo so e sei brava tu pure..” me lo adagiai in grembo, le gambe magre che toccavano le mie, decisi che per quanto mi era possibile preferivo tenerlo in braccio, al diavolo se non aveva fiato per camminare, avrei fatto io per lui.
Dopo la crisi che aveva avuto era una passeggiata compiere quei gesti. E lui era tanto più calmo.


( Io non vorrò mai capire fino in fondo. Olga, la mia primogenita, la adora, Alessio la predilige e le altre mie figlie la portano in palmo di mano. Ho cercato di allontanarla, ma come un tumore, è sempre qui, costante come la malasorte. Non lo vorrò mai sapere fino in fondo, prima del nostro fidanzamento ufficiale, chi impediva a Niki di andare a letto con la ballerina K. e  la principessa Ella, concependo una bambina che potrebbe essere il segreto dello zar, la sua vera primogenita, il suo gioco di dadi, la sua bastarda, la ragazza nata nella solitudine e nella tempesta.. Catherine, figlia dei lupi e delle assenze, bella e perfetta come una miniatura, ti ho amato e odiato insieme. E mi devo ricordare che nel novembre 1893 avevo rifiutato Nicolas in via definitiva, l’aprile 1894 è stata la mia ultima occasione e l’ho colta, Ella e lui potrebbero benissimo avere avuto una relazione e tanto non voglio sapere, od anche no, a volte basta un amplesso e fine, lei da giovane era splendida, colta e sono cresciuti insieme, suo marito una disgrazia privata, è bella anche ora, ha un anno più di me e le danno 35 anni al massimo ) 


 
Dai quaderni di Olga alla principessa Catherine” Alessio ti era sempre stato molto affezionato, poco ma sicuro, tranne che a quel giro era diverso. Ti sedesti sul bordo del divano e lui si appoggiò contro di te con una grande naturalezza, mentre gli cingevi la schiena, teoricamente era un pezzo che non vi vedevate.  Come no, non era timido, affatto, ti prendeva in giro e sorrideva, tu eri meno tesa, rigida rispetto al passato. Era stato male a Mogilev per un raffreddore violentissimo, nostra madre temeva di trovarlo morto e aveva pregato padre R. di pregare. Lo aveva riportato a casa per la convalescenza e, rispetto ad altre volte, era meno insofferente e teso. Papà, il giorno prima aveva pranzato con il principe R-R, tuo zio, che aveva riferito che eri sul posto. E  si era impuntato che dovevi venire, nostra madre che diceva che forse eri troppo impegnata, era una maestra  nell’inventare scuse,al che lui aveva ribattuto che sarebbe andato lui, a piedi,  aggiungendo per favore, ti prego Mamma, in un tono deciso, che non era quello dei suoi capricci o delle bizze estemporanee. In quei mesi alla Stavka era maturato, poco ma sicuro, e se avessi giocato d’azzardo avrei scommesso che ci incastravi qualcosa”ccc
   
 
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Storico / Vai alla pagina dell'autore: queenjane